VIDOSSI (Vidossich fino al 28 gennaio 1932), Giuseppe
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 99 (2020)
Nacque a Capodistria il 30 marzo 1878. Scarse sono, nelle fonti edite, le notizie sulla sua vita privata – tanto che non ci sono noti i nomi dei genitori – dato in sé indicativo di uno studioso che molti descrivono come socievole ed empatico ma che mai indulge al personalismo e all’autobiografismo. Frequentò a Capodistria il civico ginnasio dove, fin dalla metà dell’Ottocento, l’irredentismo si traduceva in formazione culturale particolarmente attenta alla storia, alle lingue e alle tradizioni di un territorio segnato da frizioni tra i diversi confini. Frequentò l'università di Vienna ed ebbe come maestri i filologi Adolfo Mussafia e Wilhelm Meyer-Lübke con il quale si laureò nel 1900, presentando una tesi di filologia romanza sul dialetto triestino pubblicata poi in due parti (voll. 23 e 24, 1900-1901) nella rivista Archeografo Triestino. Proseguì quindi gli studi a Firenze presso l’Istituto di studi superiori, conseguendo nel 1902 il diploma di perfezionamento in lettere sotto la guida di Pio Rajna ed Ernesto Giacomo Parodi. Nel 1904 ottenne a Vienna l’abilitazione all’insegnamento dell’italiano che, fino al 1910, esercitò nel ginnasio statale di Trieste. Nel 1910 venne nominato ispettore scolastico a Pola, e nel 1911 tornò a Capodistria come direttore dello stesso civico ginnasio in cui aveva studiato. In quegli anni Vidossi partecipò attivamente alla vita culturale giuliana, collaborando fra l’altro al settimanale triestino Il Polvese, ma anche a riviste letterarie nazionali come La Voce (con lo pseudonimo Il Corbo). Iniziò qui a coniugare i due interessi che avrebbero caratterizzato l’intera sua carriera, quello filologico-letterario e quello folklorico o etnografico. Due specialismi diversi, che per lui sono tuttavia inscindibili, sia perché ugualmente radicati nella cultura territoriale, sia perché caratterizzati dalle medesime metodologie del diffusionismo e della ricostruzione delle norme areali (da qui, fra l’altro, la sua lunga collaborazione con Matteo Giulio Bartoli, anch’egli istriano e allievo di Meyer-Lübke). Wörter und Sachen, parole e cose, dunque: come il nome del movimento linguistico guidato da Hugo Schuchardt, i cui principi presentò nel suo intervento al Primo congresso italiano di etnografia, tenutosi a Roma nel 1911 e tradotto in italiano proprio da Vidossi. Era in contatto con Lamberto Loria, organizzatore di quel convegno e della connessa mostra sul folklore regionale italiano (gli scriveva nel 1910 da Pola, nel ruolo di ispettore scolastico: «Io mi occupo di folklore quando me lo consentono le mie occupazioni d’ufficio» cit. in Puccini 2005, p. 213, n. 16); così come era in contatto epistolare con Giuseppe Pitré, l’altro grande fondatore della moderna demologia italiana, al quale già nel 1901 scriveva dell’importanza delle tradizioni popolari da un lato come «indice e varia manifestazione dell’attività intellettuale e sensitiva dei popoli», dall’altro «in quanto, sia nel tempo, sia nello spazio, modificano soggetti e forma» (Vidossi 1901, p. 51). Vidossi enunciava così le basi di tutto il suo futuro lavoro: malgrado gli aggiornamenti teorico-metodologici cui fu sempre molto attento, documentati da una sistematica attività recensoria, i suoi studi restarono saldamente ancorati al quadro di una geografia linguistico-culturale concentrata sull’analisi delle varianti spazio-temporali.
Dopo la Grande Guerra, nel 1920, il senatore Francesco Salata, suo conterraneo e irredentista liberale, lo volle all’Ufficio centrale per le nuove province, affidandogli la riorganizzazione delle scuole. Dal 1922, con l’abolizione di tale istituto, passò al ministero dell’Industria e del commercio. Non vi restò però a lungo, «non acconciandosi al nuovo regime», secondo un commentatore (Santoli 1969, p. 636), chiese il collocamento a riposo e preferì un impiego privato presso l’ufficio stampa della Società triestina di navigazione Cosulich, senza abbandonare mai gli studi. Dal 1925 iniziò a collaborare con l’Atlante linguistico italiano (ALI), appena fondato a Torino da Bartoli, collaborazione che si fece sempre più intensa fino a quando, nel 1932, trasferitosi nel capoluogo piemontese, ne divenne segretario di redazione. Nell’ALI Vidossi trovò un perfetto habitat: vi si praticava una strutturale compenetrazione tra linguistica e demologia in grado di soddisfare l’ampiezza delle sue passioni di studioso, e le modalità di svolgimento delle inchieste dialettologiche rispondevano perfettamente al suo ideale di una filologia impegnata ‘sul campo’. L’ALI costituì l’impegno più continuativo della sua vita, anche se Vidossi restò sempre il numero due, dietro a Bartoli e a Ugo Pellis prima, e a Benvenuto Terracini poi, nel secondo dopoguerra. Negli anni Trenta stabilì un rapporto importante e duraturo anche con il Comitato nazionale per le tradizioni popolari, ente che operava nell’orbita dell'Opera nazionale dopolavoro (OND) e che, per iniziativa di Paolo Toschi, aveva ripreso le pubblicazioni della rivista Lares (già uscita negli anni 1912-1914). Fu collaboratore stabile di Lares, curando fra l’altro un numero monografico sulla medicina popolare nel 1935, e un discusso numero, del 1939, sulla folkloristica tedesca, frutto di un gemellaggio con la rivista Zeitschrift für Volkskunde (largamente compromessa con l’ideologia nazista, nella quale Vidossi, sempre nel 1939, pubblicò una storia degli studi italiani, Zur Geschicte der Italienischen Volkskunde). Il suo rapporto con il fascismo resta un problema storiografico aperto: se come già anticipato poc’anzi alcuni lo presentano come «non acconcio al regime», egli si trovò, però, coinvolto nelle politiche culturali della OND e nei suoi tentativi di utilizzare il folklore per ragioni di propaganda ideologica e di costruzione del consenso popolare (Cavazza 1987, Vinci 1991). Si può anche ipotizzare che il suo irredentismo di marca liberale trovava forse una sponda nel nazionalismo del regime, interessato ad usare i dati linguistici ed etnografici per sostenere ‘scientificamente’ l’italianità delle province orientali.
Torino, oltre all’ALI, significò per Vidossi anche l’approdo, a 63 anni, alla cattedra universitaria di filologia germanica che mantenne dal 1941 al 1948, in cui portò la sua attenzione e la sua sensibilità verso i temi demologici, come si evince dal corso del 1945 dedicato a La religione degli antichi germani e da quello del 1948 a una Introduzione allo studio delle tradizioni popolari tedesche. Da questi corsi sortirono altrettante pubblicazioni stampate a Torino da Silvio Gheroni cui, nel 1945, Vidossi e Bartoli affidarono anche il saggio Alle porte orientali d'Italia. Dialetti e lingue della Venezia Giulia (Friuli e Istria) e stratificazioni linguistiche in Istria: qui i due amici e conterranei attuarono l’uso politico di norme areali chiamate a validare le rivendicazioni italiane in una zona allora contesa in modo drammatico.
Nel 1948, nonostante la ‘chiara fama’ conquistata nei decenni per qualità e abbondanza di produzione scientifica, venne escluso, per raggiunti limiti d’età, dal primo concorso universitario bandito in Italia per la cattedra di letteratura delle tradizioni popolari. Esclusione che, in qualche modo, suggellò la perifericità accademica che aveva caratterizzato la carriera di Vidossi, imputabile forse, e paradossalmente, proprio alla sua modalità di approccio al lavoro: una scrupolosità d’indagine tanto appassionata quanto mai del tutto appagata che si traduceva in una continuità dispersiva di scritture tendenzialmente prospettiche. «È nello stile di Vidossi vagheggiare e maturare a lungo l’oggetto delle proprie ricerche», affermava Toschi; e aggiungeva che i suoi scritti «sono stati sempre tenuti entro la misura di un semplice ‘contributo’, non si sono mai sviluppati nell’ampia architettura di un denso volume. Eppure molti di essi non sono che un volume quintessenziato, poiché affrontano problemi di ampia portata e ne prospettano le soluzioni in maniera organica» (Toschi 1960, pp. XIII, IX). Esemplare la sorte di alcuni canti istriani raccolti nel 1908 e pubblicati solo nel 1951 perché l’«illusione di poter prima o poi completare la raccolta estendendo la ricerca, mi ha per quarant’anni e più trattenuto dal darli fuori». L’emersione dal passato fu soprattutto motivata dalla «tristezza dell’ora presente» vissuta dai profughi giuliani a cui il saggio scientifico sperava di «recare un seppur lieve conforto» (Vidossi 1951, p. 145).
Nel 1949 fu chiamato a far parte, assieme a Vittorio Santoli e a Toschi, del Comitato per la raccolta Barbi dei canti popolari italiani presso la Scuola normale superiore di Pisa. Gli furono congeniali, a ben guardare, gli incarichi di lunga durata e vasto raggio che implicavano un impegno collettivo. Nel 1960, un comitato presieduto da Toschi, pose rimedio alla dispersione dei suoi scritti che, tra razionalità e stima ‘riconoscente’ riunì — nelle 544 pagine di Saggi e scritti minori di folklore — i contributi più significativi di Vidossi e la sua bibliografia che in quel momento annoverava 447 titoli: il risultato fu l’agnizione tardiva di un contributo importante altrimenti in gran parte destinato all’oblio. Temi, problemi, occasioni e relazioni diverse si tenevano insieme entro l’identità dinamica di una lunga storia di vita e di lavoro. I dettagli eruditi apparvero connessi a vasti scenari metodologici:, spesso importati da ambiti internazionali tramite la pratica assidua delle recensioni.
Sempre nel 1960, il conferimento della medaglia d’oro dei benemeriti dell’istruzione andò a incrementare la lista dei riconoscimenti: fu, tra l’altro, vicepresidente della Società di etnografia italiana, condirettore dell'Archivio glottologico italiano, direttore del Giornale storico della Letteratura italiana e dell’Atlante linguistico mediterraneo, socio dell’Accademia della Crusca, dell’Accademia delle Scienze di Torino, dell’Accademia letteraria italiana, della Schweizerische e della Österreichische Gesellschaft für Volkskunde, della Société suisse des traditions populaires. Tra le sue attività sono da ricordare anche le numerose traduzioni dal tedesco all’italiano, in campo non solo scientifico ma anche letterario, come quella del romanzo settecentesco Le avventure del Barone di Münchausen di Gottfried A. Bürger (Torino 1958).
Anche se costretto alla immobilità a causa di una grave infermità, volle continuare a seguire giorno per giorno l’attività dell’ALI, riuscendo a esaminare e approvare un nuovo programma di redazione. Molti amici e colleghi sottolinearono come la sua vocazione collaborativa rimase costante, fino alla fine, anche grazie al suo sterminato schedario: una Wunderkammer sempre disponibile per colleghi, amici e allievi. Italo Calvino vi attinse, fra gli altri, per le sue Fiabe italiane.
Vidossi morì nella sua casa torinese il 5 giugno 1969. Il suo lavoro fu ricordato con ammirazione e rispetto sia nell’ambito linguistico che in quello demologico, pur non avendo tuttavia potuto esercitare, in questa disciplina, grande influenza, in un momento storico che vedeva la demologia transitare da una impostazione filologica a un approccio legato alle moderne scienze sociali. Ciò che resta importante nella sua eredità sul piano teorico-metodologico è, da un lato, l’applicazione al folklore delle norme areali, dall’altro la critica all’idea dell'origine collettiva dei fatti culturali (a favore del principio della ‘creazione individuale socializzata’, nel senso di Roman Jakobson e Pëtr Bogatyrëv). Ciò consentì a Vidossi di superare l’idea del folklore come ‘tradizione’ o ‘sopravvivenza’ di altre epoche, aprendosi a indagini sincroniche e funzionali oltre che storiche. Questa visione, delineata nei saggi scritti negli anni Trenta (Vidossi 1934), appare assai avanzata per il contesto in cui fu elaborata, anche se poi finì per essere svolta in favore di una nozione ambigua (e politicamente compromessa) di sostrato mentale e culturale del popolo italiano (Cirese 1973, pp. 203-205, 289-291; Alliegro 2011, pp. 197-200).
Fonti e Bibl.: G. Vidossi, Lettere folkloriche al dott. Giuseppe Pitré, in Archivio per le tradizioni popolari, XX (1901), pp. 51-59; Id., Nuovi orientamenti nello studio delle tradizioni popolari, in Rivista di sintesi letteraria, I (2), 1934, pp. 197-215; Id., Canzoni popolari narrative dell’Istria, in Miscellanea scritti vari, II, Università di Torino, Facoltà di Magistero, 1951; Id., Saggi e scritti minori di folklore, Torino 1960; P. Toschi, Prefazione, in G. Vidossi, Saggi e scritti minori di folklore, Torino 1960, pp. IX-XIV; V. Santoli, Vidossi folklorista e filologo, in Giornale storico della letteratura italiana, CXLVI (1969), pp. 632-636; A.M. Cirese, Cultura egemonica e culture subalterne, Palermo 19732; S. Cavazza, La folkloristica italiana e il fascismo. Il Comitato Nazionale per le Arti Popolari, in La ricerca folklorica, 15, 1987, pp. 109-122; A.M. Vinci, Immagini della provincia fascista. Culto e reinvenzione delle tradizioni popolari in Friuli, in Italia contemporanea, n. 184, 1991, pp. 419-441; S. Puccini, L’itala gente dalle molte vite. Lamberto Loria e la Mostra di Etnografia italiana del 1911, Roma 2005, p. 213, n. 16; E.V. Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia, 1869-1975, Firenze 2011.