WIDMAR, Bruno
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 100 (2023)
Nacque a Trieste il 6 luglio 1913, da Ettore, e Carmela Marich.
IL PERIODO TORINESE: GLI STUDI, LA LOTTA ANTIFASCISTA E I PRIMI SCRITTI
Dopo aver conseguito, nel 1934, il diploma presso il Regio Istituto Magistrale di Trieste, Widmar si laureò in Pedagogia, a Torino, il 12 giugno del 1940, discutendo, con Gallo Galli, come risulta dagli atti, una tesi dal titolo Il problema del metodo nella ricerca scientifica, indicativa sin dall’epoca per lo sviluppo di tutto il suo itinerario intellettuale. Dal 1936 fece parte di quel gruppo d’intellettuali, promosso da Nicola Abbagnano e dove tra gli altri conobbe Norberto Bobbio, che si riunì attorno alla «Rivista di filosofia». A Torino, nell’a. s. 1941/42, Widmar insegnò Filosofia e Storia al Liceo Scientifico «Galileo Ferraris» e, all’Università della stessa città, dal 1942 al 1948 fu assistente volontario alla cattedra di Psicologia, tenuta da Angiolo Gambaro, dalla cui carica si dimise per incompatibilità sia sul piano scientifico sia su quello umano, come si può evincere da una lettera conservata nell’archivio universitario. Nel 1943-45, influenzato dalla lezione politico-morale di Piero Gobetti e coniugando l’interesse filosofico con l’impegno civile, partecipò alla lotta antifascista nelle fila di “Giustizia e Libertà”, poi confluito nel Partito d’Azione. Nella Commissione scuola del Partito, collaborando con Augusto Monti e Mario Gliozzi, come testimoniato nel Diario partigiano di Ada Gobetti a p. 381, Widmar studiò i problemi dell’educazione e dell’insegnamento, poiché la sua formazione gli impediva di concepire la politica separata sia dall’educazione sia dalla cultura. Nel 1944, per la Federazione giovanile del Partito d’Azione, curò con Carlo Casalegno l’uscita di alcuni numeri della collana di opuscoli Quaderni di Gioventù d’Azione, tra i quali, con lo pseudonimo di Giovanni Capri, pubblicò Il problema universitario. Nel saggio, Widmar, mettendo in evidenza un’accurata e approfondita conoscenza dei problemi dell’istruzione in Italia, analizza le questioni più spigolose e propone alcune soluzioni ancora oggi interessanti, come il prendere a modello i sistemi scolastici più avanzati di altre nazioni e l’affrontare l’importanza del valore legale degli studi in ogni paese europeo. Egli sostiene che l’Università, poiché detiene un carattere politico ma non partitico, deve aprirsi ai giovani, al mondo del lavoro e alle problematiche della storia e della società industriale avanzata, mediante una proficua collaborazione tra docenti e discenti.
Nel 1946, con Bobbio, fu direttore di «Conoscere», una rivista di pedagogia e di didattica, nella quale dichiarava scopertamente il suo orientamento laico e socialista, proiettato verso una profonda trasformazione della scuola italiana e si discuteva di questioni riguardanti sia la formazione scolastica sia i problemi sindacali degli insegnanti. Per Widmar è di capitale importanza che la scuola presenti in maniera sinergica la cultura umanistica e quella scientifica, superando ogni tipo d’ideologia partitica, affinchè l’individuo possa essere ben preparato ad affrontare la vita sociale. Solo partendo da tale presupposto è possibile comprendere il vero senso dell’affermazione widmariana «la scuola è politica». Risalente al periodo della rivista «Conoscere» è anche lo scritto Perché non possiamo dirci crociani, utile per cogliere l’evoluzione del pensiero di Widmar, nel quale, col garbo che lo distingueva e con la fermezza del giovane intellettuale con una propria e matura posizione, prese le distanze da Croce e dal neoidealismo, dichiarando la sua adesione ai principi del socialismo. La conclusione, a cui il nostro giunge, consiste nella consapevolezza che Il Croce, pur avendo definito la storia come contemporaneità, con la sua guida non risponde più alle istanze contemporanee. «Tu e i tuoi studenti siete quasi soli in Italia a rompere effettivamente (e non solo a discorsi) con la tradizione crociana». Con tali parole, scritte il 6 febbraio 1975, e ritrovate in una lettera d’archivio, Robert Paris, uno studioso francese di Gramsci, si rivolse a Widmar e ai suoi allievi, connotandone significativamente gli orientamenti di ricerca.
Nello stesso anno Widmar, con lo scopo di fornire un utile strumento e di agevolare la formazione degli insegnanti negli Istituti Magistrali, scrisse l’opera in due volumi Conoscere ed educare (Città di Castello-Bari 1946), che, oltre a presentare storicamente le varie fasi del pensiero pedagogico, contiene anche un capitolo dedicato alla filosofia e ai suoi problemi e un altro al problema della conoscenza. Il testo già presenta tutta la ricchezza dell’orizzonte culturale widmariano, caratterizzato dall’attenzione alla multidisciplinarità, nonché importante premessa di quello che oggi è il pensiero della complessità. Oltre a ciò, va riconosciuta anche la particolare e tipica coniugazione tra impegno civile e metodologia dell’educazione, che permette a Widmar di considerare la pedagogia necessaria per la formazione dell’uomo intrinsecamente inteso soprattutto come cittadino.
Del 1946 è pure la prima edizione di Per la pace perpetua di Kant (Torino, Gheroni, 1946), che Widmar curò, volutamente appena terminato il secondo conflitto mondiale, ponendo l’attenzione sulla pace, valutata sia come problema dei singoli individui sia dei popoli. Tale visione, perfettamente coniugata con la vocazione civile, tipica della filosofia italiana, si esplica mediante il connubio tra libertà, ragione e società, il cui fulcro è indiscutibilmente la ragione. Per cui, il concetto di libertà enunciato da Kant, appariva a Widmar astratto e aprioristico, al punto da proporre il materialismo genetico come metodo più appropriato per cogliere la concretezza socio-politica dei rapporti interpersonali, che sono alla base del diritto e della morale. La domanda che fondamentalmente Widmar si poneva riguardava se la libertà e la pace si potessero garantire solo con le leggi o se, invece, per realizzarle concretamente non fosse necessario sanare prima quei conflitti socio-economici responsabili della loro destabilizzazione.
IL PERIODO ROMANO: IL FERVORE CULTURALE E «IL PROTAGORA»
Nel 1948 si trasferì a Roma, dove insegnò filosofia e storia presso il Liceo scientifico «Augusto Righi» e collaborò con le riviste «Belfagor», «Nuova Antologia», «Quarto Stato» e «Mondo Operaio» e con i quotidiani «Il Lavoro» e «Avanti!», continuando a svolgere la sua attività di studioso presso l’Istituto di Psicologia del CNR, diretto dal prof. F. Banissoni. A ciò si deve aggiungere il suo impegno come dirigente nazionale dell’ECAP e la sua partecipazione sia ai lavori della commissione culturale della RAI sia alle iniziative del Circolo romano di cultura «Carlo Pisacane».
Come indicato da Bobbio, in una testimonianza rilasciata in Ricordo di Bruno Widmar («Il Protagora», XXIII, 1983, IV serie, n. 3-4, pp. 3-5), l’obiettivo di Widmar era quello di offrire, dopo la Resistenza, una alternativa culturale concreta, capace di proporre una via diversa e critica, lontana da nuove forme di spiritualismo e aperta alla scienza, con cui costruire un autentico impegno civile, utile alla collettività. Per tali ragioni nel 1959, recependo le istanze del neoilluminismo, promosso da Abbagnano, Bobbio e Geymonat, al quale aderirono sia altri intellettuali sia esponenti del settore scientifico italiani, Widmar fondò la rivista «Il Protagora», con l’intento di mettere a disposizione tutta la sua militanza culturale e di fornire vivaci spunti di riflessione, che potessero dare nuova linfa all’ormai ingessato dibattito, che in quel periodo caratterizzava la politica e la cultura in Italia. La rivista, col suo nome, si richiamava a quel filone di studi storici, che nel ‘900 aveva promosso il recupero del senso più profondo dell’opera dei Sofisti, i quali, interpretati come gli illuministi dell’antichità, avevano posto l’uomo come misura di tutte le cose, sottolineando, nei termini tipici della cultura greca antica, il valore della finitudine umana. Widmar aveva dei sofisti una considerazione notevole, in quanto concepivano la politica come cultura mirata all’emancipazione e allo sviluppo sociale. Su questa scia, quindi, il nostro si focalizza sull’uomo e le sue attività, inserendolo nella realtà storica, al riparo da assurde pretese di natura metafisica delle filosofie dello spirito.
Nell’editoriale del primo numero de «Il Protagora» (Al lettore, I, 1959, n. 1, pp. 5-29), che può essere considerato il manifesto del pensiero di Widmar, è esplicitamente esposta la sua concezione di filosofia civile, la quale contribuisce alla formazione del costume della società e ha come strumento determinante la ragione, che regola le norme della convivenza civile. Al lettore, inoltre, consente anche di cogliere un altro aspetto fondamentale della riflessione filosofica di Widmar: l’importanza della scienza e il suo ruolo nella società. Questo è lo scritto nel quale, per la prima volta, compare il nucleo che ha in nuce la concezione widmariana della scienza, presentata come un sapere sempre aperto, influenzato dai processi storici e dalle trasformazioni sociali; la scienza moderna è una conoscenza modificabile, priva di concetti assoluti, mediante la quale le teorie hanno il carattere di ipotesi sempre sostituibili con altre ipotesi, aventi lo stesso grado di provvisorietà. Riguardo all’interesse che Widmar ha per la scienza e l’epistemologia, Geymonat, in occasione di una tavola rotonda tenuta a Verona e organizzata dalla casa editrice Bertani, nel 1986, dichiarò che la cultura di sinistra dei primi anni Cinquanta ha potuto aprirsi alle istanze scientifiche contemporanee, grazie anche agli sforzi e alla lungimiranza del nostro e di pochi altri intellettuali italiani dell’epoca.
Nel 1960 Widmar curò Morale e religione di James (Roma, Marzioli, 1960), La Metafisica, Libro I, di Aristotele e le Lettere copernicane di Galilei (Napoli, Glaux, 1960), dedicandosi a tali opere con l’idea che la filosofia sia una continua ricerca storicamente determinata e razionalmente finita, cogliendo nel contesto storico, in cui si sono sviluppati, i nessi tra il pensiero filosofico e quello scientifico. Nel 1964 pubblicò Antonio Labriola (Napoli, Glaux, 1964) e curò Scrittori politici del ‘500 e del ‘600 (Milano, Rizzoli, 1964). Widmar utilizzava per l’analisi del filosofo di Cassino una metodologia marxista, con lo scopo di liberarne il pensiero dalle incrostazioni neoidealiste, proponendo di leggere Labriola con Labriola stesso, con il risultato di ottenere reazioni dissonanti presso alcuni studiosi, come Galvano Della Volpe. «Galvano Della Volpe mi aveva affidato la composizione di una antologia di scritti di Antonio Labriola, credo per le edizioni Samonà e Savelli. Letto il mio saggio […] mi ritirò tale incarico perché, come ebbe a dirmi per telefono, io ero “troppo labriolano”» («Il Protagora», XVIII, 1976, III serie, n. 105-108, pp. 57-67: 63). Robert Paris, invece, come si può riscontrare dalle epistole degli archivi, aveva più volte espresso gratitudine e interesse per gli studi realizzati da Widmar, che in Francia avevano contribuito a chiarire la diversa identità politica e culturale tra Antonio e Arturo Labriola, frequentemente confusi o a torto identificati. Il pensiero di Widmar, quindi, era profondamente legato all’alta lezione etico-morale di Antonio Labriola, individuava nel socialismo lo strumento più idoneo per interpretare e migliorare la realtà storica e riteneva che la scienza fosse la chiave per comprendere i problemi inediti della civiltà contemporanea.
LA SCUOLA MERIDIONALE DI EPISTEMOLOGIA
Nel 1966 conseguì la libera docenza e dall’a. a. 1968/69 all’a. a. 1979/80 fu chiamato all’Università degli Studi di Lecce, oggi del Salento, prima a ricoprire la cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea nella Facoltà di Lettere e Filosofia e, poi, dall’a. a. 1969/70 all’a. a. 1975/76, anche quella di Filosofia della scienza nella facoltà di Magistero. L’istituzione di questa cattedra, fortemente patrocinata da Widmar, ha permesso all’Università del Salento di essere la prima del Meridione a presentare nei suoi corsi di laurea tale disciplina, considerando che in Italia se ne deve l’introduzione a Geymonat, che tenne i primi corsi a Milano, mentre nel resto d’Europa erano già stati inseriti fin dagli inizi del Novecento, generando le tradizioni di ricerca del neopositivismo logico e dell’epistemologia francese. Nell’Ateneo leccese, con i suoi giovani allievi, successivamente passati al ruolo di docenti nella stessa Università, Widmar, promuovendo ricerche incentrate sul pensiero contemporaneo più all’avanguardia dell’epoca, con specifico riferimento all’area francese, con l’obiettivo di coniugare la cultura umanistica con quella scientifica, mostrando attento interesse alle relazioni con il contesto storico-politico che le genera, dette vita alla ‘Scuola meridionale di epistemologia’, come fu definita da Geymonat, alcuni anni dopo a Verona, durante un pubblico dibattito. «Una ragione di più per riconoscere il merito di questo gruppo di intellettuali meridionali della scuola di Bruno Widmar, come Mario Castellana, i quali hanno aperto alla cultura francese in modo critico, non per ripetere banalmente quello che dicono tali filosofi. Costoro sono infatti riusciti a evidenziare alcuni problemi, alcuni punti veramente cruciali adoperando un linguaggio meno formale, meno aspro, più in grado di andare all’animo dei giovani», (L. Geymonat, Due culture a confronto: la filosofia della scienza in Francia e in Italia nel Novecento, Verona, Bertani, 1986, p. 31). Ai suoi studenti Widmar fece prendere atto dello stretto rapporto tra pensiero filosofico e pensiero scientifico e li formò in una prospettiva d’insieme, nella quale filosofia della scienza e storia della scienza, allora separati in casa, pur avendo lo stesso oggetto d’indagine, erano ritenute strettamente connesse. In questo modo, egli invitò i suoi allievi a leggere direttamente le opere degli scienziati, a ricavarne l’implicita dimensione filosofica e a vedere la natura essenzialmente storica della conoscenza scientifica, come viene delineato in L’epistemologia (Lecce, Milella, 1974, 2017), testo che ancora oggi può essere ritenuto basilare per chi voglia avventurarsi in tale ambito di studi. Questo non comune approccio, allora presente nel solo ambiente francofono e che grazie a Kuhn prese definitivamente piede nel panorama della filosofia della scienza internazionale, aprendo quel vasto capitolo dell’epistemologia storica ancora al centro di ulteriori sviluppi, ha costituito l’humus da cui sono partiti i lavori dei giovani collaboratori di Widmar. I loro studi, poi pubblicati quasi tutti come fascicoli monotematici de «Il Protagora», presero in esame temi e problemi di filosofia della logica, della matematica, della fisica e della biologia, con una particolare attenzione verso le figure di alcuni ‘scienziati-filosofi’, come Claude Bernard e Federigo Enriques e di altri protagonisti del pensiero epistemologico del ‘900, come Louis Couturat, Karl Popper, Gaston Bachelard, Georges Canguilhem, Ludovico Geymonat e Nicola Abbagnano. Una caratteristica di fondo della Scuola meridionale di epistemologia, come disse Geymonat che aveva recensito su «Scientia» nel 1975 la prima monografia di Mario Castellana su Gaston Bachelard, è quella di avere aperto la strada a studi su figure come Enriques e Bachelard, che sino a quel momento non avevano ricevuto adeguata attenzione critica nell’ambito della filosofia della scienza. Successivamente Geymonat ha dichiarato anche che, grazie a tali ricerche, poi del resto riprese da altri studiosi italiani e stranieri, aveva cambiato idea soprattutto su Enriques, ritenendolo non solo un grande matematico, ma un epistemologo tout court, alla pari di Schlick, di Carnap e di Popper. In L’epistemologia è evidente l’impianto di fondo storico-epistemologico, che ha guidato il percorso filosofico di Widmar e poi i successivi studi dei vari esponenti della Scuola meridionale di epistemologia, con la strutturale insistenza sul concetto di una ragione scientifica storica e aperta all’interno di un neo-razionalismo militante, che fa della dimensione veritativa della scienza un fattore determinante per non cadere in posizioni antiscientifiche, da una parte, e in posizioni scientiste o vetero-positiviste, dall’altra. Si è distinto soprattutto in tale direzione Mario Castellana, prendendo successivamente in esame i dibattiti francofoni sulla struttura della fisica e della matematica e sui rapporti tra epistemologia e storia delle scienze in autori come Albert Lautman, Ferdinand Gonseth, Hélène Metzger, Simone Weil, Jean T. Desanti, Gilles Châtelet, Maximilien Winter, Annibale Pastore e altri più noti, al grande pubblico e a molti ricercatori, come Michel Serres e Jean Piaget, che hanno dato significativi contributi a quello che Castellana chiama ‘patrimonio epistemologico europeo’. Per verificarne il giusto peso e lo spessore dei loro contributi, tali figure sono state inserite all’interno di un quadro storico più generale, come ‘la storia della filosofia della scienza’ o ‘storia dell’epistemologia’, un nuovo sapere che, solo a partire dai primi anni di questo secolo, sta prendendo piede in diverse direzioni a livello internazionale, con l’obiettivo di chiarire lo specifico apporto dato dalle singole tradizioni di ricerca, che a volte sono misconosciute e poco valorizzate.
Il lungo studio, portato avanti con altri colleghi italiani e stranieri, del pensiero di Enriques e di Bachelard, che già Widmar aveva individuato come esponenti non minori della filosofia della scienza, ha generato come esito teorico nell’itinerario intellettuale di Castellana l’idea centrale della scienza come pensiero, grazie alla sua duplice dimensione insieme storica e conoscitiva. I contributi enriquesiani e bachelardiani, rivolti a chiarire il senso epistemico di ‘pensiero scientifico’ e pensée des sciences, sono diventati così le strutture portanti di un discorso improntato all’unità della cultura e al concetto di razionalità allargata, oggi da più parti invocata, dove la stessa idea di storicità può essere una via di demarcazione tra scienza e pseudoscienza, tra un pensiero che tende al vero e uno che l’occulta, tra una società democratica e una società chiusa. Non è dunque un caso se Castellana, un insigne esponente della Scuola meridionale di epistemologia, nutritosi anche in particolar modo del pensiero di Simone Weil, come del pensiero filosofico-scientifico di Pierre Teilhard de Chardin, oggetto di continuo interesse da parte dello stesso Widmar, in questi ultimi anni si stia confrontando con le idee di Edgar Morin e di Mauro Ceruti e con le problematiche tipiche del pensiero complesso, di cui lo stesso Bachelard è stato un antesignano. L’idea di scienza come pensiero, presente in altre tradizioni di ricerca anche se non molto esplicitata, è stata però ricavata sia dalla sua intrinseca storicità sia dal fatto che, sulla scia di Simone Weil, essa per sua natura è un discorso che non può ‘mentire sul reale’, vera e propria risorsa cognitiva ritenuta cruciale per ogni percorso epistemologico, come del resto i maestri greci avevano già evidenziato. Inoltre, tale idea, potenziata poi dai decisivi incontri col pensiero complesso che fa della molteplicità dei livelli del reale un punto di non ritorno per la ragione, costituisce uno dei nuclei concettuali di fondo della Scuola meridionale di epistemologia, con il suo connaturato carattere militante, a favore di un pensiero aperto alle varie dimensioni dell’umano.
GLI ULTIMI ANNI DI RICERCA
Nel 1969 Widmar curò le Opere filosofiche di R. Descartes (Torino, UTET, 1969), cercando di individuarne i punti meno chiari: «l’ambiguità del pensiero cartesiano non è forse un problema di sincerità personale, quanto di desiderio di partecipare alle tensioni di quel momento storico, senza lasciarsene coinvolgere drammaticamente» (ivi, p.12); e di coglierne l’importanza metodologica legata alla scoperta del cogito «che precisa il valore e il significato dell’uomo e diventa senz’altro uno dei punti di riferimento di tutta la filosofia moderna e contemporanea» (ivi, p. 19 ).
Il problema del metodo, che appassiona Widmar sin dai tempi della sua tesi di laurea, gli permise di compiere anche degli studi su Spinoza, curandone, nel 1970, l’opera e la traduzione de I principi di filosofia di Cartesio e L’Appendice. È facile comprendere come la lettura di Spinoza abbia indotto Widmar, da sempre interessato a tale problematica, a riflettere sul metodo e sulle implicazioni che riguardano l’impegno civile e la ricerca interdisciplinare. L’importanza della scienza e il nesso tra pensiero e metodo, con le ricadute sulle implicazioni politico-sociali, impegnarono Widmar nella realizzazione di una Introduzione alla filosofia della scienza (Bologna, Leonardi, 1970; Bari, Levante, 1996), della dispensa Le geometrie non euclidee in rapporto alla filosofia (Galatina, Editrice Salentina, 1971) e dell’opera La memoria. Saggio storico-epistemologico (Napoli, Glaux, 1974). La logica matematica, le geometrie non euclidee e la neurofisiologia hanno sempre più assunto un ruolo preminente nelle teorie dell’informazione; nello specifico in La memoria, Widmar realizzò una accurata ricerca sui fenomeni della mente, esaminando le principali teorie allora in auge, dal comportamentismo alla Gestalt, contribuendo anche in questo ambito ad aggiornare la cultura italiana, sempre tentata a rifugiarsi nelle filosofie idealiste.
Nel 1977, sviluppando ulteriormente, e in maniera originale, la sua ricerca sul pensiero di Labriola, Widmar si occupò del IV saggio incompiuto, al quale diede il nome di Dal secolo XIX al secolo XX (Lecce, Milella, 1977). Con la pubblicazione del frammento nella collana di Filosofia della scienza da lui diretta, stupì non pochi studiosi, compresi i suoi allievi, ma a ben guardare, l’idea del nostro appare supportata dall’individuare in Labriola la presenza di una metodologia di tipo scientifico alla base del materialismo, che già Engels aveva dimostrato con l’Anti-Dühring. «Il saggio incompiuto del Labriola, il IV, viene inserito in questa collana perché mi è sembrato trattarsi di un tentativo di epistemologia della storia più che di filosofia della storia intorno alla quale il Labriola aveva già discorso mostrando limiti, generalizzazioni dogmatiche, dubbi in generale» (Lecce, Milella, 1977, pp. 5-54: 5).
Morì a Roma il 15 settembre del 1980.
Opere. I molteplici interessi di ricerca di Widmar riguardano tre specifici campi. Il primo di carattere storiografico comprende saggi su alcuni classici del pensiero, con edizioni critiche di testi di Aristotele, Campanella, Galilei, Kant, James e Russell e in particolare con la cura delle Opere filosofiche di Descartes (Torino, UTET, 1969) e I principi di filosofia di Cartesio e L’Appendice di Spinoza (Lecce, Milella, 1970). Il secondo di tipo filosofico-politico comprende l’opera Scrittori politici del ‘500 e del ‘600 (Milano, Rizzoli, 1964), la monografia Antonio Labriola (Napoli, Glaux, 1964) e l’antologia spinoziana Lo Stato e la Libertà (Galatina, Editrice Salentina, 1972). Il terzo di natura teoretica riguardante la riflessione storico-critica sui rapporti tra filosofia e scienze comprende Introduzione alla filosofia della scienza (Bologna, Leonardi, 1970), Le geometrie non euclidee in rapporto alla filosofia (Galatina, Editrice Salentina, 1971), La memoria. Saggio storico-epistemologico (Napoli, Glaux, 1974) e alcuni profili di scienziati-filosofi, inseriti nel volume Libertà, ragione, società (Napoli, Glaux, 1967).
Fonti e Bibl.: Per una accurata ricostruzione bibliografica dei suoi scritti cfr. Bibliografia degli scritti di Bruno Widmar, a cura di A. Quarta, in «Il Protagora», XXII (1982), IV serie, 1, pp. 49-62. Per approfondire ulteriormente l’Autore e la sua opera cfr. Ricordo di Bruno Widmar, «Il Protagora», XXII (1982), IV serie, 1, pp. 5-48; XXIII (1983), IV serie, n. 3-4, pp. 3-8. Cfr. A. Quarta, Bruno Widmar tra ricerca filosofica e impegno civile, in D. Generali (a cura di), Le radici della razionalità critica: saperi, pratiche, teleologie. Studi offerti a Fabio Minazzi, 2 voll., Milano-Udine, Mimesis, 2015, vol. I, pp. 669-684. Cfr. B. Bonghi - F. Minazzi (a cura di), Sulla filosofia italiana del Novecento, Milano, Franco Angeli, 2008. Cfr. B. Widmar, L’epistemologia, a cura di M. Castellana, con contributi di M. Castellana, G. Sava, P. Console, Lecce, Milella, 2017. Cfr. P. Console, Civiltà e barbarie nella riflessione filosofica di Bruno Widmar, in M. Castellana, Il surrazionalismo di Gaston Bachelard con due saggi inediti, a cura di P. Console, Lecce, Milella, 2021, pp. 225-238.