Nacque il 4 novembre 1877 in una famiglia legata al teatro (anche le sorelle Emilia e Angela erano ballerine). Non si conoscono i nomi dei genitori.
Studiò con Adelaide Viganò e Cesare Coppini (Carnesecchi) presso la scuola del Teatro alla Scala di Milano. Negli anni dell’affermazione mondiale del balletto italiano, Pedro Gailhard, direttore dell'Opéra di Parigi, la scritturò assieme alla sua amica Clotilde Piodi, affidando entrambe alle cure dell’étoile Rosita Mauri. Il suo debutto avvenne nel 1894 nei divertissements delle opere: balli in miniatura del coreografo Joseph Hansen che tuttavia non risollevarono la decadenza della compagnia. Brillante e spigliata, dotata di una figura snella, s’impose nel Faust di Charles Gounod, quindi in Hellé di Victor Aphonse Duvernoy, La Favorite (1896), Thaïs (1898), Guillaume Tell (1899), e Hamlet di Ambroise Thomas (1899). Nelle avvincenti danze dell’opera di Jules Massenet, Le Cid, affermò il suo temperamento mediterraneo con charme e senso del ritmo, accanto a Michel Vasquez (1900). Degli esili balletti di Joseph Hansen rimase una significativa iconografia (Bacchus, 1902; La Ronde des saisons, 1905) e soprattutto la testimonianza in La Maladetta (1895) dei suoi quindici fouettés, ancora inediti in Francia, eseguiti nella parte della Fée des Neiges, protagonista della leggenda guascona ambientata vicino al picco fatale degli alti Pirenei.
Invitata al teatro Mariinskij di San Pietroburgo nel 1901, Zambelli mostrò la versione parigina della parte di Giselle rimontata per lei da Madame Théodore, carente rispetto a quella rielaborata da Petipa per il corpo di ballo imperiale; secondo la prassi delle dive italiane, le chiesero un pezzo di bravura, così lei inserì la variazione dall’opera Hamlet di Thomas. Danzò quindi in Coppélia con Enrico Cecchetti (Coppelius) ed ebbe modo di studiare nella sua classe. In Paquita suscitò giudizi contrastanti, vennero apprezzati deboulées e manèges, entrechats six e jetés en tournant ma per alcuni ballettomani il suo fu solo un succès d'estime (Guest, 1974, p. 61)
Con Zambelli si chiuse la stagione delle dive italiane in Russia di una certa levatura. Per Aleksandr A. Pleščeev era più giovane ed elegante delle altre italiane, poiché aveva accolto il meglio della scuola francese: l’eleganza e la morbidezza. I critici si posero domande sui due metodi e sull’emploi della danzatrice in parti mimiche e di carattere. V. Ja. Svetlov precisò che nei 3 Standpunkten di Coppélia – il valzer della gelosia, la ballade e la scena della bambola – Zambelli si era rivelata un’artista originale per un pubblico abituato ai colori decisi (la brillantezza italiana oppure il languore slavo), qualità che la danzatrice ospite non possedeva: con coquetterie francese esprimeva gioia di vivere, una spontanea gaiezza risplendeva persino nel thème slave varié al risveglio della bambola e durante la danza spagnola (Guest, 1974, passim).
Con il 1908 iniziò un periodo di transizione per la compagnia di ballo del teatro parigino ora diretta da Léo Staats, in cui Zambelli trovò un partner e un coreografo affidabile, deciso a rievocare i fasti dell’Opéra (per la riapertura di Palais Garnier con una nuova produzione del Faust attinse anche al livret de mise-en-scène annotato da Henri Justamant). La Korrigane, Les deux pigeons (una fiaba di La Fontaine adattata con musiche zigane e ungheresi) e Namouna furono tre successi per la danzatrice italiana e rappresentarono il nucleo di un repertorio su musiche affini (di Ch.-M. Vidor, A. Messager ed E. Lalo), fondato sulla recente esperienza dei coreografi Louis Mérante e Lucien Petipa e delle étoiles R. Mauri e J. Subra. Anche i libretti dei balli dettero un contributo per riportare Palais Garnier alla grandeur del passato: da L’étoile (di Hansen, 1897; la storia di Zénaïde e del dieu de la danse Vestris) fino a Taglioni chez Musette (Staats, 1920). Molti ballets-pantomimes delle prime decadi del Novecento attinsero nuova linfa dal neoclassicismo e dalle innovazioni di Nižinskij e dei Ballets Russes; pure Ivan Clustine (in russo Chljustin) le offrì le parti più consone al nuovo indirizzo della compagnia nei suoi balletti (La Roussalka, Les Bacchantes, Philotis, Hansli le bossu; 1911-14).
Secondo Camille Saint-Saëns (di cui la ballerina interpretò l’atto unico Javotte), Zambelli incarnava il perfetto connubio tra danza e musica, interpretando con brio le danze scozzesi e irlandesi della sua opera Henry VIII (Lettre à Melle Zambelli, 19 marzo 1910, in Dossier d’artiste, s.p.). Il critico Arthur Pougin scrisse della musica di Reynaldo Hahn per La Fête chez Thérèse (coreografia di Madame Stichel, presto sostituita da Staats; libretto di Catulle Mendès): «Et puis...et puis, ne riez pas: il y a un leitmotiv dans cette partition. […] c'est l'air bien connu de la chanson de Mimi Pinson […] que l'on entend dès le premier acte, et qui revient ensuit chaque fois que Mimi Zambelli se trouve en scène et en jeu.» (Le Ménestrel, 19 febbraio 1910). Il personaggio mitico della grisette Mimi, da de Musset a Leoncavallo, fu rielaborato in una rilettura deliziosa ambientata all’epoca Louis-Philippe (1840): un’umile modista, la charmante Zambelli, tenta di riconquistare l’amato vestendo gli abiti di Carlotta Grisi, la ballerina-diva del tempo. Nella Parigi della belle époque, centro delle arti e delle Saisons Russes, ella resse il confronto con la società teatrale parigina; fu ammirata anche da Sergej Pavlovič Djagilev, che nel 1912 le propose un contratto per Pietroburgo che mai si concretizzò. Di Fokine (ospite a Palais Garnier) interpretò Daphnis et Chloé e di Bolm (a Montecarlo) la danza di Terpsichore nell’opéra-ballet Les Fêtes d’Hébé, legata ai nomi di Rameau e Marie Sallé. Al crocevia di correnti artistiche diverse, l’Opéra volle essere la cittadella del balletto, pur aprendosi per breve tempo all’euritmica di Jaques-Dalcroze o alla collaborazione con artisti non più solo italiani ma russi. Al centro della roccaforte rimaneva saldamente Zambelli che negli anni della prima guerra mondiale, dimostrò il suo attaccamento alla patria adottiva esibendosi con Albert Aveline, suo partner prediletto, in spettacoli destinati ai soldati al fronte. Fedele ai suoi saldi principi, mise in rilievo un profilo di danzatrice all’opposto dell’immagine della ballerina fin de siècle del teatro leggero e di rivista.
Con Sylvia (1919), ispirata all’Aminta di Tasso, iniziò il suo regno incontrastato. Nel reinventare un balletto interamente francese – per la musica di Léo Delibes, per lo stile figurativo influenzato dalla pittura mitologica settecentesca e per il delicato erotismo delle sue ninfe – la radiosa Zambelli guidava le ballerine con tecnica abbagliante: bissò sempre il celebre Pizzicato e nel valzer finale rese palese il suo «génie ailé» (Levinson, 1929, p. 189). Di Cydalise et le chèvre-pied (su musica ‘impressionista’ di Gabriel Pierné, 1923, con Aveline nella parte del Fauno) rimase nella memoria soprattutto la scena in cui «Cydalise parcourt les billets de ses amoureux transis tout en tricotant des pointes, et c’est de ses orteils qui grattent et chatouillent le plateau que semble fuser son rire. C’est encore de la mime, si l’on veut, mais, enfin, la donnée comique est traduite au moyen de la danse». (Levinson, 1929, p. 219). Nello stesso anno l’Opéra si rivolse al pittore Léon Bakst non solo per le scene e i costumi ma per l’ideazione di un balletto sulla musica di Fryderyk Chopin, La Nuit ensorcelée. La coreografia di Staats fu vista come la riabilitazione della troupe a lungo sacrificata e misconosciuta: «Les entrechats de Carlotta Zambelli au début de sa grande variation, fusent comme des bouchons de champagne parmi l’écume mousseuse de la batterie et malgré le poids du costume pailleté qui l’habille comme une chape de plomb» (Levinson, 1929, pp. 191-193).
Dopo il ruban violet riservato agli artisti nel 1906 (Bernheim, p. 110), Zambelli fu la prima ballerina a ricevere il ruban rouge della Légion d'Honneur (Chevalier nel 1926, poi Officier nel 1956). La critica le riconobbe dignità e fermezza di carattere nella vita, musicalità e intelligenza sulla scena. Scrisse Levinson: «La ferveur italienne, tempérée par la mesure française, alimente une exécution pondérée, nuancée et infiniment vivante. […] Ce qui enrichit l’art subtil de Carlotta, fait d’intuition et de discipline, d’un attrait exceptionnel, sinon unique, c’est sa suprême musicalité, c’est la naissance de chaque pas de l’esprit même du rythme, la concordance absolue de l’impulsion sonore et de l’essor saltatoire» (Rubans rouges. Le Chevalier Carlotta, in Comoedia, 18 gennaio 1926).
La sua ultima importante première fu Impressions de Music-Hall (1927), una parodia avant-garde dello spettacolo popolare, una pochade pétillante della coreografa Bronislava Nijinska, aborrita da Levinson che temette per il prestigio di Palais Garnier trasformato in
«Folies Garnier» (1929, p. 211). Apparve in scena sino al 1930-1933.
Nominata insegnante aggiunta dell’Ecole de danse dell’Opéra nel 1920 accanto a Mauri, le successe alla morte (1923) come maestra dei grands sujets e direttrice (fino al 1935). Insegnò all’Opéra nella classe di perfezionamento (e nella sua Académie Chaptal) fino al 1955, formando le migliori ballerine delle generazioni successive, tra cui L. Daydé, Y. Chauviré, V. Verdy e Lycette Darsonval, che le successe.
La morte la colse il 28 gennaio 1968 a Milano, dove si recava spesso per visitare la famiglia cui era molto legata. L’amico e partner Aveline morì pochi giorni dopo.
Carlotta Zambelli, tra i maestri e le étoiles italiane che rinnovarono all’estero il repertorio dei teatri e vi fondarono le compagnie nazionali, fu la duttile interprete di una scuola al confine con le innovazioni della didattica russa. Nel suo «honnête, rude, mais passionnant travail» (Zambelli, 1943, p. 2) tramandò oralmente (ricorrendo a volte agli appunti di Sofia Coppini) i precetti scaligeri, come pure le prodezze sulle punte e i suoi salti à l’Italienne, illustrati da Paul Séguin-Bertault (disegni ora alla Bibliothèque de l’Opéra). Nei sessanta anni trascorsi a Palais Garnier, dapprima come ballerina poi come insostituibile maestra – la devota e severa Mademoiselle – fu un’amabile presenza dal sorriso aperto come nel quadro di Claudie Chamerot-Viardot. Quando alla fine del XIX secolo, il cinema iniziò a sostituire le arti plastiche che da sempre filtravano il rapporto tra danza e storia, Paul Nadar per primo catturò l’immagine in movimento nei celebri passi en pointe (Danseuse, 1898) di una giovane Zambelli dagli occhi e dai capelli scuri, esplicitando così i limiti dell’impostazione italiana nel busto rigido e nei ports de bras meno fluidi rispetto alla nascente scuola russa. Altri brani dal Cid e da Sylvia furono raccolti in modo sperimentale in Visions animées des artistes célèbres, presentate all’Exposition universelle del 1900 e restaurate nel 2012 dalla Cinémathèque française. Con il critico émigré Levinson, Zambelli abbracciò la crociata novecentesca per educare il pubblico al balletto e ai suoi valori estetici e formativi, riportando la danza nell’alveo della cultura e delle arti. A lei si ispirò probabilmente Paul Valéry nel ritratto di Athikté, l’extrême danseuse in L'âme et la danse. Ascesa a simbolo del classicismo e della ricerca di equilibrio apollineo in un’ideale ‘statua danzante’ fu contrapposta alla modernità di Isadora Duncan e delle contemporanee baccanti dionisiache. L’importante discussione di letterati, filosofi e critici (Levinson, Séchan, Brillant, et al.) sui caratteri della danza greca e del moderno in danza, sui generi e gli stili di danza ‘pura’ o ‘rappresentativa’, culminò nel dialogo socratico di Valéry, seguìto dai versi dedicati alla Zambelli nello stesso numero della Revue musicale, III (1921), pp. 1-125). Nel suo necrologio, l’accademico di Francia Pierre Gaxotte concluse: «Je ne sais si Paul Valéry a pensé à Zambelli, mais c'est elle: “Elle semble d'abord de ses pas pleins d'esprit effacer de la terre toute fatigue, toute sottise... Et voici qu'elle se fait une demeure un peu au dessus des choses, et l'on dirait qu'elle s'arrange un nid de ses bras blancs...”».
Parigi, Bibliothèque-Musée de l’Opéra, C. Z., Dossier d’artiste, [include anche gli scritti di Zambelli L’art de la danse, 1943, s.l.; Danseuses d’hier et aujourd’hui, in Je sais tout, 15 novembre 1907,pp. 535-542]; New York Public Library for the Performing Arts, Dance Collection, Walter Toscanini Collection of Research Materials in Dance, vol. 30; A. Brisson, Variations sur la danse, in La Revue illustrée, XVI (1901), 5, s.p.; V. Ja. Svetlov, Terpsichora. Stat'i. Očerki. Zametki, San Pietroburgo 1906, ad ind.; A. Bernheim, Trente ans de théâtre, Parigi 1908, pp. 107-112; G. Gabory, Z., in La Revue musicale, III (1921), n. speciale: Le ballet au XIXe siècle, p. 69; A. Levinson, La Danse d'aujourd'hui. Etudes. Notes. Portraits, Parigi 1929, pp. 189- 227; M. Richard, Une visite à C. Z. servante de la danse éternelle, in La Liberté, 18 ottobre 1930; C. Beaumont, The complete book of ballets. A guide to the principal ballets of the Nineteenth and Twentieth Centuries, Londra 1938, pp. 546-550; I. Guest, C. Z., in Revue d’histoire du théâtre, XXI (1969), 3, pp. 199-255, poi ampliata in Dance Magazine, parte 1 (febbraio 1974), pp. 51-66, parte 2 (marzo 1974), pp. 43-58; Id., Le Ballet de l'Opéra de Paris. Trois siècles d'histoire et de tradition, Parigi 1976, pp. 140-142; 147-169; M. Brillant, C. Z. et la danse classique, in Le Correspondant, CVIII (1935), 4, pp. 387-394; P. Gaxotte, Mademoiselle, in Le Figaro, 9 febbraio 1968; M. J. Warner, Z., in International dictionary of ballet, II, Londra 1993, pp. 1565-1567; G. Mannoni, Les grandes étoiles du XXème siècle, Parigi 2014, ad indicem.