Biochimica
di Jean Roche
Biochimica
sommario: 1. Introduzione. 2. Strutture molecolari e organizzazione cellulare: a) dai costituenti organici semplici alle macromolecole; b) organizzazione subcellulare e strutture molecolari. 3. Metabolismo e vita cellulare: a) enzimi e catalisi delle reazioni metaboliche; b) le reazioni metaboliche: metabolismo intermedio e cicli di reazione; c) aspetto energetico del metabolismo cellulare. 4. Regolazioni cellulari e biologia molecolare; regolazioni dei coordinamenti tessutali e funzionali negli organismi: a) regolazioni cellulari e aspetto biochimico della biologia molecolare; b) regolazioni dei coordinamenti tessutali e funzionali negli organismi. 5. Conclusione generale. □ Bibliografia.
1. Introduzione
La biochimica è divenuta una scienza autonoma soltanto all'inizio del sec. XX; il suo sviluppo sempre più rapido è proceduto, come quello di tutte le scienze, per approssimazioni successive e il suo dominio si è talvolta esteso grazie a scoperte imprevedibili. È quindi apparso necessario, prima di riassumerne lo sviluppo storico, cercare di definire le condizioni nelle quali essa è nata e quali sono stati i principali fattori della sua evoluzione.
La biochimica si è inizialmente sviluppata muovendo dalla fisiologia e dalla chimica. Ciò che ancora nel 1900 si chiamava ‛storia naturale' emerge dalle seguenti definizioni formulate nel 1810 da G. Cuvier: Quando un naturalista definisce i caratteri dei minerali o li analizza, lo si chiama mineralogista; se egli illustra la loro posizione o formazione, diventa geologo; se descrive o classifica i vegetali e gli animali, prende il titolo di botanico o di zoologo; se li seziona, quello di anatomista; diviene fisiologo quando cerca di determinare i fenomeni della vita e di fissarne le leggi" (Rapport historique sur le progrès des sciences naturelles depuis 1789 et sur leur état actuel, vol. I, Paris 1810, p. 148). La ‛storia naturale' dei corpi inorganici si è ben presto separata da quella degli esseri viventi, ‟nessun ramo della quale, ha scritto Cuvier, può fare completamente a meno degli altri, e ancor meno delle scienze generali, la fisica e la chimica. Il fisiologo chiuderebbe gli occhi alla luce - continua Cuvier - se rifiutasse di ammettere l'influenza delle leggi fisiche sulle funzioni vitali" (ibid., p. 149). Infatti, introdurre la fisica e la chimica nello studio degli esseri viventi equivaleva ad introdurvi la sperimentazione e, attraverso questa, separare la fisiologia dalle scienze d'osservazione, come hanno fatto A.-L. Lavoisier, L. Spallanzani e J. von Liebig. La scoperta di meccanismi regolatori generali negli organismi animali ha completamente affrancato la fisiologia dalle scienze d'osservazione; il suo ambito comprendeva da principio anche quello delle scienze biologiche, che dovevano ben presto differenziarsi grazie agli apporti della chimica e della fisica.
Per lungo tempo la chimica non è servita che di ausilio tecnico alla fisiologia. Infatti la chimica fisiologica, come la concepiva nel 1870 F. Hoppe-Seyler, era una specie di prolungamento della fisiologia. In seguito, gli sviluppi della chimica organica e della chimica fisica hanno permesso di definire la struttura di numerosi elementi costitutivi degli esseri viventi e di studiare il funzionamento di questi al livello delle molecole di cui essi sono costituiti: si è così cominciato a collegare la vita cellulare a processi chimici e fisici il cui coordinamento è specificamente biologico. Contemporaneamente a questa concezione dello studio degli esseri viventi è nato uno spirito nuovo, che però non ha potuto animare la biochimica come disciplina autonoma se non dopo che questa aveva superato le prime tappe del suo sviluppo. La chiaroveggenza dei grandi precursori dei primi anni del sec. XVIII annunciava quella che sessant'anni più tardi fece scrivere a Cl. Bernard l'Introduzione alla medicina sperimentale; tuttavia il loro appello non doveva trovare eco che ben più tardi. In effetti, poiché la biochimica doveva trarre la sua origine dalla fisiologia e dalla chimica, la sua evoluzione è stata inizialmente tributaria dei progressi di queste due discipline e, pur mantenendo con queste frontiere comuni, ha dovuto pian piano allontanarsene per acquisire piena autonomia e diventare una nuova scienza.
I fattori che hanno permesso lo sviluppo della biochimica, e che restano una condizione permanente dei suoi progressi, sono alcuni di ordine concettuale, altri d'ordine sperimentale, altri ancora d'ordine tecnico; ciascuno contribuisce al risultato finale con una efficacia che dipende dalla sua natura e svolge in qualche modo la sua parte. Le grandi correnti di pensiero traggono la loro fecondità dalla possibilità che esse hanno in sé di porre nuovi problemi. Inoltre, le scoperte impreviste conducono spesso a generalizzazioni feconde al di là del loro interesse particolare. Così le prime ricerche di A. Fleming hanno condotto alla nozione d'antibiotico, aprendo in questo modo un campo d'azione la cui stessa esistenza era prima inconcepibile e le cui prime realizzazioni sono state l'isolamento e lo studio della penicillina a opera di E. B. Chain e H. W. Florey.
In altri campi il concetto-guida non si è potuto sviluppare nella sua forma generale se non a partire da un insieme di ricerche che hanno richiesto lunghi sforzi. Tale è stato il caso delle vitamine, il cui studio è stato intrapreso da C. Eijkman e F. G. Hopkins circa quarant'anni prima che ne venisse isolata allo stato puro la prima. Infine, l'introduzione di una nuova metodologia e delle sue tecniche ha costituito, a volte, un fattore importante dei progressi della biochimica: tale disciplina è stata così rinnovata dal controllo della concentrazione di ioni idrogeno, introdotta nel 1912 da s. P. L. Sørnsen con la nozione di pH optimum delle reazioni enzimatiche; ancora, l'uso di molecole marcate con isotopi radioattivi o stabili, inaugurato nel 1934 da O. von Hevesy, ha fornito allo studio del metabolismo immense possibilità, perché ha permesso di seguire attraverso le tappe del loro destino biologico la sorte degli atomi marcati e delle molecole nelle quali sono presenti. In un altro ordine di idee, la separazione di molecole a partire da mescolanze complesse ha consentito la loro identificazione grazie a tecniche spesso sviluppate da biochimici per le necessità delle loro ricerche, come la cromatografia su carta di piccole molecole, della quale sono stati promotori J. P. Martin e R. C. M. Synge a partire dal 1942, e la filtrazione delle proteine su ‛setacci molecolari' (v. metabilismo; v. vitamine).
Lo sviluppo storico della biochimica sarà ricordato distinguendo i suoi principali obiettivi: conoscenza delle strutture molecolari proprie degli esseri viventi, studio dei meccanismi dei fenomeni chimici sui quali si fondano la vita cellulare e gli equilibri biologici. Questi differenti settori presentano allo stesso tempo una certa interdipendenza e, d'altra parte, notevoli caratteristiche specifiche; perciò non sarebbe stato possibile porre queste ultime in rilievo in un'analisi globale dei loro progressi. Del resto, abbiamo trattato l'argomento in modo da collegare tra loro, ben più direttamente che in una semplice prospettiva storica, i principali aspetti dell'evoluzione della biochimica nel XX secolo.
2. Strutture molecolari e organizzazione cellulare
a) Dai costituenti organici semplici alle macromolecole
Durante i primi decenni del sec. XX è stato possibile studiare soltanto la struttura di composti organici dal peso molecolare relativamente basso, che superava 250 solo in un ristrettissimo numero di casi. I metodi della chimica hanno allora permesso di determinare la loro costituzione e di realizzare numerose sintesi. L'opera eccezionalmente ricca di E. Fischer nel campo degli zuccheri, degli amminoacidi, dei peptidi, delle purine, è caratteristica di questa prima tappa. Essa non si differenzia da quella di J. J. Berzelius, di J. von Liebig e di M. Berthelot che per l'attuazione di possibilità di ricerca molto più estese, derivanti dal rapido sviluppo della chimica organica a partire dal 1880. La conoscenza della struttura di numerose sostanze naturali di basso peso molecolare ha arricchito la biochimica per le sue conseguenze più ancora che per se stessa. Infatti essa è servita come infrastruttura allo studio del metabolismo e ha condotto alla conoscenza delle macromolecole, nelle quali sono associate numerose piccole molecole. La conoscenza di questi alti polimeri ha aperto alle sclenze biologiche una nuova via, la cui direzione è stata segnata dalla nascita della biologia molecolare (v. biologia: biologia molecolare).
L'iniziale orientamento organico dello studio delle strutture ha condotto ad una specie di inventario progressivo di una estrema varietà, ancora molto incompleto, dei composti che costituiscono gli esseri viventi. Esso ha permesso di definire la struttura degli zuccheri, degli amminoacidi, degli acidi grassi e delle combinazioni naturali degli uni e degli altri; ha aperto la strada allo studio dei prodotti di una struttura complessa prima sconosciuta, come gli steroli ed i loro derivati, i terpeni e gli eterociclici azotati naturali; ha condotto all'identificazione delle vitamine e della maggior parte degli ormoni. Si può misurare lo sforzo richiesto dalla definizione di certe formule di struttura riferendosi ad un esempio, quello offerto dall'eme, gruppo prostetico delle emoglobine, cromoproteine che veicolano l'ossigeno nel sangue e nei muscoli dei Vertebrati e di certi Invertebrati. L'eme è una ferroporfirina nella quale quattro anelli pirrolici sono associati per mezzo di radicali metinici: esso è stato isolato allo stato puro poco dopo la metà del sec. XIX e la sua costituzione, alla cui determinazione hanno partecipato i più grandi chimici organici dell'epoca, fra gli altri R. Willstätter ed E. Fischer, è stata completamente chiarita solo verso il 1930, insieme con quella delle clorofille studiate dagli stessi chimici.
Certe sostanze naturali relativamente semplici sono associate in macromolecole. Fra questi alti polimeri gli acidi nucleici e le proteine formano l'armatura delle strutture cellulari e sono il supporto di proprietà biologiche fondamentali; altri, come l'amido o il glicogeno, sono riserve del loro costituente monomerico, il glucosio; altri ancora, come la cellulosa o le sderoproteine, formano elementi di sostegno. Lo sviluppo della chimica dei colloidi durante il primo quarto del sec. XX ha stimolato lo studio degli alti polimeri naturali. I lavori chimico-fisici di T. Svedberg, di H. Staudinger, di R. Zsigmondy fra il 1910 e il 1915, e quelli di J. Loeb sulle proteine dal 1910 al 1920, ne hanno segnato le tappe: poiché non era ancora conosciuta la struttura di alcun colloide naturale, a quell'epoca si poterono intraprendere soltanto ricerche sulle proprietà derivanti dalla loro carica elettrica, poi dalla loro dimensione molecolare. La migrazione in campo elettrico delle proteine, studiata sin dal 1905 da W. Hardy, ha condotto J. Loeb, quindi L. Michaelis tra il 1915 e il 1920 alla nozione di punto isoelettrico; A. Tiselius ha realizzato in seguito la separazione e la caratterizzazione per elettroforesi di diverse proteine.
Una volta ricollegato lo stato colloidale degli alti polimeri cellulari al loro carattere macromolecolare, è stata intrapresa la determinazione del loro peso molecolare attraverso un insieme di metodi elaborati a questo fine. L'ultracentrifugazione dei mezzi colloidali naturali ha permesso a T. Svedberg di stabilire l'esistenza negli esseri viventi di macromolecole ben definite, la cui dimensione, di un ordine di grandezza fino ad allora insospettato, corrisponde a un peso molecolare che va da parecchie decine o centinaia di migliaia a parecchi milioni: proteine come le emoglobine hanno un peso molecolare di 16.000 nei muscoli rossi, di 64.000 nei globuli rossi dei Vertebrati, di 2.800.000 nel plasma di certi Invertebrati; il peso molecolare degli acidi nucleici e dei virus, molto più elevato, raggiunge parecchie decine e talvolta supera un centinaio di milioni. Poiché queste molecole giganti presentano una forma spesso caratterizzata da notevoli particolarità, si preferisce definirle piuttosto per le loro dimensioni secondo i diversi assi che per il loro peso molecolare; ciò è reso possibile dalla microscopia elettronica che in trent'anni di continui perfezionamenti ha raggiunto un potere risolutivo di due unità ångström, limite destinato a ridursi ulteriormente. Il virus del mosaico del tabacco, ad esempio, studiato fin dal 1935 da W. M. Stanley, si presenta sotto forma di cilindri di 3.000 Å di lunghezza e 75 Å di raggio; il suo peso molecolare è di 40.000.000. Il peso molecolare degli acidi desossiribonucleici, o DNA, isolati da batteriofagi, raggiunge i 140.000.000. La microscopia elettronica permette di stabilire sia la grandezza di queste enormi macromolecole, sia le modalità di associazione dei monomeri che le costituiscono (v. acidi nucleici; v. virus).
Soltanto negli ultimi trent'anni è stato possibile studiare la struttura fine delle macromolecole biologiche, poiché la sua conoscenza ha richiesto quella preliminare di tutti i costituenti e delle loro modalità di associazione. Le ricerche intraprese in questo campo sono state tanto più fruttuose quanto più diversi tra loro sono questi costituenti, perché la conseguente eterogeneità ha reso più facile l'identificazione dei frammenti provenienti dalla degradazione parziale dei polimeri naturali. Così si è potuto integralmente chiarire, nel corso degli ultimi dieci anni, la struttura di un piccolo numero di proteine dal peso molecolare inferiore a 100.000, emoglobine e alcuni enzimi, mentre quella degli acidi nucleici è stata ben definita soltanto a livello dei monomeri che vi sono associati; per quanto concerne i polisaccaridi, si è sempre costretti a schemi incerti per le catene di osi, ramificate negli amidi e lineari nelle cellulose.
Gli esempi forniti dalla biochimica delle proteine e degli acidi nucleici sono particolarmente significativi. Mediante l'idrolisi totale è possibile liberare da quasi tutte le proteine 20 amminoacidi: il primo fra questi corpi conosciuti, la glicocolla, è stato identificato nel 1820, ma alcuni fra essi, molto importanti dal punto di vista della nutrizione, come il triptofano o la metionina, non sono stati isolati che circa un secolo più tardi; di più, non si è potuta realizzare l'analisi completa della composizione in amminoacidi delle proteine se non dopo l'isolamento, nel 1936, dell'ultimo di questi corpi, fino a quel momento sconosciuto, la treonina. I primi elementi della struttura delle proteine sono stati accertati fra il 1899 e il 1908 da E. Fischer, cui si deve la scoperta del legame detto ‛peptidico', per mezzo del quale i residui di amminoacidi sono tra loro associati per condensazione dei rispettivi gruppi carbossilici e α-amminici. Gli enzimi digestivi liberano polipeptidi e poi amminoacidi attraverso scissioni idrolitiche successive dei legami peptidici che li associano nella struttura primaria delle proteine. Si è acquisita la conoscenza di questa struttura in un piccolo numero di proteine a partire dall'analisi completa dei loro amminoacidi, attualmente automatizzata, e da quella dei peptidi nei quali questi sono associati, che si separano per cromatografia. L'importanza di questa tappa delle ricerche è documentata dal fatto che alcune malattie genotipiche, nelle quali si formano nell'uomo emoglobine anomale, dipendono dalla sostituzione di un solo residuo di amminoacido sui 287 contenuti dalla molecola del pigmento respiratorio. Questa tappa ha permesso a P. G. Kafsoyannis di realizzare nel 1965 la sintesi di una proteina, l'unica finora ottenuta: l'insulina del pancreas.
Ricerche analoghe sono state condotte sugli acidi nucleici. E. Fischer, A. Kossel, P. A. Levene hanno stabilito, durante i primi vent'anni del sec. XX, che questi alti polimeri contengono eterociclici azotati, derivanti alcuni dalla purina, altri dalla pirimidina - rispettivamente l'adenina e la guanina, la citosina e la timina o l'uracile - un pentoso - il ribosio o il desossiribosio - e acido ortofosforico. La combinazione molecola a molecola di una base, del pentoso e dell'acido fosforico costituisce un nucleotide; un grandissimo numero di nucleotidi è associato negli alti polimeri nucleici, la cui struttura generale è stata definita sin dal 1953 dalle ricerche di L. Pauling e R. B. Corey, di J. D. Watson e F. H. C. Crick. Proprio in ragione dell'esistenza di un considerevole numero di subunità identiche di basso peso molecolare, quali sono i nucleotidi purinici o pirimidinici, lo studio della struttura primaria degli acidi nucleici è stato in qualche modo superato dallo studio di altri elementi caratteristici della loro architettura. A parte i legami per covalenza della struttura primaria, altri di diverso tipo - legami a idrogeno o ionici, forze di van der Waals - impongono alle molecole del polimero la sua intima struttura, la sua forma e, per ciò stesso, alcune delle sue proprietà biologiche. Così la rappresentazione esatta di una macromolecola è molto più complessa della descrizione della sua struttura primaria; per fissarla è stato necessario un altro metodo di studio, basato sulla spettrografia di diffrazione dei raggi X associata alla spettrografia infrarossa.
I risultati ottenuti da W. T. Astbury, dal 1925 al 1935, sulla diffrazione dei raggi X da parte delle fibre proteiche della cheratina della lana e della fibroma della seta hanno condotto M. F. Perutz a intraprendere, qualche anno prima del 1940 e sotto la spinta di D. Keilin, lo studio dello spettro di diffrazione dei raggi X di sezioni di cristalli di emoglobine muscolari ed ematiche. Una minuziosa analisi matematica dei risultati ottenuti, realizzata da Perutz e J. C. Kendrew, ha consentito di definire, fra il 1960 e il 1965, la conformazione tridimensionale delle molecole di queste proteine. Ricerche così importanti hanno raggiunto abbastanza rapidamente il loro scopo finale grazie all'evoluzione parallela di quelle che Pauling e Corey conducevano dal 1945 sulle proteine e Watson e Crick, verso il 1950, sugli acidi nucleici, in particolare sùgli acidi desossiribonucleici o DNA. Basandosi su un insieme di congetture, la cui esattezza è stata in seguito verificata, e sui risultati della spettrografia a raggi X ed infrarossi, questi autori hanno dimostrato l'avvolgimento delle catene primarie e hanno messo in evidenza la partecipazione alle strutture secondarie e terziarie di deboli legami non covalenti di diverso tipo. Il risultato più importante e del tutto nuovo ottenuto in questo campo è la dimostrazione della struttura elicoidale delle catene primarie di amminoacidi e di nucleotidi, struttura la cui importanza biologica si è rivelata notevole nella biosintesi degli alti polimeri proteici e pentoso-nucleici. La localizzazione della posizione occupata da ciascuno dei diversi residui di amminoacidi delle catene primarie nei cristalli proteici ha permesso di precisare le modalità del loro avvolgimento intramolecolare, caratteristico di ogni proteina. Perutz e Kendrew hanno potuto così stabilire i primi schemi esatti dell'architettura molecolare dell'emoglobina e della mioglobina di diversi Vertebrati, schemi ai quali sono stati recentemente aggiunti quelli di un piccolo numero di enzimi, di cui il lisozima è stato il primo conosciuto sotto quest'aspetto. I progressi così realizzati nello studio delle macromolecole hanno d'altro canto aperto il cammino allo studio di problemi biologici che prima erano al di fuori della portata dei biochimici.
b) Organizzazione subcellulare e strutture molecolari
Gli istologi, disponendo di amplificatori ottici sempre più potenti, hanno messo in evidenza nella cellula alcuni elementi della sua eterogeneità. Da venti anni a questa parte il progressivo sviluppo della microscopia elettronica ha aperto alla citologia e alla biochimica il mondo delle strutture subcellulari e degli organuli protoplasmatici.
La distinzione di questi ultimi in seno al protoplasma si è fatta sempre più netta ed è stata realizzata la loro separazione mediante ultracentrifugazione. Il ruolo dei cromosomi, e dei geni che essi racchiudono, nella trasmissione dei caratteri ereditari è stato ricollegato ai loro costituenti nucleici, gli acidi desossiribonucleici o DNA. I mitocondri sono la sede delle fosforilazioni ossidative e della funzione respiratoria ed i lisosomi sono come sacchetti contenenti riserve di enzimi idrolitici a disposizione delle cellule. Le conoscenze più estese acquisite sul ruolo di alcuni organuli sono senza dubbio quelle che riguardano i ribosomi e la loro associazione in polisomi con conseguente formazione di una rete, il reticolo rugoso. I polisomi costituiscono associazioni di ribosomi collegati gli uni agli altri attraverso un acido ribonucleico chiamato messaggero (mRNA), elaborato dai geni cromosomici e portatore del messaggio genetico che regola la sintesi delle proteine specifiche. Le unità ribosomiali sono particelle rotondeggianti di diametro compreso tra 100 e 200 Å, la cui massa è costituita in proporzioni pressappoco uguali da un RNA, al cui livello avviene la sintesi proteica, e da proteine.
La localizzazione di un certo numero di fenomeni chimici fondamentali della vita cellulare al livello di organuli specializzati ha inaugurato una nuova tappa della biochimica, poiché ha permesso di studiare questi fenomeni al di fuori di un contesto cellulare o protoplasmatico che lascia trasparire solo il risultato globale. Tuttavia le ricerche condotte a questo proposito non sono, senza dubbio, che allo stadio iniziale, tante sono le incognite che esse ancora comportano. Il coordinamento dall'azione dei diversi organuli e le modalità del cammino intracellulare delle molecole restano ancora non ben definiti. Lo studio dei mitocondri, fra l'altro, sembra meritare d'essere proseguito su scala molto particolareggiata, al livello delle loro membrane e delle creste della loro superficie interna, più che sull'organulo nel suo complesso.
In ogni modo i legami fra macromolecole e struttura sub-cellulare cominciano appena ad essere definiti, ma è molto probabile che la loro precisa conoscenza darà ben presto alla biochimica l'accesso a certi aspetti dell'intimo meccanismo della vita delle cellule. In tal modo essa oltrepasserà quella tappa che è necessario superare prima di poter interpretare l'integrazione cellulare dei processi che la vita stessa implica.
3. Metabolismo e vita cellulare
Al di fuori del mantenimento dinamico delle loro strutture e della loro moltiplicazione, le cellule sono in permanenza la sede della degradazione di molecole semplici, il cui rinnovamento è assicurato da apporti esterni di materia e di energia. L'insieme di questi processi, di cui la chimica quantistica permette oggi di interpretare l'intimo meccanismo, costituisce il metabolismo cellulare; esso si basa sull'attività di catalizzatori propri degli esseri viventi: gli enzimi, a lungo chiamati col nome di fermenti o diastasi (v. enzimi). All'inizio del sec. XX i problemi posti dallo studio del metabolismo erano ancora formulati in maniera imprecisa, benché la loro importanza fosse stata intuita cento anni prima da A.-L. Lavoisier, da L. Spallanzani e dopo di loro posta in rilievo da J. J. Berzelius, Cl. Bernard, J. von Liebig e L. Pasteur.
a) Enzimi e catalisi delle reazioni metaboliche
Prima della preparazione nel 1926 dell'ureasi pura cristallizzata da parte di J. B. Sumner, si studiavano da più di un secolo le attività enzimatiche e non le sostanze che le esercitano. Una prima tappa di ricerche, che si è conclusa verso il 1910, ha permesso a O. Bertrand, a H. von Euler, a W. M. Bayliss di stabilire che queste attività sono catalitiche e che la loro natura è identica a quella dei catalizzatori minerali od organici, studiata a partire dalla metà del sec. XIX da chimici come J. J. Berzelius e P. Sabatier. Nello stesso periodo i biochimici hanno stabilito che tutti i processi metabolici, anche quelli ritenuti i più complessi e i più caratteristici della vita, come la fermentazione alcolica del glucosio ad opera del lievito di birra, sono enzimatici e possono svolgersi al di fuori delle cellule. L'antica distinzione fra i fermenti detti solubili, che sono gli enzimi, e i fermenti detti figurati che sono i microrganismi, antiquato vestigio della teoria vitalista, non è sopravvissuta all'estrazione, operata da E. Buchner nel 1897, dal lievito di birra di un complesso enzimatico che realizzava la fermentazione alcolica del glucosio: la ‛zimasi'. Così veniva dimostrato che anche processi enzimatici ritenuti legati all'esistenza delle strutture cellulari sono indipendenti da queste.
Nello stesso periodo in cui si affermava la natura delle attività enzimatiche venivano anche realizzati considerevoli progressi nella loro caratterizzazione, grazie allo storico lavoro per cui S. P. L. Sørensen stabilì nel 1912 l'esistenza di una concentrazione ottimale di ioni H+ particolare per ogni reazione enzimatica. Di più, la nozione di specificità, inizialmente concepita da E. Fischer come molto ristretta, si è manifestata sempre più ampiamente man mano che è stato possibile realizzare un frazionamento sempre più fine dei costituenti biologici, grazie a nuove tecniche: tra le altre, l'adsorbimento, la cromatografia, l'elettroforesi. La caratterizzazione delle attività enzimatiche per mezzo di un insieme di criteri, in particolare del loro pH ottimale, della loro specificità, dei loro attivatori e inibitori, ha rivelato a poco a poco la loro straordinaria molteplicità; se ne sono caratterizzate finora circa 15.000. Lo studio di molecole dotate di attività enzimatica richiedeva la loro preparazione allo stato puro; ciò è stato realizzato da J. B. Sumner per l'ureasi della soia e per la catalasi del rafano, da lui cristallizzate, e pochissimo tempo dopo, fra il 1926 ed il 1935, da J. H. Northrop per un insieme di proteasi e peptidasi digestive. Dopo di loro diversi scienziati hanno isolato allo stato puro alcune centinaia di enzimi, molti dei quali sono stati cristallizzati.
Nel 1925 si esitava ancora ad ammettere che gli enzimi sono proteine e la maggior parte dei biochimici riteneva, con H. von Euler e R. Willstatter, che essi fossero costituiti dall'associazione di un raggruppamento attivo con un supporto colloidale; questo poteva essere indifferentemente proteico o glucidico e non svolgeva alcun ruolo nella catalisi. La preparazione delle prime proteine enzimatiche pure non fu sufficiente per demolire questa ‛teoria del supporto', poiché soltanto in alcune proteine e non in altre era identificabile un costituente facilmente dissociabile. Fu necessario attendere la ferma presa di posizione di O. Warburg nel 1930 perché i biochimici riconoscessero che tutti gli enzimi sono proteine.
Una simile generalizzazione non poteva essere sostenuta prima che lo studio della struttura delle proteine avesse fatto registrare progressi che rimuovessero ogni equivoco. Infatti in certi enzimi proprio una regione della stessa molecola proteica racchiude un centro attivo catalitico, mentre in altri la catalisi avviene a livello di un coenzima combinato con una proteina specifica, detta apoenzima, da cui esso può essere dissociato in maniera reversibile. La conoscenza di diversi coenzimi ha permesso di spiegare il meccanismo di numerose attività enzimatiche, come nel caso del trasporto dell'idrogeno attraverso diversi eterociclici azotati costituenti le codeidrogenasi flaviniche e nicotiniche, studiate da H. von Euler, H. Theorell e O. Warburg fra il 1930 e il 1950, e come nel caso dei trasportatori di elettroni, costituiti dai coenzimi ematinici studiati dopo il 1925 da Keilin, Theorell e Warburg. Relazioni di struttura esistenti fra certi coenzimi e alcune vitamine hanno inoltre conferito al loro studio un interesse biologico generale, sul quale ritorneremo in seguito. Uno stesso coenzima è associato a diverse proteine specifiche e partecipa quindi alla costituzione di numerosi biocatalizzatori operanti tutti sulla stessa reazione, per esempio un trasporto di idrogeno a partire da molecole che partecipano ad ossidoriduzioni, ma la specificità degli enzimi nei quali è presente è determinata dalla proteina alla quale il coenzima è associato: l'apoenzima. È il caso, per esempio, delle lattico- e malicodeidrogenasi, che contengono tutte un coenzima difosfopiridin-nucleotidico. La sintesi cellulare delle proteine apoenzimatiche specifiche può dunque svolgere un ruolo importante nell'orientamento del metabolismo di un prodotto degradato dalle cellule verso l'una o l'altra delle vie che gli sono aperte. La sintesi preferenziale di un apoenzima provoca, difatti, uno spostamento dell'equilibrio esistente fra il coenzima e l'insieme di proteine specifiche che sono ad esso combinate in diversi enzimi; ne deriva una sorta di richiamo del substrato verso la via metabolica a cui l'enzima appena formato partecipa.
Meno progredito è lo studio degli enzimi nei quali la sede della catalisi è un ‛sito attivo' non dissociabile. Una regione della molecola proteica vi svolge il ruolo affidato al coenzima nel precedente tipo di enzimi ed è ancora difficile stabilire quali elementi di struttura potranno essere ricollegati all'attività catalitica propriamente detta e alla sua specificità. La conoscenza delle strutture primarie e l'inattivazione, mediante blocco, di determinati gruppi funzionali liberi della proteina enzimatica hanno già permesso di raccogliere a questo riguardo utili informazioni, ma è probabile che non si potrà dare una risposta ai suddetti interrogativi se non a livello della configurazione tridimensionale delle molecole. Si sa già, per esempio, che il sito attivo si localizza al livello di una specie di fenditura molto ristretta sulla superficie del lisozima (v. catalisi enzimatica).
I notevoli progressi realizzati dalla biochimica degli enzimi hanno completamente trasformato tale disciplina nel corso degli ultimi quarant'anni. Sono state aperte vie di ricerca interamente nuove, senza dubbio suscettibili di restare feconde ancora per lungo tempo; fra queste lo studio dei rapporti esistenti fra la struttura delle proteine enzimatiche e la loro attività non è che ai suoi inizi, ma un aspetto biologico dello studio degli enzimi, quello della coordinazione cellulare delle loro azioni, ha suscitato un interesse sempre più vivo a partire dal 1925. A mano a mano che si ampliavano le scoperte dei citocromi e delle deidrogenasi a coenzima flavinico o nicotinico, Keilin si sforzò di ricostruire le catene di enzimi che partecipano alle ossidazioni cellulari. La coordinazione di questi enzimi, che assicura il trasporto dall'uno all'altro dell'idrogeno sottratto ai metaboliti e quello degli elettroni, permise di stabilire la rappresentazione schematica di una catena respiratoria le cui estremità assicuravano rispettivamente l'attivazione dell'idrogeno e quella dell'ossigeno. Venti anni più tardi, soprattutto grazie alle ricerche di B. Chance, si pervenne alla descrizione particolareggiata della composizione e organizzazione della catena respiratoria, tenendo conto di un insieme di nuovi dati, in particolare della partecipazione a questa catena delle fosforilazioni ossidative. Il sistema così descritto non appare soltanto come una sequenza ben ordinata di trasportatori, simili a relé, che trasferiscono idrogeno ed elettroni dal potenziale negativo d'ossidoriduzione del substrato a quello, positivo, dell'ossigeno. Questo sistema comporta, infatti, anche un meccanismo che permette di recuperare l'energia liberata durante i trasferimenti di elettroni e di accumularla sotto forma di combinazioni fosforiche ad alto potenziale energetico. Ogni tappa della catena respiratoria è assicurata dall'azione di un enzima specifico. Il trasporto elettronico può dunque venire bloccato in numerosi punti precisi per mezzo di un inibitore selettivamente attivo su uno degli enzimi associati; in questo modo si effettua l'azione di un certo numero di antibiotici (v. bioenergetica).
Lo studio della localizzazione cellulare degli enzimi, rimasto per lungo tempo ristretto ai risultati dell'istochimica, ha fatto notevoli progressi da quando lo si è potuto perseguire a livello delle strutture subcellulari evidenziate dalla microscopia elettronica. Gli enzimi della catena respiratoria rappresentano circa il 25% delle proteine della membrana mitocondriale e la conoscenza della struttura e delle proprietà di ciascuno contribuirà alla conoscenza della biologia molecolare dei mitocondri. Lo studio delle relazioni esistenti fra l'ultrastruttura cellulare e gli enzimi che ne fanno parte è sicuramente destinato a importanti sviluppi.
b) Le reazioni metaboliche: metabolismo intermedio e cicli di reazione
Lo studio analitico delle reazioni metaboliche, che si è sviluppato sin dai primi anni del sec. XX, è tutt'ora di grande attualità, in quanto tappa iniziale di ricerca, e non è ancora compiuto; esso ha condotto a stabilire equazioni di reazioni, che sembrano definitive nei casi semplici come quello delle idrolisi dei disaccaridi, dei peptidi, degli esteri. Spesso, per altro, non ha permesso di ottenere che uno schema globale, espressione del risultato finale di una successione di reazioni, ciascuna delle quali è stata individuata in seguito. E così che l'equazione inizialmente ammessa per spiegare la fermentazione alcolica del glucosio ha impedito di capire, per sessant'anni, che questo processo comporta la formazione di esosofosfati e l'isomerizzazione del glucosio (A. Harden).
L'importanza storica dell'isolamento del fruttosio-l,6- difosfato o estere di Harden e Young e quella delle ricerche che lo hanno immediatamente preceduto è considerevole; queste ricerche hanno inaugurato lo studio di ciò che in seguito è stato denominato metabolismo intermedio, cioè il metabolismo delle tappe successive dell'utilizzazione delle molecole in vista sia della loro combustione, sia della loro partecipazione ad attività di sintesi. Altre ricerche hanno svolto in questo campo un ruolo decisivo e segnato una tappa nello sviluppo della biochimica del metabolismo. Così l'evoluzione del tasso muscolare dell'acido lattico, scoperto nelle carni da J. von Liebig 50 anni prima, ha permesso a W. M. Fletcher e a F. G. Hopkins di stabilire nel 1907 che questo prodotto, formato a partire dal glucosio liberato dall'idrolisi del glicogeno, è metabolizzato in acido carbonico e in acqua, ma che esso appare in quantità molto più grande quando il muscolo si contrae in ambiente anaerobico anziché all'aria: Con questo veniva implicitamente posto un problema che fu risolto 15 anni più tardi da O. Meyerhof insieme con A. V. Hill; essi dimostrarono infatti che una parte dell'acido lattico formata a spese del glucosio è, in qualche modo, recuperata fisiologicamente poiché serve alla sintesi del glicogeno dopo la contrazione del muscolo in aerobiosi. Alcuni tipi di reazione sono stati talvolta definiti a partire dall'identificazione di nuovi costituenti degli ambienti biologici: per esempio, le equazioni delle reazioni di trasporto di gruppi solfidrilici, metilici, acetilici sono state stabilite prima ancora che si potessero studiare gli enzimi che specificamente le catalizzano.
Tuttavia il rapido sviluppo, a partire dal 1930, della biochimica del metabolismo intermedio non sarebbe stato possibile senza l'introduzione, per merito di H. A. Krebs, della nozione di cicli di reazione, quindi di quella di interdipendenza di numerosi cicli metabolici, in una serie di ricerche di cui le più importanti sono state condotte fra il 1932 e il 1960.
Nei cicli che associano reazioni biochimiche, una molecola esercita la funzione di veicolo di altre molecole, che sono così orientate, di tappa in tappa, sia verso la loro completa combustione, sia verso una forma di escrezione di un loro costituente, oppure ancora, direttamente o indirettamente, verso attività di sintesi. Il veicolo che entra in azione all'inizio del ciclo è rigenerato alla fine di questo, dopo aver preso parte a tutta una serie di reazioni enzimatiche. Il primo esempio di una simile coordinazione di reazioni che si conclude nella formazione dell'urea, termine ultimo del metabolismo dell'azoto nel fegato dell'uomo e di numerosi Vertebrati, è stato descritto nel 1932 da H. A. Krebs e F. Henseleit. Esso comporta in un primo tempo la condensazione, molecola su molecola, di acido carbonico e di ammoniaca con un α,δ-diamminoacido, la ornitina, che dà origine alla citrullina; in un secondo tempo la trasformazione di questa in arginina o acido α-ammino-δ-guanidovalenianico, per reazione con una seconda molecola di ammoniaca; e in un terzo tempo l'idrolisi enzimatica dell'arginina, che libera l'urea e rigenera l'ornitina, pronta a reagire da capo.
Lo storico lavoro nel quale questi fatti sono stati stabiliti è stato ben presto seguito da altri dello stesso tipo. Il più importante fra questi è quello in cui Krebs, poco dopo che A. Szent-Györgyi ebbe dimostrato l'importanza metabolica degli acidi tricarbossilici, ha determinato il ciclo detto dell'acido citrico o degli acidi tricarbossilici. Questo ciclo assicura negli animali e nei vegetali la combustione di radicali acetilici, la cui trasformazione in acido carbonico e acqua è la principale fonte di energia di cui le cellule dispongono. L'incorporazione dei resti di acetile avviene all'inizio del ciclo su una molecola di acido ossalacetico, che è così trasformato in acido citrico. Quattro reazioni successive conducono quest'ultimo, attraverso sette tappe intermedie, a perdere due atomi di carbonio allo stato di acido carbonico e otto atomi di idrogeno allo stato di acqua, rigenerando l'acido ossalacetico pronto a fissare nuovamente un radicale acetilico. Il fatto che il ciclo degli acidi tricarbossilici, strettamente aerobico, sia praticamente lo stadio finale della respirazione cellulare richiama il giudizio espresso in proposito da O. Hammarsten in occasione della consegna del premio Nobel per la medicina (Stoccolma, 1953): ‟La conoscenza di questo ciclo ha permesso di trarre da un caos di reazioni isolate un sistema fondamentale per le principali vie dei processi cellulari d'ossidazione" (Discours de présentation des travaux d'Hans Adolf Krebs). Di più, il fatto che tutti gli enzimi che partecipano al ciclo dell'acido citrico siano localizzati nella membrana esterna dei mitocondri mette in evidenza l'estrema importanza di questi organuli nelle ossidazioni.
Lo studio delle reazioni metaboliche non ha solo condotto alla definizione di schemi raffiguranti le loro tappe intermedie; esso ha permesso di scoprire il ruolo generale svolto nel meccanismo di queste tappe da un piccolo numero di molecole semplici che assicurano il trasporto di radicali minerali od organici di eccezionale importanza. È il caso, in particolare, dei radicali fosforico e acetile. La formazione di combinazioni fosforiche, fra le altre di esteri, di ammidi e di polifosfati, è un processo che dà luogo a molteplici derivati. A parte quelli da lungo tempo conosciuti, come il glucosio-6- e il glucosio-1-fosfato, il fruttosio-1,6-difosfato e gli esteri triosofosforici, ne sono stati caratterizzati numerosi altri che sono intermediari aventi origine in cicli di reazione in cui non hanno che un'esistenza effimera. Tutti questi corpi si formano attraverso il trasporto di un radicale fosforico sulla molecola organica recettrice. Il donatore più diffuso di fosfato è l'acido adenosintrifosforico o ATP, il quale cede il suo radicale fosforico terminale trasformandosi in acido adenosindifosforico; esso è quindi una sorta di donatore universale di fosfato nelle reazioni metaboliche. Una funzione ugualmente generale è assunta dal coenzima A, o CoA, molecola complessa studiata da F. Lipmann poco dopo il 1945 e che fissa reversibilmente un radicale acetile. Il suo derivato acetilato, l'acetil-CoA, trasporta il radicale formato a partire dall'acido piruvico prodotto dalla degradazione di diverse molecole del ciclo degli acidi tricarbossilici che ne realizza la combustione, ma l'orienta anche verso diverse reazioni di sintesi, come ha mostrato F. Lynen nel corso degli ultimi 15 anni.
Le interrelazioni che associano i cicli di degradazione e di sintesi degli esosi, degli amminoacidi, degli acidi grassi, e il passaggio dagli uni agli altri per il tramite di molecole-chiave (piruvato, ossalacetato, pentosio, citrato, succinato) e grazie alla partecipazione dell'acetil-CoA, sono rappresentate dallo schema molto semplificato riprodotto qui sotto.
Sono messi in evidenza da questo schema il ruolo generale del ciclo dell'acido citrico e la convergenza dei processi di degradazione di un insieme di molecole verso la formazione di acetato, fissato con CoA. L'interdipendenza dei cicli che lo schema traduce non è tuttavia sufficiente ad illustrare tutta la complessità delle coordinazioni metaboliche, perché l'utilizzazione cellulare di una molecola può prendere diverse vie: così il glucosio non si degrada seguendo solamente la via detta di Embden-Meyerhof, che comporta la formazione successiva di glucosio-6-fosfato, di triosofosfato e di piruvato, ma anche attraverso la via dei pentosi, detta di Dickens-Horecker, il che richiede l'orientamento dell'esoso verso l'uno o l'altro dei due processi.
c) Aspetto energetico del metabolismo cellulare
Sin dalla metà della seconda decade del sec. XX lo studio chimico del metabolismo cellulare è stato associato a quello del suo aspetto energetico. Le ricerche del biofisico A. V. Hill sulla produzione di calore nel corso della contrazione muscolare e quelle di O. Meyerhof sul destino dell'acido lattico formato durante e dopo la contrazione hanno descritto per la prima volta l'aspetto energetico di un processo metabolico. Un simile studio era già stato da lungo tempo realizzato dai chimici organici, ma ha subito presentato due aspetti molto particolari nel campo biochimico: esso ha mostrato da una parte l'estrema importanza dell'accoppiamento delle reazioni cellulari di degradazione e di sintesi per l'evoluzione dei cicli metabolici, e ha dall'altra consentito di mettere in evidenza negli ambienti biologici un sistema di rifornimento di energia basato sulla presenza di molecole, che ne costituiscono una riserva, delle quali le più diffuse sono quelle che assicurano il trasporto dei radicali fosforico e acetile, l'ATP ed il CoASAc (acetil-CoA).
Gli esseri viventi non sfuggono alla legge della conservazione dell'energia; la quantità di energia necessaria alle sintesi è fornita dalle degradazioni metaboliche, poiché i processi cellulari non si svolgono che nelle condizioni in cui essi sono energeticamente possibili. Le ricerche di Hill e di Meyerhof sulla contrazione muscolare, precedentemente ricordate, ne hanno fornito la prima dimostrazione stabilendo che la sintesi di glicogeno a spese di acido lattico nel corso della fase di recupero non ha luogo che in ambiente aerobico; l'energia liberata dalla combustione di una parte dell'acido lattico, inizialmente formato nella glicogenolisi, serve allora alla glicogenogenesi finale. La coordinazione delle reazioni di sintesi e di degradazione è possibile soltanto grazie alla presenza di intermediari in grado di assicurare il trasporto dell'energia, intermediari la cui esistenza e funzione sono state evidenziate oltre trent'anni fa da Lipmann (v. bioenergetica).
Il grande merito di questo biochimico è stato quello di aver capito fin da quell'epoca che le reazioni metaboliche partecipano ad un flusso energetico assicurato da combinazioni che racchiudono un legame ricco di energia potenziale (rappresentato dal simbolo ~). Le ossidazioni cellulari producono un'energia non utilizzabile direttamente per le sintesi metaboliche, che non possono aver luogo se non grazie all'apporto di energia accumulata nei legami ~, quali P di ATP e ~ Acetil di CoAS ~ Ac e in un piccolo numero di altre combinazioni. La rottura di questi legami è realizzata da enzimi specifici della loro idrolisi, come l'ATP-asi; essa nel caso della trasformazione dell'ATP nel suo derivato difosforico, l'ADP, e in acido fosforico, libera 8.000 calorie/mole mentre l'idrolisi di un legame di un estere fosforico ne libera circa 3.000. Questa differenza spiega come il trasporto di un radicale fosforico su una molecola organica sia facilmente realizzabile nelle cellule nel corso di numerose sintesi, a condizione che l'ATP si riformi continuamente a spese di reazioni metaboliche. La prima ad essere esaminata, fra le reazioni di ossidoriduzione che conducono alla formazione di un legame ricco di energia, fu la riduzione del coenzima difosfopiridin-nucleotidico di una deidrogenasi specifica dell'ossidazione della fosfogliceraideide ad acido fosfoglicerico. Il potenziale d'ossidoriduzione del sistema fosfogliceraldeide-acido fosfoglicerico è di -0,57 V, inferiore di -0,25 V a quello del sistema coenzima-coenzima ridotto. La differenza di energia di ossidazione della fosfogliceraldeide e del coenzima è di circa 12.000 calorie. Questa energia non appare allo stato di calore, ma è recuperata in un legame fosforico ~ dell'ATP. Quest'ultimo nasce dalla condensazione del radicale fosforico all'estremità del residuo pirofosforico dell'acido adenosindifosforico, l'ADP (v. fosforilazione ossidativa).
Una delle conseguenze più importanti dell'aver messo in luce i legami ~ nei costituenti dell'ambiente cellulare e la loro formazione a partire da ossidoriduzioni è stata quella di aprire una via completamente nuova allo studio delle sintesi metaboliche. In effetti si è per lungo tempo ammesso, partendo dall'applicazione della legge dell'azione di massa alle reazioni enzimatiche, che queste sono regolate da equilibri e perciò stesso reversibili. Ora, se è stato possibile giungere facilmente alla verifica sperimentale della reversibilità della catalisi enzimatica delle esterificazioni e di certe idrolisi, è divenuto ben presto evidente che la maggior parte delle sintesi cellulari debbono dipendere da un altro meccanismo. In effetti dall'epoca in cui è iniziato lo studio dell'energetica delle reazioni cellulari e del potenziale d'ossidoriduzione delle ossidazioni biologiche ci si è resi conto che la maggior parte delle sintesi è termodinamicamente possibile solo a condizione che la variazione di energia che esse comportano lo permetta. I notevoli progressi della biochimica del metabolismo, nel corso degli ultimi trent'anni, sono in gran parte dovuti alla concezione di Lipmann, che introduceva negli schemi di reazione la nozione di trasporto di energia attraverso molecole specializzate contenenti un legame ~. L'apporto di energia, assicurato dalla rottura di questi legami, permette la coordinazione delle reazioni cellulari in cicli molto più ricchi di possibilità di quanto non ne saprebbe offrire la semplice reversibilità delle stesse reazioni, d'altronde spesso incompatibile con le condizioni termodinamiche della sua realizzazione.
Lo studio delle sintesi cellulari si è notevolmente sviluppato, una volta affrancatosi dal dogma che lo confinava nel quadro delle reazioni d'equilibrio. Una possibilità sperimentale gli è stata ben presto aperta, soprattutto a partire dal 1940, dall'impiego di molecole marcate con i sempre più numerosi isotopi radioattivi o stabili, di cui i più utili sono stati il carbonio-14, il fosforo-32 (radioattivi) e gli isotopi pesanti dell'idrogeno: deuterio e trizio, 2H e 3H. Il breve richiamo di alcuni fatti stabiliti da D. Shemin e D. Rittenberg fornisce una brillante illustrazione dei risultati ottenuti in questo campo. L'eme, gruppo prostetico delle emoglobine, è il complesso ferroso della protoporfirina IX, costituita da 4 anelli pirrolici, collegati fra loro da gruppi metinici e portatori di catene laterali. È stato possibile precisare l'origine metabolica di ciascuno degli atomi di carbonio e di azoto della molecola della porfirina, di cui gli uni provengono da gruppi acetile, dalla glicocolla o dall'acido carbonico, e gli altri dall'ammoniaca. L'ingestione di queste sostanze marcate con 14C oppure 15N conduce alla sintesi di un eme nel quale esse sono presenti. L'individuazione dei diversi atomi marcati nei prodotti di degradazione dell'eme, prodotti di cui si sa da lungo tempo a quale frazione della molecola tetrapirrolica appartengono, ha permesso la loro localizzazione nell'eme stesso. Il meccanismo della biogenesi delle purine è stato stabilito grazie ad esperienze analoghe: questa sintesi comporta la condensazione della glicocolla con un radicale acetilico trasportato dal coenzima A, reazione che dà luogo all'acido amminolevulinico, grazie all'azione di una amminolevulinico-sintetasi richiedente la presenza di piridossalfosfato, sostanza con legame fosforico ricco di energia come l'acetil-CoA.
Lo studio del metabolismo appare attualmente in pieno sviluppo. Ai suoi modesti inizi sono seguite tappe, nessuna delle quali può essere ancora ritenuta definitiva; tuttavia l'evoluzione ditale studio ha già condotto ad una trasposizione biochimica di certi problemi biologici importanti. È così che il metabolismo cellulare, di cui gli scambi respiratori traducono la risultante, è ormai di competenza della biochimica, mentre lo studio della funzione respiratoria rimane fisiologico.
4. Regolazioni cellulari e biologia molecolare; regolazioni dei coordinamenti tessutali e funzionali negli organismi
Lo studio delle strutture e quello del metabolismo non possono condurre da soli ad una rappresentazione del funzionamento delle cellule: non sarebbe possibile concepire la vita cellulare senza una profonda conoscenza dei principali processi a cui essa partecipa, del loro coordinamento, della loro regolazione. Questo campo è apparso riservato alla biologia generale e alla fisiologia, tanto che la biochimica non vi ha avuto accesso; tuttavia si ricollega sempre più a tale disciplina nella misura in cui il meccanismo delle reazioni cellulari si definisce in termini molecolari. Perciò non è sorprendente che la biologia molecolare abbia avuto sin dalla sua nascita, una quindicina d'anni fa, come principale campo di attività le sintesi delle macromolecole e la loro regolazione. Per lo stesso motivo la biologia molecolare si è rapidamente orientata verso la genetica, il cui campo è così direttamente collegato alle macromolecole. L'importanza della biochimica in quanto scienza biologica è divenuta sotto questo aspetto sempre più grande. Infatti, così come l'individuazione della biologia cellulare tra il 1925 e il 1930 aveva posto a livello delle cellule, cioè delle unità morfologiche, i problemi fondamentali precedentemente studiati col metro delle funzioni di un organo o di un organismo, allo stesso modo la biologia molecolare si è data per oggetto principale l'interpretazione dei fenomeni essenziali della vita: la biosintesi dei costituenti cellulari e la riproduzione delle cellule in termini di strutture e di interazioni molecolari specifiche.
Negli esseri unicellulari, come i batteri e i lieviti, il coordinamento e la regolazione dei processi biochimici presentano un grado di complessità tanto più basso quanto più semplice è la loro struttura. È per questo che il colibacillo, Escherichia coli, il quale non ha come organulo che la sua membrana facilmente accessibile alla microscopia elettronica, è stato particolarmente studiato. Coordinamenti di un altro ordine esistono fra cellule associate in un organo e, a maggior ragione, in un organismo. Al di fuori della loro propria vita, che conducono come se fossero isolate pur partecipando a una comunità, l'attività delle cellule impone in questo caso un coordinamento i cui agenti sono fattori ad esse esogeni: ormonali, nutrizionali, nervosi. Conviene quindi esaminare come lo studio biochimico delle regolazioni si è sviluppato nei due distinti settori verso cui si è diretto, quello delle cellule e quello dei tessuti, degli organi o degli organismi.
a) Regolazioni cellulari e aspetto biochimico della biologia molecolare
Il caso più semplice in materia di regolazione è quello dei microrganismi, tra i quali il colibacillo è stato preso come sorta di prototipo. Due grandi problemi, soprattutto, hanno richiamato l'attenzione, quello della biosintesi delle macromolecole, considerato sotto il suo duplice aspetto strutturale e genetico, e quello della regolazione dei circuiti metabolici.
La sintesi di acidi nucleici e di proteine costituisce senza dubbio il campo più notevole dei processi della vita cellulare la cui regolazione si sia potuta studiare: ciò soprattutto grazie alle ricerche di Watson e Crick. Questi autori hanno stabilito la struttura del DNA e realizzato la sua formazione in ambiente acellulare per azione di un enzima specifico: la DNA-polimerasi. Per usare le parole di J. Monod, il DNA questa pietra filosofale della biologia, costituente dei cromosomi, è custode dell'ereditarietà e sorgente dell'evoluzione". Il DNA svolge in effetti un ruolo predominante, supposto da O. T. Avery sin dal 1944, nella regolazione della sintesi delle proteine, la cui specificità assicura la permanenza dei caratteri ereditariamente trasmissibili. Il DNA è il cardine di questa regolazione, ma non vi partecipa direttamente; esso assume la sua funzione regolando un processo di trascrizione, che da vent'anni viene studiato principalmente da J. Monod e F. Jacob con ricerche (iniziate con A. Lwoff) che hanno portato a dimostrare l'esistenza di un codice genetico. Le molecole cromosomiche di DNA dirigono la sintesi, al loro livello, di quelle degli acidi ribonucleici, gli RNA; questi trasportano fuori dal nucleo il messaggio genetico verso i polisomi, nei quali si elaborano le proteine. Un insieme di relé trasmette a partire dai cromosomi informazioni molto precise, in base alle quali gli RNA dei ribosomi associati in polisomi sintetizzano proteine specifiche. Queste informazioni sono collegate da un codice, suscettibile di essere messo in uso oppure disinserito, come un circuito elettrico, dal gioco alterno di repressori e di induttori.
Dal 1950 ad oggi si è andati progressivamente acquisendo un insieme di nozioni completamente nuove e ben coordinate sulle macromolecole nucleiche e proteiche, sul meccanismo della loro formazione e della trasmissione genetica della loro specificità. Questo insieme di nozioni ha fortemente contribuito allo sviluppo della biologia molecolare, i cui principali artefici sono stati M. F. Perutz, J. C. Kendrew, L. Pauling e R. B. Corey, J. D. Watson e F. H. C. Crick per lo studio delle strutture, S. Ochoa, D. Kornberg, A. Lwoff, J. Monod e F. Jacob, S. Luria per lo studio del codice genetico e dei fagi. Il ruolo fondamentale del DNA può essere così riassunto: le molecole di DNA, costituite da due lunghe catene polinucleotidiche, unite in una doppia elica, si aprono rimanendo associate per mezzo di una specie di cerniera; al contatto di un certo numero di geni che ne risultano si formano molecole di RNA, molto meno lunghe. Queste sono le copie delle parti della catena di DNA che sono servite loro da matrici, da stampi, e che sono perciò stesso suscettibili di trasmettere il messaggio genetico di cui costituiscono il supporto materiale. L'RNA lascia la catena sulla quale si è formato e la doppia elica del DNA si riforma. Sono stati distinti due tipi principali di RNA, dei quali uno, detto messaggero o mRNA, riunisce i ribosomi ai quali trasporta il messaggio della sintesi di una proteina specifica, che gli rRNA realizzano nei ribosomi. Il meccanismo della proteinogenesi si fonda sull'allungamento delle catene peptidiche di amminoacidi secondo un ordine molto rigoroso, determinato dalla struttura della matrice che costituisce l'rRNA. Come dimostra questo breve richiamo, il campo biochimico aperto dallo sviluppo della biologia molecolare ha permesso di affrontare, sul piano del loro intimo meccanismo, problemi fondamentali da tempo posti sul piano morfologico o funzionale, se non già di risolverne alcuni.
Uno degli esempi più rappresentativi di questo sviluppo è l'evidenziazione da parte di M. Delbrück, A. D. Hersley e S. Luria del meccanismo d'azione dei fagi sui batteri. I fagi sono dei virus costituiti da una sola molecola gigante di DNA di peso molecolare uguale per alcuni di essi a 140.000.000, coperta da un rivestimento proteico, contenente un enzima per azione del quale viene traforata la superficie della cellula batterica sulla quale si è fissato il fago, che può quindi penetrarvi. Il DNA del fago contiene certe particolari purine, la cui costituzione differisce da quella dei DNA batterici; così gli rRNA elaborati dal fago non possono più sintetizzare le stesse proteine sintetizzate dagli rRNA dell'ospite. La penetrazione del fago all'interno di quest'ultimo ha per effetto immediato di bloccare in pochi minuti la sintesi dei DNA e degli RNA batterici, mentre la moltiplicazione dell'RNA del fago e, di conseguenza, quella delle proteine specifiche, provoca l'invasione della cellula ospite da parte del virus. Ha costituito una tappa importante nello studio dei virus l'evidenziazione di un simile stretto legame fra i fenomeni biologici osservati al momento dell'azione del fago, detto virus filtrabile in ragione della sua dimensione relativamente piccola, e il meccanismo biochimico di questi fenomeni, il quale si evolve a livello di macromolecole.
b) Regolazioni dei coordinamenti tessutali e funzionali negli organismi
Fattori esogeni o endogeni di coordinamento permettono a tessuti differenziati o ad organi di esercitare funzioni particolari o di partecipare alle attività di un intero organismo. Alcuni sono stati studiati e altri scoperti dalla biochimica da settant'anni a questa parte.
I più caratteristici tra i fattori endogeni della attività dei tessuti sono probabilmente quelli che permettono la contrazione dei muscoli e la trasmissione del flusso nervoso. La contrazione muscolare si fonda sulle proteine specifiche contenute nelle miofibrille, studiate poco prima del 1940 da W. A. Engelhardt e M. N. Ljubimova, poi da A. Szent Györgyi. Queste proteine non solo presentano una struttura particolare, ma sono enzimaticamente attive sull'acido adenosintrifosforico, l'ATP, di cui esse idrolizzano il legame fosforico terminale ad alto potenziale energetico ~. La contrazione delle miofibrille si basa sull'importante associazione di fenomeni meccanici e chimici, il cui studio da parte di Hill e Meyerhof è stato già menzionato più volte. Il fatto che le proteine contrattili assicurino esse stesse il rifornimento immediato di energia derivante dal loro metabolismo per mezzo dell'idrolisi dell'ATP costituisce un elemento della regolazione di quest'ultimo, che finora si è evidenziato solo nel tessuto muscolare.
La trasmissione dell'influsso nervoso dai centri alle terminazioni delle fibre fornisce un altro esempio delle possibilità di sviluppo biochimico nello studio delle funzioni fisiologiche. Le ricerche di O. Loewi e di H. Dale fra il 1925 e il 1935, poi quelle di U. von Euler vent'anni dopo, hanno stabilito che l'influsso è trasmesso da relé a relé per mezzo di mediatori chimici. Questi sono l'acetilcolina in certi nervi e la L-noradrenalina in altri, rispettivamente detti colinergici e adrenergici. L'elaborazione e la liberazione dei mediatori nei neuroni in funzione dell'attività di questi esigono un coordinamento regolato da un insieme di geni il cui studio è stato appena abbozzato. Questo costituisce uno degli oggetti della neurochimica, le cui attuali frontiere si estendono fino allo studio delle proteine dei centri nervosi, che sembrano servire da supporto alla memoria, e alla loro biosintesi.
Regolazioni di un altro ordine, riguardanti l'insieme delle cellule che costituiscono un organismo, hanno fornito alla biochimica due settori in cui essa si è notevolmente sviluppata, soprattutto durante gli ultimi quattro decenni: il settore dell'endocrinologia e degli ormoni, e quello della nutrizione e delle vitamine. Nel caso degli ormoni, la sostanza attiva elaborata da cellule specializzate è messa in circolazione nel sangue, che la trasporta ai tessuti le cui cellule costituiscono il bersaglio biologico dell'ormone. Nel caso delle vitamine, la sostanza attiva, indispensabile al funziozionamento delle cellule, è di origine esogena, e deve essere apportata dagli alimenti.
Una volta stabilita dalla fisiologia la funzione endocrina di una ghiandola o di un tessuto, è compito della biochimica identificare l'ormone e spiegarne il meccanismo d'azione; così lo sviluppo dello studio biochimico degli ormoni ha assicurato in larghissima misura quello dell'endocrinologia e delle sue applicazioni. Ogni ghiandola endocrina sintetizza, talvolta in numero abbastanza grande, ormoni di un particolare tipo strutturale; perciò la loro scoperta non ha comportato alcuna connessione logica. Essa, inaugurata da J. Takamine nel 1901 con l'isolamento dell'adrenalina a partire dalla zona midollare delle capsule surrenali, è proseguita nel 1915 con l'isolamento, dalla tiroide, della tiroxina, la cui struttura fu determinata nel 1925 da C. Harington. I suoi progressi sono stati spesso tributari di quelli della chimica delle sostanze naturali, con la cui costituzione, in particolare degli steroli e dei peptidi, sono imparentati gli ormoni. Il notevole progresso della biochimica degli ormoni steroidei ha condotto non solo alla conoscenza di quelli secreti dalla corticosurrenale, dal testicolo, dai follicoli e dal corpo luteo dell'ovaio, ma anche alla conoscenza delle loro interrelazioni strutturali e delle reazioni specifiche partecipanti alla loro biosintesi nelle diverse ghiandole. Basterà ricordare che le corticosurrenali contengono circa 50 steroidi ormonali, isolati per la maggior parte da E. C. Kendall e da T. Reichstein fra il 1948 e il 1956, per illustrare la complessità delle ricerche che hanno condotto all'identificazione dei mineralcorticoidi e dei glicocorticoidi, costituenti due serie di sostanze di strutture vicine, rispettivamente attive sul metabolismo minerale e su quello del glucosio e dei glucidi. La collaborazione fra chimici organici e biochimici in queste ricerche è stata particolarmente feconda, come testimonia il fatto che Reichstein ha sintetizzato alcuni degli steroidi corticosurrenalici prima della loro identificazione nella ghiandola che li secerne. Sono sta- ti isolati e sintetizzati polipeptidi ormonali, dal peso molecolare compreso fra 3.000 e 5.000, come l'adrenocorticotropina; essi si sono dimostrati capaci di stimolare selettivamente la secrezione ormonale di altre ghiandole. Sono stati isolati ormoni proteici, come l'insulina pancreatica e la prolattina anteipofisaria. (v. endocrinologia; v. ormoni).
Lo studio dei legami esistenti fra struttura e attività degli ormoni, e quello del centro attivo degli enzimi, prospetta analoghi problemi nel campo molecolare. Salvo che nel caso di quelli che intervengono specificamente su un processo particolare in cellule bersaglio, gli ormoni sono attivi sull'insieme delle cellule di un organismo, così che la loro azione metabolica ne consente la partecipazione a molteplici coordinamenti; tale azione rimane spesso mal definita, perché non si è potuto finora, in generale, caratterizzarla con una chiara specificità. Un tentativo in tal senso è stato effettuato per l'azione metabolica dell'insulina da C. e G. Cori sin dal 1945. È probabile che molteplici attività ormonali si esercitino per il tramite di una regolazione cellulare di azioni enzimatiche nella quale l'acido 3′-5′- adenosinmonofosforico ciclico, o c-AMP, svolge un ruolo importante, come ha dimostrato E. W. Sutherland nel corso degli ultimi anni.
Lo sviluppo della biologia molecolare permetterà senza dubbio di definire quali relazioni di struttura fra la molecola di un ormone e quella del costituente cellulare che ne è il recettore spieghino l'azione della prima; allo stato attuale delle nostre conoscenze, di nessuna azione ormonale si può ancora considerare completamente chiarito il meccanismo. I notevoli progressi realizzati dalla biochimica degli ormoni hanno dunque principalmente riguardato l'isolamento dei prodotti elaborati dalle ghiandole endocrine.
Sono stati necessari i primi trent'anni del sec. XX perché si elaborasse il concetto di carenza alimentare di vitamine e perché si ricollegassero all'assenza o alla deficienza negli alimenti di una data sostanza gli effetti specifici di certe carenze. La nozione di vitamina, fisiologica come quella di ormone, ha permesso di definire, all'inizio di questo secolo, a partire dalle ricerche iniziali di C. Eijkman e F. G. Hopkins, l'azione di un gruppo eterogeneo di corpi organici caratterizzati dalla loro funzione: soddisfare in quantità molto piccola, inferiore per alcuni di essi a 1 milligrammo al giorno o anche meno nell'uomo, un bisogno nutritivo specifico, grazie alla loro ingestione da parte degli organismi superiori o alla loro presenza negli ambienti di coltura dei microrganismi. Questa definizione implica che la carenza di una data vitamina si traduce in disturbi specifici dei quali si può impedire la comparsa o realizzare l'eliminazione, una volta instauratisi, con l'aggiunta di quella vitamina ad un regime carenzato. Una simile nozione non ha un supporto biochimico preciso: essa si estende a un insieme di sostanze che non presentano fra di loro alcuna relazione di struttura nè di modalità d'azione. Gli organismi sensibili alla carenza di queste sostanze non possono realizzarne la sintesi; questa è invece operata da altri organismi, che perciò non ne hanno alcun bisogno; per esempio, la carenza di vitamina C provoca lo scorbuto nell'uomo o nella cavia, ma non nel ratto, che la sintetizza.
Malgrado la complicazione causata nello studio delle vitamine da questa differenza di comportamento delle diverse specie, è stata isolata allo stato puro, fra il 1930 e il 1960, la maggior parte delle vitamine conosciute, oggi circa 40. Le ricerche sulla modalità della loro azione convergono sulla loro partecipazione alla costituzione di enzimi molto diversi, nei cui coenzimi sono state rinvenute: per esempio la tiamina o vitamina B1 per la carbossilasi, la riboflavina o vitamina B2 e l'ammide nicotinica o vitamina PP per numerose deidrogenasi. La biochimica delle vitamine si ricollega così a quella di numerosi enzimi, alcuni dei quali partecipano alla catena respiratoria oppure a cicli metabolici. Le vitamine che entrano nella costituzione di questi enzimi svolgono un ruolo importante nella regolazione cellulare della loro sintesi, poiché la intensità di quest'ultima dipende proprio dalla copertura del bisogno minimo in ciascuna di esse.
La maggior parte degli ormoni partecipa, per il tramite dell'AMP ciclico, spesso qualificato come secondo messaggero ormonale, alla regolazione delle attività metaboliche cellulari; le vitamine intervengono generalmente in queste attività, grazie alla loro incorporazione in molecole direttamente attive. Lo studio degli uni e delle altre è lontano dalla sua conclusione; esso conoscerà senz'altro una rapida evoluzione, come quello di altri settori il cui sviluppo si è realizzato da quando si conosce meglio la struttura delle proteine. L'immunochimica è uno dei settori attualmente in evoluzione: partito dalle ricerche biologiche di P. Ehrlich, di E. Metchnikoff, di J. Bordet, lo studio del meccanismo della reazione tra antigeni e anticorpi e quello della produzione degli anticorpi ha preluso all'isolamento di immunoglobuline specifiche. Le conoscenze sulla struttura, il modo di formazione e le proprietà di queste proteine offrono sin da oggi alla biochimica una nuova possibilità di contribuire ai progressi delle scienze biologiche. Così lo studio delle regolazioni cellulari ha condotto, in campi assai diversi, a uno sviluppo delle ricerche che ha reso la dinamica dei fenomeni biologici sempre più accessibile nei suoi aspetti più complessi.
5. Conclusione generale
Mettere in risalto le principali tappe dello sviluppo della biochimica non poteva condurre a stendere un bilancio, per quanto sommario dovesse essere, dei progressi che essa ha realizzato dalla sua nascita, all'inizio del nostro secolo. Tali progressi hanno determinato una revisione totale della concezione che, ancora sotto l'influsso del vitalismo, si aveva allora della vita cellulare, concezione che la biochimica tende sempre più a sostituire con quella dell'integrazione di un insieme di processi fisici e chimici coordinati a livello di strutture macromolecolari, associate su scala subcellulare. Per lungo tempo non si è potuto raggiungere che la risultante di questi processi, di cui oggi si comincia a conoscere l'intimo meccanismo. Lo studio delle strutture macromolecolari e della loro partecipazione a cicli metabolici cui esse servono da supporto attivo, e lo studio del meccanismo mediante il quale è assicurata la loro riproduzione specifica, fondamento della loro trasmissione ereditaria, aprono al futuro un'ampia prospettiva. Di più, il dominio della biochimica continua ad estendersi nella misura in cui problemi prima considerati come inerenti ad altre discipline possono esser posti e studiati in termini biochimici. Scienze come la medicina e l'agronomia, che fino ai primi decenni del sec. XX sono state tributarie della chimica soltanto sul piano tecnico, hanno così contribuito all'evoluzione della biochimica. L'attuale progresso della genetica umana o animale offre a questo riguardo un esempio significativo.
In settant'anni di progresso la biochimica si è guadagnata un'attenzione che giustifica il ruolo che le è ora attribuito nel quadro delle scienze biologiche. Un'evidente testimonianza del suo sviluppo si manifesta nel crescente numero di premi Nobel attribuiti a ricerche concernenti il suo campo e il suo orientamento, nel quadro delle discipline da cui essa trae origine. Fra settanta premi di chimica e settanta premi di medicina e fisiologia assegnati dal 1900, ventitré dei primi e venti dei secondi sono stati assegnati a dei biochimici, soprattutto a partire dal 1920.
La biochimica, di cui chimici come M. Berthelot e R. Willstätter, fisici come N. Bohr e J. Perrin, fisiologi come W. M. Bayliss e F. Bottazzi avevano presentito l'evoluzione fin dall'inizio del sec. XX, è impegnata in una rapida espansione. Il suo sviluppo l'ha condotta a concepire su di un piano e in un quadro nuovi, sicuramente molto più vicini alla realtà, gli intimi meccanismi della vita cellulare, la loro genesi, il loro coordinamento e la loro riproduzione. Tale sviluppo presenta sotto molti aspetti una analogia con quello dell'astronomia, ineluttabilmente portata ad interrogarsi sulle origini e sul destino di un cosmo che essa si sforza di definire sempre meglio, in funzione dei progressi dell'astrofisica e della meccanica celeste.
bibliografia
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