biodiversita
biodiversità s. f. invar. – Per b. si intende la diversità biologica, ossia l’insieme della differenza, della variabilità e della complessità della vita sulla Terra. La b. include quindi la diversità all’interno di una specie o tra specie diverse, e quella degli ecosistemi. I benefici derivanti dalla b. sono di vario tipo: economici (la b. rappresenta una materia prima per l’agricoltura, la medicina e la farmacia, l’industria ecc.), ambientali (il mantenimento della qualità degli ecosistemi consente all’uomo di fruire di servizi come l’aria pura, l’acqua pulita, la creazione e la protezione del suolo, il controllo di agenti patogeni e il riciclaggio delle scorie), ecologici (maggiore è la diversità genetica di una specie, maggiore sarà la capacità per la specie di perpetuarsi). Vi sono poi benefici derivanti dalle caratteristiche estetiche delle risorse naturali e benefici derivanti da motivazioni etiche: il rispetto di ogni forma di vita in virtù della sua esistenza. Sono stati descritti circa 1,5 milioni di specie animali viventi, ma il loro numero effettivo potrebbe variare, a seconda delle stime, tra i 5 e i 30 milioni. La b. non è distribuita in modo uniforme, dato che parametri biofisici ed effetti antropici determinano grandi differenze tra le varie aree del pianeta. Circa il 70% delle specie conosciute vive in appena una decina di nazioni, concentrate in circa trenta «punti caldi» (v. ). Queste aree sono per lo più nella fascia tropicale e sono rappresentate in particolare dalle foreste tropicali e dalle barriere coralline: in pochi ettari di foresta tropicale si trovano più specie di alberi che nell’intera Europa, e più specie di formiche su un solo albero che in tutte le Isole Britanniche. Anche gli ecosistemi mediterranei sono considerati aree ad alta diversità. Per es. il bacino del Mediterraneo contiene il 10% delle piante superiori conosciute. Esistono anche punti caldi di specie rare, ossia aree in cui è concentrato un elevato numero di specie rare o endemiche; ne sono un esempio le isole Galápagos in Ecuador. Dal 16° al 19° sec. l’uomo ha provocato l’estinzione di una specie ogni quattro anni; dopo il 1900 ne è scomparsa una ogni anno, e il ritmo di estinzione è aumentato fino ad arrivare a più di una specie al giorno. Si stima che alla fine del 20° sec. tra il 20 e il 50% di tutte le specie viventi abbia di fatto raggiunto l’estinzione. In condizioni naturali, il tasso netto di crescita del numero di specie è pari a 0,37% ogni milione di anni: un valore estremamente basso. Il tasso naturale di estinzione invece, a causa dell’uomo, è aumentato di 10.000 volte. La perdita di diversità genetica a livello di popolazione accresce ulteriormente questo valore. La perdita di b. è estremamente significativa nelle foreste pluviali, in alcuni ecosistemi marini, isole, alte fasce montane, ambienti artici e subartici, savane, steppe, semideserti, grandi sistemi fluviali, formazioni a mangrovie, laghi, ma anche nelle campagne in cui viviamo. Le cause dell’accelerazione dei tassi di estinzione sono da attribuirsi, in modo diretto o indiretto, all’alterazione antropica degli ambienti naturali e all’aumento dello sfruttamento delle risorse della Terra. Le estinzioni si verificano per una combinazione di fattori deterministici e stocastici, la cui interazione crea un vortice di estinzione. Le forze deterministiche sono dovute alla rimozione di fattori vitali delle specie (cibo, rifugi, spazio, acqua ecc.) o all’immissione di fattori letali (parassiti, virus, veleni), provocate da cambiamenti graduali o eventi catastrofici. Tra le principali forze deterministiche si annoverano la perdita di habitat (circa metà delle terre emerse abitabili è stata alterata dalle attività umane, come disboscamento, bonifica delle paludi, colture razionalizzate), l’inquinamento, l’introduzione di specie alloctone, la caccia e la cattura. Le variazioni ambientali assottigliano le popolazioni, ma raramente portano da sole alla loro estinzione. Le forze stocastiche derivano da cambiamenti casuali nelle popolazioni o negli ambienti, che conducono ad alterazione dei parametri demografici e genetici, rendendo le piccole popolazioni più vulnerabili all’estinzione.
Tutela della biodiversità. – Nel 1992 è stata redatta a Rio de Janeiro la Convenzione sulla diversità biologica (CBD), adottata da 120 nazioni. Gli Stati firmatari si impegnano a conservare la b., promuovendo un uso sostenibile delle sue componenti e una condivisione equa dei benefici che derivano dall’utilizzazione delle risorse, attraverso un accesso appropriato alle risorse stesse e un idoneo trasferimento delle tecnologie rilevanti, tenendo conto dei diritti su queste risorse e tecnologie, sostenuto da adeguati finanziamenti. La Comunità europea ha recepito la Convenzione sulla diversità biologica emanando la direttiva Habitat 92/43/CEE, che promuove iniziative dei paesi membri per la conservazione degli ambienti naturali e seminaturali, della flora e della fauna selvatiche. La direttiva prevede la creazione di una rete europea di zone protette, nota come rete Natura 2000, che possa garantire il mantenimento ed eventualmente il ripristino di ca. 200 habitat naturali e proteggere ca. 600 specie di animali e piante minacciate di estinzione in Europa. In Italia, le aree così protette coprono complessivamente il 21% circa del territorio nazionale. A livello europeo, comunque, la Rete non è ancora stata completata, sia perché alcuni paesi non hanno fornito i dati richiesti entro i tempi previsti sia per l’entrata di nuovi paesi nella Comunità europea. D’altra parte, la perdita di b. non può essere tollerata, per ragioni ecologiche, etiche, religiose, estetiche e culturali, e soprattutto perché la sua distruzione è un fenomeno irreversibile e strettamente legato alla sopravvivenza dell’uomo sulla Terra. Questo principio deve essere incorporato nel concetto stesso di sviluppo sostenibile (v.), per garantire un uso della b. secondo modalità e a un ritmo tale da prevenirne una riduzione a lungo termine, salvaguardandone in tal modo la possibilità di soddisfare le esigenze e le aspirazioni delle generazioni presenti e future. Mantenere la b., stabilirne i principi teorici e tradurli in misure pratiche rappresenta uno dei principali compiti che l’umanità avrà di fronte nei prossimi anni del 21° secolo.
Biodiversità globale nel tempo geologico. – Lo studio della risposta delle varie componenti del sistema terrestre alle perturbazioni ambientali a scala globale e regionale, alla luce della percezione della crisi attuale della b. legata a fattori antropici e alla vulnerabilità della biosfera. In questo ambito hanno particolare sviluppo le ricerche che riguardano il tardo Quaternario e in particolare l’Olocene, come chiave per la comprensione dei cambiamenti climatici futuri. Inoltre, la storia piu antica della Terra offre una prospettiva temporale estremamente lunga, rispetto a quella oggetto di altre discipline, che si rivela essenziale per poter interpretare le dinamiche in atto e ipotizzare le tendenze future. Un grande numero di studi dimostra gli effetti nella storia geologica di cambiamenti di varia entità e a scale temporali diverse, talvolta assai rapidi, testimoniati da tettonica globale, fenomeni climatici, variazioni nel chimismo e nella circolazione degli oceani e dell’atmosfera, impatti di meteoriti o asteroidi, attività vulcanica e radiazioni evolutive, migrazioni ed estinzioni degli organismi. Il registro fossile, nonostante vincoli e limitazioni (basato su oltre 40.000 generi e 7000 famiglie per circa 250.000 specie fossili sinora descritte, che rappresentano solo una minima parte di quelle che vissero in passato), costituisce un elemento essenziale per interpretare la risposta a lungo termine della biosfera alle perturbazioni fisico-chimiche. Una stima quantitativa della b. nel passato, espressa come numero di entità a un dato livello sistematico (genere, famiglia, ordine) per intervallo di tempo geologico è stata favorita dal completamento di due grandi sintesi indipendenti di dati tassonomici e stratigrafici a livello tassonomico supraspecifico. Per gli invertebrati marini a guscio o scheletro mineralizzato, il modello ricavato dal paleontologo J. John Sepkoski ha evidenziato negli ultimi 600 milioni di anni della storia della Terra sei estinzioni di massa maggiori (Cambriano medio, Ordoviciano superiore, Devoniano superiore, Permiano-Triassico, Triassico superiore e Cretaceo-Terziario) e varie estinzioni minori. La crisi biologica di entità maggiore fu quella del tardo Permiano; il modello evidenzia differenti durate, ampiezze e tassi di estinzione per tali crisi biologiche e i tempi necessari al ristabilimento degli ecosistemi marini. In un differente modello per l’intera biosfera basato sulla distribuzione di oltre 7000 famiglie note allo stato fossile, ricavato dal paleontologo Michael J. Benton, la diversificazione della vita sulla Terra appare seguire un andamento esponenziale, sia pure con perturbazioni in corrispondenza di eventi di estinzione di massa.