bioetica
La bioetica e la medicina
L’introduzione nel linguaggio scientifico del termine bioetica si deve, agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso, all’oncologo americano Van Rensselaer Potter (1911-2001). La riflessione bioetica ha assunto come oggetto le questioni della vita in tutta la loro ampiezza. Non considera soltanto la vicenda umana nelle sue varie fasi, ma comprende anche quelle anteriori alla nascita e successive alla morte. Mette in rapporto la vita di ciascuno e di tutti con l’ambiente fisico e sociale in cui si svolge, affrontando temi come quelli della tutela dell’ambiente (e dunque anche quello della vita animale e vegetale) e della distribuzione delle risorse (anche nel rapporto con i Paesi in via di sviluppo), dell’industria farmaceutica e di quella assicurativa, della brevettabilità e delle biotecnologie, dell’insegnamento e dell’organizzazione ospedaliera.
Da ciò deriva anche un consistente arricchimento dei principi fondativi. Nel suo stadio iniziale, coerentemente con il suo statuto soprattutto teorico e con il suo radicamento originario nella cultura americana, la bioetica ha dato rilievo a principi, come quelli di beneficenza, ‘non maleficenza’ e autonomia, già elaborati nell’ambito della filosofia morale. Via via che la riflessione teorica procedeva, e s’incontrava sempre più intensamente con problemi concreti, emergevano e assumevano particolare rilevanza principi più propriamente giuridici, come quelli del consenso informato, della tutela dei dati personali, dell’irriducibilità della persona e della sua vita alle dinamiche di mercato. In questa integrazione tra principi filosofici e giuridici può cogliersi anche un contributo significativo della cultura europea, particolarmente attenta ai profili istituzionali e, più in generale, alla elaborazione di un quadro di riferimenti che consenta di considerare in tutta la sua complessità l’insieme delle questioni di vita. Questa riflessione è alla base di molte leggi nazionali e documenti internazionali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (2000) alla Convenzione del Consiglio d’Europa sui diritti umani e la biomedicina (1997), alla Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo (1997) e alla Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti dell’uomo (2005) dell’UNESCO (United Nations Educational Scientifical and Cultural Organization). L’emergere della riflessione bioetica si accompagna alla ‘rivoluzione’ del consenso informato, che non soltanto ha sottratto al potere incondizionato del terapeuta le decisioni sulla salute, ma ha attribuito a ciascuno il potere di governo del proprio corpo, facendo nascere un nuovo soggetto morale al posto di una persona oggetto di decisioni altrui.
Questa rivoluzione si è innestata in un contesto sempre più radicalmente modificato dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche, che hanno reso possibili scelte dov’era costrizione, libertà dov’era necessità. A un corso delle cose ancora sostanzialmente affidato alla natura e alle sue leggi si è sostituita una situazione in cui si allarga il campo delle decisioni autonome. Un nuovo potere è attribuito a ciascuna persona, e a ciò si collega l’emersione di un significativo catalogo di nuovi diritti che coprono l’intera esistenza, dal diritto di procreare a quello di morire con dignità. Al tempo stesso, però, si è manifestata una difficoltà di metabolizzazione individuale e sociale dell’innovazione, che ha prodotto richieste di fissazione di limiti, di imposizione di divieti. La dialettica tra libertà e autorità, tra autonomia individuale e valori irrinunciabili ha così investito lo stesso modo d’intendere la vita, il senso e la portata che devono esserle attribuite. Il percorso bioetico porta così a scandagliare la vita nelle sue infinite sfaccettature, incontra e mette la persona al centro della sua riflessione e trova il suo riferimento più forte in quel principio di dignità che, in modo significativo, apre la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Una dignità, tuttavia, che non può farsi tramite per l’imposizione autoritaria di valori. Essa vive in un sistema fondato sulla libertà delle scelte esistenziali, che ciascuno deve poter assumere in piena autonomia, adeguatamente informato e messo in condizione di sottrarsi ai condizionamenti materiali, liberato dagli «ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana». Queste sono le parole dell’articolo 3 della Costituzione, dalle quali la riflessione bioetica non può prescindere.
La bioetica non può essere pensata come una scienza prescrittiva. Costituisce piuttosto un campo dove possono, liberamente, confrontarsi opinioni e punti di vista diversi, creando le condizioni per un dialogo ininterrotto per il riconoscimento reciproco, anche in presenza di opinioni divergenti. I comitati etici nazionali, dal canto loro, hanno ormai una significativa storia in molti Paesi, con modelli diversi, ma che, comunque, non dovrebbero essere confinati nel ruolo di consiglieri del principe o di produttori di regole più o meno vincolanti, funzioni per le quali non dispongono di una vera legittimazione democratica. Nella società della conoscenza, essi si qualificano piuttosto come interlocutori dei cittadini. Essi possono identificare i temi socialmente più rilevanti, selezionare le informazioni significative, presentarle in modo comprensibile, segnalando anche le alternative e le diversità di opinioni, rendendo agevole l’accesso a questa conoscenza. La cultura bioetica rappresenta ormai una dimensione che non individua una qualsiasi ‘repubblica dei sapienti’. Riguarda la vita di tutti, le decisioni quotidiane che siamo chiamati a prendere, ma investe anche la sfera pubblica, le decisioni politiche alle quali tutti devono essere messi in condizione di partecipare con conoscenze adeguate: si pensi a vicende come quella del referendum sulla procreazione assistita.