Bioetica
sommario: 1. Un ambito recente di studio e di discorso: a) definizione e ambito; b) organizzazioni e istituzioni. 2. Criteri e metodi: a) i quattro principî canonici; b) i quattro principî considerati come regole etiche; c) l'utilità come valore primario; d) i fattori di razza e di genere. 3. La bioetica e l'inizio della vita umana: a) la nuova genetica; b) test, screening, riflessione, decisione; pre-impianto; d) terapia genica; e) eugenetica; f) brevetti; g) riproduzione assistita; h) embrioni e feti. 4. La bioetica e la fine della vita umana: a) la definizione di morte; b) le direttive anticipate sul trattamento medico; c) la continuazione o la sospensione del trattamento; d) suicidio assistito ed eutanasia. □ Bibliografia.
1. Un ambito recente di studio e di discorso
a) Definizione e ambito
L'etimologia greca del termine ‛bioetica' è la combinazione di due parole ricche di significato: βίος e ἠϑικά. L'uso che Aristotele faceva del termine βίος non era limitato agli organismi viventi, perché egli distingueva tre altre dimensioni di βίος: la vita rivolta al piacevole, quella politica e quella contemplativa. Questi gradi distintivi del βίος, nell'attuale linguaggio corrente, si possono accostare ai diversi livelli possibili di ‛qualità della vita'. Senza dubbio i dati scientifici della ricerca biologica e medica sono inclusi nel contenuto della bioetica. Ma, oltre a questi, molte sono le considerazioni di ordine filosofico e religioso sul significato, sul valore e sul fine della vita umana nel contesto della storia degli uomini e dell'ambiente naturale.
Alla base della bioetica vi sono questioni persistenti e difficili che riguardano la determinazione di ciò che è giusto o ingiusto, legale o illegale, permesso o intollerabile, nella pratica della ricerca biologica, medica e biotecnologica. A un altro livello della bioetica vi sono molti problemi che riguardano l'elaborazione di un giudizio morale, individuale e sociale, per il quale la semplice distinzione tra giusto e sbagliato non può essere immediatamente compresa o unanimemente riconosciuta da tutte le persone, seppur dotate di buona volontà e ragionevolezza.
Alcuni considerano la bioetica semplicemente una sfera particolare di etica applicata. Mary Warnock osserva: ‟C'è un senso per il quale la bioetica non è considerata un argomento nuovo. La bioetica è un tentativo di applicare un vecchio argomento, vale a dire la filosofia morale e politica, a contenuti nuovi". Se questa è una definizione valida, il dominio delle questioni bioetiche è definito da ‛nuovi problemi' considerati interni a uno o più campi disciplinari. Ma quali sono questi problemi? Una risposta è data dai curatori di un'importante pubblicazione annuale, la ‟Bibliography of bioethics", edita dal Kennedy Institute of Ethics presso la Georgetown University di Washington, secondo i quali, essendo la bioetica ‟lo studio sistematico delle questioni di valore che emergono nel campo biomedico o in quello comportamentale", essa si occupa conseguentemente di tre ordini di problemi: ‟a) l'etica delle relazioni tra medico e paziente; b) i diritti dei pazienti e i temi della ricerca medica; c) l'elaborazione di giuste direttive dell'intervento statale sia per un'equa cura della salute che per una corretta distribuzione delle risorse a tal fine destinate" (v. Walters e Kahn, 1994, p. 1). Qui l'enfasi è posta precisamente ed esclusivamente sulle questioni mediche e comportamentali. Certamente, tali questioni predominano nel campo riconosciuto come proprio della bioetica; ma lo esauriscono del tutto? Non c'è distinzione tra bioetica ed etica biomedica? Alcuni, non riconoscendo alcuna differenza, preferiscono la dizione ‛etica biomedica'; altri la ritengono invece troppo ristretta. È possibile formulare una definizione più completa?
Warren T. Reich, anch'egli del Kennedy Institute of Ethics, propone una definizione più generale, nella nuova edizione riveduta, del 1995, della Encyclopedia of bioethics. Egli definisce, infatti, la bioetica come ‟lo studio sistematico delle dimensioni morali - che includono concezione, condotta, scelte e politiche - delle scienze della vita e della cura della salute, mediante l'utilizzo di approcci etici diversi e all'interno di un contesto interdisciplinare" (v. Reich, 1995, vol. I, Introduzione). Queste parole sono state ovviamente scelte con attenzione. Sono abbastanza specifiche per restringere la bioetica all'ambito dello studio della vita e della salute umana; ma sono al tempo stesso sufficientemente capaci di contenere le implicazioni generali di intuizioni, giudizi e aspirazioni moralmente accettate: una definizione applicabile a diverse culture nazionali, etniche e religiose del mondo.
Alcuni dei principali argomenti attuali della bioetica erano già familiari alla pratica medica; ad esempio, l'infanticidio, l'aborto, la disciplina e l'autorità dei medici. Fino al 1970 l'espressione usata per indicare l'insieme di questi argomenti era ‛buona medicina' o ‛etica medica'. È convenzionalmente accettato che la parola ‛bioetica' sia stata introdotta da un oncologo dell'Università del Wisconsin, Van Rensselaer Potter, nel 1971. Probabilmente, per una fortuita coincidenza, la stessa parola è stata usata nello stesso anno da un ostetrico della Georgetown University, l'olandese André Hellegers, che, sempre nel 1971, progettò e fondò il Kennedy Institute of Ethics. Sia Potter che Hellegers vanno riconosciuti come i fondatori della bioetica: il primo ne ha inventato il nome, il secondo le ha dato larga diffusione e consistenza istituzionale.
Il significato di ‛bioetica' e le sue implicazioni non sono state elaborate allo stesso modo dai due autori, anche se i loro concetti si sovrapponevano. L'interesse principale di Potter era quello di trovare le modalità di utilizzo delle nuove conoscenze biologiche allo scopo di migliorare la qualità dell'esistenza umana e assicurare la sopravvivenza dell'umanità evitando il deterioramento ambientale e l'inquinamento letale per la vita causato dalle emissioni radioattive delle centrali e delle armi nucleari. Hellegers condivideva queste preoccupazioni, ma si interessava molto anche dei problemi etici personali e professionali emergenti nel trattamento clinico di particolari malattie e nell'utilizzo di alcune terapie. Reich (che era collega di Hellegers) ha spiegato che Potter sperava nell'evoluzione di nuove intuizioni e norme etiche per il bene generale dell'umanità, mentre Hellegers voleva utilizzare metodi e teorie etiche già esistenti per risolvere problemi derivanti da particolari casi clinici. Un'altra differenza tra i due studiosi consiste nel fatto che le idee di Potter conservarono il carattere di proposta teorica, mentre Hellegers riuscì a dare alle sue concretezza organizzativa e istituzionale; in breve tempo, infatti, promosse contatti con persone di varia competenza e titolo accademico. Ed è proprio questo modello interdisciplinare di ricerca bioetica che si è imposto ovunque si affrontano questioni di bioetica.
b) Organizzazioni e istituzioni
Fino al 1970 esistevano soltanto pochi studi sui problemi etici della medicina e delle scienze della vita. Alcuni periodici prendevano in esame il nuovo campo di studio, ma nessuno di essi se ne occupava in modo specifico. Dal 1970 cominciarono ad apparire negli Stati Uniti alcuni saggi sul comportamento etico dei medici e sui problemi della contraccezione, dell'aborto e della sperimentazione medica sull'uomo. Si trattava di opere di moralisti cattolici come Gerald Kelly, Charles J. McFadden, Daniel Callahan, German Grisez, John T. Noonan e Charles Curran. Due studiosi protestanti, Joseph Fletcher e Paul Ramsey, avviarono un dibattito molto lungo sull'etica del problema ‛vita e morte': il primo sostenendo una relativistica ‛etica della situazione' (o ‛etica del contesto'), il secondo attenendosi a un rigoroso conservatorismo. Un'analoga controversia vi fu in Inghilterra tra Glanville Williams e St. John Stevas. Un medico della scuola di medicina di Harvard, Henry K. Beecher, aprì la discussione attuale sulla definizione di morte nel contesto della sperimentazione sull'uomo. E le atrocità dei ‛medici nazisti', denunciate nel corso del processo di Norimberga, spinsero Jay Katz e altri studiosi ad analizzare i problemi etici della sperimentazione sull'uomo, sia in Germania sia in altri paesi. Nel 1964 l'Associazione Medica Mondiale aveva già promosso la cosiddetta ‛Dichiarazione di Helsinki', che conteneva norme rigorose sul ‛consenso informato' del soggetto coinvolto in tale sperimentazione.
Questi sono stati i principali pionieri e precursori dell'attuale sviluppo della bioetica. Nel 1970 non era certo prevedibile che nei due decenni successivi sarebbe stato pubblicato un autentico diluvio di libri, riviste, articoli e saggi su periodici specializzati e sulla stampa quotidiana. Tale interesse mondiale per la bioetica ha trovato la sua espressione istituzionale, nel 1993, in oltre 350 università, istituti specializzati e centri medici. Alcuni di questi enti promuovono la ricerca fondamentale, organizzano conferenze, conferiscono titoli accademici e pubblicano riviste. Altri consigliano i governi o ne influenzano ufficiosamente la formazione dei programmi e delle leggi. Altri ancora sono direttamente collegati a chiese o a varie organizzazioni religiose. Anche se ognuna di queste istituzioni meriterebbe di essere citata, ci limitiamo a ricordare le più note: l'Istituto Siciliano di Bioetica, Palermo; il Centro di Bioetica, Roma; il Centro di Etica Biomedica, Milano; il Comitato Nazionale per la Bioetica, Roma; l'Istituto Borja di Bioetica, Barcellona; il Centro di Etica Medica, Oslo; il Consiglio Danese di Etica, Copenhagen; l'Istituto di Etica Eubios, Tsukuba (Giappone); molti Centri di Bioetica Umana, Australia; il Centro di Ricerca Bioetica, Dunedin; l'Istituto di Etica Medica, Londra; il Centro Hastings, New York; il Centro di Etica, Medicina e Questioni Pubbliche, Houston; il Centro Park Ridge, Chicago; il Centro di Etica Biomedica, Minneapolis. E molti altri.
La bioetica si sviluppa inoltre attraverso relazioni e contatti internazionali, che fanno capo a diverse organizzazioni: il Consiglio per le Organizzazioni Internazionali di Scienze Mediche (CIOMS), Ginevra; la Commissione Internazionale di Bioetica dell'UNESCO, Parigi; l'Associazione Internazionale di Diritto, Etica e Scienze, Parigi; l'Associazione Europea di Centri di Etica Medica, Lovanio; la Commissione del Consiglio d'Europa, Strasburgo. Una Associazione Internazionale di Bioetica, con membri di molti paesi, ha la sua sede presso l'Università Monash in Australia. Il numero di queste istituzioni, centri, commissioni e associazioni continua ad aumentare quanto più la gente di tutti i paesi presta una crescente attenzione all'importanza della bioetica.
2. Criteri e metodi
a) I quattro principî canonici
Molti autori, occupandosi di bioetica e ricercando una guida per il ragionamento morale, hanno trovato un valido riferimento nel ricorso a quattro principî: autonomia, beneficenza, non-maleficenza e giustizia. I termini che li individuano, benché astratti, hanno reali implicazioni sia per il pensiero che per l'azione. Questi principî sono stati ampiamente trattati nel libro Principles of biomedical ethics, di Tom L. Beauchamp e James F. Childress (v., 19944), libro che ha avuto una notevole influenza. Il riferimento a tali principî è noto come ‛principialismo'. Essi offrono una guida al pensiero, anche se non possono essere considerati come una formula semplice e infallibile per un'etica corretta. Va notato che non tutti sono concordi nell'attribuire uguale autorità ai quattro principî. Alcuni riducono la beneficenza e la non-maleficenza a un unico principio, enfatizzando a volte l'una, a volte l'altra. Altri considerano sufficienti l'autonomia e la beneficenza. Altri ancora riprendono il concetto greco di virtù come comprensivo dei valori morali essenziali per la bioetica.
1) Autonomia significa letteralmente ‛la legge dentro se stessi' e, in questo significato, deriva dal pensiero filosofico illuministico del XVIII secolo e dal pensiero politico democratico. Essa presuppone l'integrità e il valore incommensurabile della singola persona. Alla base di tale presupposizione può esservi sia un'intuizione secolare, sia la verità divina rivelata circa la libertà della singola persona all'interno di una comunità. Tuttavia, l'autonomia non significa individualismo sfrenato o libertà di agire irrazionalmente. Il fondamento dell'autonomia, essendo nel rispetto del sé in quanto persona, garantisce la libertà di pensiero e di scelta non solo per sé ma anche per chiunque altro. In tal senso l'autonomia è un principio universale fondato sulla natura umana.
In bioetica due sono le situazioni comuni nelle quali ci si appella al principio di autonomia in quanto esso autorizza una certa decisione e un certo agire. Una è quella del paziente bisognoso di un certo trattamento, consigliato dal medico, e al quale egli decide se sottoporsi o meno. L'altra situazione è relativa a un certo protocollo di sperimentazione sull'uomo, per il quale all'interessato (o al suo tutore, se incapace o minore) viene richiesto un suo ‛consenso informato'. Anche se l'osservanza del principio può avere esiti imprevisti o sfortunati, esso resta comunque inderogabile.
Un principio correlato di etica clinica è il rispetto per il ‛migliore interesse' del paziente. Esso rappresenta anche una regola di particolare valore che permette di rispettare il paziente come persona, ma in alcuni casi deve essere subordinato all'autonomia. Negli ultimi anni, tuttavia, i medici hanno protestato contro il fatto che sia stata eccessivamente enfatizzata la priorità dell'autonomia a svantaggio sia del miglior interesse della salute del paziente, sia dell'autorità professionale del medico. (Si tratta della situazione opposta al presunto ‛paternalismo' mostrato dai medici che trascuravano o prevaricavano i desideri del paziente). In tal modo, la relazione ideale di rispetto e di fiducia reciproci tra medico e paziente viene a essere ostacolata. Benché il principio dell'autonomia resti un proposito ineccepibile, esso, per quanto detto, può essere fonte di forti contrasti in un dato ambito clinico (clinical setting). D'altra parte è ovvio che molti pazienti, in effetti, perdono il loro diritto di autonomia per una o entrambe le seguenti ragioni: essi possono riconoscere le modalità di consenso che richiedono la loro firma come troppo complesse per considerarsi autenticamente ‛informati'; oppure, i pazienti possono avere una tale fiducia nella professionalità del medico da acconsentire al trattamento spontaneamente e con riconoscenza.
2) La beneficenza, ossia fare il bene, è una virtù universale, universalmente riconosciuta e accettata. Il significato concreto del termine nelle diverse culture e nelle diverse situazioni umane dipende dai concetti e dalle definizioni accettate relativamente a ‛ciò che è bene'. È noto che una buona intenzione non produce necessariamente un'azione buona: questa può derivare, per ironia, da una intenzione indifferente o anche malevola. Secondo la teoria etica del doppio effetto, fare male (uccidere un feto) può avere effetti, ambiguamente, buoni (salvare la vita della madre). Anche nell'esperienza ordinaria le persone che vogliono fare il bene sono deluse e frustrate quando le loro azioni si rivelano inutili o anche dannose. Paradossi e dilemmi nell'ambito della bioetica esemplificano la classica disarmonia tra volontà e atto. Comunque, la beneficenza rimane lodevole se praticata da chiunque partecipi alla conservazione della salute mediante la ricerca medica e l'assistenza unita alla cura del malato. Ancor più che lodevole, la beneficenza in tale contesto è un dovere umano. Non è una libera scelta, come l'assunzione di un atteggiamento altruista in talune occasioni e non in altre. Nella misura in cui un individuo può controllare di proposito la sua volontà e la sua intenzione, è obbligato a ricercare la salute e il benessere degli altri.
3) La non-maleficenza nella pratica medica è il primo obbligo del medico riconosciuto sin dall'epoca classica. Anche oggi, pur nella complessità della bioetica, continua a essere considerato come una regola restrittiva. Definire la non-maleficenza non è così semplice come può apparire a prima vista. Una persona può evitare di fare danni semplicemente non facendo nulla in una situazione ove nessuna azione è prevista o richiesta. Ma l'inazione, la passività e la neutralità non equivalgono alla non-maleficenza. Come nel Decalogo di Mosè, il principio di non-maleficenza sottintende la possibilità, la tentazione o l'inclinazione a fare il male a qualcuno: mentire, rubare, uccidere. Esso vuol dire non fare il male per disattenzione, negligenza o sottrazione a un rischio indebito oltre che per intento. Un ricercatore, un infermiere o un chirurgo non possono evitare la colpevolezza per distrazione o negligenza, se queste causano un danno. Ma il rischio è un concetto ambivalente: in molti protocolli di ricerca e di trattamento dei pazienti c'è un elemento di rischio che può causare danni; pertanto, se il calcolo o il rischio del danno superano la probabilità del beneficio, la procedura dovrebbe essere ovviamente abbandonata. L'enorme numero di controversie legali relative alla imperizia del medico - specialmente negli Stati Uniti - sta a dimostrare il pericolo connesso tanto alla pratica rischiosa intenzionale quanto a quella non intenzionale. Le sanzioni penali imposte dai giudici sono così pesanti che alcuni medici, specialmente gli ostetrici, si sentono minacciati al punto da abbandonare l'esercizio della loro professione. Per evitare di commettere azioni dannose ci sono due modalità di difesa. Una, naturalmente, è lo strumento scritto e firmato del consenso informato. L'altra è il riferimento al Comitato Istituzionale di Controllo di un ospedale, all'università o istituto di ricerca, o anche a un ente governativo regolatore con potere di controllo su ogni attività eccessivamente rischiosa.
4) La giustizia è un principio della bioetica perché il riferimento ad essa permette di risolvere problemi di uguaglianza ed equità tra i cittadini nella tutela della salute e nelle cure mediche. Questo principio, infatti, aiuta a proteggere i poveri e i deboli dalla privazione di benefici sanitari da parte dei ricchi e dei potenti. La domanda di giustizia in ogni Stato esige la presenza contemporanea di politiche e leggi opportune, di un popolo caritatevole e rispettoso delle leggi, oltre che di enti incaricati dell'imposizione fiscale. Ma gli attuali conflitti in paesi tecnologicamente avanzati dell'Europa, del Nordamerica e dell'Asia orientale dimostrano come sia estremamente difficile applicare questo tipo di giustizia dove le risorse sono abbondanti. Nei paesi in cui prevale la povertà, la domanda di giustizia sembra pressoché illusoria. Eppure, in tutti gli Stati la gente resta legata al principio di giustizia. La perdita della speranza di realizzare ‛un'equa giustizia secondo la legge' e ‛un accesso egualitario ai servizi medici' avrebbe esiti disastrosi.
b) I quattro principî considerati come regole etiche
I principî sono come salde colonne che sorreggono le strutture della bioetica, essendo stati riconosciuti per secoli come universalmente validi. Essi derivano dal patrimonio comune dell'esperienza filosofica, giuridica e religiosa della civiltà occidentale. (Solo recentemente studi e contatti culturali hanno mostrato la compatibilità dei quattro principî con le filosofie asiatiche). Come dovrebbero essere applicati ai casi concreti della riflessione bioetica? Ci sono due modi fondamentali di interpretare il significato e l'autorità dei principî. Il primo è detto deontologico: cioè, i principî sono imperativi che prescrivono l'obbligazione e il dovere morale. Il secondo modo è chiamato ‛utilitarista': cioè, i principî sono utili (producono utilità) nella misura in cui hanno come conseguenza la felicità o il piacere per le persone coinvolte. Nel primo caso, i principî meritano e richiedono il più alto rispetto perché sono intrinsecamente veri e validi come norme del comportamento umano e del ragionamento morale. Se sono considerati come appartenenti alla fede religiosa, la loro verità è garantita dalla volontà divina, come è rivelato nei concetti biblici della dignità umana individuale (‛immagine di Dio') che riflette l'amore divino, la pietà e la giustizia o rettitudine. Se sono considerati come principî secolari, sono gli ‛imperativi categorici' dell'etica, che Immanuel Kant insegnò essere fondamentali per la vita morale. Sia che vengano usati in senso religioso che in senso secolare, i principî sono espressione della legge naturale. Sono analoghi alle leggi della fisica o della chimica. Così come c'è un ordine naturale delle cose, c'è anche un ordine morale. La violazione delle regole di entrambi gli ordini può avere come conseguenza un certo tipo di punizione, temporale o eterna, per chi ha commesso la violazione. Finalità della bioetica, comunque, non è quella di fungere da tribunale che processa coloro che sono accusati e condanna i trasgressori colpevoli. Piuttosto, la bioetica dovrebbe servire per guidare le persone a prendere decisioni che siano moralmente giuste e a impedire loro di fare del male, o anche per aiutarle a scegliere tra opzioni di diversa rilevanza morale.
c) L'utilità come valore primario
L'alternativa al metodo formale del principialismo è l'utilitarismo, chiamato anche consequenzialismo, poiché il suo oggetto primario di studio è quello delle conseguenze pratiche di una scelta morale. Esso non esclude i principî di autonomia, beneficenza, non-maleficenza e giustizia, essendo evidente la loro importanza, ma li subordina al criterio di utilità. Nell'elaborazione di una specifica linea di condotta per la pratica o la sperimentazione medica, l'utilitarismo si chiede ogni volta quale decisione morale possa assicurare il maggior bene in vita al maggior numero di persone coinvolte.
d) I fattori di razza e di genere
Anche se molti studiano e discutono l'aspetto teoretico della bioetica, tuttavia non si limitano al pensiero analitico, comparativo o casistico. Essi pensano e riconoscono l'autorevolezza razionale del principialismo, ma nello stesso tempo prendono in considerazione altri aspetti della realtà e del pensiero attuali che sono pertinenti alla bioetica. Ad esempio, la diversa composizione delle popolazioni, rapidamente crescente a causa delle migrazioni, dell'urbanizzazione e delle trasformazioni sociali. La percezione dei principî etici e di casi singoli da parte di una minoranza razziale o etnica in Europa o nelle Americhe può differire significativamente dalla percezione di altri gruppi ed etnie. Vi sono continue controversie tra la gente sui giudizi per quanto riguarda la cura sanitaria, il controllo della fertilità, il benessere sociale, l'educazione e le ideologie della superiorità etnica e razziale. Per esempio, alcuni popoli africani accusano le nazioni bianche dominanti di promuovere la contraccezione allo scopo di ridurre il numero dei neri, più che per migliorarne la vita.
Un altro fattore nuovo di crescente importanza è il riconoscimento delle differenze tra maschi e femmine, al di là dell'aspetto fisiologico. Esse sono più profonde e complesse di quanto fossero prima della rapida crescita del femminismo. Le donne, ovviamente, sono più coinvolte degli uomini nei problemi della riproduzione e della cura dei bambini. Le emozioni, la sensibilità e le ragioni delle donne tendono a essere meglio comprese. E il ruolo delle donne nelle professioni, nella scienza e nel settore dirigenziale si sta espandendo negli ambiti nei quali la bioetica è rilevante. Tuttavia, con le conquiste arrivano anche le perdite. Per esempio, le nuove tecnologie che riguardano la riproduzione e la fertilità a beneficio delle donne aumentano la loro autonomia, la loro libera scelta relativamente a gravidanza, procreazione o aborto. Ma, ora, la stessa tecnologia della diagnosi prenatale che favorisce l'aborto, è usata in Cina e in India, così come, anche se in misura minore, in Europa e nelle Americhe, per eliminare embrioni, feti e neonati femmine.
In conclusione, per quanto riguarda i criteri e le metodologie della bioetica, ciò che più conta è trovare un ampio consenso sul significato e sul valore della vita umana e sui modi per proteggerla e migliorarla.
3. La bioetica e l'inizio della vita umana
a) La nuova genetica
Molto prima della scoperta della struttura dell'acido desossiribonucleico (DNA) nel 1953, l'osservazione comune e la ricerca scientifica riconoscevano che molti tratti fisici, le anomalie invalidanti, alcune malattie e persino taluni modelli di comportamento fossero congeniti. Fino al 1953 la genetica era una scienza descrittiva, statistica, basata su genealogie familiari. Dopo la scoperta del DNA, la genetica divenne una scienza basata sulla biochimica molecolare. Prima, studiando le storie familiari e registrando il verificarsi di invalidità e di malattie, era possibile azzardare ipotesi per identificare certi portatori di anomalie genetiche. Ora è possibile determinare quali portatori siano maschi e quali femmine. Inoltre, le tecniche raffinate per esaminare il sangue materno, le cellule embrionali e i tessuti fetali, hanno consentito ai ricercatori e agli ostetrici di predire la condizione del bambino prima della sua nascita. Più recentemente, i genetisti hanno mostrato la capacità, oltre che di diagnosticare e predire, anche di evitare certe malattie e di alleviare parzialmente la sofferenza da queste causata. È incoraggiante sapere che circa 200 malattie causate dai rispettivi geni possono oggi essere identificate e previste prima della nascita. È un numero piccolo se comparato alle oltre 4.000 varietà di malattie congenite sinora identificate. Ma un lavoro di ricerca pianificata caratterizza ora il Progetto Genoma Umano, lanciato nel 1989 negli Stati Uniti. Il progresso verso l'identificazione (mappatura) dei 100.000 geni calcolati nella molecola di DNA di ogni cellula del corpo è così rapido che tale obiettivo potrà essere raggiunto molto prima del 2005, anno previsto per il suo completamento. Nel frattempo, la ricerca genetica e le relative tecniche hanno suscitato notevoli problemi riguardanti le scelte etiche, che obbligano a un confronto sempre più ampio un crescente numero di donne e uomini, pazienti e medici, avvocati e teologi, ricercatori e responsabili della politica nazionale.
b) Test, screening, riflessione, decisione
Il test genetico può essere effettuato su individui, coppie, famiglie e gruppi. Lo screening è un termine più specifico, che si riferisce all'esame attuato su vaste sezioni della popolazione. Due casi di screening con esito favorevole furono quelli condotti su un ampio numero di persone con caratteristiche omogenee per tentare di vincere due malattie mortali tipiche di due gruppi di popolazioni: gli Ebrei ashkenaziti del Nordamerica e i Greci ortodossi di Cipro. La malattia degli Ebrei era la sindrome di Tay-Sachs; quella dei Ciprioti la β-talassemia. L'omogeneità e il rispetto per l'autorità religiosa propria di entrambe le comunità hanno reso effettivamente possibile realizzare programmi di consulenza per la coppia. Mediante un'opera di persuasione, le coppie non sposate, riconosciute come portatrici di anomalie, hanno acconsentito a non sposarsi e quelle sposate a non avere figli. Il risultato fu che entrambe le malattie vennero di fatto debellate. Un risultato con esito sfavorevole è stato ottenuto invece da un programma di screening negli Stati Uniti, attuato su cittadini neri allo scopo di ridurre i casi di anemia drepanocitica. Nonostante lo screening fosse imposto per legge, non solo fallì, ma fu anche causa di un turbamento pericoloso. La gente non era adeguatamente informata sui fatti genetici elementari. Coloro che risultarono essere portatori furono ingiustamente emarginati, al punto da perdere il lavoro e l'assicurazione sulla salute. Dunque il programma di screening fu abbandonato. Fu certamente una lezione significativa su come uno screening pubblico non dovrebbe essere attuato, ma ciò non mostra l'infondatezza di programmi condotti in modo appropriato. Uno screening che ha avuto un notevole successo ed è divenuto ormai frequente è quello, condotto su neonati, per la fenilchetonuria, una malattia efficacemente trattata mediante un controllo dietetico. L'esame prenatale sulla popolazione in Gran Bretagna e in Irlanda per la spina bifida (un difetto del tubo neurale) è divenuto prassi consolidata. Dalla scoperta nel 1989 del gene della fibrosi cistica, che ha un'alta incidenza tra la popolazione bianca della Scandinavia e del Nordamerica, sono stati presi in considerazione programmi di screening per l'identificazione dei portatori, ma non sono stati ancora realizzati. Anche il cancro della mammella è una malattia comunemente diffusa che può essere diagnosticata mediante lo screening.
L'analisi cromosomica, attuata su singoli uomini e donne, da un lato può escludere con certezza che essi siano portatori di anomalie, dall'altro lato (nel caso di esito positivo) può suscitare problemi e decisioni angoscianti in relazione al matrimonio e alla riproduzione. I consulenti genetici possono descrivere i rischi del concepimento di bambini malati se uno o entrambi i genitori sono portatori di un gene o di una mutazione deleteri. L'esame offre alla coppia che vi si sottopone determinate opzioni, ma nessuna senza angoscia per loro e senza rischi per la progenie: se non sono ancora sposati, essi possono decidere di non unirsi in matrimonio; altrimenti, possono decidere di non avere bambini o di adottarne. Sapendo chi è il portatore, essi possono tentare di avere un bambino ricorrendo all'inseminazione artificiale o alla donazione dell'ovulo da parte di una terza persona. Oppure, possono decidere di avere comunque una gravidanza, rischiando una delusione, e sottoponendo poi la donna e il feto a un esame in utero. Se il test è positivo, la loro opzione può essere o quella dell'aborto, o quella di far nascere il bambino e di curarlo in seguito in modo specifico. Ognuna di queste alternative è inevitabilmente carica di incertezze e di problemi. Ma la spinta a procreare e a gioire della prole è umanamente irreprimibile.
Anche la diagnosi post-natale di malattie genetiche causa problemi che suscitano perplessità, poiché, come nel caso della corea di Huntington e del morbo di Alzheimer, non è ancora conosciuto il trattamento terapeutico relativo. Una persona risultata positiva al test genetico per una di queste due malattie deve vivere quaranta o più anni di ansia e paura, sapendo che i loro effetti debilitanti sul sistema nervoso saranno inevitabili. Alcuni ritengono che sarebbe insopportabile vivere con tale consapevolezza, la quale potrebbe portare una persona fino al suicidio. Emerge la questione filosofica e religiosa se quaranta o più anni di vita normale valgano la sofferenza e la tragedia che sicuramente giungerà negli ultimi anni. A causa di questa grave incertezza, alcuni membri di famiglie note come portatrici di tali anomalie genetiche rifiutano di sottoporsi all'esame genetico, affrontando in tal modo un futuro incerto.
La determinazione prenatale del sesso, o genere, mediante l'esame genetico alimenta un'altra questione etica di crescente rilievo. Essa include il problema del riserbo tra medici e pazienti. Indagini fatte rivelano che molti medici rifiutano di dare informazioni sul sesso del feto, ad eccezione dei casi di ritardo mentale legato alla sindrome del cromosoma X fragile, trasmessa soltanto dai cromosomi femminili (X). Altri medici e consulenti acconsentono a rivelare l'informazione sul sesso perché i genitori in attesa sono naturalmente curiosi di sapere se fare progetti per una femmina o per un maschio. Comunque in alcuni paesi dove i maschi sono di gran lunga preferiti alle femmine, i metodi diagnostici oggi disponibili (specialmente l'ecografia) possono divenire motivo di morte per feti femmine. In Cina e in Giappone, ma non solo in questi paesi, le tradizioni culturali e le difficoltà economiche concorrono a determinare aborti e anche infanticidi di questo tipo. In paesi dove le femmine non sono condannate in tale modo, la questione dell'aborto di feti di entrambi i sessi è umanitaria o religiosa. Hanno i genitori il diritto di rifiutare arbitrariamente ciò che la natura, o Dio, sta donando loro? Così come in altre circostanze che riguardano la procreazione, i bioetici si chiedono se sia lecito considerare la progenie alla stregua di un mezzo di appagamento o come oggetto di manipolazione tecnologica.
c) Pre-impianto
La selezione di embrioni da impiantare è impiegata non solo per predire il verificarsi di una malattia genetica, ma anche e soprattutto per consentire la nascita di bambini senza tali patologie. A Londra, nel 1992, l'équipe di A. H. Handyside è riuscita a far nascere da genitori portatori dei geni della fibrosi cistica una bambina priva di tale anomalia. Ciò è stato possibile impiegando in primo luogo il metodo usuale della fecondazione in vitro di ovuli della moglie con lo sperma del marito. Tre giorni dopo gli zigoti erano composti di sole quattro o otto cellule. Nelle sei ore disponibili prima della successiva divisione delle cellule, i ricercatori usarono una siringa microscopica vuota per estrarre ed esaminare i nuclei delle cellule. Essi poterono rapidamente amplificare singole molecole di DNA per miliardi di volte mediante la reazione polimerasica a catena (PCR) e poi velocemente scoprire ed eliminare ogni sequenza che contenesse il gene della fibrosi cistica. La cellula sana venne rapidamente posta nell'utero della donna, dove si impiantò naturalmente, divenendo un embrione, poi un feto che nacque senza la fibrosi cistica. Questo esperimento è stato ripetuto da allora con successo, anche se un notevole numero di embrioni è andato perduto. La procedura è stata criticata per ragioni morali e religiose, poiché implica ciò che secondo alcuni è un aborto. Questo punto è discusso da alcuni embriologi, che distinguono tra pre-embrione ed embrione. Essi sostengono che fino al quattordicesimo giorno della gestazione le cellule sono totipotenti, ognuna di esse, cioè, può dar origine a un intero organismo. Esiste ancora la possibilità della gemellazione monozigotica con lo sviluppo di un identico genoma. Dopo tale stadio, con l'impianto nella parete uterina, il pre-embrione diviene embrione e solo da questo momento, secondo alcuni, si può parlare di aborto. Ma questa tesi è fortemente criticata. Altri considerano le nascite con buon esito come la premessa dello sviluppo di un modo più efficiente, meno costoso, facilmente disponibile, per evitare altre malattie genetiche. Questo non è, comunque, un esempio di reale terapia genica.
d) Terapia genica
La terapia genica differisce dalla modifica degli embrioni effettuata precedentemente al loro impianto in quanto riguarda i pazienti che manifestano già una patologia. Ciò richiede la modificazione del materiale genetico di certe cellule del corpo, sia eliminando i geni che causano la malattia e sostituendoli con altri sani, sia introducendo i geni necessari nei siti specifici dell'organismo. La prima applicazione sull'uomo (dopo la ricerca sull'animale) fu condotta nel 1991 da W. French Anderson dei National Institutes of Health statunitensi. Fu preceduta da parecchi anni di revisione regolamentare estremamente cauta, ed ebbe successo. La malattia in questione, veramente rara e altrimenti incurabile, è dovuta a deficit dell'enzima adenosin-deaminasi (ADA). La procedura implicò un trapianto di midollo osseo secondo le metodiche sviluppate per il trattamento di alcune forme di cancro, in seguito al quale le cellule del sangue contenenti il gene letale vennero sostituite da cellule in grado di produrre l'enzima. Nello stesso anno un'équipe di ricercatori di Milano ricevette l'approvazione dal Comitato Nazionale per la Bioetica per il trattamento terapeutico di una ragazza affetta dalla stessa malattia. Da allora si è entrati nella fase da tempo attesa della terapia genica, che ha avviato la ricerca di protocolli per un certo numero di malattie, tra le quali alcuni tipi di cancro.
Va sottolineata l'importante distinzione tra cellule somatiche e cellule germinali (sessuali). Attualmente la terapia genica è limitata alle cellule somatiche di un individuo, per il beneficio della sola persona su cui si interviene, ed esclude, invece, le cellule degli organi riproduttivi del corpo, maschili o femminili. Ogni alterazione genetica delle cellule sessuali potrebbe modificare irreversibilmente un numero indeterminato di generazioni successive. Tuttavia, è stato detto che con il perfezionamento delle tecniche si potrebbero eliminare le malattie congenite e ciò rappresenterebbe un progresso di eccezionale rilevanza. Ma gli oppositori di questa tesi hanno variamente argomentato negli ultimi vent'anni che i rischi e i pericoli possibili sono troppo grandi. Non si può infatti sapere in anticipo quali mutazioni ed effetti collaterali dannosi potrebbero derivare dalla manipolazione dei geni. Essi indicano come esempio le conseguenze devastanti dell'ignoranza e dei rischi presenti nei campi della chimica industriale, farmaceutica e dell'energia nucleare. Inoltre il tempo generazionale della riproduzione umana è troppo lungo per consentire il tipo di sperimentazione attuabile su topi o altri piccoli animali. A ciò va aggiunto che le manipolazioni sulla linea germinale per la correzione di malattie potrebbero aprire la strada a tentativi di modificare i caratteri umani a scopi eugenetici. Per queste ragioni la ricerca sulla linea germinale è fortemente contrastata dalle Chiese e da molte commissioni nazionali di bioetica. Fortunatamente per la causa che sostengono questi ultimi, i genetisti dicono che la tecnica di laboratorio per modificare le cellule della linea germinale non è ancora conosciuta. Tuttavia è ipotizzabile per il futuro lo sviluppo di una tecnica priva dei danni temuti: ma questa è solo una possibilità teorica. Allo stato attuale un documento del 1994 elaborato dalla Convenzione per la Bioetica del Consiglio d'Europa vieta ogni manipolazione sulle cellule germinali.
Il miglioramento eugenetico dei caratteri e del comportamento umano è materia connessa con la terapia genica. L'ingegneria genetica è vista come un nuovo strumento per realizzare un vecchio sogno - il perfezionamento delle caratteristiche e delle capacità fisiche. In effetti, quando agli inizi del XX secolo la scienza genetica era ancora giovane, la motivazione eugenetica era molto forte.
e) Eugenetica
Le pratiche sociali di alcuni programmi politici hanno spesso enfatizzato la ‛buona' procreazione e l'eliminazione di etnie ritenute pregiudizialmente pericolose mediante restrizioni migratorie o sterilizzazione dei deboli e ritardati mentali arrivando fino allo sterminio di intere popolazioni di uomini considerate ‛inferiori'. La storia delle atrocità della Germania nazista commesse nel nome dell'eugenetica è la più aberrante nella storia moderna ed essa riemerge nel ricordo di molte persone che oggi, con l'ingegneria genetica, vedono ritornare con nuove potenzialità l'ideologia dell'eugenetica.
Queste potenzialità si sono già manifestate nel campo della genetica animale non umana. Combinando geni di specie animali diverse, come pecore e capre, sono stati prodotti ibridi transgenici. Trattando i gameti di topo con gli ormoni umani della crescita sono stati prodotti topi giganti. L' ‛onco-topo', prodotto dall'ingegneria genetica per lo studio del cancro, è stato il primo animale a essere effettivamente ‛brevettato' nel 1988. Attualmente sono disponibili nei laboratori specializzati più di 100 topi transgenici dotati di differenti caratteristiche genetiche. Le tecniche di ingegneria genetica hanno permesso di ottenere esemplari capaci di generare una prole con un minore quantitativo di grassi. Grazie ad allevamenti selezionati per la produzione di latte e carni sono diventati normalmente commerciabili prodotti geneticamente manipolati. Utilizzando tecniche come l'inseminazione artificiale, la clonazione di embrioni e il loro impianto nell'utero di mucche-madri sostitutive, gli allevatori di bestiame hanno migliorato la qualità e hanno aumentato la quantità dei capi. Poiché i Mammiferi hanno molti geni e gran parte della morfologia in comune, ci si chiede: ‟Perché non usare questi stessi metodi a beneficio di esseri umani più forti, più sani, più intelligenti?"
Alcune cliniche per la fertilità e banche di seme maschile per l'inseminazione artificiale già promettono di facilitare la nascita di bambini straordinari, dotati di geni che assicurano il miglioramento eugenetico. La teoria che sostiene tali offerte è discutibile, anche se alcuni vi credono.
L'aumento di statura di bambini in crescita è oggi stimolato dall'ormone umano della crescita (il fattore VIII), prodotto dall'ingegneria genetica e disponibile in commercio. Questo fatto riguarda l'eugenetica o la cosmetica? O entrambe? Le persone alte sono generalmente considerate più belle e sessualmente più attraenti di quelle di bassa statura. Esse hanno inoltre un provato vantaggio economico come lavoratori, atleti professionisti e uomini d'affari. Da ciò si può ricavare che la statura alta è considerata un fattore di importanza ben maggiore della bellezza pura e semplice.
L'ideologia popolare della supremazia genetica pone la questione antropologica dell'identità e del valore dell'uomo. Essa influisce sul reciproco rispetto delle persone nelle società umane, nelle nazioni e nel mondo. I nemici politici e militari vengono molto disprezzati quando le persone che si autodefiniscono ‛superiori' li chiamano ‛inferiori', con etichette discriminatorie. I disabili con handicaps congeniti sono spesso considerati inferiori e una minaccia per la popolazione sana. Fin troppo frequentemente il pregiudizio della superiorità razziale è espresso da comportamenti individuali e sociali spregevoli. È molto improbabile che possano avere successo programmi sociali finalizzati al miglioramento di ogni aspetto della condizione umana. Ma singoli ricercatori, guidati dalla naturale curiosità e non frenati da codici morali o religiosi, tenteranno ancora di migliorare la natura umana. Tuttavia, questo loro intento può essere limitato da leggi dello Stato, come quella francese del 1994 che recita: ‟Toute pratique eugénique tendant à l'organisation de la sélection des personnes est interdite" (è vietata ogni pratica eugenetica mirante a organizzare la selezione delle persone).
f) Brevetti
Il brevetto dei geni crea problemi nuovi per la filosofia, il diritto, l'etica e la teologia. La protezione della ‛proprietà intellettuale' di un soggetto è la ragione che giustifica i diritti d'autore e i brevetti. Ma vi sono differenze tra le nazioni riguardo a quali proprietà siano legittimamente soggette a una protezione esclusiva per l'inventore. Vi sono inoltre differenze nella distinzione tra le ‛scoperte' di fenomeni naturali e le ‛invenzioni'. Nel campo della botanica, una specie di pianta recentemente osservata e classificata non può essere brevettata. Mentre una pianta ibrida che non esiste in natura, ma che esiste per l'ingegnosità umana nella ricerca, può essere brevettata. Quest'ultima prassi è stata ammessa da molti anni in agricoltura per la produzione di semi. Ma la manipolazione genetica del ‛seme' degli animali, e in particolare dell'uomo, può essere, per analogia, accettata negli stessi termini? La questione è estremamente complessa e molto dibattuta. Vi è una grande differenza, pari alle estensioni degli oceani che li separano, tra le relative scelte specifiche degli Stati Uniti, dell'Europa e dell'Asia. Le Nazioni Unite hanno istituito una Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale al fine di cercare accordi che dovrebbero escludere conflitti e controversie sull'uso del materiale genetico. Il dissenso degli Europei nei confronti dei brevetti è stato espresso da Daniel Cohen, il principale genetista del Centro di Studi sul Polimorfismo Umano di Parigi. Egli ritiene che il genoma umano appartenga a tutta l'umanità, così come tutte le stelle. Questa concezione prevalente in Europa è stata formulata in una conferenza generale sul genoma umano svoltasi nel 1993 a Bilbao, in Spagna. In essa venne dichiarato: ‟La conoscenza genetica è retaggio dell'umanità e dovrebbe circolare liberamente". Il dibattito internazionale continua, poiché l'importanza della genetica cresce costantemente.
g) Riproduzione assistita
L'inseminazione artificiale iniziò nel 1776, quando Lazzaro Spallanzani introdusse il seme di un cane nell'utero di una cagna. Due secoli dopo, la procedura è divenuta di ordinaria amministrazione, ma le sue varianti si sono moltiplicate. Non c'è solo una possibilità per una donna infeconda che voglia essere resa gravida dall'iniezione di sperma del marito o dalla fecondazione in vitro e successivo impianto dell'embrione. Il gamete può provenire da un secondo uomo anonimo, più spesso un venditore che un ‛donatore', essendo il marito funzionalmente sterile; oppure la donna può non avere un marito, sia per scelta sia per necessità, come nel caso di una omosessuale che abbia un consolidato rapporto di coppia. Lo sperma usato per l'inseminazione è più spesso congelato che fresco, e viene acquistato da una banca, di frequente non regolamentata, che lo commercializza. Per alcune donne che credono nell'eugenetica, la descrizione del donatore anonimo, fornita insieme allo sperma, consente una ‛scelta germinale' che soddisfa i loro desideri. Se lo sperma del marito è stato intenzionalmente congelato per un lungo periodo, potrebbe essere usato in un periodo successivo, a seconda dei progetti della coppia; oppure potrebbe essere usato in qualsiasi momento dalla moglie, dopo la morte prematura del marito.
Di converso, l'ovulo, o gli ovuli, potrebbero essere ‛donati' da una seconda donna per essere fecondati in vitro dallo sperma del marito ed essere posti nell'utero di sua moglie. Ma se questa è fisicamente incapace di portare a termine la gravidanza, la coppia può trasferire l'ovulo fecondato in vitro nell'utero di una seconda ‛madre' sostitutiva. Queste non sono le uniche varianti possibili della procreazione assistita, e le procedure non sono così semplici e meccaniche come potrebbero sembrare. Gli uomini e specialmente le donne devono mettere in conto le condizioni di stress che determinano in loro la necessaria preparazione clinica, il prelievo di uno o più ovuli, l'assunzione di ormoni, nonché l'alto costo sia emotivo che economico della procedura e la semplice ma frequente eventualità di non raggiungere lo scopo della gravidanza e della nascita. E anche dopo l'esito positivo della nascita di bambini, permangono incertezze psicologiche e legali connesse con l'anonimato di un padre gametico, o con la legalità della madre sostitutiva, così come i problemi circa i diritti di eredità.
Poiché la pratica della procreazione assistita continua a diffondersi, specialmente nell'Europa occidentale, nel Nordamerica, in Australia e in Nuova Zelanda, le relative discussioni e controversie si sono incentrate su tre interrogativi: 1) è moralmente accettabile? 2) è legale? 3) come può essere regolata? Ma non possono essere date risposte esaustive da persone che muovono da diversi punti di vista a causa delle necessarie distinzioni tra le varie tecniche di riproduzione assistita.
Evidentemente la valutazione più coerente e insieme più negativa della procreazione assistita è quella espressa dalle autorità vaticane nella Donum vitae, o Istruzione su Il rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, del 1987. Giudizi ponderati e diversificati relativamente alle varie tecniche vengono esclusi, poiché tutte violano la regola essenziale del rapporto sessuale, ossia l'unione di coppie di sposi che salvaguardano la possibilità della fecondazione. L'inseminazione artificiale è vietata perché implicherebbe necessariamente la masturbazione. La maternità sostitutiva aggrava lo scandalo. Queste proibizioni si basano tanto sul concetto che la Chiesa cattolica romana ha della vita, considerata santa perché donata da Dio, quanto sui concetti del diritto naturale. Tali concetti appartengono all' ‛etica primaria' (o seamless robe, vestimento primario) del rispetto e difesa della vita umana. Infatti, l'attribuzione di un valore inestimabile alla vita umana, fin dal suo primo inizio con la fecondazione, non è motivata soltanto dalla considerazione della vita biologica dell'uovo fecondato, ma anche dal suo essere persona potenzialmente portatrice di proprie finalità. Esiste inoltre una tecnica ritenuta permissibile dalla Chiesa e denominata Gamete Intra-Fallopian Transfer (GIFT o trasferimento del gamete nelle tube di Falloppio) la quale facilita la fecondazione. A tal proposito alcuni teologi morali cattolici hanno infatti sostenuto che l'inseminazione artificiale con l'uso dello sperma del marito dovrebbe essere permessa poiché essa esalta il vero significato del matrimonio sacramentale mediante l'ottenimento della benedizione divina costituita dalla procreazione. L'Istruzione vaticana, inoltre, esorta i membri della Chiesa a usare la loro influenza ‛politica' al fine di scoraggiare la procreazione assistita e questo invito è risultato efficace particolarmente in Germania, Austria e Italia. Tuttavia, molti fedeli cattolici, senza figli e sterili, ritengono che la norma religiosa sia troppo restrittiva per essere rispettata.
Anche la Chiesa ortodossa orientale disapprova la fecondazione in vitro e le ‛madri' sostitutive, ma ammette l'inseminazione artificiale con lo sperma del marito in una coppia sposata. I luterani generalmente sono d'accordo con gli ortodossi. Altre chiese protestanti prendono diverse posizioni, ma nessuna di queste posizioni è appoggiata da un'autorevole struttura di insegnamento paragonabile al magisterium cattolico. Le loro concezioni morali sulla procreazione sono fortemente influenzate dal rispetto dei diritti della donna a decidere. Le leggi morali ebraiche sono generalmente permissive per quanto riguarda l'inseminazione assistita con lo sperma del marito, così come per la fecondazione in vitro. Gli Ebrei riformati e gli Ebrei conservatori sono in disaccordo tra loro circa la legittimità dell'uso di gameti di donatori. E la maternità sostitutiva è accettata a determinate condizioni. Le leggi attuali nel mondo dell'Islam sono molto simili alla posizione ebraica.
Lasciando da parte tutte le obiezioni morali alla procreazione assistita basate sulla religione, i ricercatori che sono guidati solo da decisioni prudenziali o utilitaristiche hanno introdotto recentemente nuove tecniche controverse. Una è il prelievo degli ovociti dai corpi di donne morenti o morte da poco: essendo ancora vitali, sono utilizzabili per la fecondazione in vitro e l'impianto nell'utero di un'altra donna che può essere anche molto più anziana rispetto all'età normale per il concepimento. Nel caso di Sarah, la moglie di Abramo, il concepimento fu considerato un miracolo. Ma nel 1993 una donna inglese di 58 anni conobbe la maternità grazie alla donazione di ovulo e dopo trattamento in una clinica della fertilità a Roma. Vi fu allora una reazione di protesta nell'opinione pubblica, preoccupata per il benessere futuro del bambino perché privato delle cure adeguate possibili soltanto a genitori giovani. Le femministe invece difesero l'iniziativa della donna in base al principio dell'autonomia decisionale, secondo il quale le donne di età avanzata hanno lo stesso diritto degli uomini anziani di diventare genitori. Questo principio trova sempre più sostegno e applicazione, poiché molte donne impegnate nelle professioni differiscono la loro maternità a dopo i 40 anni di età. Altri casi singolari, come quello della nonna che è stata madre sostitutiva del bambino della figlia, mostrano che modi ingegnosi di riproduzione sfideranno e disorienteranno sempre più la morale tradizionale.
h) Embrioni e feti
Connessi coi problemi bioetici della procreazione, sono i problemi originati dall'uso di embrioni e feti per scopi non procreativi, ma terapeutici e di ricerca. È il caso dell'uso di cellule prelevate da feti abortiti, da utilizzare per trapianti intracerebrali in soggetti affetti dal morbo di Parkinson o dalla malattia di Alzheimer. L'altra questione concerne la produzione intenzionale in vitro di embrioni umani, non finalizzata alla successiva gestazione in utero, ma soltanto alla ricerca sperimentale. Poiché il prelievo di cellule da feti implica necessariamente l'aborto intenzionale, gli Stati Uniti hanno proibito finanziamenti pubblici a ricerche e terapie che utilizzano tessuto fetale proveniente da aborto. Alcuni conservatori hanno addirittura contestato questa decisione governativa, obiettando che il tessuto fetale in effetti proviene da un cadavere. Ma se il tessuto è prelevato da un feto abortito ancora in vita (o considerato tale), allora il problema diventa molto più serio. Nonostante la controversia ancora in atto, nel 1993 il precedente divieto è stato revocato. Questa decisione ha incoraggiato quelli che sono favorevoli sia all'uso terapeutico degli embrioni umani, sia alla loro produzione artificiale a scopo di ricerca pura. Costoro sostengono che i benefici medici per la società saranno tali da far superare facilmente l'innato sentimento di repulsione per simili manipolazioni oppure l'opposizione ad esse degli studiosi di morale. Tuttavia, in Francia una legge del 1994 considera la produzione di embrioni un crimine, punibile con carcere e pene pecuniarie, e anche altri paesi hanno leggi simili.
Il problema fondamentale e insolubile, connesso a tutti gli interrogativi etici concernenti la procreazione, è quello dell'aborto volontario. Il fatto che si calcoli avvengano quaranta milioni di aborti all'anno è un segno evidente dell'impotenza dell'insegnamento religioso e della legge civile nel dissuadere le donne dalla scelta di interrompere la gravidanza. Negli Stati Uniti la questione dell'aborto è una fonte primaria di contrasto politico. In Cina l'aborto è divenuto lo strumento politico per il controllo demografico. E la Conferenza delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo tenutasi al Cairo nel settembre del 1994 ha mostrato quanto l'aborto sia un problema globale.
4. La bioetica e la fine della vita umana
a) La definizione di morte
Del βίος della bioetica non si può trattare in modo esauriente senza una pari considerazione di ϑάνατος, parola greca che significa morte. Da poco tempo si è, infatti, sviluppato uno studio sistematico della morte, detto ‛tanatologia', che comprende non solo gli aspetti scientifici e medici del morire e della morte ma anche quelli sociali, culturali, legali, filosofici e religiosi. Tutte queste implicazioni dell'essere l'uomo mortale hanno impegnato il suo pensiero sin dall'inizio della civiltà. Ma solo nella seconda metà di questo secolo la nuova dimensione tecnica e scientifica della medicina, esemplificabile con la tecnologia del mantenimento in vita mediante trapianti d'organo o tessuti, oppure con la conservazione dell'attività cardiaca e metabolica mediante macchine o farmaci, ha prodotto nuove, possibili e alternative definizioni del concetto di morte.
Nella maggior parte dei paesi si registra un crescente consenso sul concetto secondo il quale lo stato di morte di un corpo, se non il ‛momento della morte' di una persona, non possa essere accertato solo sulla base della cessazione della respirazione spontanea e della circolazione sanguigna, in quanto gli strumenti clinici devono inoltre indicare in modo inequivocabile che sono cessate in modo irreversibile tutte le funzioni cerebrali, sia a livello della corteccia sia del tronco dell'encefalo. Le leggi emanate dagli Stati che hanno adottato questo più ampio criterio per definire lo stato di morte arrivano in taluni casi a specificare l'intervallo temporale minimo di durata della suddetta condizione. La relativa legge italiana del 1993 stabilisce un tempo di sei ore. Dopo questo tempo, il corpo non presenta alcun segno di attività neurologica riflessa né di risposta a stimoli esterni di qualsiasi entità.
Negli anni scorsi si parlava spesso della paura di alcune persone di essere sepolte ancora vive e considerate, invece, decedute perché le loro funzioni fisiche percepibili risultavano ridotte al minimo: ad esempio, in seguito a overdose di droghe, a semiannegamento o a ipotermia corporea. Ai nostri giorni la paura più diffusa è quella che le persone colpite da un trauma cranico possano entrare in coma profondo o nel cosiddetto ‛stato vegetativo persistente' dal quale è molto improbabile riprendersi. Quando le funzioni corticali superiori cessano del tutto, il tronco dell'encefalo può talvolta continuare a presiedere alle attività cardiaca, polmonare e metabolica; oppure queste attività cessano e allora il corpo è nella condizione di ‛morte cerebrale'. La ventilazione meccanica può conservare sufficientemente attivi il cuore e i polmoni, prevenendo in tal modo il deterioramento di organi che possono anche essere utilizzati per trapianti in altri organismi viventi.
La regolamentazione imposta dalle leggi sulla morte cerebrale sta contribuendo a rendere il trapianto di organi una procedura abituale nei paesi avanzati in campo medico. Da quando fu eseguito il primo trapianto di rene, i progressi sono stati sorprendentemente rapidi. Oggi si trapiantano cuore, polmone, fegato, cornea, ossa, pelle e altri organi e tessuti. Due tipi di limitazione fanno però emergere gravi problemi etici e legali: il primo riguarda il tempo che intercorre tra l'espianto e il trapianto, che deve essere necessariamente breve perché i tessuti si conservino vitali. Questa limitazione temporale può indurre nella tentazione di intervenire sui corpi dei possibili donatori prima che tutte le condizioni critiche della morte siano state osservate. L'altra limitazione è costituita dalla scarsità di organi donati, poiché molti paesi ne proibiscono il commercio.
Un altro aspetto della controversia riguarda la perenne questione teologica della relazione tra mente e cervello e tra corpo e anima. Secondo la tradizione biblica, la persona umana è la totalità di queste dimensioni. Esse costituiscono l'unità della persona. Al contrario, nella concezione dualistica della vita, la dimensione essenziale è l'anima o lo spirito. Questo sopravvive alla morte del corpo e può anche trasmigrare in un altro corpo, come per il pensiero indù. La distinzione e la differenza tra queste due concezioni sono molto importanti. Spesso si contrappongono la concezione materialistica della vita e la concezione spiritualistica. A ben vedere, entrambe si oppongono alla concezione biblica fondamentale dell'unità corpo-spirito. Quando, parlando dell'identità personale di un corpo cerebralmente morto, ci si riferisce a queste tre concezioni, esse richiamano alla mente le rispettive interpretazioni di che cosa sia una persona. I materialisti considerano il corpo umano in tale condizione privo di ‛personalità giuridica' o ‛statuto personale' (personhood) poiché la corteccia cerebrale non funziona più, e di conseguenza alcuni di essi dichiarerebbero morto un corpo in coma. Gli spiritualisti invece affermano: ‟È morto", nel senso che ‟ha lasciato il suo corpo" ma ha conservato l'identità del suo spirito. Chi crede inoltre nell'unità integrale di spirito e corpo o nell'unità psicosomatica della persona, riconosce la morte dell'intera persona, del proprio sé (Self) e ripone speranza e fede nella resurrezione della persona trasformata dalla volontà e dalla potenza di Dio. Queste concezioni filosofiche e religiose non hanno effetto alcuno sui criteri clinici della morte somatica, ma danno forma alla nostra interpretazione personale del suo significato.
b) Le direttive anticipate sul trattamento medico
Una chiara dimostrazione della validità del principio di autonomia è costituita dalla crescente popolarità delle direttive anticipate circa il proprio futuro trattamento o non-trattamento medico, nell'eventualità di trovarsi fisicamente o mentalmente impossibilitati a farlo. Due tipi di direttiva scritta sono stati ammessi in questi ultimi anni. Una è il cosiddetto ‛testamento di vita' (‛testamento biologico' o ‛carta dell'autodeterminazione' in Italia), che in effetti si potrebbe ironicamente definire un ‛testamento di morte', e l'altra è un documento legale detto ‛procura a lungo termine'. Esse hanno la funzione di guidare i medici e le famiglie nel prendere decisioni cliniche nel caso in cui la persona firmataria di tali direttive entri in uno stato di incapacità psichica, di incoscienza o di coma, oppure si trovi nell'incapacità di far conoscere la propria volontà. Un problema di scelta emerge frequentemente nei casi di arresto cardiaco e di mancanza di ossigeno. Può allora sopravvenire un danno cerebrale con momentanea condizione di incoscienza. Se si riesce a ottenere la rianimazione grazie a un'azione sollecita del personale medico, alcuni pazienti fortunati riprendono la respirazione e un battito cardiaco regolare. Ma gli sfortunati, tra i rianimati, possono aver subito danni cerebrali debilitanti ed entrare in uno stato di coma a tempo indeterminato. Nessuno ovviamente accetterebbe queste condizioni e molti dicono che preferirebbero la morte a tale modo insopportabile di vivere. Altre forme di debilitazione insopportabile sono quelle prodotte dal cancro avanzato e dai molteplici effetti devastanti dell'AIDS.
Le persone che considerano in anticipo la possibilità di tali malattie insopportabili, o sono in uno stadio iniziale di esse, sono invitate a esprimere i loro desideri per iscritto. I diversi moduli predisposti per il testamento biologico espongono in termini generali le ragioni a sostegno della scelta scritta, ragioni che possono essere sia di natura secolare che religiosa. Con essi vengono rifiutati i mezzi e le tecniche artificiali di prolungamento della vita (o di prevenzione della morte inevitabile). Spesso, se il medico non si sente disponibile né obbligato a conformarsi al rifiuto, il testamento biologico richiede il trasferimento del malato alle cure di un altro medico che si attenga a esso. Inoltre, alcuni moduli di testamento biologico specificano in dettaglio quali tipi di applicazione vadano considerati come inaccettabili. E di solito vi è una clausola di sicurezza, che indica come la volontà già espressa possa eventualmente essere modificata o annullata a causa di un cambiamento delle intenzioni o delle circostanze. Lo stesso contenuto del testamento biologico può essere dichiarato nella ‛procura a lungo termine'. Questa viene fatta eseguire come ogni altra procura legale poiché essa designa un legale o un amico a fungere da procuratore per conto della persona che la sottoscrive. Differisce però dalle procure ordinarie in quanto rimane valida soltanto per il resto della vita di chi la sottoscrive.
In alcuni paesi, come Gran Bretagna, Stati Uniti e Danimarca, questi testamenti biologici sono divenuti abbastanza comuni; non ancora, invece, in Italia e nella maggior parte dei paesi europei. In ogni caso, il loro status giuridico resta ambiguo. L'Associazione Medica Britannica raccomanda ai medici di rispettare il testamento di morte, ma alla fine consente al medico di agire secondo il suo giudizio professionale. Molti organi giuridici statali negli Stati Uniti hanno emanato leggi favorevoli alle direttive anticipate e molti ospedali forniscono moduli per la firma volontaria. In considerazione dell'altissima incidenza delle cause per negligenza professionale in medicina, il testamento biologico è considerato una protezione legale per il medico. Anche in questo caso, esso non è legalmente esecutorio. Esso appartiene alla categoria del diritto di scelta del paziente.
Nel 1992 il Parlamento danese approvò una legge al fine di facilitare la compilazione e la registrazione dei testamenti biologici e la possibilità per i medici di farne uso. Ma se l'intenzione è in teoria lodevole, l'utilizzo pratico di tale legge ha avuto solo un moderato successo; così, anche negli Stati Uniti relativamente poche persone si sono avvalse della facoltà di registrare il testamento biologico. Al fine di incoraggiare la gente in questa direzione, il governo federale nel 1991 tradusse in legge l'Atto di autodeterminazione del paziente. Questo prevede che ai pazienti ricoverati siano fornite informazioni e moduli per le direttive anticipate. Mentre a ospedali, ospizi e case di cura si richiede di provvedere alle informazioni, i pazienti hanno sempre il diritto di rifiutarsi di firmare i moduli. L'intervento pubblico stimola la gente a informarsi meglio sul testamento biologico e a superare lentezze e rinvii nel sottoscriverlo. Tuttavia, alcuni si chiedono se la diffusione di tali direttive incoraggi effettivamente l'accettazione pubblica del suicidio assistito o dell'eutanasia.
c) La continuazione o la sospensione del trattamento
Poiché finora relativamente poche persone hanno firmato i testamenti biologici e le procure a lungo termine, l'inevitabile decisione clinica è affidata ad altre persone, quando i pazienti sono nelle condizioni di non potersi esprimere autonomamente. I mezzi tecnici solitamente disponibili negli ospedali - davvero ammirevoli - sono denominati ‛sistemi di sopravvivenza'. Nelle situazioni di emergenza per traumi acuti generalmente non c'è tempo per discutere sull'applicazione di autorespiratori o macchine cardiache. Una volta che questi mezzi hanno iniziato la loro funzione salvavita e conseguentemente ci si chiede se il loro uso prolungato possa consentire al paziente di riprendersi, emergono gravi problemi etici e legali circa l'opportunità o meno di ‛spegnere la macchina'. Se il paziente è cosciente e capace, ha il diritto di decidere in piena autonomia; ma se non è cosciente e se non ha firmato alcuna direttiva anticipata, i membri della famiglia, il medico e l'amministrazione dell'ospedale possono trovarsi in forte disaccordo. In alcuni casi questi conflitti sono stati decisi dal tribunale. Così vi è stata una serie di casi ‛esemplari' indicati con lo stesso nome dei pazienti: Quinlan, Brophy, Cruzan, Wanglie negli Stati Uniti; Bland e ‛J' in Gran Bretagna; Nancy B. in Canada. Nella maggior parte dei casi, la parte civile ha chiesto l'autorizzazione del giudice a sospendere il trattamento vitale; in qualche caso è stata avanzata la richiesta opposta di continuare il trattamento. Questi casi, discussi pubblicamente, sono stati utili a stimolare il desiderio della gente di comprendere gli aspetti bioetici, religiosi e legali del problema. Chiaramente essi hanno anche influenzato l'opinione pubblica e i giuristi spingendoli ad assumere un atteggiamento favorevole nei confronti della liceità della sospensione del trattamento quando questo sembri inutile e oltremodo gravoso per il paziente e, a volte, anche per la famiglia. Due principî giustificativi hanno determinato le decisioni giudiziarie. Ad esempio, il caso Bland fu risolto sulla base del principio del ‛miglior interesse' per la persona nella sua condizione di incoscienza irreversibile. Il caso Cruzan, invece, fu impostato sulla base del principio dell'autonomia e del consenso: infatti, in assenza di un documento scritto, venne presentata ‛prova chiara e convincente' che la persona coinvolta avrebbe scelto la morte. Naturalmente la decisione legale non può risolvere il dibattito sulle altre questioni teologiche e sociali implicate.
Una particolare attenzione dovrebbe essere riservata ad analoghi problemi che sorgono nel caso di bambini neonati. Innanzitutto va riconosciuto che la tecnologia, nei reparti di cura intensiva neonatale, ha contribuito a salvare la vita di innumerevoli neonati venuti alla luce con gravi patologie. Ma va riconosciuto anche che la stessa tecnologia e i progressi della medicina sono all'origine di drammi pietosi. Alcuni bambini nascono prematuri, pesando meno di un chilogrammo, con polmoni non sviluppati, o con gravi malattie genetiche, o infettati dal virus dell'AIDS, o con segni di tossicodipendenza trasmessa dalla madre. I pediatri possono fornire cure e trattamenti eccezionali; ma spesso non possono prognosticare le possibilità di una vita sana del neonato. Questi casi clinici divengono così autentici dilemmi, e sfociano in contenziosi estremamente costosi. Essi possono addirittura suscitare in alcuni l'idea che l'infanticidio sia un crimine molto meno grave dell'omicidio, perché i neonati non sono ancora ‛persone'. La questione della definizione dello ‛statuto di persona' (personhood) continua a sfidare l'opinione della maggioranza, sempre meno unanime.
d) Suicidio assistito ed eutanasia
L'uccisione di se stessi è suicidio; l'uccisione di un altro è omicidio o assassinio. Entrambi gli atti sono universalmente condannati, ma con alcune eccezioni, come in tempo di guerra, in caso di autodifesa o di eroismo altruistico. Ma quando una persona partecipa a un suicidio assistito o all'uccisione per un atto di compassione, come si giudicano eticamente e giuridicamente tali azioni? Risposte contrastanti sono oggi ampiamente espresse e discusse con forza. L'intenzione deliberata di uccidere può essere condannata a causa di una sua motivazione malvagia. Ma cosa succede se l'intenzione è benevola? Come va giudicato l'atto sul piano morale? Poche sono le società umane in cui sussistono consenso e accordo attorno a un'unica risposta. Le dottrine etiche basate sulla religione generalmente concordano, sia nel giudaismo, che nel cristianesimo o nell'Islam. ‟Ora, è necessario ribadire con tutta fermezza - ha affermato la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede della Chiesa Cattolica, nella sua Declaratio del 5 maggio 1980 - che niente e nessuno può autorizzare l'uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, ammalato incurabile o agonizzante. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente". Questi atti sarebbero contrari alla legge divina e costituirebbero un'offesa e un delitto contro la dignità umana. Questa proibizione categorica è basata sulla concezione dottrinale secondo la quale Dio non è solo il Creatore di ogni vita umana ma anche Colui al quale ciascuna vita appartiene. Alcune persone, benché non credenti, concordano nel biasimare ogni azione volta a porre termine alla vita. Ma è anche vero, di fatto, che molti sinceri credenti sono combattuti tra la dottrina religiosa e l'accettazione intuitiva, ragionevole e pratica delle eccezioni alla regola. Essi possono affermare che nei casi estremi la morte è preferibile all'angoscia e alla sofferenza fisica e rilevano come questa sia la soluzione preferita dal paziente agonizzante che chiede e supplica di essere liberato dalla sofferenza; oppure, nel caso di pazienti incapaci o incoscienti, come la preferenza venga espressa dalla famiglia o dal mandatario designato. E l'opinione pubblica in diversi paesi condivide questo giudizio.
Il principale teatro del dibattito è l'Olanda. Qui non si tratta tanto di bioetica teoretica o speculativa, ma della realtà personale, sociale e politica sia del suicidio assistito che dell'eutanasia praticata dal medico. Il dottor Pieter Admiraal è divenuto la figura simbolica dell'esperienza olandese; tale simbolismo ha due facce, a seconda del proprio punto di vista: esso indica beneficenza, autonomia e giustizia, oppure una cinica inosservanza della legge morale statuita e della compassione umana. Benché la legge proibisca ancora la pratica indiscriminata del suicidio assistito e dell'eutanasia, il Parlamento olandese, anziché abrogare la legge esistente, nel 1993 ha approvato un'altra legge che stabilisce la non perseguibilità dei medici purché si attengano strettamente alle norme previste al fine di evitare uccisioni assurde e senza distinzioni. Il Parlamento ordinò uno studio alla Commissione Remmelink al fine di individuare la reale diffusione della pratica e garantì l'immunità ai medici della Associazione Reale Medica Olandese che rendevano disponibili per l'indagine le proprie casistiche. La Commissione riportò i seguenti dati su tutte le morti avvenute nell'anno 1990: 1) 0,3% di suicidi assistiti; 2) 1,8% di eutanasia volontaria (su richiesta); 3) 0,8% di eutanasia involontaria. Insomma, il 2,9%, ossia il 29‰ delle morti era causato intenzionalmente mediante iniezioni letali: ciò significa che in quell'anno 3.734 vite furono soppresse.
Gli olandesi non distinguono, come invece hanno fatto molti bioetici, tra eutanasia ‛attiva' e ‛passiva', dal momento che lo stesso risultato finale della morte viene raggiunto sia con l'iniezione che con la sospensione dell'alimentazione, dell'idratazione o della cura. È una distinzione discutibile, così come la distinzione tra suicidio assistito dal medico ed eutanasia praticata dal medico. Chi fa questa distinzione sottolinea la differenza tra la natura di un atto e l'intenzione che motiva l'agente. L'esempio usuale è quello della somministrazione di morfina per infusione lenta, a gocce, per alleviare il dolore intenso. Il medico che determina la frequenza del flusso, può veramente avere l'intenzione di alleviare il dolore, pur sapendo che rischia di raggiungere un livello mortale. Questo procedimento è lecito anche secondo la regola religiosa restrittiva. Comunque, alcuni ritengono che nei casi di suicidio assistito sia importante che l'assistenza sia data solo verbalmente e indirettamente, non mediante un'azione diretta.
In altri paesi le reazioni al caso esemplare olandese variano dall'indignazione morale, alla perplessità, al consenso solidale. Nonostante siano del tutto contrari a queste pratiche, alcuni critici sono stati turbati in modo particolare dai casi di eutanasia ‛involontaria'. Nel 1993, in Canada, un tribunale decise contro la richiesta del paziente per il suicidio assistito, sulla base della motivazione che gli interessi dello Stato prevalgono sull'autonomia della persona. Le reazioni sono state negative soprattutto in Germania dove, a causa del ricordo del nazismo, la stessa parola eutanasia è proibita e sostituita con quella meno sgradevole di Sterbehilfe (aiuto a morire), o con altre varianti. La natura e la probità della professione medica sono anche oggetto di discussione, quando ci si ricorda delle atrocità del passato: i medici non devono uccidere!
Eppure ‛l'aiuto a morire' costituisce la finalità di molti movimenti per il ‛diritto a morire', che senza dubbio stanno guadagnando terreno, specialmente in Australia e negli Stati Uniti. In quest'ultimo paese, lo Stato dell'Oregon nel 1994 divenne la prima giurisdizione politica al mondo ad autorizzare i medici a prescrivere farmaci che i pazienti avrebbero usato per uccidersi. Questa sarebbe l' ‛ultima risorsa' per i pazienti terminali che hanno esaurito i mezzi possibili per la terapia o l'attenuazione del dolore. Nonostante contenesse alcune misure di salvaguardia dagli abusi, un tribunale di livello più elevato ha giudicato la legge dell'Oregon in contrasto con la Costituzione degli Stati Uniti. Il dibattito pubblico ha portato alla luce il fatto che molti medici ricevono da parte dei pazienti richieste urgenti di assistenza al suicidio e che alcuni di essi segretamente accondiscendono. Due uomini sono divenuti dei simboli oggi in America, come il dottor Admiraal in Olanda: si tratta dell'ex dottor Jack Kevorkian e del dottor Timothy Quill. Kevorkian divenne famoso, o famigerato, per l'invenzione di macchine e strumenti insoliti, in aggiunta a prescrizioni di farmaci, realizzati per mettere in grado le persone di uccidersi. Non tutti erano suoi pazienti e alcuni non dichiararono di essere malati terminali. Egli sfidò le leggi e i tribunali del Michigan. Il dottor Quill, invece, diede un consiglio letale solo a una donna che era stata sua paziente per anni e le cui condizioni di vita sembravano senza speranza. Mentre il tribunale ha provato più volte, senza successo, a incriminare Kevorkian, Quill fu giudicato innocente. Si tratta di due esempi di suicidio assistito, uno generalmente condannato, l'altro ampiamente accettato nel contesto della professione medica. Ma nessuno dei due medici fece l'iniezione o somministrò la pillola letale. Nel settembre del 1996, un uomo che viveva nel Territorio del Nord in Australia è stato fatto morire volontariamente dal suo medico: si tratta del primo caso al mondo di questo tipo.
Un'esperienza di segno opposto è stata avviata da quanti stanno istituendo delle speciali case di cura per pazienti che sono sicuramente nello stadio terminale della vita e che sono bisognosi soltanto di cure premurose fino alla fine inevitabile. Iniziato negli anni sessanta in Inghilterra dal dottor Cicely Saunders al St. Christopher Hospice, lo sviluppo di questo tipo di case di cura ha portato all'organizzazione di molte centinaia di ospedali o reparti d'ospedale, oltre che a servizi di cura a domicilio. Qui l'etica e la legalità del suicidio assistito e dell'eutanasia sono rifiutati. I medici sono esperti nei mezzi farmacologici più recenti ed efficaci per il trattamento del dolore, mezzi dei quali troppo pochi medici hanno una adeguata conoscenza. La morte assistita o quella accelerata non fanno parte dei servizi medici di queste case di cura.
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