BIOETICA
È termine recente, forse comparso per la pri ma volta, nel 1971, nel titolo di un volume dell'oncologo V.R. Potter: Bioethics: bridge to the future. L'autore l'intende come ripristi no di rapporti tra cultura umanistica e scientifica, e, specificamen te, tra valori morali ed esigenze degli ecosistemi, naturale e uma no. Nato sotto l'influenza dell'ambientalismo e dell'ecologia di fi ne anni Sessanta, il nuovo termine è presto attrattto verso problemi inerenti al nucleo centrale della biomedicina. Nel 1978 uscirà un'Encyclopedia of Bioethics, iniziata nel 1972 con il sostegno del Kennedy Institute of Ethics, attivo dall'anno precedente alla Georgetown University di Washington. ''Bioetica'' si presta a denotare una si tuazione storica e un nodo d'idee e problemi. Trent'anni dopo la fisica nucleare, vanno acquistando coscienza dei problemi al confine tra ricerca e società le discipline biologiche. Ma dietro il destarsi della sensibilità etica, stanno sviluppi conoscitivi nuovi e ormai consolidati, con applicazioni che incidono sui rapporti più sottili fra soggetto umano e natura.
Nella biologia, parallelamente alla fisica, è avvenuta una ristrutturazione assiomatica, che ha spostato verso il basso il limite dell'osservabilità e dell'inferenza. Si può ricordare quel che il riuscito esperimento dell'ordigno a fissione nucleare, fatto esplodere nel quadro del Development of Substitute Materials Project - più noto come Progetto Manhattan - a Jornada del Muerto (New Mexico), nel luglio 1945, aveva rappresentato per gli ulteriori sviluppi della ricerca sub-nucleare, ma anche per una presa di coscienza della comunità dei fisici, rimasta senza un termine che ne designasse la peculiarità. Lo stesso, per i programmi e le possibilità applicative della ricerca biologica, nonché per i suoi riflessi sociali, era accaduto con la scoperta, a opera di J. Watson e F. Crick, nell'aprile 1953, della struttura stereochimica dell'acido desossiribonucleico, portatore dei caratteri ereditari e anello iniziale nella catena della sintesi proteica.
In una successiva conferenza del 1957 alla Society for Experimental Biology, il Crick, adottando il linguaggio della teoria dell'informazione, aveva formulato un ''dogma centrale'' di una nuova teoria dei processi vitali. L'''informazione'' della cellula vivente è contenuta nell'acido nucleico, e viaggia da un acido all'altro, oppure a una proteina, ma non viceversa, da proteina a proteina oppure ad acido. Le conoscenze sugli acidi nucleici si erano intanto estese dal desossiribo (DNA) al ribonucleico (RNA): il primo cominciava a essere considerato lo stampo del secondo, e il secondo lo stampo della proteina. Dogma centrale e ''ipotesi sequenziale'', per cui la specificità dell'acido nucleico era fatta consistere nella sequenza delle sue basi, e quest'ultima veniva identificata con un codice capace di determinare la sequenza degli amminoacidi nelle proteine, rappresentavano una ''trasformazione di paradigma'' (R. Olby), non solo nella biologia ma, come si sarebbe visto, nella stessa medicina. Nasceva una biologia ''molecolare'' che, guadagnato un più profondo piano d'intellegibilità, giungeva a confermare l'intuizione di R. Virchow (1853), per cui la biologia deve concepirsi come "teoria della vita in genere e dell'uomo in particolare", e come unità di fisiologia e patologia. L'applicazione dei concetti informazionali ai processi della vita − avviata da E. Schrödinger (1944) con l'analogia tra i cromosomi e un codescript, un messaggio codificato − aveva ricevuto un personale apporto dal Crick, trasferitosi al Cavendish Laboratory di Cambridge dopo essere passato per i servizi informativi dell'Ammiragliato britannico, e per i tentativi di costituire una Scientific intelligence, istituzionalizzata, dopo la guerra. In tal modo la trasformazione del paradigma biologico si era correlata a un cambiamento ancora più profondo, relativo alla priorità o egemonia tra i paradigmi scientifici.
Il passaggio del ruolo egemonico da teorie della materia, meccanico-statistiche, a teorie della struttura o forma, o dei sistemi − riconducibili a una grandezza, l'''informazione'', emersa in piena luce con Cybernetics di N. Wiener (1948) −, per prevalente merito del Crick era giunto negli anni Cinquanta a coinvolgere il territorio della scienza della vita. E vi aveva determinato un ritorno alla primarietà del biologico sul medico. Certo immaginario scientifico, meno legato, come nel saggista A. Huxley, o più, come nel biologo J. Rostand, agli orientamenti della ricerca, aveva intuito una non lontana svolta della ricerca e delle sue applicazioni verso l'ontogenesi e la fisiopatologia del soggetto umano: il Rostand si era soffermato, per es., sull'ipotesi di una ''ectogenesi'', o gestazione in vitro. Rispetto alle vedute dei primi biologi molecolari, gli anni Sessanta erano stati caratterizzati da un sostanziale progresso di conoscenze, per le interazioni tra i maggiori laboratori europei e americani, e per ulteriori aggregazioni tra strategie euristiche distinte: ricerche, in prospettiva molecolare, sul corredo genetico di procarioti e vegetali, accanto a quelle su DNA e RNA di eucarioti e animali superiori; virologia − ormai autonoma − e microbiologia; immunologia e incipienti programmi di manipolazione su cromosomi, plasmidi e geni.
Sotto l'assiomatica fissata dal dogma e dall'ipotesi di Crick, si erano costituiti concetti nuovi, tra cui fondamentale quello di ''ricombinazione'', non più solo naturale, ma anche artificiale, del materiale genico. Dal 1970, con la costruzione per via sintetica del primo gene, ad opera di H.G. Khorana, e nell'anno successivo con la sintesi del primo DNA ricombinante, era divenuta realtà l'''ingegneria genetica'' − ma l'espressione è del 1965, dovuta al genetista R.D. Hotchkiss −, posta di fronte a un potenziale orizzonte d'interventi uma ni sulla biosfera, che si sarebbero tradotti nelle ''biotecnologie'', protagoniste della scena biomedica nel successivo decennio, insieme ai trapianti d'organo, impensabili peraltro al di fuori di una ''immunobiologia'', anch'essa molecolare. Alla pubblicazione del volume citato del Potter, il neologismo ''bioetica'' trovava, dunque, un nodo d'innovazioni, avvenute o prevedibili, nelle scienze della vita, e si candidava a denotarlo, in funzione della felice sintesi tra elementi costitutivi del temine − bios - ethos -, che potevano sembrare disomogenei, e congiuntamente erano invece assai significativi. Nel reflusso teorico, anzi teoretico, verso la biologia, la medicina da parte sua portava peraltro con sé quell'istanza deontologica, che ne aveva sempre accompagnato il corso, dallo horkos, il giuramento, ippocratico, ai tempi più recenti. Forte della propria antica origine, e per essersi temprata sulle cruciali fenomenologie del dolore e della morte; per altro verso esposta a critiche e contestazioni, perché basata in prevalenza su un codice di comportamenti professionali e non su fondamenti teorici, l'etica medica, nell'incontrare l'incipiente etica della biologia, trovava idee e proposte più vaghe, ma tenute insieme da un'intenzione unificante, con un interesse e una terminologia attuali. Concepita, dal citato Potter, quale "scienza della sopravvivenza", la b. raccoglieva ed esprimeva istanze da territori disciplinari nuovi: ecologia, scienze del territorio, psicologia sociale, studi sui problemi della condizione femminile, cui l'etica medica era rimasta estranea. Il significato dell'ampio programma di ricerca, impostato all'inizio degli anni Settanta dal Kennedy Institute of Ethics, e concluso dalla pubblicazione della citata Encyclopedia, derivò pertanto dalla fusione di sensibilità ambientalistica, assiomatica molecolare della biologia e tradizione deontologica della medicina: fattori interagenti tutti in uno stesso spazio teorico. Gli oggetti di una b., comprensiva ormai anche dell'etica medica, erano così definiti dal direttore dell'opera, W.T. Reich: problemi attinenti a valori che si presentano in tutte le professioni sanitarie, rapporti della ricerca biomedica e comportamentali con la terapia, tematiche sociali e controllo demografico, problemi concernenti la vita animale e vegetale riguardo al contrasto di esigenze e alla sperimentazione. Ma i fatti correvano veloci. L'anno in cui usciva la sintesi enciclopedica degli studiosi americani, il 1978, il ginecologo R.G. Edwards otteneva la nascita del primo individuo umano concepito in vitro, Louise Brown. E nel 1981 era la volta di topini transgenici, recanti nell'oocita fecondato un gene artificialmente introdotto, e transnucleati, derivanti da oociti con nucleo sostituito. La dinamica interna alla b., sollecitata da così rapida e riuscita crescita degli esperimenti, non poteva considerarsi esaurita dall'accennato tentativo di unificazione: il momento etico avrebbe premuto per un autonomo sviluppo, e questo sviluppo sarebbe avvenuto in direzioni antitetiche, razionalmente e ontologicamente. Da una parte, impostazioni da considerare naturalistiche, ma, con termine più recente, ecologiche: ispirate a un'ecologia, che aveva ampiamente e polemicamente analizzato i rapporti tra ''ecosfera'' e ''tecnosfera'' (B. Commoner), che faceva largo uso del concetto di qualità della vita, e nel panorama della vita sarebbe giunta ad affermare anche i ''diritti degli animali'' (T. Regan), rifacendosi alle tesi della animal liberation, secondo il filosofo australiano P. Singer. Dall'altra, impostazioni personalistiche, d'impianto psicologico o giuridico, o dichiaratamente metafisico: la vecchia autonomia dell'etica medica riaffiora qui, con l'insistenza su problemi di fondo, come il rispetto prioritario e assoluto della vita umana − rispetto anche della vita e della soggettività virtuali −, la tutela dell'individualità somatopsichica, i comportamenti del terapeuta di fronte al malato terminale. Ancora, la b. è vissuta con lo spirito di una nuova frontiera conquistata dalla ragione umana, rispetto alla conoscenza dei processi vitali. Biologo e medico si riconoscono volentieri nella figura dell'''ingegnere della vita'', all'interno di un programma ormai mondiale per elaborare la mappa del DNA uma no, con i presunti centomila-trecentomila geni che lo costituiscono, novecento circa dei quali già noti per quanto riguarda i loci dell'informazione genetica. Vero "progetto della vita" (R. Dulbecco), il cui compimento si cerca di contenere in un tempo accettabile, quello di poche generazioni. Ma, sempre dal punto di vista dell'ingegneria della vita, è viva la preoccupazione per mutanti artificiali, microorganismi produttori di tossine o resistenti agli antibiotici, e finanche organismi superiori, come i topi con la betaglobina di coniglio (J. Wagner), o con la dimensione dei ratti di cui avevano ricevuto il gene della crescita. Infine, il problema dell'assistenza e dell'istituzione sanitarie, in forza anche dei risultati emersi dalla critica alle ''istituzioni globali'', è sentito come sfida morale e solidaristica per la biomedicina dei nostri anni. La b. ha avuto crescenti sviluppi negli ultimi tempi, e si configura come un vasto e autonomo programma di ricerca, fra biomedicina e scienze umane (filosofia morale, teologia, diritto, sociologia), con cattedre universitarie, centri e istituzioni. Problemi emergenti sono la procreazione assistita, con le opzioni tra inseminazione omologa ed eterologa, fecondazione intra ed extracorporea; inoltre, la procreazione responsabile e il controllo, individuale o sociale, delle nascite, la diagnosi prenatale, l'aborto, la geneterapia e i conseguenti rischi di mutazioni inserzionali, il prelievo e il trapianto di organi, la cura dei malati terminali e l'eutanasia attiva o passiva − il primo caso di eutanasia passiva legalmente autorizzato è stato quello sull'americana Nancy Beth Cruzan, in coma da sette anni, nel dicembre 1990 −, i diritti dei malati. Mentre l'etica della fisica, rimasta senza uno specifico nome, ma presente come vigoroso movimento di idee, poté avvalersi di un atteggiamento nella sostanza univoco, d'impronta razionalistica, proveniente dalla ricerca; l'etica della biomedicina risente della forte disparità di vedute, con la quale i biologi, alla luce della storia recente della propria disciplina, considerano l'emergenza e la presenza della vita nella storia della natura, la prerogativa dell'individuo umano, e la connessione tra il vitale e il mentale. Intorno alla b. si manifesta un vivo interesse epistemologico, motivato dal problema cruciale della soggettività umana, sulla quale la biomedicina tende a intervenire pragmaticamente, ma che essa, in quanto costruzione razionale umana, presuppone e sembra tenuta a rispettare: ne deriva una dialettica di atteggiamenti, che va acquistando rilievo in tutto l'ambito scientifico. Il movimento e l'assestamento della b., peraltro, continuano a provenire, in parte notevole, da fattori esterni alla scienza, e in particolare dall'urgenza degl'interventi legislativi e dal dibattito politico, anche in sedi sovranazionali. Si deve registrare una larga volontà di collaborazione delle istanze politiche con gli ambienti scientifici: sia nei Comitati bioetici nazionali, che nei Parlamenti e nelle Conferenze internazionali, tra le quali dev'essere ricordata l'ultima, di rilevante importanza, sulla mappazione del genoma umano, tenutasi a Roma nel 1988.
Bibl.: R. Virchow, Autoritäten und Schulen, in Archiv für pathologische Anatomie und Physiologie und für klin. Med., 5 (1853), pp. 3-12; E. Schrödinger, What is life?, Cambridge 1944 (trad. it., Scienza e umanesimo. Che cos'è la vita?, Firenze 1947); J.D. Watson, F.H.C. Crick, a) Molecular structure of nucleic acids. A structure for deoxyribose nucleic acid, in Nature, 171 (1953), pp. 737-38; b) Genetical implications of the structure of desoxyribonucleic acid, ibid., pp. 964-67; F.H.C. Crick, On protein synthesis, in Symposium of Society for experimental Biologis, 12 (1958), pp. 138-63; R. Jungk, Heller als tausend Sonnen. Das Schicksal der Atomforscher, Stoccarda 1956 (trad. it., Gli apprendisti stregoni, Torino 1958); J.D. Watson, The molecular biology of the gene, New York 1965, 19702, 19763 (trad. it., Bologna 1967, 19722); R. Jungk, Die Grosse Maschine. Auf dem Weg in eine andere Welt, Berna-Monaco 1966 (trad. it., La grande macchina. I nuovi scienziati atomici, Torino 1968); V.R. Potter, Bioethics: bridge to the future, Englewood Cliffs (N.Y.) 1971; B. Commoner, The closing circle, Londra 1972 (trad. it., Il cerchio da chiudere, Milano 1986); R. Olby, The path of the double helix, ivi 1974 (trad. it., Storia della doppia elica e nascita della biologia molecolare, Milano 1978); P. Singer, T. Regan, Animal rights and human obligation, Englewood Cliffs-Londra 1976; AA.VV., Recombinant molecules: impact on science and society, New York 1977; R.V. Jones, Most secret war. British Scientific Intelligence 1939-1945, Londra 1978; G. Montalenti, Genetica, applicazioni, in Enciclopedia del Novecento, iii, Roma 1978, pp. 197-205; Encyclopedia of Bioethics, a cura di W.T. Reich, i-iv, New York-Londra 1978; A. Albertini, Biotecnologie, in Enciclopedia del Novecento, viii, Roma 1980, pp. 81-106; C.M. Kinnon, A.R. Kholodilin, V. Orel, From biology to biothecnology, Brno 1981; T. Regan, The case for animal rights, Los Angeles 1983 (trad. it., I diritti animali, Milano 1990); AA.VV., Medicina e genetica verso il futuro, L'Aquila - Roma 1986; R. Dulbecco, Il progetto della vita, Milano 1986; E. Sgreccia, Bioetica, ivi 1986; R. Dulbecco, Ingegneri della vita. Medicina e morale nell'era del DNA, ivi 1988; AA.VV., Etica della conoscenza scientifica, Roma 1989; Bioetica, a cura di A. Di Meo e C. Mancina, Bari 1989; International Conference on Bioethics. The human genome sequencing: ethical issues, Roma, 10-15 aprile 1988, Brescia 1989; AA.VV., La dimensione etica nelle società contemporanee, Torino 1990; Quale etica per la bioetica?, a cura di E. Agazzi, Milano 1990; AA.VV., Vent'anni di bioetica. Idee protagonisti istituzioni, a cura di C. Viafora, Padova 1990; Teorie etiche contemporanee, a cura di C.A. Viano, Torino 1990.
Problemi specifici in biologia e medicina. - I progressi del le ricerche e della tecnologia nell'ambito della biologia e della medicina, in particolare nel settore della bioingegneria, hanno am piamente allargato le possibilità di raggiungere traguardi o di prendere in considerazione obiettivi, che sino a epoca relativamente recente erano relegati nella sfera della pura fantasia o delle aspetta tive irrealizzabili.
Di tali progressi, che avranno nei relativi paragrafi specifica trattazione, ci si limiterà a dire, in via generale e per dare un'idea sia pure approssimata delle loro dimensioni, che essi hanno consentito: la produzione a livello industriale, in limiti fissati essenzialmente dalle leggi del mercato, di sostanze un tempo elaborate esclusivamente dall'essere vivente, uomo compreso, quali l'insulina e altre varietà di ormoni; la produzione di bio-molecole suscettibili di associazione a elementi di varia natura, da veicolare in particolari siti dell'organismo a scopo diagnostico o terapeutico; la possibilità di scrutare con mezzi non invasivi (v. bioimmagine, in questa App.) gli organi interni, compresa la morfologia del feto in varie fasi della vita endouterina; infine, per limitare gli esempi, la realizzazione di raffinate metodiche per il superamento di molteplici condizioni di sterilità della coppia.
Questo incremento del potere dell'uomo sull'ambiente biologico, inteso nel senso più ampio del termine, non è stato solo foriero di entusiasmi: ha fatto sorgere non trascurabili preoccupazioni di ordine etico, se non, addirittura, il timore di uno sconfinamento nell'illecito; il timore, cioè, per essere più concreti, di possibili produzioni di microorganismi patogeni e refrattari a qualsiasi trattamento; o il dubbio di possibili violazioni delle leggi naturali; il potenziale conflitto con fondamentali norme religiose; le perplessità per il crescente impegno, etico ed economico, per l'assistenza agli anziani invalidi, il cui numero crescente è in ragione dell'ormai ottenuto prolungamento della vita; il problema connesso delle modalità di assistenza ai malati in stadio pre-terminale e terminale.
Sperimentazione farmacologica sull'uomo. - In via preliminare deve essere fatto presente che, con provvedimento legislativo già in atto, tale attività, in Italia, analogamente a quanto accade in altri paesi, deve essere autorizzata da un apposito ente, nel nostro caso dall'Istituto superiore di Sanità, previo accertamento dell'innocuità del prodotto in questione; inoltre, il soggetto su cui viene effettuato l'esperimento deve essere completamente informato intorno ai suoi vari aspetti, deve esser libero di sospenderlo a suo piacimento e non può ricevere alcun compenso per la sua prestazione. Inoltre, una condizione di completa autonomia deve sussistere tra lo sperimentatore e l'ente che gliene ha fatto richiesta.
Nel caso che di una sostanza si voglia semplicemente conoscere la tollerabilità e il comportamento nell'organismo, l'esperimento deve essre preceduto dalla verifica della tassativa assenza di ogni pericolo per la vita e, così pure, di qualsiasi rischio dell'induzione di una riduzione permanente dell'integrità fisica; qualora nel corso dell'esperimento si dovesse verificare una qualche sofferenza per il soggetto, questa non potrà perdurare oltre il 40° giorno; in caso contrario l'esperimento dovrà cessare. Se invece l'esperimento ha una finalità terapeutica, è necessario che la situazione sia priva di alternative e che il malato ne sia adeguatamente informato: in questo caso un eventuale stato di intercorrente sofferenza potrà superare il limite di tempo anzidetto, purché il beneficio che si persegue superi gli inconvenienti che si delineano. Nei pazienti giudicati inguaribili o addirittura in quelli pervenuti a uno stadio terminale, il tentativo di una nuova terapia può esser preso in considerazione solo quando sussista una ragionevole speranza di utilità.
Interruzione volontaria di gravidanza. - È drasticamente rifiutata dalla Chiesa e da tutti coloro che vi vedono un'offesa della sacralità della vita. Peraltro, in Italia è consentita e regolamentata da un'apposita legge (v. aborto, in questa App.) che pone come condizione l'esistenza di sofferenza fisica o morale della gestante, con limiti molto restrittivi all'intervento dopo il 90° giorno di gestazione. Elemento di discussione, e di riferimento, è la determinazione del momento in cui il prodotto del concepimento supera il semplice significato di prodotto biologico e acquista, dapprima, quello di essere umano e poi quello etico di ''persona''. La legge non prende in considerazione come motivo di interruzione di gravidanza la presenza nel feto di patologie, quali tumori cerebrali o altre malformazioni del cervello o del midollo spinale, o di altre gravi malformazioni somatiche, che sono tali da rendere quanto mai incerta o comunque estremamente infelice la vita dopo la nascita, ma che si possono accertare con la dovuta sicurezza solo in una fase avanzata della gravidanza.
Fecondazione assistita. - È una pratica intesa a facilitare o a determinare l'unione di due gameti, superando gli ostacoli di vario genere che si oppongono al loro naturale congiungimento. Con riferimento alle specifiche situazioni dei singoli casi può essere realizzata con tecniche relativamente semplici, all'interno dell'apparato genitale della donna, oppure, con tecniche di particolare delicatezza e raffinatezza, dapprima all'esterno della donna, in una provetta, e poi, successivamente, inserendo nell'utero materno l'ovulo fecondato. Può essere realizzata utilizzando i gameti della coppia interessata (fecondazione omologa) o ricorrendo per uno dei due gameti a persona estranea (fecondazione eterologa).
Nel caso di donna che non abbia la capacità di portare avanti la gestazione si è fatto ricorso all'espediente della cosiddetta madre sostituta, cioè a una donna disposta ad accogliere nel proprio utero un ovulo fecondato (pervenuto ai primissimi livelli di sviluppo: stadio di 4÷8 oppure 8÷16 cellule) e a portare avanti la gravidanza, con l'impegno di consegnare, a parto avvenuto, il neonato alla coppia che le aveva sollecitato la prestazione. Una variante di tale espediente è la madre surrogata, cioè una donna che partecipa alla fecondazione donando un proprio ovulo da fecondare all'esterno.
In tutte le sue varianti, la fecondazione assistita è rifiutata dalla Chiesa che vi ravvisa una profanazione della sacralità del dono divino della trasmissione della vita. A livello etico, critiche più o meno recise riguardano la fecondazione eterologa e le modalità di fecondazione in vitro, perché a causa della bassa percentuale di attecchimento dell'ovulo fecondato (1÷2/10) prevede la produzione di un certo quantitativo di embrioni per poter procedere a ripetuti tentativi di impianto; costituiscono anche un non indifferente problema gli embrioni residui, che possono essere uccisi o fatti oggetto di particolari esperimenti o anche utilizzati per l'allestimento di particolari preparati (v. anche ginecologia: Infertilità di coppia, in questa Appendice).
Sperimentazione animale. - Negli ultimi decenni si è sensibilmente accresciuta l'attenzione dell'opinione pubblica verso la sofferenza degli animali, specialmente quella indotta dalla loro utilizzazione come cavie di laboratorio per gli studi di fisiologia, farmacologia e patologia sperimentale. La nascita di un attivo movimento per i "diritti degli animali", che nega sia la legittimità morale, sia la validità scientifica della sperimentazione animale, ha indotto i paesi anglosassoni ad aggiornare la legislazione in materia, con l'introduzione di norme rigorose volte a impedire l'uso indiscriminato e superfluo degli animali e a limitare fortemente le condizioni di sofferenza.
La normativa della Comunità Europea n. 86/609 sulla Protezione degli animali utilizzati a fini sperimentali, a cui l'Italia aderisce dal novembre 1989, contiene specifiche indicazioni sull'allocazione e le condizioni alimentari e sanitarie, nonché sul trattamento degli animali da laboratorio. È opinione diffusa, anche tra gli scienziati, che la ricerca biomedica debba tener conto della sofferenza animale, e che pertanto vada incoraggiata l'elaborazione di modelli alternativi di sperimentazione (colture cellulari e tissutali, colture in vitro di microorganismi, test biochimici in provetta, modellizzazione fisica e simulazione matematica).
Trapianti di organi. - Il trapianto di organi con prelievo da cadavere pone, oltre a quello dell'accertamento di morte (v. anche morte; rianimazione e terapia intensiva, in questa Appendice), problemi etico-legali per l'autorizzazione all'espianto dell'organo.
La legislazione italiana vigente (l. 644 del 1975), che differenzia la normativa secondo che si tratti di prelievo da cadavere o prelievo da vivente, richiede che la morte cerebrale venga accertata da una commissione di tre medici; il prelievo, che è sempre ammesso durante l'autopsia, non è consentito in caso di rifiuto, in vita, del defunto o di rifiuto scritto, dopo la morte, dei parenti fino al secondo grado. Sono prelevabili tutte le parti del corpo a eccezione dell'encefalo e degli organi connessi con la riproduzione (è tuttavia consentito il prelievo dell'ipofisi per la produzione di estratti iniettabili per la cura del nanismo ipofisario ormonosensibile).
La complessità delle procedure e l'aggiornamento dei parametri di morte, insieme alla scarsa disponibilità di organi dovuta principalmente al ruolo − risultato, nei fatti, limitativo − del consenso richiesto ai parenti, ha stimolato l'elaborazione di nuove proposte legislative, attualmente in discussione in sede parlamentare.
Il diffondersi del trapianto come terapia chirurgica di frontiera e la crescente domanda di organi ha portato, nei paesi anglosassoni, alla proposta, ma prima ancora alla pratica, di assistere con tecniche di rianimazione le persone dichiarate legalmente morte (morte cerebrale) e i neonati anencefali, in attesa di poterli utilizzare come donatori. Il dibattito etico-legale a riguardo è tuttora in corso, ma, come principio generale, sta emergendo quello di separare a ogni livello il problema dell'accertamento di morte da quello del prelievo di organi per il trapianto. Si tratta di un'istanza che viene posta sia dall'incertezza dell'attuale stato di cose, sia dal fatto che la definizione di morte interessa un insieme di questioni medico-biologiche ed etico-giuridiche che vanno al di là della terapia basata sul trapianto.
Il prelievo da donatori vivi è limitato al rene, al midollo osseo e al fegato e l'atto di donazione deve essere volontario e gratuito. Nel caso del rene si tende, nei limiti del possibile, a evitare l'espianto da una persona sana, per le dannose conseguenze fisiologiche e psicologiche, e anche in considerazione dell'equivalenza funzionale dei reni prelevati da donatori morti o vivi. Malgrado tale orientamento, si va diffondendo la pratica, moralmente riprovevole ma non adeguatamente perseguita dalle diverse legislazioni, del commercio dei reni, e di altri organi, che poggia sul ricatto economico ai danni di persone disposte a donare perché povere. Il trapianto di midollo osseo non pone problemi per il donatore compatibile, spesso un familiare, in quanto si tratta di un tessuto che rigenera.
Tuttavia, nel caso di prelievo di midollo da un bambino sorge il problema di natura etico-giuridica della legittimità e titolarità di una decisione che sottopone a un certo rischio un donatore inconsapevole. In tal senso, i problemi medici ed etico-legali sollevati dal trapianto di midollo osseo nei bambini, per la cura di emopatie e oncoemopatie maligne, hanno stimolato la ricerca di un atteggiamento più produttivo di quello basato sul principio etico di non arrecare danno (primum non nocere) e sul suo corrispettivo legale, il "consenso informato" dei familiari o di un tutore legale. I benefici che prefigura al malato un determinato trattamento, nella fattispecie il trapianto di midollo osseo, mostra la necessità di integrare un'obbligazione morale ''positiva'' (primum adiuvare) a un'etica della ''tutela'' basata sulla ricerca del ''male minore'' (Burgio e altri 1989).
Gli aspetti etici concernenti il ricevente investono il consenso informato del paziente, che deve conoscere le condizioni del trapianto, le eventuali complicazioni e i possibili esiti. Molto delicata è, inoltre, la questione dei criteri di selezione, basati sulla probabilità di successo, dei pazienti da sottoporre a questa terapia, in quanto possono intervenire discriminazioni in funzione dell'utilità medica dell'operazione e di quella sociale del malato.
Trattamento dei malati terminali. - Malato terminale è colui che è entrato in una fase irreversibile, in cui la malattia non è più curabile e il malato si trova prossimo alla morte. Il medico in tal caso non è in alcun modo obbligato a fornire un trattamento curativo che si presume destinato a non avere alcuna efficacia nei confronti della malattia. Su questo principio astratto il consenso è unanime, ma tuttavia il giudizio di inutilità riguardo a uno specifico trattamento investe valutazioni di ordine medico, etico e sociale.
In senso stretto un trattamento si considera inutile se effettuato su un paziente che presumibilmente morirà entro qualche ora o giorno, indipendentemente da ogni intervento terapeutico. Tuttavia il medico deve saper valutare obiettivamente l'efficacia del trattamento previsto in ogni particolare situazione e, comunque, la decisione sulla probabilità di successo che possa giustificare quel trattamento ha tutti i caratteri di un giudizio di valore. Se il paziente è consapevole, il medico deve condividere con lui questa responsabilità.
Un giudizio di inutilità riguardo a un certo intervento curativo può coinvolgere decisioni di politica sanitaria. Sotto questo aspetto un trattamento potrebbe essere considerato inutile in quanto il suo costo è giudicato sproporzionato rispetto all'efficacia terapeutica o ai benefici sociali o di conoscenze bio-mediche che ne potrebbero derivare. L'uso sempre più frequente di metodi quantitativi, basati cioè su calcoli in termini di costi-efficacia e costi-benefici, nel guidare la distribuzione degli interventi sanitari, se da un lato aiuta le decisioni in merito alla programmazione degli interventi e all'allocazione delle risorse, dall'altro comporta automaticamente l'attribuire minor valore alla vita delle persone anziane, degli invalidi e dei malati terminali. Ma, nel momento in cui ciò entra come elemento di giudizio sull'inutilità di un trattamento sanitario, finisce per indurre qualcuno a suggerire addirittura che, di fronte all'esigenza di razionamento delle cure sanitarie, sarebbe un "dovere morale" del cittadino "morire in modo economico" (Manzel 1990).
Nel contesto del trattamento dei malati terminali ha assunto una certa importanza la cosiddetta ''medicina palliativa'', che nell'ambito dei servizi plurispecialistici di cura e ricovero dei malati morenti, sviluppati in Inghilterra negli anni Sessanta, ha posto il problema di "ciò che si può fare quando non c'è più niente da fare". La medicina palliativa ha sollecitato i medici, le istituzioni e gli educatori a restituire dignità alla fase terminale della vita e della malattia di una persona, evitando di trattarla come vicenda estranea o, peggio, di ''disturbo'' per la comunità, ma anzi considerandola come momento ancora carico di senso umano e di potenzialità sociale.
Manipolazione genetica e terapia genica. - Gli organismi viventi sono costituiti da strutture e processi che li differenziano in modo essenziale dagli altri oggetti naturali e dalle macchine realizzate dall'uomo. In tale contesto, l'uomo si caratterizza, a sua volta, per una serie di attributi che ne qualificano, in modo speciale, la posizione rispetto agli altri viventi. Ciò giustifica l'esistenza di problemi etici in relazione alle diverse opportunità di conoscere le informazioni depositate nel patrimonio ereditario, che stabilisce i limiti e le potenzialità della presenza della vita e dell'uomo sul pianeta, e di utilizzarle o modificarle per scopi diversi.
La variabilità genetica è una condizione indispensabile per il cambiamento evolutivo delle specie viventi ed è essenziale al mantenimento degli equilibri della biosfera. Negli ultimi decenni si è manifestata la tendenza a un'uniformità genetica delle piante domestiche, in particolare proprio nelle regioni d'origine delle principali risorse genetiche vegetali, mentre la drastica riduzione degli habitat naturali mette in serio pericolo la sopravvivenza di diverse specie animali. Il rispetto della variabilità genetica, con interventi concreti volti al rilevamento e alla preservazione della diversità, soprattutto delle piante, si impone come una massima pratica per ogni attività umana volta allo sfruttamento delle risorse naturali biologiche.
I metodi di ingegneria genetica (v. anche biotecnologia, in questa App.) consentono oggi di isolare un gene, di dedurne la funzione, di trasferirlo in un altro organismo, batterio, lievito, pianta, animale o uomo, e di analizzare poi, nell'organismo ricevente, l'espressione del carattere ereditario supplementare supportato dal gene trasferito. Nelle prime fasi di sviluppo di queste tecnologie biologiche era forte la preoccupazione per i possibili rischi ambientali e sanitari derivanti dalle manipolazioni di ''mutanti artificiali''. Tuttavia una più attenta valutazione di questi rischi e l'introduzione di opportune precauzioni ha fatto rientrare l'allarme.
Si discute intensamente, invece, sulla brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche (al momento limitata agli organismi unicellulari) che comunque dovrà essere regolamentata in modo da non creare ulteriori condizioni di squilibrio economico e culturale fra paesi dotati di tecnologie adeguate e paesi che ne sono privi. Dalla brevettabilità dovranno comunque essere esclusi piante e animali, metodi chirurgici, diagnostici e terapeutici e qualsiasi invenzione contraria alla morale.
Le biotecnologie applicate all'uomo si stanno rivelando formidabili strumenti diagnostici e, in tal senso, sollevano questioni morali in relazione all'utilizzazione e alla comunicazione delle informazioni in tal modo raccolte, le quali possono riguardare vari aspetti dell'esistenza umana sociale e individuale, dall'accertamento della paternità o non-paternità alla diagnosi precoce di malattie ereditarie che possono manifestarsi già in fase prenatale o successivamente. È evidente l'esigenza di verificare attentamente le informazioni raccolte e la loro natura, soprattutto nella diagnosi prenatale, che potrebbe portare alla decisione di un aborto a causa delle gravi anomalie di cui il feto è portatore, mentre una diversa valutazione va certamente promossa sul piano sociale a proposito degli handicap, che in diversi casi sono tali soltanto in relazione a discutibili criteri socio-culturali di giudizio. Nella diagnosi di malattie con insorgenza prevista nell'età adulta, si discute sull'opportunità di informarne sempre il portatore. Ciò è sicuramente opportuno nei casi di predisposizioni verso malattie la cui insorgenza può essere in qualche modo prevenuta, mentre nel caso di malattie incurabili e a esito fatale (come per es. la corea di Huntington) il medico deve saper valutare se tale informazione non avrà un effetto traumatico sull'individuo, talvolta irreparabile.
La possibilità di trattare le malattie genetiche attraverso l'apporto di un gene il cui funzionamento anomalo è responsabile della malattia è oggi una realtà. Allo stato attuale delle conoscenze non esiste alcuna motivazione, né scientifica né, tantomeno, morale, per legittimare una qualsiasi modificazione dell'embrione umano che sia geneticamente trasmissibile. Al contrario, la terapia genica somatica, che consiste nel prelevamento delle cellule di un malato, nell'introdurre il gene la cui assenza produce la malattia e poi nel reimpiantare queste cellule così modificate nel malato stesso, non pone particolari problemi etici. Un requisito indispensabile rimane, comunque, la riduzione al minimo dei rischi per il paziente, attraverso un adeguato studio del modello animale, e la conformità alla regola del consenso volontario e cosciente del malato, o dei genitori nel caso si tratti di embrione o bambino, soprattutto per dissuadere dall'uso di malati terminali nella fase di sperimentazione.
Bioetica della rianimazione. - I principali problemi etici implicati dalle nuove tecniche di rianimazione e prolungamento della vita, anche quando le aspettative di sopravvivenza sono ridotte e non vi è alcun reale beneficio in termini di sollievo fisico o psicologico, riguardano il diritto del paziente, o di un sostituto legale da lui designato, ad assumere il controllo su quanto gli accade (v. anche terapia intensiva e rianimazione, in questa Appendice).
La complessità e l'urgenza dei problemi sopra accennati ha reso evidente la necessità di predisporre adeguati strumenti legislativi in merito all'utilizzazione delle scienze biologiche. In linea generale sono indispensabili precise norme riguardo alla procreazione medicalmente assistita, alle diagnosi prenatali, all'ingegneria genetica e alla sperimentazione medico-biologica, norme che salvaguardino dalla rinascita di pratiche eugeniche socialmente programmate.
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