BIOFISICA
(App. II, I, p. 407; IV, I, p. 281)
Nell'ultimo decennio, si sono andate precisando sempre meglio le caratteristiche della b., come disciplina scientifica che, da un lato, si distingue per problemi e per metodi dalla fisica e dalla biologia e, dall'altro lato, realizza il collegamento, concettuale e logico così come operativo e storico, tra questi due grandi campi tradizionali del sapere. A tal fine, conviene prendere le mosse da una visione panoramica della disciplina, anziché da un elenco dei progressi realizzati attraverso il dibattito di problemi particolari, progressi che, al di fuori della collocazione in un appropriato quadro generale, potrebbero anche non riuscire da soli a mostrare il loro più vero significato.
Conviene avvertire prima di tutto che l'annosa polemica sulla possibilità o meno di una completa fisicalizzazione della biologia si è finalmente risolta con una terza strada, che riconosce appunto l'esistenza di uno spazio per una disciplina intermedia. Gli straordinari successi ottenuti nel corso degli ultimi quarant'anni dalla biologia molecolare avevano fatto pensare a molti che la biologia, approfondendo lo studio analitico dei suoi oggetti, avesse ormai raggiunto lo zoccolo duro della fisica e che fosse da attendersi, per es., che dalla teoria della fisica delle molecole potesse venire sviluppata deduttivamente una teoria completa della cellula. Una simile eventualità, se verificata, avrebbe ridotto la biologia a capitolo della fisica e tolto spazio e significato alla biofisica. D'altra parte, tale possibilità veniva aprioristicamente negata con energia dalla maggior parte dei biologi.
La via d'uscita da questo dilemma si è presentata quando ci si è resi conto dell'esistenza di una categoria ben caratterizzata di sistemi, naturali e artificiali, macroscopici, che si differenziano da ogni altro sistema per essere sedi di processi interni ordinati, che con la loro estensione nello spazio e nel tempo delimitano il sistema stesso. L'ordine, appunto, la coerenza dei processi interni, fa sì che ciascuno di questi sistemi disponga di una riserva interna di energia in forma pregiata (cioè trasformabile in lavoro meccanico), che è associata a quell'ordine. Questo può mantenersi, malgrado i processi dissipativi che (a norma del secondo principio della termodinamica) inevitabilmente accompagnano ogni processo macroscopico, solo finché quella riserva interna non sia stata interamente trasformata in calore, oppure se, come accade nella maggior parte di questi sistemi, essa non venga costantemente ricostituita, via via che viene dissipata, da un flusso esterno rifornitore di energia.
Esempi ben noti di sistemi coerenti sono: un fiume; le celle di convezione che spontaneamente si formano in uno strato orizzontale di un fluido sottoposto a un opportuno gradiente di temperatura rivolto verso il basso; gli anelli vorticosi in un fluido; i cicloni; e, tra i sistemi realizzati dall'uomo, le macchine. La stretta analogia, già da Cartesio messa in evidenza, che si può istituire tra una macchina e un vivente, mostra che anche i sistemi viventi appartengono a questa categoria dei sistemi coerenti. Se poi si procede a classificare i sistemi coerenti a seconda delle proprietà e caratteristiche di ciascuno di essi, si giunge a definire i viventi come sistemi chimici coerenti, dotati di programma.
Il programma di un organismo vivente è materializzato, com'è ben noto, in una o più molecole di acido desossiribonucleico, o DNA, ciascuna delle quali è un lungo polimero lineare in cui si susseguono, in un ordine che può essere a priori qualsiasi, quattro tipi di diversi monomeri. Mentre tutte le proprietà fisiche della molecola di DNA non dipendono apprezzabilmente dall'ordine in cui i monomeri dei diversi tipi si susseguono nella sua struttura, è proprio quest'ordine che, nel corso della transizione dal non vivente al vivente (la comparsa della vita sulla Terra, quale si è verificata circa quattro miliardi di anni fa) e nel corso della successiva evoluzione della biosfera, ha acquistato un preciso significato biologico. Successivi segmenti della molecola di DNA, comprendenti ciascuno un numero di monomeri che può essere dell'ordine del migliaio e anche più, costituiscono i diversi geni dell'organismo: sono cioè quelle strutture materiali, che si riproducono e si trasmettono da generazione a generazione e che guidano e regolano la sintesi degli enzimi, cioè dei catalizzatori organici che a loro volta determinano e regolano il succedersi di tutte le reazioni chimiche dell'organismo. Da queste l'organismo deriva in pratica tutte le sue caratteristiche di base, strutturali e funzionali. Ogni gene può inoltre presentarsi in più varianti strutturali, i suoi alleli, che fanno sì che il corrispondente enzima sia più o meno attivo. E siccome nel passaggio da una generazione alla successiva il gene può subire una mutazione, cioè passare casualmente da una sua espressione allelica a un'altra, ogni esemplare di una determinata specie di organismi è caratterizzato da un suo particolare genotipo: l'insieme dei particolari alleli con cui i geni della specie sono presenti in quel particolare esemplare.
Siamo ora in grado di renderci conto di quale sia la differenza essenziale tra gli organismi viventi da un lato, e tutti i sistemi naturali e artificiali generalmente presi in considerazione dai fisici, dall'altro.
I sistemi fisici (cioè non viventi) sono a loro volta di due tipi. Possono essere sistemi deterministici, che a partire da condizioni iniziali assegnate possono evolvere nel tempo in un solo modo, esattamente prevedibile in base alle leggi generali che li regolano; è il caso, per es., del normale comportamento dei sistemi macroscopici. Oppure, possono essere sistemi quantici, che, a partire da condizioni iniziali assegnate, hanno diverse possibilità evolutive alternative. In questo caso, le leggi generali che stanno a fondamento della teoria non consentono di prevedere quale delle alternative possibili a priori sarà quella realizzata effettivamente nel caso particolare, ma la teoria ancora determina esattamente le probabilità delle diverse vie alternative, delle quali di regola solo poche hanno probabilità apprezzabili, mentre tutte le altre possono in pratica essere completamente trascurate.
A prima vista può sembrare che i sistemi viventi appartengano a questa seconda categoria, in quanto a ogni passaggio da generazione a generazione possono avvenire o non avvenire delle mutazioni. È però facile vedere che se ne distinguono quantitativamente, per il numero delle vie evolutive a priori possibili e tutte quante tali da non poter essere trascurate.
Si consideri infatti anche il più semplice degli organismi, un batterio: esso ha un genotipo comprendente circa 4000 geni, ciascuno dei quali può comparirvi secondo una delle numerosissime possibili varianti. Supponiamo tuttavia che, nella popolazione discendente da un unico batterio capostipite, per ciascun gene debba essere presa in considerazione solo un'alternativa all'allele presente nel capostipite. Ciò significa che i genotipi diversi che potranno comparire nella popolazione, e che dovranno quindi essere considerati come determinanti vie evolutive tra loro alternative e tutte possibili, sono ben 24000 ≃ 101200. Si tratta di un numero incredibilmente grande, di fronte al quale perfino il numero totale dei nucleoni esistenti nell'intero universo, numero che i cosmologi valutano nell'ordine di 1080, è al confronto trascurabilmente piccolo. Ciò significa che anche il numero degli esemplari della popolazione discendente da quel capostipite sarà sempre del tutto trascurabile in confronto al numero dei genotipi diversi che in essa possono comparire. E, di fatto, nuovi genotipi in essa non ancora rappresentati compariranno a ogni generazione, per cui, al variare delle condizioni ambientali, la popolazione potrà sempre evolvere in modo imprevedibile.
È qui dunque, in questo fatto tipico dei sistemi viventi − l'enorme sproporzione cioè tra la numerosità comunque raggiungibile da una popolazione e il numero straordinariamente più grande dei genotipi diversi possibili a priori per i suoi esemplari − che sta l'origine della variabilità biologica, l'origine in altre parole della storicità della biologia. Storicità di cui viene così anche chiarito il rapporto con il determinismo dei fenomeni fisici e, più in generale, con la legalità che domina il mondo di questi ultimi. Si tratta di un aspetto del mondo biologico che ovviamente non contraddice in alcun modo le leggi della fisica e quelle della chimica, ma che queste leggi non sono in grado di dominare.
Tutto ciò ha però un'ulteriore e ancora più importante conseguenza. Ogni possibile via evolutiva, che parta dal capostipite della popolazione sopra considerata, si suddivide a ogni generazione in un numero molto elevato di alternative (almeno tante quanti sono gli alleli che possono subire una mutazione), tutte pressoché equiprobabili. Di conseguenza il numero delle vie evolutive alternative possibili cresce col numero delle generazioni sempre e di gran lunga più rapidamente che non il numero degli esemplari (che a ogni generazione raddoppia soltanto).
È chiaro che in un caso del genere il concetto stesso di probabilità perde senso.
Supponiamo infatti che la teoria fisica ci fornisca per una determinata via evolutiva, dal capostipite fino alla g-esima generazione, una probabilità P. Se noi volessimo anche solo verificare sperimentalmente la previsione della teoria, rilevando la frequenza con cui tale alternativa effettivamente si produce, dovremmo esaminare l'evoluzione fisica alla g-esima generazione di un numero N di popolazioni, discendenti tutte da capostipiti aventi lo stesso genotipo, tale che sia almeno PN ≥ 1, poiché PN è il numero medio di popolazioni, su N esaminate, che dovrebbe seguire la via evolutiva considerata. Ma se le vie alternative sono tutte pressoché equiprobabili, P-1 cresce con g molto più rapidamente di 2g, per cui la verifica diventa ben presto praticamente del tutto impossibile. Per la stessa ragione, non possiamo servirci del dato della teoria per fare una qualche previsione significativa sul comportamento futuro del sistema che c'interessa o su quello di un qualsiasi insieme realistico di sistemi dello stesso tipo.
Al limite, dunque, quando il numero delle alternative diventa fantasticamente elevato e tutte sono tra loro pressoché equiprobabili, perdono senso le stesse leggi fondamentali su cui si basa, nel caso di sistemi fisici, il calcolo delle probabilità delle diverse vie evolutive possibili. L'idea stessa di legge fisica in definitiva entra in crisi.
La perdita di significato della legge crea una frattura logica tra ciò che può essere dimostrato o previsto per via deduttiva nel quadro della teoria fisica e lo sviluppo temporale di un sistema biologico. Tutto ciò che possiamo dire è che tale sviluppo risulta punteggiato da una serie di eventi (mutazionali) particolari, ciascuno dei quali è in linea di principio imprevedibile, anche se tutti risultano tra loro storicamente concatenati. Come i fatti fisici, anche i fatti propriamente biologici possono dunque ancora essere organizzati e collegati tra loro in un quadro descrittivo coerente, essere cioè teorizzati, ma la teoria biologica che ne risulta è di un tipo completamente diverso dalle teorie logico-deduttive della matematica e della fisica, ed è chiaro che una tale teoria non può non richiedere un fondamento completamente diverso e indipendente.
Abbiamo già detto come in una molecola di DNA l'ordine secondo cui si susseguono i monomeri dei diversi tipi, l'ordine dei geni o gli specifici alleli di questi ultimi in essa presenti, siano fatti quasi del tutto irrilevanti fisicamente, fatti cioè che non influenzano sostanzialmente le proprietà fisiche della molecola. Eppure, tutta la biologia del vivente di cui quella molecola rappresenta il programma, è contenuta in quei fatti. Esiste dunque uno spazio di indifferenza fisica, entro cui le alternative equivalenti si sono differenziate attraverso il tempo acquistando nuovi significati. E nel momento stesso in cui si chiarisce il modo in cui ciò che è propriamente ''biologico'' è emerso dal sottofondo chimico-fisico che realizza il macchinismo del vivente, si è costretti a riconoscere, in modo chiaro e definitivo, l'autonomia della biologia come scienza.
Resta da vedere come, malgrado l'indipendenza delle rispettive fondazioni, il sistema di concetti della fisica e il sistema di concetti della biologia possano essere resi coerenti tra loro proprio attraverso quella operazione logica che vanifica il concetto di legge fisica al crescere oltre ogni limite del numero delle alternative effettivamente possibili. Il fatto è che tale operazione, oltre che come astratto sviluppo di pensiero, può presentarsi anche come impresa di ricerca sperimentale e teorica, realizzabile in concreto. L'idea centrale è quella di studiare e teorizzare un sistema biologico, possibilmente il più semplice, non però nelle condizioni in cui normalmente lo si osserva in natura o in laboratorio, ma sottoponendo la sua intrinseca variabilità a vincoli così rigorosi in condizioni così strettamente controllate, che esso non abbia altra possibilità di svilupparsi, almeno per un certo intervallo di tempo, che come sistema apparentemente deterministico. In tali condizioni deve quindi essere possibile descriverne il funzionamento mediante una teoria di tipo fisico, una teoria cioè che si sviluppi deduttivamente a partire da postulati quantitativi, suggeriti dalla fenomenologia osservata. E dev'essere possibile anche far vedere come, man mano che le condizioni più restrittive e vincolanti vengano lasciate cadere, la teoria formulata debba progressivamente essere ampliata e si trasformi gradualmente, con lo svanire della significatività delle leggi e della forza delle deduzioni logiche, in una teoria di tipo biologico: la descrizione di un complesso di eventi particolari, logicamente collegati tra loro e organizzati complessivamente in base alle loro concatenazioni storiche.
Così facendo, ci si procurerà una guida sicura per capire come si possa passare dal sistema di concetti della fisica al sistema di concetti della biologia, aprendo peraltro la strada all'unificazione, in linea di principio, di queste due descrizioni del mondo diverse e contrastanti, di cui per tradizione ci eravamo abituati a far uso contemporaneo e alternativo: una per il mondo fisico e un'altra per il mondo biologico. Tale programma è stato realizzato assumendo come tema di ricerca l'organizzazione interna di un batterio, proponendosi cioè di capire e descrivere come fa un batterio a crescere e moltiplicarsi in condizioni che siano sempre rigorosamente controllate. Anche se non è possibile qui esporre nei particolari gli sviluppi e i risultati della ricerca, è necessario dire che essa, nell'esaurire il programma suesposto, ha anche fornito un modello funzionale particolareggiato del più semplice tipo di organismo vivente, sul quale è risultato realizzato in concreto quel ''passaggio al limite'', che delinea l'unica connessione logica possibile tra il sistema di concetti della fisica e il sistema di concetti della biologia.
Va aggiunto che il modello di batterio così teorizzato va visto anche nel tempo della storia. Ciò significa collocare, per così dire, il precedente trapasso dal ''fisico'' al ''biologico'', già effettuato sul terreno logico e sul terreno operativo, anche nei confronti dei due grandi problemi di frontiera della biologia: l'origine della vita da un lato e l'origine e la natura del pensiero dall'altro lato. È chiaro che il modello occupa una posizione centrale nei confronti di quei due problemi di frontiera ancora irrisolti, e che li collega idealmente con un unico arco, che abbraccia l'intero spazio biologico.
Il modello rappresenta infatti il punto di arrivo di quel processo di transizione dal non vivente al vivente, che è ciò che, nella storia, collega tra loro mondo fisico e mondo biologico. La struttura dettagliata di una molecola di acido nucleico che si vada comunque polimerizzando, come abbiamo già detto, non influenza sostanzialmente le proprietà fisico-chimiche della molecola stessa: ma le alternative fisicamente indifferenti che così si presentano hanno gradualmente acquistato irreversibilmente un significato che distingue ciascuna da tutte le altre, attraverso un susseguirsi di eventi particolari che, segnando l'inizio della costruzione di un vivente, hanno trasformato la molecola in questione in programma materialmente registrato. Sono insomma queste alternative che hanno aperto quel nuovo spazio d'indifferenza fisica che ha offerto al biologico la possibilità di svilupparsi nel corso della storia.
Ma il modello in questione rappresenta anche il punto di partenza, la chiave per comprendere e teorizzare come si è evoluta nel tempo la biosfera terrestre realizzando per gradi quella che si presenta oggi come la gerarchia inclusiva dei sistemi viventi. Basta a questo scopo tener conto del fatto che un unicellulare procariotico, un batterio, è un sistema coerente e che più sistemi coerenti possono sempre, mediante un reciproco scambio di convenienti segnali, realizzare una coerenza più vasta, mettendo in fase, per così dire, i processi interni e i movimenti di ciascun sistema con quelli di tutti gli altri. Si forma, quando questo avviene, un nuovo sistema coerente a un livello di complessità più elevato di quello dei sistemi componenti.
È dunque aperta la strada, in linea di principio, alla teorizzazione anche dei sistemi viventi e dei successivi livelli della gerarchia: gli unicellulari eucariotici, i multicellulari solitari, le società e in particolare le società animali. Emergono tra queste ultime le società umane, in cui lo scambio di segnali costituente il legame sociale ha assunto eccezionale rilievo con la ''invenzione'' del linguaggio articolato e il conseguente straordinario sviluppo dell'evoluzione socio-culturale. Siamo giunti così all'altra frontiera della biologia, quella costituita dal problema ancora insoluto dell'origine e natura del pensiero, la frontiera lungo la quale scienze biologiche e scienze umane si delimitano vicendevolmente.
Questo il quadro schematico che la b. offre della transizione dal ''fisico'' al ''biologico'' e dal quale deriva, pur nell'indipendenza delle rispettive fondazioni, un ben preciso orientamento del pensiero biologico. È questo dunque il quadro in cui si devono collocare e da cui debbono prendere significato tutti i progressi recentemente realizzati nei vari campi della ricerca pertinenti: dall'origine della vita (v. vita: Origine della vita, in questa App.) e dall'evoluzione della biosfera terrestre (v. in questa App.), alla struttura e funzionalità molecolare di singoli organismi (v. biologia molecolare, in questa App.).
Bibl.: W. Hoppe e altri, Biophysics, Berlino 1983; M. V. Volkenstein, General biophysics, New York 1983; M. Ageno, Le radici della biologia, Milano 1985; Id., La biofisica, Roma-Bari 1986.