BIOLUMINESCENZA
Con il termine b. vengono definite una serie di reazioni di ossido-riduzione, che avvengono negli organismi luminescenti (quali alcuni batteri, protozoi, funghi, vermi, crostacei, ecc.), nelle quali la variazione di energia libera è in parte utilizzata per eccitare una particolare molecola a uno stato ad alto livello energetico. Questa eccitazione è seguita dal ritorno della molecola eccitata allo stato fondamentale attraverso un processo che comporta la perdita dell'energia acquisita sotto forma di energia luminosa.
Cenni storici. - Le prime annotazioni sul fenomeno della b. ci sono giunte da scritti di Aristotele e successivamente di Plinio il Vecchio (quest'ultimo notò la b. prodotta da organismi marini). Le prime ipotesi scientifiche sulla loro origine e natura furono tuttavia formulate da R. Boyle che nel 1668 dimostrò che l'aria è necessaria per l'emissione di luce da batteri e funghi luminosi, e successivamente da I. Newton che teorizzò che la luce emessa dagli organismi luminescenti era di natura fisica. Nel 1775 P. Forskal descrisse la b. della medusa Aequora forskalea. Fra il 1885 e il 1914 R. Dubois dimostrò che il sistema luminescente di Pyrophorus e di Pholas dactylus era composto da un fattore termostabile che soprannominò luciferina, e da un fattore termolabile, che chiamò luciferasi. Inoltre, dimostrò che i due fattori insieme, in presenza di ossigeno, erano in grado di emettere luce. Nel 1877 B. Radziszewski fu il primo a dimostrare che anche composti chimici di sintesi presentavano il fenomeno dell'emissione di quanti di energia luminosa, e nel 1888 E. Wiedemann introdusse il termine chemiluminescenza (emissione di luce in seguito a una reazione chimica) per differenziare parzialmente tale fenomeno da quello della b. vera e propria. Nel 1928 E. N. Harvey contribuì allo studio della b. nei batteri luminescenti e, sempre nello stesso anno, H. O. Albrecht effettuò una serie di ricerche sull'emissione di luce da parte di una classe di composti appartenenti alle idrazidi cicliche (luminolo). Nel 1947 W. D. Mc Elroy riuscì a ideare la prima applicazione pratica della b. mettendo a punto una metodica di laboratorio per il dosaggio dell'ATP. Nel 1967 E. B. Ridgway e C. C. Ashley utilizzarono la chemiluminescenza per mettere a punto un metodo per il dosaggio del Ca2+ libero nelle cellule viventi utilizzando la fotoproteina della medusa Aequora forskalea (proteina appunto denominata aequorina), riuscendo ad applicare il primo indicatore luminescente per lo studio della biologia cellulare.
I componenti molecolari e il meccanismo della b. sono stati delucidati da W. D. Mc Elroy e collaboratori, i quali hanno utilizzato per i loro studi i costituenti del complesso bioluminescente della lucciola (Photinus pyralis). Questo sistema, che peraltro è uno fra i sistemi bioluminescenti maggiormente studiati, è formato da una molecola termostabile denominata luciferina (chimicamente la luciferina è un fenolo eterociclico) e da una proteina termolabile in possesso di attività enzimatica, denominata luciferasi (peso molecolare circa 100.000). La reazione attraverso la quale la luciferasi ossida la luciferina a ossiluciferina avviene in due stadi distinti. Nel primo stadio una molecola di luciferina (LH2) e una molecola di ATP reagiscono formando un complesso denominato luciferiladenilato (LH2−AMP) che si lega saldamente al sito catalitico della luciferasi (E):
In questa reazione viene liberata una molecola di pirofosfato (PPi). Quando il complesso E-LH2−AMP è esposto all'ossigeno molecolare, il luciferiladenilato viene ossidato a ossiluciferina (L):
In questa seconda reazione la luciferina ossidata passa attraverso uno stato di transizione eccitato prima di dissociarsi dalla luciferasi. La dissociazione dall'enzima e il ritorno allo stato fondamentale sono accompagnati dall'emissione di un quanto di luce (hv). Pertanto, per ogni molecola di LH2 ossidata a L si ha l'emissione di un hv e il consumo di una molecola di ATP. Il colore della luce emessa varia a seconda della specie animale di provenienza della luciferasi. Infatti, specie diverse di lucciole, pur possedendo la stessa identica luciferina, emettono luce di colore differente. Questo insolito meccanismo di trasformazione dell'energia chimica in energia luminosa serve alla lucciola come richiamo per l'accoppiamento.
Come già detto, il sistema luciferina-luciferasi è responsabile del fenomeno della b. di un numero rilevante di specie appartenenti al regno animale e vegetale. In tabella è riportato l'elenco delle specie bioluminescenti.
Un cenno particolare meritano i batteri bioluminescenti i quali sono presenti, in maniera ubiquitaria, negli oceani e in alcuni tipi di habitat non marini. I batteri bioluminescenti marini possono vivere liberi nell'ambiente acquatico o in simbiosi con specie animali che li ospitano all'interno di speciali organi detti ''organi luminescenti''. Quindi, la specie che ospita i batteri bioluminescenti deve loro la sua capacità di emettere luce. L'espressione del sistema luminescente è sotto controllo genico, per cui i batteri bioluminescenti possono esistere anche nella forma non bioluminescente. Soltanto quando la b. acquista un significato adattativo, a seguito di condizioni ambientali particolari, verrà espressa dal batterio bioluminescente che, in condizioni differenti nelle quali la b. è repressa, sarà in grado di trovarsi nella stessa situazione dei batteri non bioluminescenti, laddove la b. non avrebbe alcun vantaggio selettivo. Il controllo della b. è effettuato dai batteri mediante la produzione di una sostanza, chiamata autoinduttore, che una volta raggiunta una certa concentrazione nel mezzo nel quale il batterio vive, è in grado d'indurre la sintesi dei componenti del sistema responsabile della bioluminescenza. Questo meccanismo implica che nei batteri che vivono liberi nell'ambiente marino, l'autoinduttore non raggiungerà mai la concentrazione necessaria per innescare il processo di sintesi (poiché si diluirà nel liquido marino). Viceversa, le specie batteriche simbionti si troveranno in una condizione tale per cui, essendo confinate in un ambiente limitato (per es. all'interno dell'organo luminescente della specie che li ospita), l'autoinduttore raggiungerà la concentrazione efficace per esplicare la sua azione.
Da un punto di vista biochimico le reazioni coinvolte nel fenomeno della b. dei batteri si differenziano notevolmente da quelle descritte per il sistema luciferina-luciferasi della lucciola. Infatti, nei batteri, il sistema bioluminescente è collegato direttamente alla catena del trasporto degli elettroni secondo il seguente schema:
In queste reazioni, la luciferasi batterica svolge la doppia azione di ossidare il flavinmononucleotide ridotto (FMNH2) e l'aldeide RCHO, producendo contemporaneamente l'emissione di un quanto di luce (hv). La reazione di ossidazione descritta è direttamente proporzionale alla quantità di NADH e di FMNH2 presenti nel sistema. Vedi tav. f.t.
Applicazioni della bioluminescenza. - Nell'ultimo ventennio la b. ha trovato una vasta applicazione quale sistema analitico per il dosaggio di vari composti, grazie alla purificazione delle sostanze in essa coinvolte (luciferina e luciferasi, in particolare) e allo sviluppo di particolari strumenti, chiamati luminometri, ideati appositamente per seguire l'emissione di luce derivante dalle reazioni bioluminescenti. Questi apparecchi sono costituiti essenzialmente da una camera perfettamente isolata (in modo da impedire l'ingresso al suo interno della benché minima quantità di luce), nella quale viene alloggiata la provetta in cui far avvenire la reazione di bioluminescenza. La luce emessa dalla reazione viene captata da un fototubo che è in grado di ''contare'' i fotoni (hv) emessi. Il loro numero viene trasmesso a un integratore che riporta su una stampante il valore per unità di tempo. L'uso del sistema bioluminescente isolato dalla lucciola viene utilizzato per il dosaggio dell'ATP e di metaboliti ad esso collegati, e per la determinazione di attività enzimatiche di enzimi coinvolti nella trasformazione dell'ATP. Differentemente, il sistema bioluminescente isolato dai batteri è utilizzato per il dosaggio dei nucleotidi pirimidinici (NADH, NAD, NADPH, NADP), dei coenzimi flavinici (FADH2, FAD, FMNH2, FMN), di numerosi metaboliti (glucosio, lattato, glutammato, ecc.) e per la determinazione delle attività di enzimi ossido-riduttivi che utilizzano come coenzimi i nucleotidi pirimidinici o i coenzimi flavinici. La semplicità di esecuzione del dosaggio, la rapidità, la ripetibilità e l'elevata sensibilità hanno fatto sì che questa tecnica abbia trovato uno spazio fondamentale tra le metodiche biochimiche adoperate nello studio del metabolismo cellulare. Inoltre, l'uso di sostanze chimiche in grado di amplificare il fenomeno bioluminescente, quali il luminolo, la lucigenina e altre, ha permesso di aumentare ulteriormente la sensibilità di questa tecnica aprendo anche lo sviluppo della metodica chiamata chemiluminescenza.
Bibl.: Methods in enzymology, lvii, a cura di M. A. De Luca, New York 1978; H. J. Cohen, M. E. Chovaniec, in Journal of Clinical Investigation, 61 (1978), pp. 1088-98; M. L. Schinetti, G. Lazzarino, in Biochemical Pharmacology, 35 (1987), pp. 1762-64.