Biosfera
La b. è l'insieme di tutti gli organismi viventi e rappresenta fisicamente l'ambiente in cui i processi biotici si verificano, generando la continua alterazione ed evoluzione della b. stessa. Sul pianeta Terra, è quello strato sottile che si sviluppa fra l'atmosfera, la litosfera e l'idrosfera, che nella loro totalità costituiscono lo spazio inanimato della geosfera. Lo sviluppo tecnologico ha portato la vita in ambienti a cui essa era per natura estranea, come le capsule spaziali, ma che sono da considerare come comparti artificiali della biosfera. L'idea che sulla Terra esistesse un'entità costituita da organismi viventi fu proposta da J.-B. Lamarck già nel 1802, ma fu il geologo austriaco E. Suess, nel 1875, a introdurre il termine b. per indicare la sfera degli organismi viventi nella quale si realizzano i processi biologici. Negli anni Venti del 20° sec. il concetto di b. si è andato evolvendo, dando luogo a diverse interpretazioni: nel 1926 V. Vernadsky definì la b. come l'ambiente degli organismi viventi, un'entità geologica ben distinta dalle altre, l'unica dove penetra energia solare in misura significativa e tale da produrre cambiamenti; di contro, P. Teilhard de Chardin propose una visione della b. intesa semplicemente come l'insieme degli organismi viventi.
È quest'ultima interpretazione che prese il sopravvento, fino ai primi anni Settanta del 20° sec., quando cominciò a diffondersi la disciplina dell'ecologia globale e dei cicli biogeochimici e G.E. Hutchinson, riprendendo il pensiero di Vernadsky, definì la b. come quella parte del pianeta Terra in cui esiste la vita. Il termine b. ha quindi trovato largo uso nelle accezioni di insieme degli organismi viventi, sistema dei viventi, spazio in cui si trova la vita. Un'estensione del concetto di b. è quello che vede in esso anche l'insieme dei sistemi di supporto alla vita.
Il termine biosfera è parte del nome di importanti iniziative finalizzate alla ricerca, sviluppo e conservazione degli ecosistemi, quali, per es., Man and the biosphere dell'UNESCO o l'International biosphere-geosphere programme. Termini usati spesso come sinonimi di b. sono ecosfera e gaia, tuttavia essi sono sinonimi soltanto nell'accezione in cui la b. comprende anche i sistemi di supporto alla vita. In questo senso è più corretto usare il termine ecosfera, coniato da L. Cole nel 1958, che comprende oltre agli organismi viventi anche l'ambiente inorganico che li sostiene, e che pertanto si riferisce propriamente all'ecosistema globale. Il concetto di gaia, generato dal pensiero di J. Lovelock e L. Margulis, si estende oltre e concepisce il pianeta Terra come un'unica entità vivente capace di autoregolazione.
Origine ed evoluzione della biosfera
Probabilmente la vita è nata negli oceani. La composizione chimica delle acque oceaniche è, infatti, molto simile a quella degli organismi viventi (biota): esiste una correlazione fra l'abbondanza degli elementi chimici nel biota e la loro solubilità in acqua. È interessante notare che, al contrario, elementi abbondanti nella crosta terrestre ma rari nelle acque oceaniche, come il silicio (Si) e l'alluminio (Al), sono poco rappresentati nei tessuti viventi, e altri addirittura tossici (per es., il piombo e il cadmio). Nella primordiale acqua oceanica ricca di composti inorganici, l'energia liberata dalle radiazioni ultraviolette, all'epoca frequenti per l'assenza di ozono (O3) nella stratosfera, e dai fulmini, avrebbe generato legami chimici fra elementi e composti inorganici, con la formazione abiotica di semplici molecole organiche. S. Miller, nei primi anni Cinquanta del 20° sec., e diversi altri scienziati negli anni a seguire, riproducendo in laboratorio le condizioni in cui si ipotizza si trovasse la Terra all'origine della vita, hanno dimostrato che la formazione di molecole organiche da composti inorganici ed energia è possibile in assenza di vita. È interessante che ciò si verifichi soltanto in un'atmosfera riducente, ossia priva di ossigeno (O2): in presenza di O2 le molecole organiche si ossidano prontamente ai loro costituenti inorganici, non accumulandosi mai in soluzione. Al contrario, quando le semplici molecole organiche formatisi (per es., la formaldeide) si accumulano in soluzione, vanno incontro a reazioni che portano alla genesi di molecole sempre più complesse, con la sintesi di amminoacidi, proteine e acidi nucleici. Si ritiene, in particolare, che l'RNA sia stato il precursore del materiale genetico in grado di autoriprodursi. Soltanto successivamente si sarebbe evoluto il DNA. La presenza di piccole molecole organiche nell'oceano primordiale, probabilmente arrivate anche dallo spazio, avrebbe velocizzato l'evolversi della vita. Infine, il fosforo, grazie alle particolari proprietà chimiche dello ione fosfato [PO4]3−, nonostante la limitata solubilità nelle acque oceaniche e la scarsa presenza geochimica sulla Terra, ha giocato un ruolo fondamentale nei processi biochimici che hanno portato alla genesi della vita: l'immagazzinamento e trasferimento di energia chimica (come ATP) e la formazione degli acidi nucleici. La vita è associata alla capacità, da parte di distinte unità funzionali, di svolgere attività metaboliche e autoriprodursi; il suo evolversi ha visto tre momenti importanti: 1) la formazione degli acidi nucleici, polimeri in grado di contenere, autoduplicare e trasferire, con un meccanismo ereditario, l'informazione della vita; 2) lo sviluppo di meccanismi attraverso cui, sulla base di una informazione geneticamente codificata ed ereditaria, fosse diretta la sintesi di proteine; 3) la formazione di una membrana di molecole organiche idrofobe (lipidi) che consentisse di definire lo spazio delle unità viventi (le cellule). I primi organismi cellulari, evolutisi in un ambiente privo di O2 e ricco di molecole organiche, erano eterotrofi e ricavavano energia metabolica dalla demolizione di queste piccole molecole organiche attraverso reazioni chimiche esoergoniche: è il caso degli organismi metanogeni. Popolazioni di metanogeni, probabilmente analoghe alle prime comunità batteriche sviluppatesi sulla Terra, sono state rinvenute in rocce basaltiche a 1000 m di profondità, in prossimità di sorgenti geochimiche di idrogeno (H2). Successivamente, con l'accumularsi di solfato nelle acque, si sarebbe evoluta una linea di Archibatteri termofilici in grado di ricavare energia chimica dalla riduzione del solfato: ne sarebbero testimonianza popolazioni rinvenute in prossimità di sorgenti termali nel Mar Mediterraneo, dove l'elevata temperatura, l'acidità e l'anaerobiosi riproducono le condizioni ambientali primitive.
Un passo importante nell'evoluzione della b. è stata la genesi del processo metabolico che porta alla fissazione di azoto molecolare (N2) dall'atmosfera: l'azoto disponibile per gli organismi viventi sarebbe stato troppo altrimenti limitante per supportare il successivo sviluppo della vita. Dal momento che le prime linee metaboliche erano eterotrofe, e data la ridotta disponibilità di molecole organiche, la prima fase evolutiva della b. è stata quanto mai lenta. La comparsa della capacità di utilizzare l'energia luminosa come fonte di energia, evolutasi probabilmente dapprima da parte di solfo-batteri, ha rappresentato una vera rivoluzione nella storia evolutiva della biosfera. Con la fotosintesi si è fortemente accelerato il passo dell'evoluzione: gli organismi avevano una nuova fonte energetica e un processo di produzione di energia molto più efficiente. Inoltre, il rilascio di ossigeno in atmosfera da parte degli organismi fotosintetici ha rappresentato la prima vera trasformazione indotta dalla vita sull'ambiente: da allora l'atmosfera è diventata ossidante e si è generato lo strato di ozono in stratosfera, che ha successivamente protetto gli organismi viventi dagli effetti mutageni delle radiazioni ultraviolette. I metabolismi anaerobi, affermatisi in un'atmosfera riducente, si estinsero quasi completamente, rimanendo confinati in rari ambienti anossici, mentre andarono affermandosi cellule eucariote, dotate di organuli specializzati rispettivamente per l'attività fotosintetica (cloroplasti) e respiratoria (mitocondri). La presenza di ossigeno consentì anche l'evolversi di batteri chemioautotrofi, fondamentali nell'instaurarsi e successivo mantenersi dei cicli biogeochimici dei nutrienti: è il caso del tiobacillo (Thiobacillus thiooxydans) che utilizza lo zolfo elementare per la produzione di solfato, e dei batteri nitrificanti, che ossidano l'ammonio in nitrito e nitrato. Le prime cellule procariote sarebbero comparse sulla terra circa 3,8 miliardi di anni fa, come testimoniato da microfossili rinvenuti in Australia, e avrebbero assomigliato agli attuali cianobatteri. Dalla fusione di due diversi genomi procarioti, uno dei quali dotato di capacità fotosintetica, sarebbero nate, intorno a 2,1 miliardi di anni fa, le più complesse cellule eucariote, dotate di nucleo e membrane citoplasmatiche. A quell'epoca si fa risalire la trasformazione chimica dell'atmosfera in ossidante. Solo circa 680 milioni di anni fa, le cellule eucariote si sarebbero organizzate in strutture pluricellulari; con il Cambriano si è poi avuta una enorme diversificazione delle forme di vita che ha portato all'evoluzione di piante e animali.
Bilancio energetico e flusso di energia lungo le catene alimentari
La fonte primaria di energia per la b. è il sole. Circa il 10% della radiazione solare incidente è assorbita dalla b. e utilizzata per la produzione di energia chimica attraverso il processo di fotosintesi (formazione di biomassa), o conservata sotto forma di calore. Ogni organismo ha bisogno di mantenersi in equilibrio termico e quindi scambia energia con l'ambiente: a livello ecosistemico, i flussi di energia fra b. e atmosfera definiscono il bilancio energetico dell'ecosistema. Per dissipare il calore accumulato la biomassa fa evaporare acqua verso l'atmosfera, partecipando così al flusso di calore latente e al ciclo globale dell'acqua. Da qui la stretta interconnessione tra bilancio energetico e cicli della materia e dell'acqua. Attraverso il processo di fotosintesi, la radiazione solare del visibile o luce, caratterizzata da lunghezze d'onda dai 400 ai 700 nanometri, è utilizzata e convertita in energia chimica per la produzione di molecole organiche. Soltanto i batteri fotosintetici sono in grado di utilizzare radiazioni infrarosse, nessun organismo usa radiazione ultravioletta. Per la capacità di sintetizzare composti organici a partire da molecole inorganiche, gli organismi fotosintetici (piante superiori, briofite, alghe, cianobatteri) sono detti autotrofi o produttori primari. Tutti gli altri organismi (eterotrofi) utilizzano la sostanza organica prodotta dagli autotrofi, per la produzione secondaria di biomassa e come fonte di energia metabolica. L'efficienza del processo fotosintetico è molto bassa: in condizioni ottimali di luce, acqua, nutrienti e temperatura, solo al massimo il 10% dell'energia assorbita dagli organismi fotosintetici è convertita in sostanza organica. Di questa, gli stessi produttori ne utilizzano in media il 25% per il proprio mantenimento, di conseguenza, solo in media il 75% è disponibile per gli organismi eterotrofi. Raramente la fotosintesi si svolge in condizioni ambientali ottimali: l'efficienza produttiva è quindi ancora più bassa. L'energia fluisce attraverso la b. lungo catene alimentari composte da quelli che R. Lindeman, nel 1942, definì livelli trofici: produttori primari (piante e altri organismi fotosintetici), consumatori primari (erbivori), consumatori secondari (carnivori) e decompositori (funghi e batteri), tutti anelli di catene alimentari. A ogni passaggio da un livello trofico al successivo, parte dell'energia chimica viene trasformata in calore e in tale forma non è più utilizzabile per compiere lavoro. Dal momento che, in media, solo il 10% dell'energia è trasferita da un livello trofico al successivo, i livelli trofici più elevati hanno accesso a meno energia: una catena trofica ha pertanto da un minimo di 3 a un massimo di 7 livelli. Con la morte dei produttori primari e secondari, la biomassa diviene necromassa e va a costituire la fonte di energia di un altro gruppo di eterotrofi: i decompositori. Attraverso il processo di decomposizione, gli organismi decompositori degradano la sostanza organica fino ai suoi costituenti inorganici: l'anidride carbonica, che ritorna in atmosfera, e i nutrienti, che si rendono così nuovamente disponibili per i produttori primari. La degradazione della sostanza organica può richiedere tempi anche molto lunghi, durante i quali, se la velocità di produzione eccede quella di decomposizione, essa si accumula, come nel caso dei ricchi suoli organici delle torbiere, diventando una riserva fondamentale di energia e risorse nutritive per il mantenimento della vita. Attraverso la b., quindi, l'energia fluisce lungo due vie, la catena trofica del pascolo (piante → erbivori → carnivori) e la catena trofica del detrito (detrito → decompositori → carnivori), così strettamente interconnesse tra loro da andare a costituire un'intricata rete alimentare. Molti modelli ecologici si occupano di descrivere e quantificare il flusso energetico e le connessioni all'interno delle reti alimentari dei diversi ecosistemi; tuttavia, soprattutto le comunità dei decompositori sono ancora scarsamente comprese.
Cicli biogeochimici e impatto antropico sulla biosfera
La funzionalità della b. dipende dalla ciclizzazione di acqua e nutrienti; al contrario, il rapido fluire in modo ciclico, fra i diversi comparti del pianeta (b., atmosfera, idrosfera e litosfera), di elementi come il carbonio, l'azoto, lo zolfo e il fosforo, nonché dell'acqua, è assicurato dai processi biologici che si verificano nella biosfera. L'energia fluisce grazie a trasformazioni chimiche, per lo più di ossidoriduzione, e passaggi di stato (solido-liquido-vapore).
La capacità di elementi, quali il carbonio, l'azoto, lo zolfo, di modificare il loro stato di valenza chimica e quindi di conservare energia, formando legami chimici attraverso reazioni endoergoniche (come durante la fotosintesi, riduzione del biossido di carbonio in zuccheri) o di fornirla con reazioni esoergoniche (come durante la respirazione, ossidazione degli zuccheri in biossido di carbonio), li ha resi gli elementi della vita, e i processi biologici ne assicurano il rapido e continuo ciclizzare. Allo stesso modo, l'acqua, grazie alle speciali proprietà chimiche della sua molecola, è 'l'ambiente della vita' e, allo stesso tempo, la b. ne influenza fortemente il ciclo. Il ciclo lento degli elementi è invece assicurato da processi di natura geochimica (eruzioni, movimenti di subduzione della crosta terrestre, erosione e formazione di rocce ecc.) che, nel corso delle ere geologiche, ne dettano il passo. A scala planetaria, l'interconnessione fra processi biologici e geochimici determina i cicli dei nutrienti sulla Terra, che pertanto sono definiti cicli biogeochimici globali.
Il ciclo dell'acqua
La principale riserva d'acqua del pianeta Terra è rappresentata dagli oceani, che ne contengono il 96,5%. Solo una percentuale inferiore al 4% è quindi in forma di acqua dolce, presente nei ghiacciai (2,4%), nel sottosuolo (1%) e in piccolissima parte nella b. terrestre e nell'atmosfera. Attraverso queste riserve, l'acqua fluisce contribuendo alla regolazione del clima e, quindi, dei processi biologici. Su scala planetaria, il bilancio globale annuo dell'acqua è pari a zero, ossia ogni anno tanta acqua fluisce verso l'atmosfera, per evaporazione dagli oceani o evapo-traspirazione dalle terre emerse, tanta ne ritorna in forma di precipitazioni. Tuttavia, evapora più acqua dagli oceani in atmosfera di quanta ne arrivi con le precipitazioni; tale surplus di acqua, pari al 9% di quanto annualmente evapora dalle superfici oceaniche (40.000 km3), grazie alla circolazione atmosferica, muove verso le terre emerse dove precipita.
Al contrario, le terre emerse ricevono più acqua dall'atmosfera di quanto ne perdano per evapo-traspirazione, la quota di acqua in eccesso ritorna in oceano attraverso i corsi d'acqua superficiali e profondi, bilanciando così il ciclo globale dell'acqua. Negli ecosistemi terrestri, la disponibilità di acqua (a sua volta controllata da precipitazioni e temperatura, cioè dal clima) per gli organismi è uno dei principali fattori ecologici: essa determina distribuzione e funzionalità dei diversi biomi. Di contro, l'utilizzo dell'acqua e quindi la quota che ritorna in atmosfera per evapo-traspirazione o quella che scorre sulle superfici o percola attraverso il suolo per raggiungere il sistema di acque interne superficiali e profonde, dipende dal tipo di ecosistema. La foresta pluviale può solo esistere laddove le precipitazioni e le temperature sono elevate. Allo stesso tempo, è proprio la presenza della foresta pluviale che, grazie all'elevato tasso di evapo-traspirazione, assicura il mantenimento di un clima caldo-umido nelle regioni dove insiste. Clima e b. sono legati da strette relazioni di feedback: come riportato in seguito, l'uomo sta modificando il clima del Pianeta e l'uso delle terre, entrando prepotentemente tra le forze che controllano la b. e il ciclo dell'acqua. L'acqua dolce è una risorsa indispensabile e non sostituibile per la vita. La sua limitata disponibilità per gli organismi viventi, fra cui l'uomo, è assicurata dal mantenimento del ciclo dell'acqua e quindi dai processi di rigenerazione di acqua dolce.
Se l'uomo preleva acqua dalle riserve geologiche a una velocità superiore a quella dei naturali processi di rigenerazione, o con opere idrauliche ne devia i flussi, il ciclo globale dell'acqua si sbilancia e meno acqua sarà disponibile per la vita. Tutte le attività umane, dalla vita stessa, all'agricoltura e industria, dipendono dall'acqua: nel corso del 20° sec. l'uomo ha incrementato di otto volte la quantità di acqua prelevata per supportare le proprie attività, e in particolare per l'irrigazione dei campi agricoli e la produzione di energia idroelettrica. Tale ritmo non è sostenibile: già a partire dal 1990, il 20% della popolazione mondiale, per lo più in regioni aride e già a basso livello di sviluppo, non aveva accesso all'acqua potabile, e circa il 40% a livelli di sanità adeguati. L'incremento della popolazione mondiale, fino ai 9 miliardi attesi per la fine del 21° sec., e di conseguenza della domanda di acqua potabile, in assenza di adeguate strategie di gestione di questa preziosa risorsa, avrà impatti severi sia sulla disponibilità idrica sia sulla qualità degli ecosistemi acquatici: la capacità di questi ecosistemi di continuare a fornire beni e servizi indispensabili alla vita è fortemente a rischio.
Il ciclo del carbonio
Sul pianeta Terra si trovano 1023g di carbonio (C), distribuiti fra litosfera, dove nelle rocce sedimentarie il C è presente in forma di carbonati (6,5×1022 g di C) e composti organici (1,5×1022 g di C); acque oceaniche (3,8×1019 g di C); atmosfera (7,5×1017g di C) ed ecosistemi terrestri (2,06×1018 g di C). È interessante notare che solo una piccola quota del C presente sul Pianeta (40×1018 g di C) è localizzato in comparti attivi del ciclo, quali l'atmosfera e la biosfera. Ma è fra b. e atmosfera che si realizzano i flussi di maggiore entità e rapidità. Si stima che, ogni anno, sulle terre emerse più di 60 Pg di C (1 Pg=1015 g), in forma di biossido di carbonio (CO2), vengono assimilati dalla b., principalmente grazie al processo di fotosintesi operato dalle piante, e vanno a costituire le riserve di C organico nella biomassa vegetale (750×1015 g di C) e nella sostanza organica dei suoli (1500×1015 g di C), mentre una quota lievemente minore, di circa 60 Pg, ritorna in atmosfera dalla degradazione biologica della stessa sostanza organica.
I flussi naturali di C fra b. e atmosfera, attualmente, non sono in equilibrio: la quota di C che entra nella b. è maggiore di quella che ritorna in atmosfera. Lo stesso si verifica fra oceani e atmosfera, dove 92 Pg di C fluiscono ogni anno verso gli oceani, contro i 90 Pg che ritornano in atmosfera. Lo scambio di C fra atmosfera e oceani è tuttavia regolato in misura predominante da un processo fisico di dissoluzione del CO2 in acqua e solo in misura minore dall'attività fotosintetica del fitoplancton. Il biossido di carbonio disciolto in acqua forma acido carbonico che, a sua volta, si dissocia in ioni bicarbonato e carbonato. Infine processi geochimici contribuiscono ai flussi di C dall'atmosfera agli oceani: il biossido di carbonio presente in atmosfera, una volta a contatto con rocce silicee, calcaree e dolomiti, induce reazioni chimiche che ne provocano l'erosione; i composti del C rilasciati, trasportati dai fiumi, arrivano eventualmente nelle acque oceaniche. Indipendentemente dal processo attraverso cui entra in oceano, lo ione carbonato, in presenza di calcio, stabilisce un equilibrio chimico con il carbonato di calcio che, data la sua bassa solubilità in acqua, e grazie all'azione di diversi organismi marini che producono strutture rigide di carbonato di calcio, si deposita sui fondali oceanici, dando vita agli spessi strati carbonatici dei sedimenti oceanici. Il processo che porta lo ione carbonato a precipitare è detto pompa oceanica, spesso definita biologica quando si fa riferimento al ruolo svolto dagli organismi marini, ed è di grande rilevanza nella regolazione del ciclo globale del carbonio: spostando l'equilibrio fra CO2 e carbonati verso questi ultimi, promuove il flusso di CO2 dall'atmosfera verso gli oceani. Sono lentissimi processi di natura geochimica a riportare il C depositato sui fondali oceanici in atmosfera: per movimenti di subduzione, il C dei sedimenti oceanici entra nella crosta terrestre; l'attività di vulcani e fumarole lo emette in atmosfera.
Oltre che in forma di CO2, b. e atmosfera scambiano C anche in forma di metano. Durante la storia del pianeta Terra, la concentrazione atmosferica di biossido di carbonio ha subito profonde modificazioni, variando dalle 4000 parti per milione (ppm) del Cambriano a meno di 200 ppm del Carbonifero. Tuttavia, durante gli ultimi 16.000 anni, l'instaurarsi di processi di controllo retroattivo nel ciclo biogeochimico del C, e in prima misura a livello degli scambi tra b. e atmosfera, ha mantenuto la concentrazione di CO2 in atmosfera stabile e intorno alle 300 ppm.
A partire dalla rivoluzione industriale, alla fine del 18° sec., il ciclo globale del carbonio è stato alterato dalle attività antropiche: la conversione dell'uso delle terre (deforestazione) e la combustione di riserve stabili di C, quali carbon fossile e petrolio, sono state responsabili per l'emissione di CO2 in atmosfera di una quota annua (stimata come media per la decade degli anni Novanta del 20° sec.) pari, rispettivamente, a 1,7×1015 g e 6,3×1015 g di Carbonio. Nonostante siano inferiori per entità ai flussi naturali, le emissioni antropogeniche di CO2 hanno indotto un progressivo, e agli inizi del 21° sec. in atto, incremento della concentrazione atmosferica di CO2 a un tasso medio di 1,5 ppm per anno. Tale incessante incremento della concentrazione di CO2 in atmosfera ha posto in disequilibrio i flussi naturali fra b. e atmosfera stimolando, come si è detto, i processi di sequestro di C nella b. terrestre e negli oceani.
Grazie alle proprietà radiative della CO2, vale a dire al ruolo che gioca, assieme ad altre molecole quali il metano e l'ossido nitroso, nella regolazione della temperatura atmosferica del pianeta Terra, le alterazioni antropiche al ciclo biogeochimico del C sono responsabili della modificazione del clima e, al contempo, rappresentano uno dei cambiamenti ambientali globali in atto fra i più preoccupanti per il futuro del nostro pianeta.
Il ciclo dell'azoto
L'azoto (N) è un elemento essenziale per la vita, quarto per presenza dopo ossigeno, idrogeno e carbonio, presente in tutte le molecole chiave della vita (acidi nucleici, proteine, clorofilla); ciò nonostante, l'azoto è scarsamente disponibile per gli organismi viventi, dei quali spesso limita la produttività. Infatti, la sue maggiori riserve sono la litosfera e l'atmosfera (3,9×1012 g). In quest'ultima l'azoto è presente in forma di azoto molecolare (N2), una molecola inerte e non direttamente utilizzabile dalla maggior parte degli organismi viventi. In atmosfera, l'azoto si ritrova in traccia anche come ossido nitroso (N2O) e ossidi di azoto (NOx). Dall'atmosfera l'azoto entra nella b. attraverso il processo di fissazione che, richiedendo la rottura del triplo legame caratteristico della molecola di N2, è un processo a elevata energia di attivazione: solo alcune specie di alghe e batteri, spesso simbionti, hanno evoluto la capacità di effettuare la fissazione biologica dell'N2, e di renderlo così disponibile nella biosfera. Anche l'energia liberata dai fulmini in atmosfera trasforma l'N2 in nitrato [NO3]− che precipita sulle superfici di terre e oceani. I produttori primari, come le piante, utilizzano azoto minerale nelle forme di ione ammonio [NH4]+ e/o nitrato [NO3]− per formare i loro costituenti organici. I consumatori assumono l'azoto con la dieta, direttamente in forma organica (aminoacidi ecc.). Durante la decomposizione della sostanza organica, l'azoto organico viene mineralizzato dall'azione di funghi e batteri, con produzione di ammoniaca (NH3). Nei campi agricoli concimati, laddove si liberano alte concentrazioni di ammoniaca, questa si può volatilizzare in atmosfera. Altrimenti, essa si ionizza con formazione di ammonio che può subire diversi destini: 1) assimilato dalle piante; 2) immobilizzato nella biomassa microbica; 3) ossidato da batteri chemioautotrofi in nitrato, attraverso il processo di nitrificazione. In ambiente anossico, batteri denitrificanti riducono il [NO3]− fino a rilasciare N2 in atmosfera, chiudendo così il ciclo dell'azoto. Altrimenti, esso è assimilato dai produttori o, qualora in eccesso, lisciviato nei corsi d'acqua dolce e di qui in oceano. Prodotto secondario dei processi di nitrificazione e denitrificazione è l'ossido nitroso, che rilasciato in atmosfera ne influenza il bilancio radiativo, attraverso un 'effetto serra'. Nel 1918 F. Haber vinse il premio Nobel per la chimica per l'invenzione del processo di fissazione industriale dell'azoto: da qui ebbero inizio le profonde alterazioni al ciclo globale dell'azoto, indotte dall'attività antropica. La produzione industriale di fertilizzanti azotati, se ha consentito all'uomo di aumentare enormemente la produttività agricola e di sostenere così i bisogni nutrizionali della sempre crescente popolazione mondiale, ha anche portato a un surplus di azoto disponibile nei suoli, con effetti a cascata su tutti i flussi naturali di azoto e sulla biodiversità e funzionalità degli ecosistemi naturali. Inoltre, incrementando la coltivazione dei legumi (come soia, alfalfa, piselli ecc.) e del riso, in cui si realizza la naturale fissazione biologica dell'azoto, l'uomo ne ha stimolato il flusso, fin quasi a raddoppiarlo. Quando azoto minerale è disponibile nel suolo in misura maggiore rispetto al fabbisogno delle piante, può saturare la capacità del suolo stesso di trattenerlo e viene perso per lisciviazione nei corsi d'acqua superficiali e profondi, fino a raggiungere gli oceani, o in atmosfera attraverso processi di volatilizzazione, nitrificazione e denitrificazione. Inoltre, la saturazione di azoto nei suoli induce acidità e determina la mobilizzazione, e perdita per lisciviazione, di nutrienti minerali come calcio e magnesio, causando uno sbilancio nutrizionale per le piante. A condizioni di forte acidità, mobilizza anche l'alluminio, tossico per molti organismi viventi. Le alterazioni antropogeniche al ciclo dell'azoto hanno inoltre modificato significativamente, a scala regionale e globale, la chimica dell'atmosfera. Il monossido di azoto (N2O), che ricerche scientifiche hanno dimostrato avere mantenuto, nel corso degli ultimi duemila anni, una concentrazione stabile in atmosfera inferiore alle 300 parti per miliardo (ppb), dallo scorso secolo sta incrementando a un tasso annuo dello 0,2-0,3%, e nel 2000 ha raggiunto una concentrazione di 310 ppb. Questo incremento è dovuto all'uso in eccesso di fertilizzanti azotati, alla produzione industriale di materiali azotati e alla combustione di rifiuti solidi e combustibili fossili.
A parte essere un potente gas serra, l'N2O, dato il lungo tempo di permanenza in atmosfera, migra in stratosfera dove promuove la formazione di ossidi di azoto, impegnati nel ciclo catalitico di distruzione dell'ozono stratosferico. Gli NOx sono anche prodotti direttamente in troposfera, grazie all'energia rilasciata dai motori a scoppio, dove agiscono come precursori delle precipitazioni acidificanti e dello smog fotochimico. L'eccesso di azoto in laghi e bacini marini induce un eccesso di produttività algale, noto come eutrofizzazione culturale, seguita da un aumento della domanda biologica di ossigeno (BOD), che in casi di scarsa ossigenazione delle acque, può indurre anossia fino ad alterazione nella struttura e funzionalità della comunità biotica, con morte dei pesci. L'eutrofizzazione è considerata uno dei danni più seri che l'uomo ha causato agli ecosistemi costieri.
Il ciclo dello zolfo
Le principali riserve di zolfo (S) sulla Terra sono la litosfera e l'idrosfera, mentre nella b. e nell'atmosfera sono relativamente piccole, e in quest'ultima con tempi di permanenza molto rapidi. Il ciclo dello S è diretto da processi biologici: grazie alla sua ampia variazione di valenza chimica (da +6 dei solfati a −2 dei solfuri), si sono evoluti processi biologici in grado di sfruttare l'energia associata a queste trasformazioni chimiche. Probabilmente il primo processo fotosintetico evolutosi è quello operato da solfobatteri fotosintetici verdi o purpurei, che utilizzano il solfuro di idrogeno come donatore di elettroni, con liberazione di zolfo elementare. Similmente, batteri chemioautotrofi ossidano, in presenza di ossigeno, il solfuro di idrogeno in zolfo elementare, che successivamente si ossida ulteriormente a solfato. Nell'ambiente, il solfuro di idrogeno, oltre che da fonti geotermiche, è rilasciato da processi biologici, cioè dalla decomposizione in ambiente anossico della sostanza organica. Le piante assimilano lo zolfo nella sua forma di solfato, e successivamente lo riducono per incorporarlo in aminoacidi (metionina e cisterna) e altri composti organici (esteri).
Negli ambienti naturali il solfato non è limitante per la produttività primaria, grazie al fatto che viene prodotto dall'ossidazione dei solfuri (pirite) presenti in abbondanza nelle rocce, e rilasciato in suoli e corsi d'acqua. Il solfato viene anche continuamente deposto dall'atmosfera su terre e oceani, attraverso la pioggia (deposizione umida) o per semplice caduta o impatto (deposizione secca). Processi naturali (incendi ed eruzioni), biogenici (produzione microbica di dimetilsolfuro, DMS, solfuro di carbonile, COS, e idrogeno solforato), o antropogenici (emissioni di biossido di zolfo, SO2) rilasciano zolfo in atmosfera. Qui, nello spazio di due o tre giorni, veloci reazioni chimiche portano alla produzione di ioni solfato [SO4]2−, che, come detto, depositano e generano acidità. Solo il COS, meno reattivo degli altri gas, rimane in atmosfera per tempi più lunghi, in media cinque anni, e per questo motivo è il composto dello zolfo più abbondante in atmosfera. A partire dalla fine del 18° sec., l'uomo ha rilasciato SO2 in atmosfera, per estrazione e raffinazione dei metalli e del petrolio e combustione dei combustibili fossili. Le concentrazioni atmosferiche di SO2 in atmosfera sono andate diminuendo dal 1970, quando accordi internazionali hanno sancito la riduzione delle emissioni antropogeniche di SO2 in atmosfera.
Conservazione della biosfera
La b. è ormai minacciata dall'azione dell'uomo. Negli ultimi due secoli, i cicli biogeochimici, la biodiversità, gli ecosistemi hanno subito alterazioni di entità e rapidità tali quali non si erano mai registrate nella storia naturale del pianeta Terra. Per fare fronte a queste minacce, nel 1971 l'UNESCO ha lanciato un programma di ricerca con lo scopo di aumentare le conoscenze e la consapevolezza circa le mutue relazioni fra l'uomo e le sue attività e la natura e i suoi processi; il programma fu denominato Man and the biosphere. Qualche anno più tardi sono state introdotte le Riserve della biosfera, aree modello di compatibilità tra conservazione della natura e sviluppo sostenibile. A questa iniziativa sono seguite diverse Convenzioni internazionali, dove è stata ribadita la necessità di ridurre e mitigare l'impatto antropico sulla b.: il suo futuro risiede, in larga parte, nelle azioni che l'umanità vorrà intraprendere.
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