Bis in idem tra Cassazione e Corte costituzionale
Le prime risposte della Corte costituzionale ai dubbi di legittimità sollevati, a seguito della sentenza “Grande Stevens” della C. eur. dir. uomo, sulla tenuta del sistema punitivo interno basato sul cd. “doppio binario” sanzionatorio sembrano rimettere la soluzione delle questioni al Giudice comune, in attesa di un intervento organico di riforma da parte del legislatore. L’insufficienza delle soluzioni interpretative sinora ipotizzate sembra lasciare spazio, nel frattempo, ad una possibile pronuncia di tipo additivo della Corte costituzionale, tesa a ridefinire i confini del rapporto tra illeciti penali ed amministrativi nella materia del market abuse, dettando linee di indirizzo sperimentabili anche in altri settori dell’ordinamento.
La Corte costituzionale, con sentenza del 12.5.2016, n. 102 e con una successiva ordinanza del 20.5.2016, n. 112, si è pronunciata sulle questioni che erano state proposte dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Bologna, a proposito della possibilità di applicare in due distinti procedimenti, per i medesimi fatti, diverse sanzioni di tipo penale ed amministrativo1.
Come è noto, con la sentenza Grande Stevens e altri c. Italia del 4.3.2014 la C. eur. dir. uomo ha accertato la violazione da parte dell’Italia della garanzia del ne bis in idem convenzionale in un caso in cui i ricorrenti, resisi autori di condotte manipolative del mercato finanziario, e per tale motivo già sanzionati in via definitiva sul piano amministrativo, erano stati sottoposti anche ad un diverso ed autonomo processo penale avente ad oggetto i medesimi fatti. Muovendo dalla propria giurisprudenza in materia di idem factum, la C. eur. dir. uomo ha ricondotto le sanzioni di carattere amministrativo e il relativo procedimento alla nozione di “materia penale” rilevante ai fini dell’applicazione delle garanzie convenzionali, per poi verificare come i due procedimenti, sostanzialmente ritenuti penali entrambi, riguardassero i medesimi fatti materiali: una volta constatata la “definitività” della sentenza emessa a conclusione del procedimento amministrativo sanzionatorio e, al contempo, la pendenza del processo penale, ha ritenuto accertata la violazione della garanzia di cui all’art. 4, prot. n. 7, CEDU.
La Corte delle leggi ha concluso per l’inammissibilità delle due questioni proposte dalla Corte di cassazione ed ha restituito gli atti al giudice rimettente per la terza, alla luce delle sopravvenute modifiche legislative.
Con la prima delle su indicate pronunzie è stata ritenuta inammissibile, per difetto di rilevanza, la questione formulata in via principale, con riferimento all’art. 187 bis, co. 1, t.u.f. nella parte in cui la disposizione impugnata prevede «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato» anziché «salvo che il fatto costituisca reato»: la disposizione censurata, infatti, è stata già applicata una volta per tutte nel procedimento amministrativo e resta pertanto estranea al giudizio penale, nel quale invece l’imputato rischia di dover rispondere – in violazione del ne bis in idem convenzionale – soltanto ai sensi dell’art. 184 t.u.f., che resterebbe, tuttavia, immodificato dall’intervento sollecitato alla Corte. In ogni caso, quand’anche il ricorso fosse stato ricevibile, la Corte rileva che la violazione convenzionale si sarebbe dovuta escludere, posto che anche nell’ipotesi in cui la precedente sanzione fosse stata revocata ex art. 30, co. 4, l. 11.3.1953, n. 87 in conseguenza della pronuncia di incostituzionalità, il processo penale instaurato si sarebbe comunque dovuto celebrare e concludere, con il paradossale effetto di aggravare il vulnus recato all’art. 4, prot. n. 7, CEDU, anziché porvi rimedio.
Del pari inammissibile è stata ritenuta la questione subordinata circa la legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4, prot. n. 7, CEDU, poiché l’intervento additivo richiesto avrebbe unicamente l’effetto di impedire la celebrazione o la conclusione di un secondo procedimento per il medesimo fatto, senza tuttavia determinare alcun ordine di priorità tra la sanzione penale e quella amministrativa.
Una risposta sanzionatoria, dunque, incerta e casuale, che si porrebbe in evidente contrasto con altri principi fondamentali, quali la determinatezza e la legalità delle sanzioni penali, ma anche quelli di ragionevolezza e di parità di trattamento, oltre che di effettività, proporzionalità e dissuasività delle sanzioni, imposti dal diritto dell’Unione europea, con il conseguente rischio di una possibile violazione degli artt. 11 e 117 Cost.
Simile soluzione, peraltro, rischierebbe di procurare “abnormi” effetti pratici, esattamente opposti a quelli derivanti dall’accoglimento della questione sollevata in via principale: nel primo caso, infatti, la fattispecie penale assorbirebbe completamente quella amministrativa, mentre nel secondo caso sarebbero le sanzioni penali a diventare residuali, in ragione della tendenziale maggiore rapidità di svolgimento dei procedimenti sanzionatori amministrativi.
Inammissibile è stata ritenuta anche la questione sollevata dalla sezione tributaria della Corte di cassazione in ordine all’art. 187 ter, co. 1, d.lgs. 24.2.1998, n. 58 «in quanto formulata in maniera dubitativa e perplessa».
L’ordinanza di rimessione, infatti, pur ritenendo non conforme ai principi sovranazionali la previsione del doppio binario e, quindi, della cumulabilità tra sanzione penale e amministrativa, applicata in processi diversi, in sostanza, poi, non ha chiarito, ad avviso del Giudice delle leggi, se la sanzione penale già irrogata, a prescindere dalla sua afflittività e proporzionalità, sia o meno preclusiva alla successiva comminatoria della sanzione amministrativa. Dubbi, questi, non risolti, che costituiscono, unitamente all’incertezza del petitum, le ragioni di inammissibilità della questione sollevata.
La Corte, peraltro, non manca di rilevare, all’esito del suo percorso argomentativo, che il problema di fondo è rappresentato soprattutto dalla intrinseca contraddittorietà del sistema del doppio binario, che prevede come eventualità fisiologica la duplicazione del procedimento, con la conseguenza che l’arresto del secondo, una volta conclusosi il primo – senza alcuna priorità temporale – finisce per determinare un inutile dispendio di energie e di risorse, lasciando comunque esposto l’interessato ai costi di un doppio procedimento, uno dei quali destinato a concludersi con un nulla di fatto.
Siffatte incongruenze di tipo sistematico non possono certo essere risolte con un intervento della Corte costituzionale, dovendosi auspicare, piuttosto, una modifica legislativa, che predisponga un rimedio strutturale volto a regolare i rapporti tra i due illeciti e i relativi procedimenti, evitandone la duplicazione e assicurando, al contempo, il rispetto degli obblighi sanzionatori discendenti dal diritto dell’Unione europea.
Con la seconda delle pronunce su richiamate, infine, la Corte si è soffermata sulla questione sottopostale dal Tribunale di Bologna in ordine alla compatibilità fra la sanzione penale da irrogare ai sensi dell’art. 10 ter d.lgs. 10.3.2000, n. 74, che punisce l’omesso versamento dell’IVA, e quella amministrativa già inflitta dall’amministrazione tributaria per il parallelo illecito di cui all’art. 13, co. 1, d.lgs. 18.12.1997, n. 471.
L’ordinanza di rimessione, nel richiamare la nota giurisprudenza della Corte di Strasburgo su casi analoghi, riteneva tale regime sanzionatorio in palese contrasto con il divieto di un secondo giudizio poiché la sanzione già disposta per il medesimo fatto in sede tributaria avrebbe natura sostanzialmente penale, sicché il procedimento in corso per il reato di cui all’art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000 rappresenterebbe una duplicazione vietata dalla norma convenzionale.
La Corte ha rilevato che l’esame nel merito le è precluso poiché, successivamente all’ordinanza di rimessione, è intervenuto il d.lgs. 24.9.2015, n. 158, che ha profondamente modificato il rapporto tra gli illeciti penali e amministrativi in questione, sicché, in relazione a tali innovazioni, spetta al giudice rimettente valutarne le complesse ricadute nel giudizio a quo alla luce del sopraggiunto novum normativo.
Le questioni problematiche sinora sollevate restano dunque sul tappeto e vengono di nuovo portate all’attenzione del giudice comune, pur nella consapevolezza che solo un rapido e coerente intervento del legislatore potrà avere effetti risolutivi nello specifico settore degli abusi di mercato e in tutti quei settori del diritto italiano caratterizzati – come quello tributario – dalla presenza di un “doppio binario” sanzionatorio per i medesimi fatti e che nascondono, dunque, una potenziale violazione del principio del ne bis in idem così come interpretato dalla C eur. dir. uomo.
Nelle more della pronuncia della Corte costituzionale la dottrina si è divisa sulle possibili vie da intraprendere per un intervento riformatore sul piano legislativo.
Parte di essa si è chiesta se sia utile perseverare nella scelta del doppio binario sanzionatorio, prevedendo, tuttavia, le condizioni affinché il cumulo non entri in contrasto con il principio del ne bis in idem (ad esempio, prevedendo sanzioni penali solamente per le fattispecie dolose ed amministrative solo per quelle colpose); ovvero, se convenga prevedere la sola sanzione penale per talune fattispecie, o, infine, se sia il caso di depenalizzare determinate materie e prevedere solamente sanzioni amministrative (quest’ultima ipotesi, tuttavia, almeno per la materia degli abusi di mercato, si porrebbe in contrasto con il diritto UE, poiché la più recente normativa in materia – la direttiva 2014/57/UE – stabilisce che siano previste quantomeno sanzioni penali, riservando agli Stati membri la facoltà di prevedere parallelamente sanzioni amministrative)2.
Altra parte della dottrina, invece, si è interrogata sulla possibilità di un ripensamento della netta distinzione tra sanzioni amministrative e sanzioni penali, nella prospettiva di una teoria generale dell’illecito, comunque sottoposto a sanzione alla luce della giurisprudenza della C. eur. dir. uomo. A sostegno di tale posizione vi sarebbe la constatazione che lo stesso principio di specialità, previsto dall’art. 9 l. 24.11.1981, n. 689, esteso al concorso di sanzioni amministrative e penali, sottende una logica di perfetta fungibilità tra i due tipi di sanzione, dal momento che esse perseguono identiche finalità, con la conseguenza che l’applicazione della sola norma speciale, a seconda dei casi amministrativa o penale, costituisce attuazione del principio del ne bis in idem sostanziale3.
Diversa la soluzione raggiunta in Francia, dove il Consiglio costituzionale francese, investito di una questione sulla compatibilità fra la disciplina interna della fattispecie di aggiotaggio e la CEDU, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo, ha stabilito, con la sentenza del 18.3.2015, n. 2014453, alcune condizioni affinché venga superato il rischio di violazione del ne bis in idem nelle ipotesi di doppio binario sanzionatorio amministrativo e penale per la medesima fattispecie4.
In particolare, le condizioni individuate per scongiurare quel rischio sono le seguenti:
1) le disposizioni alla base dei procedimenti amministrativo e penale non devono reprimere gli stessi fatti qualificati in modo identico;
2) le due attività repressive non devono proteggere lo stesso interesse sociale;
3) le due attività repressive devono portare all’irrogazione di sanzioni di natura differente, soprattutto in termini di gravità della sanzione;
4) la repressione deve essere esercitata davanti ad ordini di giurisdizione differenti.
Il Consiglio costituzionale non ha ritenuto soddisfatta alcuna di queste condizioni con riferimento alla disciplina della fattispecie di aggiotaggio ed ha sostenuto che il cumulo fosse incostituzionale, chiedendo al legislatore nazionale di procedere, entro il 1º settembre 2016, all’abrogazione delle disposizioni contrarie al ne bis in idem con riferimento alle quali era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale, disponendo inoltre la sospensione e il divieto di avvio di procedimenti davanti all’AMF (corrispondente alla nostra Consob), nel caso in cui siano stati iniziati procedimenti penali per gli stessi fatti contro la stessa persona e viceversa5.
Sebbene la Corte di cassazione continui ad orientarsi nel senso di una decisa valorizzazione della rilevanza tradizionalmente assunta dai tratti costitutivi del principio di legalità formale accolto nella nostra Costituzione6, ritenendo non applicabile il principio del ne bis in idem, previsto dall’art. 649 c.p.p., nel caso di procedimento penale avente ad oggetto il medesimo fatto per il quale sia stata già irrogata una sanzione amministrativa di natura “sostanzialmente penale” secondo l’interpretazione adottata dalla C. eur. dir. uomo, significative “aperture” si registrano nell’ipotesi di conflitto tra due provvedimenti sanzionatori di natura amministrativa, che vengano emessi a carico della stessa persona e per il medesimo fatto, rispettivamente dall’autorità amministrativa e dal giudice penale, qualora il provvedimento giurisdizionale risulti essere maggiormente gravoso per l’entità della sanzione irrogata: in tale evenienza la Corte di cassazione ha stabilito che il giudice, in applicazione analogica dell’art. 669, co. 1, c.p.p., ne deve ordinare la revoca, ma non può disporre l’esecuzione dell’atto amministrativo irrogativo della sanzione, esulando tale potere dall’ambito della giurisdizione attribuita dalla legge al giudice ordinario7.
In tal caso, l’intervento “analogico” sull’art. 669 c.p.p., anche se limitato alla relazione tra sanzioni amministrative, è stato significativamente operato in attuazione del principio del ne bis in idem, sul rilievo, sia pure incidentale, che la dizione normativa “fatto”, nell’ampia accezione che le è propria, può intendersi comprensiva non solo della condotta costituente reato, ma anche di quella che integra una mera violazione amministrativa, così da poter rimuovere la reiterazione delle sanzioni in caso di identità.
Nel caso in questione la Corte di legittimità, pur qualificando “insuperabile” il dato formale del riferimento normativo alle “sentenze di condanna”, cioè al provvedimento giurisdizionale tipico, con la inevitabile esclusione del provvedimento sanzionatorio adottato dalla autorità amministrativa nei casi stabiliti dalla legge e l’ulteriore logica conseguenza della inapplicabilità della su citata disposizione processuale, sia in via diretta che in via estensiva, al caso in esame, ha comunque ritenuto possibile un’operazione interpretativa di tipo analogico sulla norma, al fine di colmare la lacuna legislativa prodottasi in caso di concorso del provvedimento sanzionatorio della autorità amministrativa e della sentenza di condanna emessi per il medesimo fatto e a carico della stessa persona.
Nel nostro ordinamento, pur essendo necessario avviare un’attenta opera selettiva nel graduare sul piano legislativo i meccanismi e le forme dell’intervento repressivo in modo da sfruttare appieno le potenzialità applicative del principio di specialità, è certo che la riscrittura del sistema sanzionatorio e processuale nazionale dovrà tener conto necessariamente di quello che, sullo sfondo, pare essere il vero obiettivo finale auspicato dalla C. eur. dir. uomo, ossia di garantire al condannato che all’illecito commesso verrà ricollegata un’unica sanzione attraverso un unico processo e che non vi sarà un altro processo destinato a ricollegare allo stesso fatto una sanzione di tipo diverso8. Pur rimanendo fermo il principio secondo cui il divieto di un secondo giudizio prescinde dall’eventualità della seconda condanna, è evidente la presenza di uno stretto collegamento fra il ne bis in idem processuale e quello sostanziale, in vista del quale opera il divieto di doppia condanna inteso quale fondamento sostanziale della garanzia convenzionale.
In tal senso si è rilevato che tutte le soluzioni ermeneutiche sinora prospettate (dall’interpretazione convenzionalmente conforme dell’art. 649 c.p.p. all’applicazione diretta dell’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali UE; dall’interpretazione convenzionalmente conforme dell’istituto di cui all’art. 669 c.p.p. alla diretta applicazione dell’art. 4, prot. 7, CEDU) non appaiono pienamente convincenti e presentano svariati problemi applicativi, creando il rischio di pericolosi vuoti di tutela, ovvero di gravi aporie sistematiche9.
Qualsiasi ipotesi di soluzione per via giurisprudenziale non impedirebbe, in ogni caso, il concreto avvio di entrambi i procedimenti, generando un risultato irragionevolmente dispendioso, tanto per il destinatario delle sanzioni (sia in termini economici che emotivi), quanto, e soprattutto, per l’intero ordinamento, che sarebbe costretto a sopportare i costi di una duplicazione di procedimenti, nonostante la certezza, ab origine, che solo uno dei due arriverà a conclusione10.
L’effetto preclusivo che scatterebbe a seguito della sentenza per prima passata in giudicato determinerebbe un assetto chiaramente lesivo del principio di eguaglianza, dipendendo da una circostanza del tutto aleatoria (e in qualche misura governabile dall’autore dell’illecito tramite i meccanismi di impugnazione, seguendo valutazioni di convenienza di tipo strettamente personale)11. Inoltre, poiché il procedimento amministrativo di irrogazione delle sanzioni marcia, come è noto, secondo tempistiche di gran lunga più rapide rispetto a quelle proprie del procedimento penale, il rischio di una «resa del giudice penale» all’autorità amministrativa sarebbe altissimo12.
Si giungerebbe, in tal modo, a un duplice paradosso:
a) sul piano delle garanzie processuali, il travaso ordinamentale delle indicazioni provenienti dalla C. eur. dir. uomo condurrebbe ad una negazione, di fatto, delle guarentigie del processo penale, esponendo l’ordinamento italiano a molteplici violazioni del diritto al fair trial, sancito nell’art. 6 CEDU, tutte le volte in cui il “processo” amministrativo non assicuri le garanzie tipiche del procedimento penale13;
b) sul piano dell’effettività della risposta sanzionatoria all’illecito, quanto meno nei settori economicamente più sensibili, la sanzione amministrativa, originariamente concepita come “rinforzo” della sanzione penale, rischierebbe di tradursi, di fatto, in un “esonero” di quest’ultima14.
Di qui la necessità di una riforma organica del sistema punitivo a “doppio binario”, per adeguare le discipline sensibili dell’ordinamento interno alle indicazioni provenienti dalla Corte di Strasburgo.
Senonché, nel riformare il sistema punitivo tributario con il d.lgs. n. 158/2015, il legislatore italiano non sembra aver posto rimedio alle numerose situazioni potenzialmente produttive di violazioni del principio del ne bis in idem15.
Attraverso l’art. 8, recante modifica dell’articolo 10 ter d.lgs. n. 74/2000, in materia di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto, come sottolineato nella Relazione illustrativa, l’intervento sulla relativa fattispecie è direttamente ispirato a dare attuazione al criterio direttivo che domanda al Governo di applicare per le fattispecie meno gravi «sanzioni amministrative anziché penali», obiettivo che il legislatore ha perseguito portando la soglia di punibilità per il delitto di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto ad euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta, e ritenendo così che per i fatti “sottosoglia” siano sufficienti le sanzioni amministrative già comminate dall’articolo 13 d.lgs. 471/1997.
Il legislatore, dunque, ha scelto di ridurre in maniera significativa l’area di rilevanza penale delle fattispecie di omesso versamento mediante un’operazione “quantitativa”, rinunciando a sciogliere una volta per tutte la questione relativa alla scelta se criminalizzare o meno condotte di mero inadempimento fiscale, non caratterizzate da alcun profilo di fraudolenza; peraltro non si rinvengono elementi che spieghino la differenziazione, quanto al valore concretamente individuato, fra la condotta di cui all’art. 10 ter (euro duecentocinquantamila) e quella ex art. 10 bis (euro centocinquantamila), tenuto conto anche della rilevanza “comunitaria” dell’IVA.
Nel settore finanziario, invece, l’occasione è offerta dall’attuazione della nuova normativa eurounitaria, tesa ad un profondo ripensamento della disciplina degli abusi di mercato in favore di assetti normativi scevri di duplicazioni sanzionatorie. Al riguardo, in particolare, il legislatore delegato dovrà decidere se confermare la logica del “doppio binario”, pur rivisitandola in modo da evitare attriti con il divieto del bis in idem convenzionale, o se affidare, invece, la repressione delle condotte più gravi di abuso del mercato alla sola risposta dell’ordinamento penale, con la necessaria modifica del ruolo della CONSOB, cui dovrebbe essere sottratta la potestà sanzionatoria.
L’art. 11, co.1, lett. m), l. 9.7.2015, n. 114 prevede che il legislatore delegato, nel dare attuazione alla direttiva 2014/57/UE, debba «evitare la duplicazione o il cumulo di sanzioni penali e sanzioni amministrative per uno stesso fatto illecito, attraverso la distinzione delle fattispecie o attraverso previsioni che consentano l’applicazione della sola sanzione più grave ovvero che impongano all’autorità giudiziaria o alla CONSOB di tenere conto, al momento dell’irrogazione delle sanzioni di propria competenza, delle misure punitive già irrogate».
Ciò nonostante, il secondo ed il terzo criterio indicati dalla legge delega, mirando esclusivamente ad evitare il cumulo di sanzioni penali ed amministrative, non paiono risolvere del tutto le problematiche di bis in idem convenzionale, poiché l’inflizione della sola sanzione più grave (secondo criterio) o il computo della sanzione già irrogata in quella da infliggere (terzo criterio) non precluderebbero in ogni caso l’instaurazione o la continuazione di un secondo procedimento sullo stesso fatto, dopo la definitività della sentenza conclusiva del primo16. Per quel che attiene, invece, al primo criterio (distinzione delle fattispecie), pur se lo stesso può ritenersi teoricamente idoneo ad evitare una duplicazione di procedimenti, non sembra agevole individuare, allo stato, una ragionevole linea di demarcazione tra l’area del penalmente rilevante e quella del mero illecito amministrativo.
In attesa di un intervento legislativo orientato a ridefinire sulla base del principio di specialità i confini tra l’illecito penale e quello amministrativo, sembra possibile sollevare una nuova e diversa questione di legittimità costituzionale in ordine al “combinato disposto” delle norme, penali ed amministrative, la cui applicazione condurrebbe alla violazione del bis in idem.
In tal senso, l’oggetto della nuova questione di legittimità costituzionale potrebbe essere rappresentato non soltanto dalle disposizioni che contengono la descrizione della fattispecie di reato o di illecito amministrativo e l’indicazione delle relative sanzioni, ma anche da quelle che regolano i rapporti tra procedimento penale e procedimento amministrativo sanzionatorio (art. 187 duodecies t.u.f.) ed il cumulo di sanzioni (art. 187 terdecies t.u.f.)17.
Al riguardo si è rilevato, peraltro, che solo una pronuncia additiva di principio consentirebbe alla Corte costituzionale di ricomporre, pur con talune criticità, gli attriti fra l’ordinamento interno e la giurisprudenza della C. eur. dir. uomo limitatamente al settore degli abusi di mercato, senza invadere la sfera di discrezionalità del legislatore18.
L’intervento della Corte costituzionale, dunque, potrebbe essere invocato per “riplasmare” il rapporto fra gli illeciti penali ed amministrativi di abuso di informazioni privilegiate (artt. 184 e 187 bis) e di manipolazione del mercato (artt. 185 e 187 ter), escludendo il concorso formale tra essi, con riferimento alla parte in cui le norme sanzionatorie amministrative fanno «salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato», anziché prevedere l’applicazione delle stesse sanzioni amministrative «salvo che il fatto costituisca reato»19. Presupposto logico-argomentativo di tale ragionamento è da individuare nella origine stessa della lesione della garanzia convenzionale con riferimento al divieto di doppia punizione, che deriva, ancor prima che dalla conclusione del procedimento penale sugli stessi fatti, dalla mera applicazione delle disposizioni sanzionatorie nel procedimento amministrativo, in via cumulativa alla irrogazione delle sanzioni penali previste per gli stessi fatti.
Siffatta manipolazione della clausola di apertura degli artt. 187 bis e 187 ter t.u.f. consentirebbe di individuare un concorso soltanto apparente con la norma penale, salvaguardando il principio del ne bis in idem sostanziale, poiché l’applicazione del criterio di specialità in favore dell’illecito penale renderebbe obbligatorio il solo avvio del procedimento penale, evitando all’interessato, nell’impossibilità di cumulare le due sanzioni, di essere assoggettato ad un procedimento amministrativo prima o durante lo svolgimento del giudizio penale20.
Effetti rilevanti nel dialogo avviato fra le Corti, interne ed europee, sul delicato tema della duplicazione di procedimenti e sanzioni per lo stesso fatto deriveranno dalle implicazioni di una recente pronuncia della Corte costituzionale (21.7.2016, n. 200), che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p., per contrasto con l’art. 117, co. 1, Cost., in relazione all’art. 4, prot. 7, CEDU, nella parte in cui, secondo il diritto vivente, esclude che il fatto sia il medesimo per la sola circostanza che sussiste un concorso formale tra il reato già giudicato con sentenza irrevocabile e il reato per cui è iniziato il nuovo procedimento penale.
Richiamata la giurisprudenza europea in tema di idem factum ed esclusa, anche nel nostro ordinamento, l’ammissibilità del criterio dell’idem legale, il Giudice delle leggi ha evidenziato che già nella sua precedente giurisprudenza (30.4.2008, n. 129) si era preso atto che «l’identità del “fatto” sussiste – come del resto affermato nella giurisprudenza di legittimità (S.U., 28.6.2005, n. 34655, in CED rv. n. 231799) – quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona». Nella medesima prospettiva, tuttavia, ha precisato che l’evento, ai fini dell’operatività del divieto di bis in idem, può assumere rilevanza «soltanto quale modificazione della realtà materiale conseguente all’azione o all’omissione dell’agente», secondo «una lettura conforme all’attuale stadio di sviluppo dell’art. 4 del Protocollo n. 7 alla C.E.D.U.».
Il divieto, pertanto, non va individuato in base al solo apprezzamento della condotta posta in essere dall’agente, poiché il fatto tipico va ricostruito attraverso la triade “condotta – nesso causale – evento naturalistico”, intendendosi con ciò tutti gli elementi materiali del reato che sono suscettibili di distinguere sul piano storico un fatto giuridicamente rilevante da un altro, escludendosi quelli che prendono vita solo sul piano giuridico (ad es., l’evento in senso giuridico, il bene tutelato, la diversa qualificazione normativa della condotta o dell’evento).
Una volta indicata la nozione di «medesimo fatto giuridico» desumibile dall’ordinamento giuridico italiano, e la compatibilità di essa con i principi costituzionali e sovranazionali, la Corte ha esaminato i rapporti tra il principio del ne bis in idem e l’istituto del concorso formale di reati, osservando che l’applicazione di diverse disposizioni penali è possibile anche avendo riguardo ad un’unica azione od omissione, con la conseguenza che, ove non vi sia un rapporto di specialità tra fattispecie o di concorso apparente di norme, «è incontestato che si debbano attribuire all’imputato tutti gli illeciti che sono stati consumati attraverso un’unica condotta commissiva o omissiva, per quanto il fatto sia il medesimo sul piano storico-naturalistico». L’istituto del concorso formale di reati, in effetti, risponde a scelte di politica criminale, sottoponibili a scrutinio di costituzionalità «solo qualora trasmodino in un assetto sanzionatorio manifestamente irragionevole, arbitrario o sproporzionato (sentenze n. 56 del 2016 e n. 185 del 2015)»; ciò, tanto più ove si consideri che le scelte del legislatore in materia non «violano la garanzia individuale del divieto di bis in idem, che si sviluppa invece con assolutezza in una dimensione esclusivamente processuale, e preclude non il simultaneus processus per distinti reati commessi con lo stesso fatto, ma una seconda iniziativa penale, laddove tale fatto sia già stato oggetto di una pronuncia di carattere definitivo».
Poste queste premesse, non è ammissibile concludere che sol perché è configurabile il concorso formale di reati non opera il divieto di bis in idem: questa soluzione, invero, si pone in contrasto con il principio dell’idem factum, quale è desumibile dall’art. 4, prot. 7, e che secondo la C. eur. dir. uomo dipende «esclusivamente dal raffronto tra la prima contestazione, per come si è sviluppata nel processo, e il fatto posto a base della nuova iniziativa del pubblico ministero, ed è perciò permessa in caso di diversità, ma sempre vietata nell’ipotesi di medesimezza del fatto storico … », mentre prescinde del tutto da profili connessi agli aspetti giuridici del fatto medesimo. Di conseguenza, «sussiste … il contrasto denunciato dal rimettente tra l’art. 649 cod. proc. pen., nella parte in cui esclude la medesimezza del fatto per la sola circostanza che ricorre un concorso formale di reati tra res iudicata e res iudicanda, e l’art. 4 prot. 7 CEDU, che vieta invece di procedere nuovamente quando il fatto storico è il medesimo».
La Corte costituzionale, tuttavia, precisa che siffatta conclusione non impone, all’opposto, di applicare il divieto di bis in idem in tutti i casi di concorso formale di reato: possono benissimo esservi ipotesi in cui all’unicità della condotta non corrisponde la medesimezza del fatto, per la diversità dell’oggetto fisico della condotta, ovvero del nesso causale e dell’evento.
Non è obbligatorio, dunque, procedere simultaneamente in caso di concorso formale, ma il difetto di coordinamento può portare alla decadenza dalla possibilità di proseguire l’azione penale per violazione del ne bis in idem. L’art. 649 c.p.p., dunque, non incide sulla disciplina del concorso formale di reati, nel senso che non esclude l’astratta configurabilità di più sanzioni per il medesimo fatto, quando questo integri gli elementi di diversi illeciti. Ma la protezione accordata all’individuo a seguito del passaggio in giudicato della sentenza preclude una contestazione basata sui medesimi fatti, anche se questa verta su diverse fattispecie in concorso formale21.
L’eccezione di bis in idem, in tal modo, viene sensibilmente rafforzata, quale frutto di un significativo inquadramento fra i valori costituzionali richiamati negli artt. 24 e 111 Cost., in funzione di una efficace tutela della persona dal rischio di un secondo processo, aprendo la strada ad un fruttuoso dialogo con gli orientamenti giurisprudenziali seguiti in materia dalla C. eur. dir. uomo, sulla base di nuovi criteri ermeneutici da sviluppare nelle ipotesi di concorso formale, dove il giudice dovrà procedere ad un confronto non tra le “fattispecie”, ma tra i fatti descritti nell’imputazione oggetto del secondo giudizio e quelli oggetto del primo. Ai fini della decisione sull’applicabilità del divieto di bis in idem rileva infatti solo il giudizio sul “fatto storico”.
La Corte costituzionale, infine, si è occupata dei requisiti che la decisione giudiziale deve avere perché operi il divieto di bis in idem ed ha segnalato che, nella giurisprudenza della C. eur. dir. uomo, ciò che assume immediato rilievo è la natura definitiva della decisione giudiziale; di conseguenza, alla luce della disciplina dell’ordinamento italiano, che riconosce carattere di giudicato anche alle sentenze di estinzione del reato per prescrizione, il divieto di bis in idem deve ritenersi operante pure quando è stata pronunciata una sentenza avente ad oggetto tale contenuto22.
Al riguardo, tuttavia, occorre precisare che l’effetto preclusivo, secondo un pacifico indirizzo interpretativo seguito dalla Corte di giustizia UE, ben può derivare anche da una decisione di archiviazione, purché la stessa consegua ad una procedura con “istruzione approfondita”23.
Secondo la Corte di Lussemburgo, infatti, applicare il principio del ne bis in idem a una decisione di conclusione delle indagini adottata dall’autorità giudiziaria di uno Stato Schengen in assenza di un esame approfondito del comportamento illecito addebitato all’accusato sarebbe manifestamente in contrasto con la finalità stessa dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, costituita dalla lotta alla criminalità, e rischierebbe di rimettere in discussione la fiducia reciproca degli Stati membri fra di essi.
In tal senso, conclude la Corte di Lussemburgo, una decisione del pubblico ministero che pone fine all’azione penale e conclude definitivamente il procedimento penale condotto nei confronti di una persona (senza che siano state irrogate sanzioni) non può essere considerata una decisione definitiva ai fini dell’applicazione del principio del ne bis in idem, qualora dalla motivazione di tale decisione risulti che il procedimento è stato chiuso senza che sia stata condotta un’istruzione approfondita; e ciò ai sensi dell’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen, interpretato alla luce dell’art. 50 della Carta.
Note
1 Su tali pronunce v. i primi commenti di Corso, P., Il doppio binario sanzionatorio tributario: un vulnus al divieto di secondo giudizio?, in Arch. pen., 2016, n. 3, 13 ss.; Faberi, A., Ne bis in idem: il dialogo interrotto, ivi, 2016, n.2, 4; Polegri, F., Il principio del ne bis in idem al vaglio della Corte costituzionale: un’occasione persa, in Giur. it., 2016, 1711; Viganò, F., Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio in materia di abusi di mercato: dalla sentenza della Consulta un assist ai giudici comuni, in www.penalecontemporaneo.it, 16.5.2016, 1 ss.
2 Viganò, F., Doppio binario sanzionatorio e ne bis in idem: verso un’applicazione dell’art. 50 della Carta?, Relazione tenuta all’incontro di studio svoltosi il 23 giugno 2014 presso la Suprema Corte di cassazione su “Il principio del ne bis in idem tra giurisprudenza europea e diritto interno”, in www.cortedicassazione.it, 29.
3 Flick, G.M.Napoleoni, V., Materia penale», giusto processo e ne bis in idem nella sentenza della Corte EDU, 4 marzo 2014, sul market abuse, in Società, 2014, 953 ss.
4 Polegri, F., Il principio del ne bis in idem, cit., 1714.
5 Su tali profili v,. Polegri, F., op. cit., 1716.
6 Cass., 21.4.2016, n. 25815, in CED rv. n. 267301, Scagnetti, in relazione ad una fattispecie in tema di reato ex art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000, in cui la S.C., pur ravvisando il difetto di prova della definitività della sanzione amministrativa tributaria, ha chiarito che il giudice di merito avrebbe eventualmente dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 649 c.p.p. per violazione dell’art. 117 Cost. in relazione all’art. 4, prot. n. 7, CEDU, piuttosto che dichiarare il non doversi procedere.
7 Cass., 13.3.2015, n. 12590, in CED rv. n. 263195, Giampechini, in relazione ad una fattispecie concernente la medesima infrazione al codice della strada, in cui l’imputato aveva subito una ingiunzione prefettizia di pagamento e una più gravosa sanzione applicata con la sentenza di condanna del giudice penale.
8 Così Corso, P., Il doppio binario sanzionatorio, cit., 15.
9 De Amicis, G., Ne bis in idem e doppio binario sanzionatorio, in Cedu e ordinamento italiano. La giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo e l’impatto nell’ordinamento interno, a cura di A. Di Stasi, Padova, 2016, 547 ss.
10 Lippolis, L., Ne bis in idem e illeciti finanziari: un’analisi alla luce di Corte cost. 102/2016 e della nuova disciplina eurounitaria sul market abuse, in www.federalismi.it, 21.9.2016, 25 ss.
11 Flick, G.MNapoleoni, V., A un anno di distanza dall’affaire Grande Stevens: dal bis in idem all’e pluribus unum, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2015, n. 3, 16.
12 Scaroina, E., Costi e benefici del dialogo tra Corti in materia penale, in Cass. pen., 2015, 2919; Madia, N., Il ne bis in idem convenzionale e comunitario alle prese con la litispendenza, in www.penalecontemporaneo.it, 9.6.2015, 4.
13 Lippolis, L., Ne bis in idem, cit., 26.
14 Flick, G.M.Napoleoni, V., A un anno di distanza, cit., 16 ss.
15 Dova, M., Ne bis in idem e reati tributari: a che punto siamo?, in www.penalecontemporaneo.it, 9.2.2016, 3 ss.
16 Viganò, F., Ne bis in idem e contrasto agli abusi di mercato: una sfida per il legislatore e i giudici italiani, in www.penalecontemporaneo.it, 8.2.2016, 22 ss.
17 Rudoni, R., La disciplina sanzionatoria degli abusi di mercato a confronto con il ne bis in idem convenzionale: il ruolo della Corte costituzionale in attesa dell’intervento legislativo. Nota a margine della sentenza della Corte costituzionale n. 102 del 2016, in www.associazionedeicostituzionalisti.it, 2016, n. 2, 15.
18 Rudoni, R., La disciplina sanzionatoria degli abusi, cit., 15.
19 Bontempelli, M., Ne bis in idem e legalità penale nel processo per gli abusi di mercato, in Arch. pen., 2016, n. 2, 12, secondo cui tali questioni, per risultare ammissibili, dovrebbero essere sollevate, invece che nel procedimento penale, nel giudizio di opposizione avverso il provvedimento di irrogazione delle sanzioni da parte della CONSOB.
20 Flick, G.M.Napoleoni, V., op. cit., 19 ss; Bontempelli, M., Ne bis in idem e legalità, cit., 13 ss.
21 Faberi, A., Ne bis in idem: il dialogo riaperto, in Arch. pen., 2016, n. 3, 6.
22 Nello stesso senso v. C. giust.,28.9.2006,C467/04, Gasparini.
23 C. giust., 29.6.2016, C486/14, Kossowski.