BISANTE
. Venne così chiamata da Bisanzio la moneta d'oro degl'imperatori d'oriente. Furono poi volta a volta detti bisanti costantinati, romanati, michelati, manuelati, dal nome dei varî imperatori che li fecero coniare, e anche caucei e scifati, dalla loro forma concava. I più antichi si accostano al peso e alla bontà degli aurei o solidi dell'Impero romano; poi andarono diminuendo di peso e vi fu anche introdotta molta lega d'argento, per cui vennero chiamati bisanti bianchi, come quelli fatti coniare nell'isola di Cipro dai primi re della stirpe dei Lusignano. In quest'isola, quando ne entrarono in possesso i Veneziani, come in altri luoghi, il bisante era divenuto moneta di conto e ne occorrevano dieci per fare un ducato d'oro. Fu ancora qui però che tornò, per un momento, a essere moneta reale quando i Veneziani, stretti d'assedio in Famagosta, emisero una moneta di necessità, attribuendole il valore di un bisante. Essa è di rame e porta da un lato il leoneveneto seduto, con la leggenda Pro regni Cypri pressidio, e dall'altro la scritta: Venetorum fides inviolabilis Bisante I, sormontata da un amorino, ricordo mitologico dell'isola cara a Venere. Si trova con frequenza, perché non fu ritirata dai Veneziani che dovettero abbandonare l'isola, e molto meno dai Turchi che l'occuparono.
In numismatica, questa voce serve anche a designare i piccoli dischi che dividono le parole delle leggende.
Bibl.: Catalogo della raccolta numismatica Papadopoli-Aldobrandini, compilato da G. Castellani, Venezia 1925, I, p. 259, nn. 8297-8304, tav. IV; E. Martinori, La moneta, Roma 1915, p. 35; N. Papadopoli-Aldobrandini, Le monete di Venezia, II, Venezia 1907, pp. 312, 484, 488, 556-558, tav. LI, 41; G. A. Zanetti, Monete e Zecche d'Italia, Bologna 1775-89, II, p. xxxvii.