BISANZIO
Appartenente con molta probabilità al clero locale, fu elevato alla cattedra episcopale di Trani, primo arcivescovo di questo nome, intorno al 1063, dopo che Niccolò II aveva deposto nel concilio di Melfi (agosto 1059) il vescovo Giovanni II, fautore di Michele Cerulario.
Il vescovo Delio, che alcuni autori collocano tra Giovanni e B., non è mai esistito: l'unica menzione di lui ricorre in una fonte sicuramente spuria.
Con la data del 15 maggio 1063 è conservato, in tradizione assai tarda, un discusso privilegio di Alessandro II che riconosce al presule di Trani il titolo di arcivescovo ed enumera come possessi di quella Chiesa: Polignano e San Vito, Lavello, Cisterna, Minervino, Montemilone, Acquatetta, Corato, Andria, Barletta, Bisceglie e Canosa, fatta eccezione, in quest'ultima, della chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, in quanto sede dell'arcivescovo barese: alcuni autori riferiscono a questa data anche la consacrazione di B., ma di essa non si fa parola nel documento; né sembra esatto affermare che con tale privilegio la Chiesa tranese venisse elevata ad arcidiocesi, poiché già prima di esso si conoscono presuli di Trani con il titolo di arcivescovo. A rendere la questione ancora più confusa contribuisce inoltre un privilegio dello stesso pontefice, pure del maggio 1063, indirizzato all'arcivescovo Andrea di Canosa, con il quale, tra altri possedimenti, vengono riconosciuti come soggetti alla sua giurisdizione Polignano, Lavello, Cisterna, Minervino, Montemilone, Acquatetta, ovviamente Canosa, e perfino Trani. Il caso si ripete, con le medesime incongruenze, nell'ottobre 1089, data di un privilegio di Urbano II in favore di B.; in esso si enumerano come dipendenti dalla sede di Trani quegli stessi possessi già menzionati nel documento di Alessandro II, in contraddizione, a sua volta, con un altro privilegio del medesimo Urbano II per Elia arcivescovo di Bari e Canosa, del 5 ott. 1089, nel quale sono menzionate ancora, come possedimenti della sede metropolitica barese, le stesse località, accanto ad altre di nuova acquisizione. C'è da osservare tuttavia che il primo dei privilegi baresi, il documento di Alessandro II per Andrea arcivescovo di Canosa, tramandato sotto forma di originale, presenta le parole "Molfi" (per "Melfi") e "Trane" scritte su rasura: sorge perciò legittimo il sospetto che il testo sia stato interpolato proprio per ottenere da Urbano II, il quale fu a Bari almeno dal 30 settembre al 7 ott. 1089, attraverso una conferma del privilegio precedente ripreso ad litteram, il riconoscimento della giurisdizione su Trani, sostituendo nel testo questo nome a quello di Andria, e su Melfi di Basilicata, correggendo la dizione originaria "Melficte", cioè Molfetta. Subito dopo, però, Urbano II, lasciata Bari, si recò a Trani (certamente vi si trovava l'11 ottobre) e lì l'arcivescovo B. dovette a sua volta esibirgli il proprio documento di Alessandro II, ottenendone la conferma. Non riscontrandosi altri indizi di falsificazione sembra perciò che sostanzialmente i due privilegi del 1063, pure se contrastanti tra loro, siano genuini (a prescindere dalle alterazioni apportate successivamente in quello barese) e che la situazione giurisdizionale rispetto ad alcune località risultasse particolarmente confusa dopo gli avvenimenti succedutisi tra la fine del sec. X e il primo sessantennio dell'XI.
Evidentemente Trani ne rivendicava il possesso in forza del potere metropolitico di cui godeva il presule di quella città sotto il dominio greco, ristabilito dopo la morte di Ottone II: in quella circostanza, per di più, vennero probabilmente unite per qualche tempo la sede di Trani e quella arcivescovile di Canosa-Bari, giacché in un documento del catapano d'Italia, datato al maggio 999, il presule Crisostomo è ricordato quale ἀρχιεπίσκοπος κάστρου Βαρέως τε καὶ Τρανῶν e lo stesso pastore, in un suo documento dell'ottobre 1002, si intitolava vescovo di Trani e di Ruvo. Dopo l'episodio della deposizione dell'arcivescovo Giovanni II, la Chiesa di Roma, volendo assicurarsi per l'avvenire l'obbedienza dei pastori tranesi, non dovette ritenere opportuno abolire i privilegi di cui essi godevano con l'obbedienza alla Chiesa greca: di qui il riconoscimento della giurisdizione metropolitica, con l'inevitabile confusione circa i suoi confini, e dell'uso del pallio. In questa prospettiva non sembra neppure legittima l'interpretazione del Duchesne che vede l'erezione di Trani ad arcidiocesi in funzione antibarese, dopo l'alleanza del papato con i Normanni. Sembra invece accertato che proprio in quel periodo Trani volesse affermare, in una posizione di particolare prestigio, la sua autonomia di fronte alle opposte forze politiche: non è probabilmente casuale la circostanza che, nella successiva esaltazione di quel momento della storia locale, si siano voluti far risalire proprio al 1063 i famosi statuti marittimi tranesi noti come Ordinamenta maris, sicuramente più tardi.
Ovviamente la situazione finì col creare un conflitto di competenze tra l'arcivescovo di Bari e quello di Trani, conflitto che fu composto soltanto da Callisto II, allorché la giurisdizione tranese venne ridotta alle località di Corato, Andria, Barletta, Bisceglie e al monastero di S. Maria del Monte.
Che B. fosse ufficialmente riconosciuto da Roma quale arcivescovo non può essere messo in dubbio: egli è nominato con questo titolo, accanto agli arcivescovi di Salerno, Capua, Napoli, Sorrento, Siponto e Taranto, nell'elenco dei prelati che presenziarono la consacrazione della chiesa abbaziale di Montecassino ad opera di Alessandro II il 1º ott. 1071.
Dell'attività di B. si conosce ben poco: per il periodo che comprende i pontificati di Gregorio VII e Vittore III non si hanno documenti.
In una convenzione tra l'arcivescovo tranese Bertrando II e l'Ordine del S. Sepolcro, dell'agosto 1162, è ricordata la concessione di un privilegio fatto da B. in favore della chiesa del S. Sepolcro di Barletta, ma non si hanno particolari sulla data e le circostanze di tale atto. Il 20 maggio 1094 B. accolse in Trani, proveniente da Taranto, un giovane greco che di lì a poco sarebbe stato canonizzato col nome di s. Nicola Pellegrino: secondo la prima parte della leggenda agiografica su s. Nicola, l'arcivescovo, per sedare il chiasso provocato dai ragazzi che seguivano il giovane, l'avrebbe fatto arrestare e fustigare, e soltanto in un secondo tempo, riconosciute le sue virtù, l'avrebbe liberato e assolto da ogni accusa: ma la circostanza è sospetta, poiché ripete nei particolari quanto l'agiografo narra anche per l'arrivo di Nicola a Taranto. È certo invece che, morto il giovane in Trani il 2 giugno 1094, B. ne riconobbe la santità e qualche anno dopo, davanti a un sinodo riunito da Urbano II (non si sa se in quello Lateranense del principio del 1097 o in quello tenuto in S. Pietro tra il 24 e il 30 apr. 1099; lo Jaffé lo attribuisce senz'altro al primo), ne esaltò i miracoli chiedendone la canonizzazione: poiché le fonti parlano di "lettura" dei miracoli "scripto edita", è probabile che B. abbia recitato la Vita scritta da Adelferio e dedicata allo stesso arcivescovo, che costituisce la seconda parte della leggenda agiografica del santo. Il pontefice indirizzò allora ai Tranesi una lettera con la quale annunciava che, udita la richiesta di B., aveva demandato allo stesso arcivescovo di definire la causa di santificazione. Non si sa se ad essa poté giungere lo stesso B.: certamente la canonizzazione era già avvenuta il 4 ott. 1142, allorché l'arcivescovo Bisanzio III provvide alla traslazione delle reliquie; il diacono Amando, futuro vescovo di Bisceglie, scrisse in quella occasione una Historia translationis sancti Nicolai, che rappresenta la terza parte della leggenda agiografica.
Non si sa quando B. sia morto: del febbraio 1101 è un documento del suo successore, Bertrando I.
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