biscia
Propriamente indica il " serpe d'acqua ", ma è usato da D. come " serpente " in genere. Ricorre soltanto nella Commedia, quattro volte. In If IX 77 le anime dei dannati, immerse nella palude Stigia, fuggendo all'arrivo del Messo celeste, sono paragonate alle rane che fuggono dinanzi alla b.: Come le rane innanzi a la nimica / biscia per l'acqua si dileguan tutte. La similitudine (a proposito della quale lo Scartazzini ricorda Ovidio Met. VI 371 " et modo tota cava submergere membra palude ") serve anche a sottolineare che il Messo, essendo una potenza celeste, è sentito dai dannati come una forza a loro ostile, perché " in animam malivolam non introibit spiritus sapientiae " (Landino).
Analogo paragone della b. dinanzi alla quale, come a nimica, istintivamente si fugge, è in Pg XIV 38: Rinieri da Calboli dice che a Firenze e in tutta la valle dell'Arno vertù così per nimica si fuga / da tutti come biscia.
Al plurale b. ricorre in If XXV 20, ove è descritta la figura mostruosa del centauro Caco: Maremma non cred'io che tante n'abbia, / quante bisce elli avea su per la groppa / infin ove comincia nostra labbia. Caco aveva " innumerabile moltitudine di serpi in su quella parte che era cavallo, perché la parte bestiale, che era in lui maggiore che l'umana, ebbe innumerabili fraudi et inganni di furare e rubare " (Buti). D. già in If XIII 7-9 aveva detto che la Maremma toscana era piena di fiere selvagge. In essa, informa il Buti, "abbondano molte serpi, intanto che a Vado è uno monastero bellissimo, lo quale per le serpi si dice essere disabitato ".
In Pg VIII 98 la b. rappresenta allegoricamente il demonio tentatore: Da quella parte onde non ha riparo / la picciola vallea, era una biscia, / forse qual diede ad Eva il cibo amaro. Il demonio, come in Gen. 3, 1-7, prende la forma del serpente, perché viene sempre a tentare con frode e viene dalla parte della valletta che non ha riparo. D. " rectamente pone el serpente per la tentazione, imperò che el serpente è astuto, e similmente è animale molto terrestre " (Landino); la b. si presenta simile a quella che si mostrò a Eva, " quando la tentò e fecela peccare " (Lana). Il Barbi (" Studi d. " XIII [1928] 64) intende qual nel senso di " quella stessa che ", ma il Porena, seguito dalla maggior parte dei commentatori, fa osservare che qual può equivalere a " colui che " in senso generico (chiunque) e non in senso individuale; perciò si deve intendere " come quella che ", " simile a quella che ", non " la medesima ". Inoltre, la b. che tentò Eva fu " una forma assunta temporaneamente dal demonio, e non un animale vivente da allora per sé ".
Quanto all'allegoria di tutto l'episodio, l'ipotesi più verosimile, secondo il Fallani, " sembra quella che la pone in relazione ai principi, le cui tentazioni più frequenti durante la vita furono l'orgoglio e la cupidigia, allorché con la guerra e con l'avidità di dominio, per negligenza o per colpa, dimenticarono lo scopo e le finalità del potere sovrano, di cui erano stati investiti dall'alto ". D'altra parte, secondo il Sapegno (per es., commento a Pg VIII 19), occorre anche osservare che l'arrivo della b., cioè della tentazione, non dovrebbe essere attribuito alle anime dell'Antipurgatorio, " le quali non sono più soggette a tentazione e non hanno bisogno d'impetrare contro di essa il soccorso divino (cfr. Purg., XI, 22-24) ", ma deve essere riportato " alla condizione delle anime che sulla terra intraprendono il cammino della penitenza ". Nonostante le due opposte interpretazioni, non v'è dubbio che " il rito qui rappresentato ha una funzione penitenziale " (Flechter, Allegory. The theorie of a Symbolic Mode, Ithaca, Cornell University Press, 1964), e il fatto che si ripeta ogni giorno gli conferisce un significato non contingente, ma di " perenne e universale allegoria " (Montanari), sia che la tentazione della b. si attribuisca come pena purificatrice alle anime della valletta, sia che essa serva soprattutto di ammonimento ai viventi sulla terra, sempre soggetti alla tentazione, ma anche nella condizione di poter essere prontamente liberati, mediante la preghiera, dalla grazia divina (rappresentata dall'intervento degli angeli).