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BĪSUTŪN

di Antonino Pagliaro - Enciclopedia Italiana (1930)
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BĪSUTŪN

Antonino Pagliaro

N Anticamente Bagastāna cioè "sede degli dei"; gr. Βαγίστανον ὄρος (Diod., XVII, 110), nei geografi arabi del Medioevo Behistūn, è il nome moderno di un contrafforte roccioso della catena che si stende a oriente della pianura di Kirmānshāh, famoso per il monumento che Dario I d'Istaspe (322-486) vi ha lasciato a memoria delle sue gesta. Sulla roccia che scende a picco all'altezza di circa centoventi metri è scavata una vasta nicchia con figure in rilievo e numerose iscrizioni in cuneiformi. Vi è rappresentato il Gran Re in atto di avanzare, accompagnato da due guerrieri di cui l'uno gli porta la lancia e l'altro lo scudo, sul corpo del nemico atterrato che alza la mano implorando. Dietro questo è una fila di nove prigionieri con le mani legate dietro al dorso e legati l'uno con l'altro mediante una catena che passa loro intorno al collo. Il re si appoggia con la sinistra sull'arco e alza la destra in gesto di adorazione alla divinità. La scena è dominata dalla figura del grande dio Ahuramazda nella rappresentazione usuale dell'età achemenide: la sfera del sole alato, adorna con il busto del dio.

Le iscrizioni scolpite intorno in tre redazioni, e cioè in antico persiano, in elamita e in babilonese, narrano della ribellione di Gaumāta il Mago avvenuta già verso la fine del regno di Cambise e di altre ribellioni che il Gran Re dovette domare con le armi. La narrazione contiene poi verso la chiusa ammonimenti ai successori e invocazione di augurio - cosa non nuova in Oriente - a chi rispetterà l'iscrizione. "Parla il re Dario: tu che sarai re, fra molto tempo, di un uomo che sia bugiardo o violento non essere amico, ma puniscilo severamente. Parla il re Dario: tu che fra molto tempo vedrai questa iscrizione che io ho scritta, o queste figure, non le distruggere, ma fintanto che puoi, rispettale". L'iscrizione è certamente anteriore al 510 a. C.

Bibl.: F. H. Weissbach, Die Keilinschr. der Achämen., Lipsia 1911, pp. xi seg., 8 segg.; F. Sarre, Die Kunst des alten Persiens, Berlino 1925, p. 7.

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