BITUITO (Bituĭtus: altre forme Betultus, Betuitus)
Figlio di Luerios o Luernios, re degli Arverni (v.), signori, verso la fine del sec. II a. C., d'un vasto impero nella Gallia. Lo sfarzo della corte di Bituito e di Luerios, lo splendore delle armature e dei carri, l'immenso corteggio di bardi, di scudieri e di cani, la sconfinata liberalità, le fantastiche imbandigioni allestite e le grandi masse di guerrieri che essi potevano raccogliere (si parla di 200.000 guerrieri, o anche di più) impressionarono vivamente i Greci e i Romani. Nel 122 gli Edui, staccatisi dall'impero degli Arverni, chiesero aiuto ai Romani contro gli Allobrogi, invitati da Bituito a saccheggiare il loro territorio. Roma inviò il console del 122 Gn. Domizio Enobarbo, al quale si presentò un'ambasciata di Bituito per trattare in favore degli Allobrogi, ma senza risultato. Gli Allobrogi furono vinti nei primi mesi del 121 ad oppidum Vindalium, al passaggio della Sorga. Scesero intanto in loro aiuto gli Arverni con Bituito, mentre il console del 121 Q. Fabio Massimo conduceva un secondo esercito consolare. La battaglia ebbe luogo, pare (la località è molto discussa), presso la confluenza del Rodano e dell'Isère, l'8 agosto 121; gli Arverni (che si dice fossero circa 200.000) furono disfatti e perirono in gran parte sul campo e sui ponti del Rodano. Bituito si presentò al proconsole Domizio per trattare la pace; fu arrestato e inviato a Roma. Il senato lo relegò ad Alba, col pretesto che la sua presenza in Gallia avrebbe turbato la pace. Egli seguì in tenuta di guerra e sul suo carro d'argento il trionfo di Domizio (o di Fabio). Gli Arverni, seguendo il movimento antimonarchico della nobiltà gallica del tempo, abolirono la monarchia e il loro impero si sgretolò.
Bibl.: C. Jullian, Histoire de la Gaule, II, Parigi 1909, p. 548 seg., III, p. 14 segg.; E. Klebs, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl. d. class. Altertumswiss., III, col. 546; F. Münzer, ibid., V, col. 1322.