BIXIO, Gerolamo, detto Nino
Nato a Genova il 2 ottobre 1821, ultimo di otto fratelli, perdette la madre mentre era ancora bambino (1830), e poiché il padre, ammogliatosi di nuovo, non si curò di lui, egli rimase abbandonato a sé stesso, e dopo un'infanzia priva di ogni conforto s'imbarcò come mozzo in un brigantino che partiva per l'America.
Tornato a Genova, i fratelli lo costrinsero ad arrolarsi nella marina sarda. Nonostante il suo carattere impetuoso e talvolta ribelle, Nino Bixio, per la dura esperienza fatta in mare, seppe cattivarsi l'affetto dei superiori e fu promosso al grado di aspirante, ma, non potendosi liberare dal suo incessante desiderio di avventure, lasciò il servizio regio e partì con due amici, il Parodi e il Tini, sopra una nave americana in rotta per Sumatra. La monotonia e la musoneria della vita di bordo spinsero i tre alla fuga. Nel tentativo il Parodi morì, divorato dai pescicani; gli altri due riuscirono ad approdare, sfiniti. Dopo varie vicende furono ripresi dal loro capitano e condotti a New York (1846). Ai primi del '47 il B. era a Parigi, ospite di suo fratello Alessandro, e quivi conosceva il Mazzini. Tornato a Genova e divenuto amico del Mameli, fu iniziatore e capo di dimostrazioni politiche e di atti arditi. Il 4 novembre in Piazza Ducale afferrò per la briglia il cavallo di Carlo Alberto, incitando il re a varcare il Ticino. Scoppiata la guerra, corse a combattere, e fu a Governolo, a Vicenza, a Treviso, ardente e generoso nelle battaglie, pronto sempre ad urlare, a bestemmiare, a criticare. Verso la fine del '48 entrò nella legione italiana del Garibaldi. Proclamata la Repubblica romana e sbarcati i Francesi a Civitavecchia, fu latore della protesta dell'Assemblea costituente al generale Oudinot. Il 30 aprile 1849 si distinse a San Pancrazio, compiendo atti che parvero "racconti fantastici di bravate orlandesche"; e il 9 maggio per il suo valoroso contegno a Palestrina fu nominato capitano. Il 3 giugno, aiutante di Garibaldi, si coprì di gloria a Villa Corsini, dove il combattimento fu più accanito e decisivo. Una gravissima ferita tolse alla lotta questo "ufficiale d'alte speranze", nel quale molti videro risorto Giovanni dalle Bande Nere.
Fu ricoverato insieme con il Mameli all'ospedale dei Pellegrini. Caduta la Repubblica, il Bixio tornava a Genova e postosi a studiare vi conseguiva il diploma di capitano di lungo corso, poi si sposava e navigava per sei anni continui. Alla vigilia della guerra contro l'Austria si improvvisò scrittore, fondò e diresse un giornale, il San Giorgio (poi Nazione). Nel 1859 ebbe il comando di un battaglione di Cacciatori delle Alpi e fu ancora quello di Roma, ardente e temerario, dal Po allo Stelvio, ove lo sorprese Villafranca. Fu poi in Toscana, nell'esercito della Lega dell'Italia centrale, a comandarvi un reggimento, di nuovo a fianco di Garibaldi.
Scoppiata l'insurrezione della Sicilia nel 1860, fu uno dei più fervidi preparatori della spedizione dei Mille; comandò il Lombardo fino a Marsala; combatté a Calatafimi, ove, alla testa del primo battaglione, apparve mirabile per la parte che ebbe nell'azione. All'ingresso in Palermo fu ferito e, sdegnoso di cure, si estrasse da sé la palla dalle carni. Il carattere impetuoso provocò un clamoroso incidente con l'Agnetta ai funerali di Tüköry (e ne segui l'anno dopo un duello tra i due in Svizzera).
Messo alla testa di una brigata da ordinare e istruire si rivelò magnifico organizzatore. Fu mandato a reprimere i disordini di Bronte, rea "di lesa umanità", e vi fu punitore inesorabile. Passato in Calabria, nell'attacco di Reggio ebbe il cavallo ucciso e fu ferito a un braccio (21 agosto). Il 7 settembre era al Vallone di Rovito, e sul luogo del martirio dei Bandiera "incendiò l'aria" con un discorso breve, vibrato e tempestoso. Raggiunse a Napoli il Garibaldi, che nelle giornate del Volturno gli affidò la posizione dei Ponti della Valle, ove, superbo combattente, spezzò l'urto del von Mechel. Promosso luogotenente generale ed eletto deputato, mise pace tra il Garibaldi e il Cavour; resse la divisione di Alessandria; ebbe incarichi onorevoli e importanti; studiò e agì, instancabile e tenace con sé e con gli altri. Nel 1866 partecipò a Custoza alle ultime fasi della battaglia, respingendo sdegnoso le intimazioni di resa. Il Della Rocca lo propose come capo di Stato Maggiore; altri pensò a lui per il Ministero della marina. Nel febbraio del 1870 fu nominato senatore e poco dopo assunse il comando della divisione di Bologna. Nel successivo settembre, fu chiamato a far parte del corpo d'operazioni nello stato pontificio e il 20 di quel mese entrò in Roma contemporaneamente alle truppe del generale Cadorna. Separatosi finalmente dall'esercito con un memorabile ordine del giorno, si diede alla costruzione di un bastimento in ferro, che chiamò Maddaloni, col quale viaggiò qualche mese nell'arcipelago malese. Un'epidemia colerica, propagatasi nel suo equipaggio, spegneva quella fibra eccezionale di navigatore, di soldato, di patriota, il 16 dicembre 1873, nel porto di Atjein, nell'isola di Sumatra.
La sua salma fu portata a Batavia e poi, dall'ammiraglio Canevaro, nel 1877 a Genova e deposta nel camposanto di Staglieno. Un monumento, che degnamente lo ricorda, gli fu eretto nella sua città il 2 giugno 1890.
Bibl.: G. Guerzoni, La vita di N. B., Firenze 1872 (rist. 1926); G. Busetto, Patria e famiglia, notizie del generale N. B., Fano 1876; C. Lazzarini, Nino Bixio, Forlì 1910 (2ª ed.); G. C. Abba, Vita di Nino Bixio, Torino 1912 (2ª ed.).