Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Autore di importanti scoperte in fisica e matematica, sino dalla più giovane età, Pascal fornisce rilevanti indicazioni sulla metodologia scientifica. Alterna periodi di vita mondana a crisi mistiche e religiose e trova infine conforto spirituale nella comunità di Port-Royal e nella scommessa sulla fede cristiana che permette all’uomo di riscattarsi.
La formazione scientifica
Figlio di un magistrato di grande cultura e con uno spiccato interesse per le scienze esatte, il giovane Blaise Pascal nel 1631 segue il padre a Parigi, dove partecipa attivamente alle discussioni scientifiche organizzate da Marin Mersenne. Per Pascal, anche dopo la conversione religiosa, la scienza resterà sempre una “scuola di rigore” per la chiarezza e la correttezza logica dell’argomentazione. I suoi primi contributi scientifici riguardano la geometria : l’esordio di Pascal è il breve Saggio sulle coniche, scritto all’età di sedici anni, dove sono poste le basi della geometria descrittiva e dove è evidente l’influenza delle ricerche matematiche di Girard Desargues. Fin da questo primo lavoro si può rilevare la differenza di metodo che separa l’indagine scientifica di Cartesio da quella di Pascal. Quest’ultimo contrappone il ricorso all’esperienza e l’intuizione dei primi principi al formalismo dell’algebra cartesiana: l’indagine sulla natura e l’evidenza dei risultati sperimentali si impone sulla pretesa di qualsiasi costruzione a priori dell’ordine del mondo.
Di rilievo sono anche i contributi alla fisica. Nel verificare l’esperimento di Torricelli sul vuoto, Pascal formula come ipotesi, nelle Nuove esperienze concernenti il vuoto (1647), la possibilità sperimentale dell’esistenza del vuoto, in netto contrasto con la teoria dell’horror vacui.
Contro l’argomentazione con cui Cartesio dimostra a priori l’impossibilità del vuoto in natura, Pascal ricorre a un’indagine che si basa sull’esperienza: con l’esperimento del Puy de Dome, ripete più volte e in diversi contesti il caso verificato da Torricelli, dimostrando che la pressione si trasmette in modo uniforme in tutte le direzioni e che c’è un legame tra il livello di un liquido contenuto in un barometro e la pressione.
Oltre all’invenzione della prima macchina calcolatrice, la cosiddetta “Pascalina”, gli interessi matematici di Pascal si rivolgono all’analisi infinitesimale, proseguimento dei suoi studi sulla cicloide semplice o roulette, e al calcolo delle probabilità che sviluppa, in contatto con Fermat, nel Trattato sul triangolo aritmetico (1645, pubblicato postumo). Le considerazioni che ne derivano, sulla rettifica degli archi, il calcolo delle aree e dei volumi di rotazione e la determinazione dei baricentri, forniscono un contributo fondamentale allo sviluppo della discussione scientifica nel XVII secolo.
Metodo, valori e limiti della conoscenza scientifica
Nell’impostazione delle sue ricerche, Pascal accetta dal cartesianesimo il dualismo tra spirito e materia. In esso trova una giustificazione per l’autonomia delle ricerche fisico-matematiche rispetto allo studio dell’anima. Sempre in accordo con Cartesio, Pascal ritiene che nelle ricerche scientifiche il ricorso all’autorità dei filosofi precedenti sia inutile, dato che tutte le scienze dipendono dall’esperienza. La critica al principio di autorità si trova nel Frammento di prefazione al Trattato sul vuoto (1651): se può valere nel campo di discipline come la storia, il diritto o la teologia, il principio di autorità non ha alcun valore in quelle scienze che hanno per oggetto l’esperienza e il ragionamento, come la matematica, la geometria, l’architettura e la fisica. In accordo con Francis Bacon, Pascal deduce la verità di queste discipline dal tempo e dalla fatica della ricerca.
Viene rifiutata la pretesa cartesiana di dedurre le proprietà della natura dai principi generali della materia e del movimento: è a partire dai dati particolari che lo scienziato deve risalire fino ai principi che regolano il corso dei fenomeni. Il ricercatore ha il dovere di formulare ipotesi, ma deve anche essere disposto ad abbandonarle immediatamente, qualora esse vengano contraddette dai fatti. Tenendo conto della verifica sperimentale, Pascal elabora un metodo basato su un procedimento dimostrativo il cui modello gli è offerto dalla geometria.
Tre sono i punti fondamentali su cui si fonda il metodo: 1) definizione chiara dei termini impiegati; 2) proposizione di assiomi, cioè di principi primi autoevidenti che stanno alla base della dimostrazione; 3) sostituzione nella dimostrazione dei termini definiti con le definizioni.
La geometria conosce le vere regole del ragionamento e si arresta solo di fronte a concetti come tempo, spazio, maggiore e minore, uguaglianza. Questi termini, che Pascal chiama “primitivi”, non sono ulteriormente definibili; essi sono intelligibili solo con il ricorso all’esprit, che in questo contesto indica un’attività intuitiva che esula dall’attività scientifica.
Tutto quanto la geometria propone è perfettamente dimostrabile, ma nemmeno la geometria può definire e dimostrare tutto: essa rappresenta solo una possibilità di perfezione cui gli uomini possono pervenire.
Dopo un periodo dedicato alla vita di corte, Pascal ritorna nel vivo del dibattito scientifico con i lavori sulla cicloide semplice, mostrando un particolare interesse per le questioni legate ai fondamenti epistemologici delle scienze esatte. Allo scienziato è preclusa la conoscenza assoluta, dal momento che non può cogliere con gli strumenti dell’analisi scientifica gli elementi primi della realtà. Lo stesso continuo progresso delle scienze, testimonianza del loro carattere provvisorio e incompleto, ci fa riflettere sulla presenza dell’infinito. Tutte le scienze, non solo la matematica, ci pongono di fronte all’infinito, dal momento che tutte non conoscono termine alle loro ricerche. La struttura “aperta” del sapere scientifico non ammette limiti; esatto contrario della metafisica che è per Pascal un sapere chiuso e definitivo. La critica alle pretese “totalizzanti” della scienza aumenta con il crescente coinvolgimento di Pascal nel dibattito etico-religioso del tempo.
Le Lettere Provinciali
Un’intensa esperienza mistica (la cosiddetta “notte di fuoco” del 23 novembre 1654) riaccende gli interessi spirituali di Pascal riavvicinandolo al giansenismo, movimento al quale, spinto dal fascino del rigore etico e dall’ideale ascetico, si era già legato in gioventù. Quella di un Pascal “mistico” che soppianti il Pascal “scienziato” è una distinzione storiografica da rivedere: pur rilevando un innegabile spostamento del baricentro della ricerca, dalle scienze all’apologetica cristiana, si assiste anche, nel filosofo francese, a una trasposizione del metodo scientifico sul piano della riflessione teologica. Gli ambiti sono distinti ma le strutture epistemologiche appaiono trasversali e universalmente valide: il metodo geometrico rimane infatti come architrave di ogni argomentazione, anche nelle dispute sulla grazia e nelle riflessioni aforistiche dei Pensieri.
L’interesse per le teorie di Giansenio e dei suoi seguaci lo porta, nel 1655, a rifugiarsi presso la comunità di Port-Royal, dove partecipa in prima persona alla disputa tra gesuiti e giansenisti sul problema dell’interpretazione del peccato originale, della grazia, e del rapporto fra predestinazione e libera volontà umana. Nel 1653 cinque proposizioni, estratte dall’Augustinus di Giansenio, erano state condannate da Innocenzo X. I teologi vicini al giansenismo avevano difeso la dottrina della grazia sostenuta in quel testo, incontrando una crescente ostilità da parte della autorità ecclesiastiche e in particolar modo dagli ambienti gesuiti. Nel 1656 Arnauld è censurato dalla Sorbona per aver sostenuto posizioni riconducibili alla dottrina giansenista della grazia: criticando il teologo si vuole colpire l’intero gruppo di Port-Royal.
Questo è il clima nel quale Pascal scrive le Provinciali (1656-1657): diciotto lettere con cui il filosofo francese si propone di difendere la comunità giansenista dalle accuse di eterodossia, dovute, a suo parere, a un’interpretazione troppo vincolante dei concetti di predestinazione e grazia. Da qui prende l’avvio una critica serrata nei confronti dei gesuiti: alla Compagnia di Gesù Pascal muove l’accusa di lassismo morale, che deriva dall’artificiale distinzione tra i concetti di grazia “sufficiente” (donata da Dio a tutti gli uomini e che questi possono rendere efficace o meno, senza necessità di un intervento divino) e grazia “efficace” (quella che determina effettivamente la volontà all’azione e che Dio dona a pochi; è la grazia autentica, per Pascal) e dall’invenzione di cavilli che permettono di addolcire la severità morale dei testi sacri. Negli Scritti sulla Grazia, contemporanei alle Provinciali ma rimasti allo stato frammentario, il filosofo francese sostiene che solo la grazia efficace è in grado di muovere la volontà con una forza maggiore di quella che la inclina, dopo la caduta del peccato originale, verso i piaceri terreni. Il richiamo all’iniziativa divina, tuttavia, non toglie che alla speculazione teologica e morale sia richiesta la stessa chiarezza e lo stesso ordine logico propri del pensiero razionale. Il rinnovato interesse della storiografia più recente nei confronti della riflessione propriamente teologica di Pascal testimonia la possibilità di pensarne le strutture argomentative al di là delle loro finalità apologetiche. È il rigore appreso dal metodo scientifico a dettare le parole di Pascal: “I nomi sono inseparabili dalle cose. Una volta affermata la parola di grazia sufficiente, avrete un bel dire che intendete con ciò una grazia che è insufficiente: non sarete creduti”. (Provinciali, Seconda Lettera). Nel nome di un falso cristianesimo universale, i gesuiti abbandonano, secondo Pascal, il senso originario dei precetti cristiani, modificandolo per poter accontentare le esigenze terrene dei credenti. Per quanto riguarda il movente dell’azione morale, ai gesuiti viene imputato di annullare la paura dell’inferno, sostituendola con le attività terrene. Essi poi privilegiano l’esteriorità dei riti alla ricerca interiore del divino: in questo modo permettono, a chi in vita non ha mai veramente amato Dio, di goderne per l’eternità.
Altro bersaglio polemico di Pascal sono i molinisti, che pretendono di poter prescindere dalla caduta dell’uomo e basano la possibilità della salvezza non sull’imperscrutabilità della grazia, ma unicamente sulla natura. Il Dio dei molinisti, così come il “Dio dei filosofi” di Cartesio, cioè l’autore e il fondamento primo delle verità dei numeri e degli assiomi della geometria, è tanto lontano dalla tradizione cristiana quanto l’ateismo. Cercare di dimostrare razionalmente l’esistenza e l’infinità di Dio significa essere deisti, cioè negare di fatto quelli che sono i fondamenti della rivelazione cristiana: lo “scandalo della Croce” e il mistero imperscrutabile della redenzione.
I Pensieri: lo studio dell’uomo e il cristianesimo
Blaise Pascal
Le Provinciali, Lettera VI
“In verità”, padre, “gli dissi”, “c’è molto da guadagnare seguendo i vostri dottori. E come no! Di due persone che fanno la stessa cosa, quello che non conosce la loro dottrina pecca; colui che la conosce non pecca. Essa è dunque insieme istruttiva e giustificante? La legge di Dio faceva dei prevaricatori, secondo San Paolo; questa invece fa sì che non ci siano quasi altro che innocenti. Vi prego vivamente, padre, di informarmene bene; non vi abbandonerò più fin quando non mi avrete dette tutte le principali massime stabilite dai vostri casuisti”.
“Ahimè!” rispose il padre: “il nostro scopo principale sarebbe stato di non stabilire altre massime che quelle del Vangelo in tutta la sua severità; e dal regolamento dei nostri costumi si vede bene che se noi tolleriamo qualche rilassamento negli altri è piuttosto per condiscendenza che per piano prestabilito. Ci siamo costretti. Gli uomini sono oggi tanto corrotti, che, non potendoli far venire a noi, bisogna che siamo noi ad andare loro incontro: altrimenti essi ci abbandonerebbero; peggio ancora, si lascerebbero andare completamente. È per trattenerli che i nostri casuisti hanno presi in considerazione i vizi cui la gente di ciascuna condizione è più attaccata, per stabilire delle massime così dolci - senza tuttavia offendere la verità - che per non esserne contenti si dovrebbe essere di ben difficile contentatura; infatti il progetto fondamentale della nostra Società per il bene della religione è di non respingere nessuno per non far disperare la gente. Abbiamo dunque massime per persone di ogni tipo, per i beneficiari, per i preti, per i religiosi, per i nobili, per i domestici, per i ricchi, per coloro che sono in commercio, per coloro i cui affari vanno male, per quelli che sono nell’indigenza, per le donne devote e per quelle che non lo sono, per le persone sposate e per quelle che conducono una vita dissipata. Insomma, nulla sfugge alla nostra previdenza”.
B. Pascal, Le Provinciali, a cura di C. Carena, Torino, Einaudi, 2008
A partire dall’esperienza mistica del 1654, il progetto di un’apologetica del cristianesimo impegna Pascal lungo tutto il corso della sua esistenza. Il lavoro rimarrà incompiuto e ne abbiamo testimonianza solo attraverso una serie di appunti pubblicati postumi con il titolo di Pensées (Pensieri). Nei Pensées si trovano le riflessioni più significative di Pascal sulla natura dell’uomo, sulla sua condizione e sul rapporto con Dio.
Innanzitutto il metodo: come strumento di indagine non si deve più fare riferimento a una generica ragione, ma al “cuore”, termine con il quale Pascal indica l’intuizione, in grado di cogliere i principi primi da cui la ragione procede per costruire le proprie argomentazioni. Facendo leva sul sentimento si è in grado di cogliere le sottili contraddizioni e le particolarità dell’esperienza umana che sfuggono all’indagine quantitativo-matematica che procede per dimostrazioni seguendo l’esprit de geométrie (spirito geometrico).
Un modello matematico non può comprendere interamente il mistero dell’uomo; bisognerà quindi fare riferimento a un altro modo di conoscere, l’esprit de finesse, una peculiare disposizione che ci consente di intuire e di sintetizzare con un unico colpo d’occhio la vera realtà delle cose.
Questo discorso vale in particolare per l’analisi della natura umana: in questo campo la fiducia nelle illimitate capacità che l’uomo nutre nella conoscenza della natura vale poco o nulla. Bisogna dunque prendere coscienza di questa impotenza: a nulla serve la fuga nel divertissement (divertimento), cioè nell’inconsapevole ricerca di distrazioni mondane. Per quanto si dibatta nei piaceri dell’esistenza, l’uomo resta inappagato dinanzi al mistero della sua esistenza.
Epitteto e Montaigne sono i riferimenti, opposti ma complementari, a cui Pascal si rifà per rappresentare i due lati della natura umana, sospesa tra le aspirazioni al divino del primo e lo scetticismo del secondo sulla condizione dell’uomo e sulla possibilità di elevarlo a oggetto di una comprensione sistematica e completa. La “miseria” dell’uomo è riscattata dalla coscienza che l’uomo ha di essa. Lo scacco delle scienze ci pone di fronte alla nostra debolezza e alla ridicola e cieca fiducia nella razionalità.
Ogni minima variazione di quell’ordine della natura che ci illudiamo di poter ridurre a legge può annientarci. Ma la nostra dignità, come insegna Epitteto, sta proprio nel riconoscere questo stato miserevole. Questo è il significato delle parole di Pascal quando afferma che “l’uomo è una canna, la più fragile di tutte, ma è pur sempre una canna che pensa”. Il superamento della ragione e dei suoi limiti è operazione che la ragione stessa deve eseguire, come atto di onestà intellettuale: “L’ultimo passo della ragione è di riconoscere che vi è un’infinità di cose che la superano. Essa non è che debole se non giunge al punto di riconoscere ciò”. Solo la religione cristiana, con la dottrina del peccato originale e della caduta, è in grado di fornire una spiegazione plausibile a questa contraddizione: per la caduta l’uomo è misero, per l’originaria superiorità che gli deriva dal conoscere la sua debolezza egli è in grado di aspirare a superare tale miseria.
Nel momento in cui la svalutazione delle sue capacità raggiunge il culmine, la consapevolezza dei propri limiti porta l’uomo a riconoscere la presenza di un infinito, sia pure irraggiungibile, e a cercare di riscattare la sua condizione. Il concetto di infinito che Pascal trae dalle sue conclusioni matematiche e dalle moderne visioni cosmologiche e scientifiche lo porta ad alcune considerazioni che riguardano la posizione dell’uomo nell’universo e il suo destino. La doppia infinità, quella dell’infinitamente grande degli spazi cosmici e quella dell’infinitamente piccolo rivelata dall’osservazione degli organismi viventi, stringe l’uomo in una morsa obbligandolo a una posizione intermedia tra il nulla e il tutto.
L’angoscia che deriva all’uomo dal constatare la propria inesauribile aspirazione all’infinito è la molla che spinge Pascal a cercare un’altra spiegazione al mistero che lo circonda, a far appello alla carità, al cuore e alla grazia.
Pascal si rivolge a questo uomo, conscio di una dignità perduta da riconquistare, ma scettico nei confronti della possibilità di arrivare a dimostrazioni razionali del sentimento religioso. Come soluzione viene proposto il recupero della tradizione cristiana, cioè il valore storico e l’autorità delle Sacre Scritture. La religione cristiana va interpretata come un fatto: essa richiede non solo una constatazione, ma anche una presa di posizione. Pascal invita tutti quegli uomini che, pur convinti della validità del cristianesimo, non trovano la fede, a rischiare, cioè ad azzardare una scommessa (pari) sul cristianesimo. Data l’assoluta inutilità di prove razionali sulla effettiva esistenza o inesistenza di Dio, Pascal presenta un’originale via di uscita. Abbandonato alla sua contingenza, ma anche forte di questa consapevolezza, il credente, come il giocatore, può calcolare tutte le probabilità: e la sproporzione tra il finito da scommettere (la vita terrena) e l’infinito da guadagnare sarebbe già motivo sufficiente alla ragione per accettare il rischio. Ma a entrambi è richiesto uno sforzo ulteriore in cui sta il vero segreto del gioco: la capacità di saper scommettere e di accettare il rischio che ogni scommessa comporta. Questa si rovescia, in Pascal, da pari a proposta etica garantita da un tacito patto con Dio; quello stesso azzardo che, due secoli dopo, porterà il giocatore di Fedor Dostoevskij a diventare immagine dell’impossibilità della salvifica trascendenza nel continuo e disperato rilancio della posta in gioco. Saltato il patto con un Dio ormai sconosciuto, e posto nel mondo come in un infinito senza più fondamenti e garanzie di carattere divino, l’uomo si trova di fronte a una scommessa nella quale è sempre destinato a non trovare appagamento: “Domani, domani tutto finirà!” (Il giocatore, 1866).
Blaise Pascal
L’uomo non è che una canna
Pensieri
L’uomo non è che una canna, la più fragile di tutta la natura; ma è una canna pensante. Non occorre che l’universo intero si armi per annientarlo: un vapore, una goccia d’acqua è sufficiente per ucciderlo. Ma quand’anche l’universo lo schiacciasse, l’uomo sarebbe pur sempre più nobile di ciò che lo uccide, dal momento che egli sa di morire e il vantaggio che l’universo ha su di lui; l’universo non sa nulla. Tutta la nostra dignità sta dunque nel pensiero. È in virtù di esso che dobbiamo elevarci, e non nello spazio e nella durata che non sapremmo riempire. Lavoriamo dunque a ben pensare: ecco il principio della morale.
B. Pascal, Pensieri, a cura di A. Bausola, Milano, Rusconi, 1993