BLOCCO (fr. blocus; sp. bloqueo; ted. Blockade; ingl. blockade)
È un provvedimento attuato dalle forze navali di uno stato inteso ad impedire, rispetto a un tratto di costa di un altro stato, ogni comunicazione per via di mare. Esso può avere due scopi: colpire la potenza militare del nemico, impedendo l'entrata e l'uscita dell'avversario da determinati forti o piazze, oppure danneggiare il commercio del nemico sino a distruggerlo, senza mirare alla conquista del porto o litorale bloccato. Nel primo caso è un'operazione di carattere strettamente militare, mentre nel secondo caso si ha il blocco marittimo vero e proprio, che è quello che più generalmente viene indicato con la sola parola "blocco".
La dottrina e la pratica internazionale conoscono tre specie di blocchi: il blocco fittizio. il blocco per crociera e il blocco effettivo. Il primo è quello che uno stato belligerante pretende d'imporre ai porti e alle coste dell'avversario con una semplice notificazione alle potenze neutrali; il blocco per crociera consiste nel far sorvegliare una certa distesa di coste da navi in moto al largo delle coste stesse; infine il blocco effettivo è quello esercitato da navi stazionanti davanti a un porto, sufficientemente vicine fra loro per impedire ogni comunicazione con l'alto mare.
Storia. - I primi blocchi di cui si ha notizia furono puramente fittizî: nel 1584 gli Olandesi, in guerra con la Spagna, dichiararono in stato di blocco tutti i porti della Fiandra senza mettere delle navi attorno a questi porti: ugualmente il trattato di Whitehall del 1689 fra l'Inghilterra e l'Olanda pretese di sottomettere ad un blocco rigoroso tutte le coste francesi con una semplice dichiarazione indirizzata agli stati neutri. In seguito trionfarono principî più razionali: diversi trattati del sec. XVIII misero come condizione di blocco un investimento effettivo dei porti dichiarati bloccati. Però la pratica non seguì le indicazioni di questi trattati. Durante la guerra dei Sette anni, nel 1756, l'Inghilterra, volendo impedire agli Olandesi di fare il commercio fra le colonie francesi e la Francia, dichiarò nuovamente, con un semplice editto, tutti i porti francesi in stato di blocco e le sue fregate catturarono un gran numero di navi olandesi. Gli Stati Generali protestarono vivamente: l'Inghilterra restituì in via eccezionale le navi catturate, ma ebbe cura di avvertire che in seguito ogni nave che avesse tentato di violare un blocco dichiarato sarebbe stata catturata e confiscata. Anche nel 1775, per vendicarsi dell'aiuto fornito dal governo di Luigi XVI alle colonie americane in rivolta, l'Inghilterra emise l'editto di un blocco fittizio contro la Francia.
Le pretese inglesi provocarono una lega delle nazioni marittime: nel 1780, dopo lunghi negoziati con la Danimarca e la Svezia, Caterina II, imperatrice di Russia, fece pubblicare la celebre dichiarazione, con cui esprimeva la sua risoluzione d'impiegare la forza per fare rispettare la neutralità della sua bandiera. In questa dichiarazione era detto che non sarebbe stato riconosciuto il titolo di porto bloccato che a quello in cui vi fosse pericolo di entrare per la presenza davanti a esso di bastimenti da guerra fermi e sufficientemente vicini: norma precisa che respinge il blocco sulla carta per semplice dichiarazione e il blocco per crociera. La lega della neutralità armata fu così stabilita nel 1780 e la maggior parte degli stati europei diede la sua adesione alla dichiarazione dell'imperatrice di Russia.
Quando scoppiò la Rivoluzione fiancese, l'Inghilterra ordinò la cattura di tutte le navi neutre con destinazione ai porti francesi, considerando perciò tutte le coste della Francia in stato di blocco. La Danimarca fu da principio la sola a respingere la pretesa inglese; in seguito la Svezia si unì alla Danimarca e rinnovò con essa nel 1794 la convenzione della neutralità armata: le loro flotte unite protessero il commercio dei neutri nel Mare del Nord.
Nel 1800 Danimarca, Svezia e Russia, stanche degli atti di confisca compiuti dalla marina inglese, risolsero di rinnovare la coalizione di neutralità armata. L'Inghilterra pensò subito di rompere la nuova coalizione e, facendo passare in piena pace a una sua divisione navale il Sund, distrusse la flotta danese nel porto di Copenaghen. Poco dopo, il nuovo imperatore di Russia, Alessandro I, firmava il trattato che, dichiarando la proprietà nemica confiscabile a bordo delle navi neutre, veniva a distruggere la politica seguita per un quarto di secolo dalla Russia.
Durante le guerre napoleoniche l'Inghilterra ricorse costantemente al blocco fittizio, fino a dichiarare nel 1806 in stato di blocco tutta la costa, tutti i porti e tutti i fiumi dall'Elba fino a Brest. Una simile misura spinse Napoleone ad emanare il famoso decreto di Berlino del 1806, col quale veniva inaugurato il sistema del blocco continentale. L'art. 1 di questo decreto dichiarava le Isole Britanniche in stato di blocco e questo era evidentemente fittizio. Nelle considerazioni annesse al decreto, Napoleone dichiarava esplicitamente la sua intenzione d'applicare all'Inghilterra le stesse norme che essa manteneva nella sua legislazione marittima.
L'Inghilterra rispose al decreto di Berlino con un nuovo editto che metteva in stato di blocco tutti i porti della Francia e le sue colonie: successivamente estendeva il blocco a tutti i porti da cui la bandiera inglese era esclusa. A questi editti Napoleone, continuando il suo sistema di rappresaglie, rispose con il decreto di Milano del 1807, col quale le Isole Britanniche erano dichiarate in stato di blocco, ogni bastimento in viaggio per i porti dell'Inghilterra o colonie inglesi era soggetto a cattura, ogni bastimento di qualsiasi natura che si fosse sottomesso a un viaggio per l'Inghilterra era considerato come inglese. Cosi Napoleone cercava di costringere tutte le nazioni a far rispettare la loro bandiera.
Al blocco continentale aderirono da principio Prussia e Danimarca e in seguito Austria e Svezia, ma l'adesione della Danimarca comportò un nuovo bombardamento di Copenaghen da parte della flotta inglese, senza dichiarazione di guerra. Quest'atto indignò talmente l'imperatore di Russia, che nel 1807 anch'egli aderì al blocco continentale.
La linea di condotta seguita dall'Inghilterra aveva fatto allontanare dai suoi porti la navigazione dei neutri. Per riportarvela essa restrinse nel 1809 il blocco ai porti dell'Olanda, Francia, Colonie e Italia settentrionale: in seguito riuscì a far distaccare dal blocco Russia, Svezía e Prussia, e a farlo cessare completamente con la caduta di Napoleone nel 1814.
Nel 1856 il trattato di Parigi sancì che il blocco per ritenersi obbligatorio deve essere effettivo, cioè mantenuto da una forza sufficiente per interdire l'accesso alla costa nemica (vedi oltre).
Durante la guerra di secessione negli Stati Uniti, gli Stati Federati non poterono stabilire che un blocco per crociera. Essi avevano dichiarato bloccata una distesa di coste di 3500 km. con 80 porti e imboccature di fiumi, mentre la loro flotta al principio delle ostilità non comprendeva che 45 bastimenti da guerra; solo in seguito poterono essere armate 50 navi mercantili. Il blocco vero e proprio non esistette mai e ogni giorno numerose navi poterono entrare e uscire dai porti bloccati.
Nella guerra del 1864 fra Austria e Prussia da una parte, Danimarca dall'altra, quest'ultima venne accusata dalla stampa avversaria d'avere promulgato il blocco fittizio per crociere spesso fuori di vista.
Nel 1862 l'Inghilterra pretese di stabilire il blocco di Rio de Janeiro con una sola nave. Gli Stati Uniti non riconobbero il blocco di tutti i paesi del Messico Settentrionale che Massimiliano decretò nel 1866, senza disporre delle forze necessarie.
Nella guerra d'Oriente del 1877 la Turchia annunziò la sua intenzione di rispettare e applicare la dichiarazione di Parigi: la stessa decisione fu presa dalla Russia, ma i blocchi stabiliti dai Turchi durante questa guerra furono tutti fittizî.
Il Chile aveva espressamente aderito alla dichiarazione di Parigi; tuttavia i blocchi che stabilì nel 1879 e 1880 davanti ai porti del Perù e della Bolivia non furono che fittizî.
I blocchi dei golfi di Salonicco, di Ambracia e delle coste dell'Epiro, che furono stabiliti dalla Grecia nel 1897 durante la guerra con la Turchia, furono conformi alle regole e alla dichiarazione di Parigi.
Durante la guerra ispano-americana del 1898 gli Americani procedettero a numerosi blocchi, però essi non furono tutti effettivi: durante questa guerra diverse catture di navi neutre per violazione di blocco furono fatte dagli Stati Uniti e qualcuna diede luogo a contestazioni assai vive.
Alla fine del 1902 un blocco fu stabilito contro più porti del Venezuela dalla Germania, Gran Bretagna e Italia. Durante la guerra russo-giapponese del 1904 i blocchi stabiliti dai Russi e dai Giapponesi furono tutti effettivi.
L'Italia, essendo in stato di guerra con la Turchia (1911-12), dichiarò il blocco delle coste della Libia e quello di una parte della costa del Mar Rosso. Per il fatto che le coste bloccate non avevano che rari punti d'approdo di accesso, si può considerare che questi blocchi siano stati effettivi.
Durante la guerra 1912-13 fra la Turchia e gli Stati balcanici, numerosi blocchi furono stabiliti dalla Grecia. Questa ne notificò sempre alle potenze neutre inizio, fine, estensione e restrizioni.
Diritto internazionale. - Il principio dell'effettività del blocco, definitivamente acquisito al diritto internazionale col trattato di Parigi del 1856, non valse a far cessare le controversie, tanto che, qualche anno prima della grande guerra, il governo inglese convocò a Londra una conferenza navale che mise capo a una dichiarazione in data 26 febbraio 1909 dove, insieme con altre materie marittime, è anche disciplinato il diritto di blocco. In base alla dichiarazione in parola: oggetto del blocco può essere soltanto un porto o una costa posseduta dal nemico (art. 1 e ex adv. 18); per il resto il blocco venne così regolato:
Disciplina. - Il principio dell'effettività del blocco è riconfermato facendosi espressamente dell'effettività una questione di fatto (articoli 2 e 3) con la conseguenza dell'immunità delle navi neutrali fuori del raggio d'azione delle navi bloccanti (art. 17) e aggiungendosi che il momentaneo allontanamento per fortunale delle forze bloccanti è insufficiente a significare revoca di blocco (art. 4). Si disciplinano i permessi d'entrata e d'uscita alle navi neutrali imponendo l'imparzialità verso le varie bandiere (articoli 5-7) e, soprattutto, si determina il valore della notificazione agli effetti della presunzione di conoscenza del blocco. Su questo punto invece grave era stato il dissidio anche dopo la dichiarazione di Parigi che nulla aveva risolto al proposito. La pratica prevalente nel continente europeo considerava provata la conoscenza del blocco solo dopo che una nave, per avvertimento diretto di un'autorità delle forze bloccanti, ne avesse potuta constatare l'effettiva esistenza. Invece la giurisprudenza inglese distingueva tra i blocchi di puro fatto, cioè non accompagnati da notificazione diplomatica, per i quali le conclusioni coincidevano con la pratica continentale, e i blocchi ufficialmente notificati che si dovevano ritenere accompagnati da una presunzione assoluta di conoscenza. In questo caso la buona fede del partente a cui il proprio governo abbia omesso di dare gli opportuni avvertimenti potrebbe eventualmente far sorgere una questione di responsabilità nei rapporti tra il privato e il governo negligente, ma non varrebbe a esimere da responsabilità il privato verso il bloccante. Un sistema intermedio lasciava decorrere un congruo termine dalla notificazione diplomatica, passato il quale presumeva che le navi neutrali fossero informate del blocco, salvo prova in contrario a carico degl'interessati.
La conferenza di Londra, pur accogliendo in larga parte le idee britanniche, si mostrò però preoccupata di garantire la buona fede dei neutrali e ciò fece sopprimendo il puro blocco di fatto ed esigendo una dichiarazione da notificarsi dallo stato bloccante agli stati neutrali e dal comando della forza bloccante alle autorità locali le quali alla loro volta debbono informarne i consoli esteri che esercitano le loro funzioni nel porto o sul litorale bloccato (articoli 9-12). Tale dichiarazione, a pena di nullità, deve almeno contenere la data d'inizio del blocco e i limiti geografici della zona che s'intende bloccata.
Sanzione della violazione di blocco. - È la cattura del vascello che la tenta. Tale cattura è subordinata alla conoscenza reale o presunta del blocco. La conoscenza è presunta quando la nave ha lasciato un porto neutrale posteriormente alla notificazione, in tempo utile, del blocco alla potenza cui quel porto appartiene (articoli 14, 15). È ammessa tuttavia la prova contraria, ossia della non conoscenza del blocco, prova di fatto che incombe all'interessato. La mancata conoscenza, presunta o provata, del blocco richiede allora una notificazione alla nave da parte di un ufficiale della forza bloccante (articoli 15, 16) e impedisce la cattura.
La dichiarazione di Londra respinge in materia di blocco la dottrina e la pratica dette del viaggio continuo non consentendo la cattura quando la nave neutrale sia, nell'atto, rivolta verso un porto non bloccato qualunque sia poi la destinazione ulteriore della nave o del carico (art. 19). La cattura della nave comprende, per regola, anche il carico contenutovi (corpo e beni). Tuttavia l'art. 21 fa una distinzione dichiarando confiscabile la nave per il solo fatto della rottura del blocco e permettendo per il carico la prova che, al momento dell'imbarco, il caricatore non conosceva né poteva conoscere l'intenzione di violare il blocco.
Termine. - Il blocco può aver termine: a) per notificazione; b) per abbandono non momentaneo del blocco di fatto; c) l'atto di Londra non dice, ma si deve intendere ch'esso abbia anche fine, ipso iure. con la cessazione dello stato di guerra.
Blocco alle foci di un fiume internazionale. - A particolari discussioni ha dato luogo il blocco delle foci d'un fiume internazionale (per es. il Danubio bloccato dagli alleati antirussi nel 1855), sollevando la questione delicata se sia ammissibile che un belligerante precluda con tale atto una via di comunicazione marittima, che potrebbe anche esser l'unica, a un neutrale. L'art. 18 della dichiarazione di Londra, con l'affermare che le forze bloccanti non debbono sbarrare l'accesso ai porti e alle coste neutrali, dà torto alle pretese dei belligeranti.
Norme seguite nella guerra mondiale. - Le norme raccolte nella dichiarazione di Londra si possono considerare nella loro generalità di diritto vigente, perché, quantunque quella dichiarazione non sia stata originariamente sottoscritta che da un numero limitato di potenze (Austria, Francia, Germania, Giappone, Inghilterra, Italia, Olanda, Russia, Spagna, Stati Uniti) e nemmeno ratificata, tuttavia molti stati, in occasione del conflitto mondiale, manifestarono la loro volontà di attenervisi. Così fece l'Italia con decreto luogotenenziale 3 giugno 1915, n. 840, e poi con altro decreto luogotenenziale 25 marzo 1917, contenente norme per l'esercizio del diritto di preda (salvo poche eccezioni in esso contenute). Ed i numerosi blocchi attuati durante il periodo 1914-18 (v. oltre) furono dichiarati, notificati e disciplinati in conformità delle norme londinesi, non senza, però, qualche eccezione. Così non si tenne fermo l'art. 19 e si ritornò all'idea di colpire il viaggio continuo. Onde l'art. 34 del citato decreto luogotenenziale 25 marzo 1917 considera violazione di blocco non solo qualsiasi tentativo di attraversare la linea di blocco ma anche il fatto che la nave incroci nel raggio d'azione delle forze bloccanti e che la nave o il carico siano destinati alla zona bloccata sebbene al momento della visita la nave si diriga verso un porto non bloccato. Analoghi decreti erano comparsi in Francia (14 aprile 1916) e in Inghilterra (30 marzo e 7 luglio 1916).
Un'eccezione più grave si ebbe con quei provvedimenti inglesi (in particolare l'Order in Council, 16 febbraio 1917) in base ai quali si ordinava la cattura di tutti i vascelli che portassero merci di origine o destinazione nemica, con che si arrivava in sostanza a un blocco generale ossia a una preclusione assoluta del commercio marittimo da e per la Germania. Vero è che quei provvedimenti si giustificano a titolo di rappresaglia (relation) contro i decreti germanici (in particolare 1° febbraio 1917) di offesa subacquea illimitata intesa a sostituire alla cattura regolamentare la distruzione senza avviso, di tutte le navi, neutre o nemiche che avessero attraversato determinate zone; vero è anche che, nell'ultima fase della guerra, si può dire che quasi non esistevano più stati neutrali, ma in altre circostanze è assai dubbio se questi sarebbero disposti a lasciarsi tagliare interamente il loro commercio con uno stato con il quale intendono continuare le loro relazioni pacifiche.
Il blocco pacifico. - Consiste nel precludere, per mezzo di adeguate forze navali, un porto o un tratto di litorale straniero, ma senza che vi sia guerra tra il bloccante e il bloccato. Questo trapasso di un istituto di guerra parve anzi a taluno tanto illogico da far asserire senz'altro l'inammissibilità del blocco pacifico. La prassi internazionale ha già però da circa un secolo smentito l'asserita inammissibilità. Né si tratta di un atto di guerra applicato in tempo di pace, ma di un atto che ha caratteristiche a sé, che lo distinguono nettamente dall'altro. Infatti il blocco di guerra è assoluto e tutti gli stati sono tenuti a rispettarlo per i doveri che loro derivano dalla neutralità, il pacifico è soltanto relativo, ossia non ha effetto che verso lo stato contro il quale è diretto. Le pretese di qualche bloccante di impedire alle navi dei terzi il commercio col bloccato sollevarono sempre vive proteste, e, se qualche volta alcuni stati vi aderirono, fu per considerazioni politiche.
Il blocco nella gherra moderna.- Durante la guerra mondiale fu proceduto a diversi blocchi, mantenuti per mezzo di forze navali sufficienti, debitamente dichiarati e notificati. Così furono stabiliti i blocchi delle coste del Montenegro dall'Austria Ungheria, delle coste dell'Austria, Albania e Mare Adriatico dall'Italia, del Camerun e dell'Asia Minore dalla Francia e Inghilterra, della Siria dalla Francia, di Tsingtao dal Giappone, delle coste della Bulgaria dalla Francia e Italia, ecc.
Un certo numero di eccezioni furono tuttavia apportate dai belligeranti alla teoria del blocco, come per esempio l'autorizzazione a navi neutre di entrare in porti bloccati a scopo umanitario, o per altri motivi.
Ma al di fuori di questi blocchi, durante la grande guerra, Francia, Inghilterra e Germania, per isolare l'attività avversaria, impiegarono procedimenti di carattere meno definito e che può essere discusso.
Ora, qualunque sia il carattere che conviene riconoscere ai procedimenti degli alleati e degl'imperi centrali, vi è il fatto incontestabile, nelle condizioni attuali della guerra moderna, che la teoria del blocco classico, come l'avevano enunciata le dichiarazioni di Parigi e Londra, non sembra oggi suscettibile di applicazione.
L'uso dei sommergibili renderà impossibile la presenza davanti una costa nemica di forze bloccanti. Nei conflitti futuri in cui la guerra economica sarà il completamento necessario della guerra militare, bisognerà chiudere il paese nemico in tutta la sua estensione, costituendo in direzione delle sue coste zone di guerra più o meno estese con mine, sommergibili e forse anche con aerei, e facendo incrociare navi da guerra in tutti i mari. Il trattato di Washington del 1922 esclude che mine e sommergibili possano da soli mantenere l'effettività d'un blocco: tali mezzi, come gli aerei, avrebbero soltanto funzione di cooperazione alle navi di superficie, alle quali sarebbe sempre affidato il compito principale di realizzare il requisito di effettività del blocco.
La commissione dei giuristi riunitasi all'Aia nel 1921-22, considerando appunto il caso di aeronavi operanti in collegamento con navi da guerra nel blocco marittimo, unanimemente dichiarò di riconoscere che mentre l'aeronave da sola non poteva esercitare il blocco, poteva invece essere un aiuto dei più preziosi per le navi stesse nel mantenerlo, avendo la possibilità di estendere le sue osservazioni alle più grandi distanze dalla costa bloccata. Le forze bloccanti potevano quindi comprendere anche navi portaerei, a meno che gli aerei non fossero sistemati a bordo delle navi da guerra, oppure organizzati in squadriglie, con base in località prossima al porto o alla costa bloccata. Se il blocco veniva esteso anche alle comunicazioni per via aerea, le forze aeree avrebbero dovuto sorvegliare, oltre alla costa, anche una zona d'aria più o meno profonda per impedire che aerei nemici potessero giungere al porto o alla costa bloccata anche dalla parte interna del paese.
Il caso particolare d'un blocco aereo, mantenuto da aeronavi contro aeronavi, fu dalla stessa commissione ritenuto, almeno per ora, inattuabile per l'impossibilità di mantenerlo effettivo anche durante la notte; a parte questa considerazione, occorrerebbe in ogni modo tener presente che se un'aeronave si limitasse ad ingiungere ad un'altra aeronave dirigentesi verso la zona bloccata di cambiar rotta, l'azione sarebbe limitata ai casi oggi consentiti, ma se accadesse un conflitto e quindi la distruzione dell'aeronave violatrice del blocco, si avrebbe la morte inevitabile del suo equipaggio, con pericolo e danno anche a persone e cose che si trovassero nel territorio sottostante. Sarebbe quindi un'azione di guerra che si presenterebbe sotto un aspetto ben diverso che non sul mare, perché creerebbe condizioni in contrasto con la regola, in base alla quale la distruzione dell'aeronave sarebbe permessa soltanto a condizione che equipaggio e passeggeri fossero stati preventivamente messi al sicuro.
Per queste condizioni la dichiarazione di blocco aereo non dovrebbe lasciare alcun dubbio sull'estensione delle zone proibite e sui rischi in cui potrebbero incorrere i violatori di blocco.
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