Marley, Bob
Il profeta del reggae
Cantante e musicista reggae, Bob Marley ha avuto un ruolo centrale nello sviluppo della musica giamaicana, superando la dimensione dell’intrattenimento musicale per diventare una guida spirituale. Negli anni Sessanta e Settanta del Novecento è riuscito a diffondere tramite le sue canzoni valori pacifisti e di riscatto dall’oppressione che suonano come un monito per tutto il mondo, raggiungendo tra la sua gente e nella comunità della musica pop lo status di poeta e musicista mistico
Nato nel distretto di St. Ann, in Giamaica, nel 1945 Robert Nesta Marley, figlio di una giamaicana di colore e di un militare inglese del West Indian Regiment, alla fine degli anni Cinquanta si sposta con la madre a Trenchtown, sobborgo di Kingston e rimane affascinato dal soul, dal gospel e dal rhythm’n’blues americano. Insieme all’amico Neville O’Reilly Livingston (noto come Bunny Livingstone) e Winston H. McIntosh (noto come Peter Tosh) muove i primi passi nell’ambiente musicale della capitale giamaicana.
Dopo avere inciso un singolo nel 1962 per una piccola etichetta locale, Judge not, Marley fonda con Tosh e Livingstone il gruppo Wailing wailers, che suscita l’attenzione del produttore Clement Coxsone Dodd. Il primo singolo dei Wailing wailers registrato presso lo Studio One di Dodd, Simmer down (1963), è fortemente influenzato dalla musica del momento, lo ska, e diventa subito un buon successo. L’anno precedente la Giamaica aveva conquistato l’indipendenza dall’Inghilterra (dei cui domini coloniali faceva parte) e un grande fermento culturale e musicale pervade l’isola.
Dopo una breve parentesi negli Stati Uniti, Marley, che nel frattempo ha sposato Rita Anderson nel 1966, si avvicina al rastafarianesimo, una dottrina religiosa giamaicana che fonde concezioni differenti e predica il ritorno di tutti i neri sparsi per il mondo a una terra promessa in Africa sotto la guida del messia Hailé Selassié I, conosciuto prima dell’incoronazione come ras Tafari Makonen. Questo profondo interesse determina una svolta decisiva anche nel suo approccio alla musica e alla vita quotidiana.
Cambiato il nome del gruppo in Wailers, Marley, Livingstone e Tosh abbandonano lo studio di Dodd. Nel 1968 Stir it up, scritta da Marley, diventa un successo in Inghilterra nell’interpretazione del cantante pop reggae americano Johnny Nash.
Nel frattempo la morbidezza soul del rocksteady sta lasciando il passo a una musica più dinamica e ballabile, il reggae. Il nuovo mentore del gruppo è il produttore Lee Scratch Perry che introduce nella formazione la sezione ritmica degli Upsetters, formata da Aston e Carlton Barrett. I tempi sono maturi per il debutto del gruppo: Soul rebels arriva nel 1970 e risente ancora di influenze rocksteady.
Nel 1972 Marley e i Wailers, al seguito di Nash, siglano a Londra un contratto con la Island e pubblicano Catch a fire, che è la prima vera e propria produzione professionale della band, nonché il primo album reggae a diffondere il messaggio sociale di Marley e a riscuotere un successo internazionale, anche grazie a una tournée negli Stati Uniti compiuta insieme a Bruce Springsteen e a Sly and The Family Stone.
A distanza di soli sette mesi dal precedente album esce Burnin’, che si compone di vecchie canzoni del repertorio dei Wailers e di nuovo materiale poi passato alla storia del reggae, come la canzone di protesta Get up, Stand up, un invito alla battaglia per i diritti civili, e I shot the sheriff che suona come una rivolta contro i soprusi della legge; con queste canzoni la poetica di Marley assume toni più combattivi.
Prima della registrazione del successivo Natty dread (1975), Bunny Livingstone e Peter Tosh abbandonano il gruppo per intraprendere carriere soliste. L’album al quale Marley lavora per tutto il 1974 e che esce per la prima volta a nome di Bob Marley and the Wailers (compare anche il trio vocale I-Threes di cui fa parte la moglie), contiene il suo brano più celebre, No woman, no cry sorta di grido consolatorio dal ghetto di Trenchtown.
La potenza e la passione dei Wailers dal vivo vengono immortalate nell’album Live!, che contiene il concerto tenuto al Lyceum di Londra (1975), mentre l’anno successivo Marley pubblica un album, ritenuto interlocutorio dalla critica del periodo, Rastaman vibrations, dove spicca War, il cui testo è fornito da un discorso di Hailé Selassié I.
Il peso politico di Marley comincia a crescere soprattutto nelle zone disagiate della periferia di Kingston. Per ringraziare del consenso ottenuto, l’artista decide di organizzare nel dicembre del 1976 al National heroes park della capitale un concerto gratuito, ma pochi giorni prima dell’esibizione Marley e la moglie vengono assaliti nel loro appartamento e feriti a colpi di arma da fuoco. L’intimidazione non impedisce al cantante di esibirsi ugualmente il 5 dicembre.
Per evitare altri attentati, si stabilisce a Londra, dove inizia a lavorare all’album Exodus, il suo maggiore successo di classifica anche grazie a famosissime canzoni come Waiting in vain, One love/People get ready e Jammin’, invito a proseguire il percorso di approfondimento della dottrina rastafari. Exodus, più maturo dal punto di vista delle liriche, rinuncia ai toni ribellistici per porre l’accento sulla ricerca dell’armonia e dell’amore spirituale, obiettivi ribaditi all’inizio del 1978 nell’album Kaya island (kaya indica nella cultura rastafari la marijuana).
Nel 1978 Marley riceve a New York dalle Nazioni Unite la medaglia della pace per il suo contributo artistico alla distensione dei conflitti, ma soprattutto compie il suo primo viaggio in Africa e in particolare in Etiopia, terra promessa dei rastafari. Nello stesso anno pubblica Babylon by bus, resoconto live del tour europeo per lanciare l’album Kaya island.
Nell’estate del 1979 fa la sua comparsa sul mercato discografico Survival, un ritorno al tema dell’unità tra i popoli con un particolare riferimento al continente africano come dimostrato da Africa unite e Zimbabwe, sulla liberazione dal colonialismo della Rhodesia. Sarà proprio il neonato Stato dello Zimbabwe (ex Rhodesia Meridionale) a ospitare il gruppo nell’aprile del 1980 per festeggiare con un concerto il giorno dell’indipendenza. Un mese dopo viene pubblicato quello che sarebbe stato l’ultimo album di Marley, Uprising (1980), che conferma gli ideali di amore e di unità delle genti espressi negli ultimi anni. Could you be loved e soprattutto la finale Redemption song, raro esempio di ritmica non reggae nella sua produzione, sono gli ultimi hits da classifica nella vita di Marley.
Il 27 giugno dello stesso anno nel corso di un tour europeo il cantante si esibisce davanti alla folla più numerosa della sua carriera, 100.000 persone allo stadio S. Siro di Milano.
Rientrato negli Stati Uniti, nello stesso anno, subito dopo i concerti tenuti a settembre nel Madison Square Garden a New York, Marley si ritira dalle scene. Il suo fisico è da qualche anno minato dal cancro, con metastasi che progressivamente aggravano il suo stato di salute. Nel novembre del 1980 si converte al rastafarianesimo cristiano e viene battezzato con il nome di Berhane Selassié.
Dopo essersi curato in Germania per alcuni mesi, di passaggio a Miami poco prima di fare ritorno in Giamaica, muore l’11 maggio del 1981 all’età di 36 anni. La salma fa ritorno in Giamaica. Dopo un funerale affollato di gente comune e autorità politiche, il suo corpo viene sepolto a Nine Mile, nel nord dell’isola, suo luogo d’origine.
La morte di Marley non arresta il suo successo: gli album vengono ristampati e nel 1984 compare la compilation Legend che rimane per tre mesi in testa alle classifiche inglesi. Nel 1986 a Kingstone viene inaugurato il Marley Museum nella sede della sua etichetta personale, la Tuff gong records. Nel 1990, la data della sua nascita, il 6 febbraio, viene proclamata giorno della festa nazionale in Giamaica e nel 1994 Marley viene introdotto nella Rock and roll hall of fame a Cleveland.