BOBBIO
(lat. Bobium)
Comune in prov. di Piacenza, sulla sponda sinistra del fiume Trebbia. Nella zona sono attestati insediamenti già nel Paleolitico e nell'età del Bronzo; ne sono prova i reperti conservati a Genova (Mus. Civ. di Archeologia Ligure), provenienti soprattutto dal villaggio di Groppo. Benché nella Tabula alimentaria di Velleia non si trovino specifici riferimenti al territorio di B., si può ipotizzare che esso fosse compreso nel pagus Bagiennus, che in val Trebbia confinava con il pagus Domitius, appena a monte del ponte di Barberino (Petracco Sicardi, 1969, p. 209). La romanizzazione del territorio è attestata dalla lapide Vipponia e dal sarcofago della famiglia Coccieia.
Lo stanziamento dei Longobardi in val Trebbia è precedente all'arrivo di s. Colombano, al quale in un diploma del luglio 613 o 614 vengono concessi il territorio che circonda B. per un'area di quattro miglia e la basilica S. Petri, salvaguardando peraltro i diritti sulla metà delle saline del vir magnificus Sundrarit, nome questo chiaramente longobardo. Si è molto discusso sulla datazione (Codice diplomatico del monastero, 1918, I, pp. 84-89) e sull'autenticità, accettata da Brühl (Codice diplomatico longobardo, 1973, pp. 3-7), del diploma, nonché sulle motivazioni della fondazione longobarda del monastero di B., che, pur escluso dalle grandi vie romane, non era lontano da centri importanti come Pavia, Piacenza e Genova. Secondo un abile calcolo politico della corte longobarda, il cenobio doveva garantire l'organizzazione della vita monastica e dell'attività missionaria, ma poteva anche costituire un'importante testa di ponte contro Bisanzio e uno strumento di avvicinamento al papato; di fatto il monastero si configurò come centro di irradiazione della fede cattolica romana e dell'attività missionaria contro l'arianesimo, il cattolicesimo tricapitolino e il paganesimo.Alla base della vita comunitaria si poneva l'impegno individuale per il conseguimento della perfezione interiore attraverso la condivisione della preghiera, del lavoro e della lettura, secondo ritmi che armonizzavano il severo ascetismo della religiosità irlandese con sentimenti di rispetto per la personalità dei confratelli.La crescita del cenobio bobbiese fu favorita dalla protezione regia, tanto che la collocazione di alcuni possessi monastici è stata correlata alle tappe dell'affermazione territoriale del regno longobardo (Polonio, 1962, p. 42). L'espansione bobbiese si sviluppò anche grazie alle relazioni con monasteri d'Oltralpe, soprattutto quelli di diretta o indiretta origine colombaniana, e irlandesi, mentre i rapporti con l'abbazia di San Gallo si sedimentarono a partire dalla fondazione stessa dei due cenobi: B. giocò così un ruolo primario sul piano della spiritualità e della cultura dell'Occidente latino anche nella direzione dei riferimenti alla cultura antica. Per l'età carolingia si documenta una contenuta espansione territoriale verso la valle del Po e la Liguria e soprattutto l'azione del monastero, che godeva di ampie esenzioni economiche e giurisdizionali, sia in riferimento all'organizzazione di centri religiosi, oracula, cellae, xenodochia, ecclesiae, sia in relazione alla conduzione dell'ingente patrimonio fondiario. La complessa organizzazione interna del cenobio fu codificata dall'abate Wala (834-836; Codice diplomatico del monastero, 1918, I, pp. 136-141) attraverso la suddivisione delle rendite in funzione del loro utilizzo e la precisazione dei compiti dei monaci in seno alla comunità, ma, nel corso del sec. 9°, l'ingerenza della corte portò alla carica di abate grandi dignitari imperiali non stabilmente residenti a B. e incise sulla gestione dei beni fondiari, censiti da Ludovico II nell'862 e ripartiti nell'865 tra quelli destinati in usus monachorum e quelli della pars beneficiaria (Codice diplomatico del monastero, 1918, I, pp. 184-217; III, pp. 55-60). Alla mancanza di direttrici unitarie e allo smembramento del patrimonio fondiario cercò di porre rimedio Agilulfo (sicuramente abate dall'888 all'896), che ottenne diplomi in difesa dei possedimenti monastici. Nel sec. 10° una nuova minaccia per il monastero fu costituita dalle rivendicazioni dei diritti circoscrizionali da parte del vescovo di Piacenza. All'interno di questa contesa, che incise sulla decadenza del monastero, va interpretato l'episodio, narrato da un anonimo nei Miracula Sancti Columbani, del trasferimento a Pavia del corpo di s. Colombano, voluto dall'abate Gerlanno nel 929 per contrastare Guido vescovo di Piacenza e per garantire al monastero l'appoggio del re d'Italia, Ugo di Provenza. La situazione rimase grave anche per la ripresa dell'uso della commenda e per i lunghi periodi in cui la sede abbaziale restava vacante, mentre si consolidava la posizione dei vassalli titolari di benefici e legati agli Obertenghi e ai vescovi di Tortona e Pavia; gli interventi in favore del monastero di Ottone II e Ottone III e i propositi di intransigente restaurazione di Gerberto di Aurillac (poi papa Silvestro II), abate nel 982-983, non poterono incidere positivamente sulla riorganizzazione del cenobio. Al tentativo di arginare la decadenza del centro monastico e di salvaguardarlo dalle pretese dei vescovadi contigui è legata l'istituzione del vescovado bobbiese fissata intorno al 1014, al tempo dell'abate Pietroaldo, che riunì in sé le cariche di abate e di vescovo. La separazione tra il monastero e il vescovado, consolidatasi nel corso del sec. 11°, diventò motivo di conflitto soprattutto in relazione alla divisione dei beni; se un breve ritorno alla formula del vescovo abate con Simone, dal 1125 al 1144, fece registrare un momento di tregua tra monastero e vescovado, in seguito le due istituzioni si attestarono su posizioni contrapposte con ritorsioni sanguinose culminate nel 1160 con la morte del vescovo Oberto. La seconda metà del sec. 12° segnò la progressiva espansione del comune di Piacenza su B. e la val Trebbia, sancita nel 1173 dalla sottomissione di B. e dalla sua partecipazione alla Lega Lombarda; il dissidio tra il monastero e il vescovado si risolse invece nel 1208, dopo il processo di Cremona, con la vittoria del vescovo e la definitiva, lenta decadenza del monastero.Nel corso del Duecento il comune potestarile dovette comunque fare i conti con il potente comune di Piacenza, con il quale venne a patti nel 1229. Dal 1304 al 1341 B. fu sottomessa a Corrado Malaspina; nel 1342 la breve riviviscenza della struttura comunale comportò la revisione degli statuti, ma la città, dominata dalla fine del Trecento dai Dal Verme, cadde nell'orbita dei Visconti e in seguito degli Sforza. Il 30 settembre 1448 venne resa definitiva la decisione di Niccolò V di affidare il monastero alla Congregazione di S. Giustina di Padova.
La conoscenza del cenobio e dell'impianto urbano altomedievale è ostacolata dall'assenza di sicure testimonianze architettoniche (la chiesa e il convento di S. Colombano furono completamente rielaborati a partire dalla seconda metà del sec. 15°) e dall'incertezza sulla stessa ubicazione del cenobio; è infatti ancora ignoto se esso fosse correlato alla dislocazione attuale, centrale rispetto all'insediamento abitativo (Nasalli Rocca, 1953, p. 91), oppure se esso fosse piuttosto localizzato più a N, nell'area del castello malaspiniano (Tosi, 1978, p. 71). Tuttavia il ruolo preminente del monastero rispetto alle dimensioni dell'agglomerato urbano viene legittimato dall'impianto avvolgente degli isolati e dei percorsi viari attorno alla chiesa abbaziale. Se l'erezione della cattedrale si correla di fatto all'istituzione del vescovado, la sua collocazione a E del cenobio altomedievale sembra presupporre nel sec. 11° l'esistenza di un passaggio sulla Trebbia in direzione orientale; non è stata peraltro finora precisata la datazione del ponte Vecchio, detto anche ponte Gobbo, che oltrepassa il fiume con undici arcate di ampiezza irregolare. La cattedrale assunse comunque la funzione di secondo polo di aggregazione dell'abitato medievale in direzione sudorientale. I margini della piazza, che dalla facciata del duomo si diparte con andamento triangolare in direzione del monastero, dovevano essere contrassegnati da una sequenza di portici: lo attesta la persistenza di un pilastro circolare con capitello cubico cui è applicata al centro una protome umana. A destra della cattedrale sorgeva il palazzo vescovile, riedificato nel corso del sec. 15° e del 17°, e a sinistra il palazzo podestarile, già ricordato nel 1226 e distrutto nel 1927 (Tosi, 1978, p. 80). Tra le sporadiche testimonianze monumentali di edilizia civile medievale va ricordato il palazzo Ancarini, ubicato a S del duomo.Anche se la strutturazione come castrum del centro monastico è ricordata nel 1017 (Codice diplomatico del monastero, 1918, I, p. 391), nel sec. 13° l'aggregazione di successivi accorpamenti comportò rifacimenti al circuito delle mura, riattate nel 1367, e la divisione dell'insediamento medievale in terzieri: Duomo, Porta Nuova, a N-E del monastero, e Castello, attorno al castello, potenziato da Corrado Malaspina.Nel settore nordorientale della città, a lato di porta Nuova, sorsero la chiesa e il convento di S. Francesco, in seguito totalmente rielaborati; entro la formulazione ottocentesca della chiesa è ipotizzabile un'aula unica 'a granaio', mentre i due chiostri aggregati al lato sinistro risultano frutto di una rielaborazione quattrocentesca. Come si è detto, anche la chiesa e il convento di S. Colombano furono completamente rielaborati a partire dalla seconda metà del 15° secolo.Nel Mus. dell'Abbazia di S. Colombano sono conservati reperti ascritti all'età tardoromana: la teca eburnea cilindrica con scene del mito di Orfeo e l'idra in alabastro, ricordata come contenitore di reliquie e dono papale nel testo di due deposizioni rilasciate nel 1207, durante il processo di Cremona (Codice diplomatico del monastero, 1918, II, pp. 343, 351; Nuvolone, 1980, pp. 100-102). Della fine del sec. 6° sono invece le venti ampolle circolari in stagno e piombo, frammentarie, scoperte nel 1910 nella cripta della chiesa abbaziale; la provenienza dalla Palestina e la funzione di contenimento di piccole quantità di olio proveniente dalla Terra Santa sono attestate da iscrizioni e si correlano alla raffigurazione di scene prevalentemente relative alla Crocifissione, all'Ascensione e alla rappresentazione del Santo Sepolcro. Sono molto simili alle ampolle di Monza, tanto che per alcuni frammenti sono state ipotizzate la derivazione dallo stesso stampo e la donazione teodolindea (Grabar, 1958).Pur non essendo stati identificati con sicurezza frammenti architettonici pertinenti al cenobio altomedievale, tuttavia un cospicuo gruppo di sculture in pietra - lastre tombali, transenne, pilastrini e capitelli - testimonia l'alto livello qualitativo delle maestranze attive nell'abbazia in età longobarda e carolingia. Viene ascritta al sec. 7° (Romanini, 1969, pp. 247-249) una lunetta frammentaria, nella quale l'ornamentazione astrattizzante, ricavata attraverso il rincasso del piano di fondo liscio al centro e lungo il bordo esterno, può essere comparata con quella di due lastre pavesi provenienti da S. Tommaso (Pavia, Civ. Mus.). Tra le più alte testimonianze dell'età longobarda va annoverata la lastra tombale di Cumiano episcopus irlandese, che morì a novantacinque anni dopo averne trascorsi diciassette a B.: l'iscrizione ricorda anche la committenza di Liutprando (Gray, 1948, nr. 33, assegna l'opera agli ultimi anni del regno), nonché il nome del lapicida Johannes magister. Va sottolineata la calibrata orchestrazione che lega in intima unità formale l'iscrizione e la fascia decorativa, nella quale due tralci vitinei, ridotti a cordonatura liscia, si incrociano a delimitare in successione alternata due tondi, uno maggiore contenente grappoli e foglie di vite, uno minore con fiori a otto petali. Nei lati brevi del tralcio l'inversione del cantaro e del chrismon rispetto all'iscrizione - attribuita in passato a una svista del lapicida (Haseloff, 1930, p. 54) o all'esecuzione posticipata dell'iscrizione rispetto al bordo (Kautzsch, 1941, pp. 8-9) - trova una convincente spiegazione nella probabile collocazione terragna della lastra, come tale fruibile da punti di vista differenziati (Peroni, 1972, p. 93). L'autonomo andamento dell'ornamentazione e dell'iscrizione, come in alcuni mosaici pavimentali tardoantichi, potrebbe essere inteso come un recupero di moduli classici, che troverebbe conferma anche nella firma di un lapicida di nome romano. Se nella fascia interna a incavi alveolati della lastra bobbiese sono riproposte esperienze del sec. 8°, quali la lapide di Aldo (Milano, Castello Sforzesco, Civ. Raccolte di Arte Antica), sui lati brevi il cantaro e il chrismon con gli uccelli, campiti al centro del tralcio come nella lapide di s. Vitaliano nella cattedrale di Osimo, sono modulati con un risalto plastico contenuto che si assimila al fluire continuo del girale attraverso il risalto costante di una profilatura cordonata. I requisiti morfologici e formali connettono la lastra di Cumiano alle testimonianze più alte della plastica dell'età liutprandea e specificamente alle lastre pavesi provenienti da S. Maria Teodote e da S. Agata al Monte (Pavia, Civ. Mus.). Trova così conferma il riferimento documentario alla committenza di Liutprando, ricordato peraltro anche in un'altra iscrizione bobbiese ("d. liutpran rex v [...]"). Nel sec. 8° fu approntata un'altra lastra tombale contornata da un bordo molto simile a quello della lastra di Cumiano, anche se caratterizzato da una sequenza ritmica più allentata e da un risalto più evidente e morbido del tralcio rispetto al piano di fondo. Circa l'identificazione dell'abbas insignis cui la lastra era dedicata, le scarne indicazioni dell'iscrizione frammentaria sono state riferite a s. Colombano (Tosi, 1978, pp. 66-67) o a un abate che, prima di giungere a B., avrebbe svolto una missione presso i Frisoni (Nuvolone, 1984-1985, pp. 13-14). La lastra fu sezionata in settori verticali, riscolpiti sul retro con una decorazione a intreccio vimineo tipica dell'età carolingia e muniti di incavi che attestano il presumibile riutilizzo dei frammenti come pilastrini. La prassi del reimpiego non risparmiò in età carolingia neppure la superficie retrostante la lastra di Cumiano, partita orizzontalmente su due file di cinque riquadri con ornamentazione simbolica o astrattizzante: croci a bracci uguali, edicole con alberelli, motivi geometrici, come l'intreccio complesso, e matasse di cerchi annodati.Il riutilizzo di due importanti lastre tombali longobarde come elementi dell'arredo liturgico e la presenza di plutei, antependia e pilastrini con ornamentazione di tradizione carolingia vanno interpretati quali testimonianze di una vasta campagna di lavori che interessò anche le lapidi sepolcrali del sec. 8°; tuttavia dalla ricomposizione dell'ornamentazione lapidea non si ricava alcuna sicura percezione della compagine architettonica interna.Nell'ambito di soluzioni formali convergenti verso l'età carolingia si evidenziano, sia sul piano tipologico sia su quello qualitativo, le due lastre reimpiegate in età rinascimentale come fronti dei sepolcri di s. Attala e s. Bertulfo. In entrambe le lastre lo sviluppo della figurazione, privo di marginature superiori, poteva convenire anche ad antependia. Nella lastra di s. Attala un tronco centrale, quasi uno stilizzato albero della vita, genera tralci ondulati desinenti a riccioli o apici gigliati, includenti a destra rosette a petali rotanti e a sinistra foglie stilizzate; la trasposizione del tema, ben attestato in esempi romani di Tuscania e di Castel Sant'Elia, fa rimarcare il risalto inciso rispetto al piano di fondo e la tessitura più rigorosa della trama compositiva. La lucida e complessa intelaiatura della lastra di s. Bertulfo, con cerchi annodati campiti da altri due cerchi concentrici, sembra ispirata a formulazioni del repertorio miniato, mentre più facilmente connesso a esemplari specie romani risulta il motivo della maglia a doppi cerchi, con nodi in direzione assiale e obliqua, che caratterizza altre lastre frammentarie bobbiesi: sia nella consueta formula dei cerchi campiti da rosette sia in quella scarsamente documentata dei cerchi con palmette stilizzate della lastra proveniente dall'altare di S. Pietro. Il margine superiore di quest'ultima è sottolineato da un'ornamentazione orizzontale che chiarisce l'originaria configurazione di elemento di una recinzione presbiteriale. La doppia marginatura superiore caratterizza altre lastre frammentarie, sia a maglie annodate sia a rete di campi quadrangolari definiti da nastri bisolcati o da trecce.Attraverso la serie significativa dei capitelli conservati nel Mus. dell'Abbazia di S. Colombano si documentano tipologie diversificate, dall'Alto Medioevo all'età romanica, evidentemente correlate a rimaneggiamenti dell'architettura e dell'apparato decorativo. In due esempi molto simili la morfologia costruttiva dei capitelli del sec. 8° è proposta secondo il rigido tracciato della foglia centrale e della connessione triangolare delle volute, che caratterizza esempi non solo lombardi datati al 9° secolo. I capitelli provenienti dalla cella campanaria della chiesa abbaziale, molto simili a esemplari di S. Abbondio a Como e dell'altare di Galliano, sono caratterizzati dal profilo sottilmente inciso delle foglie angolari piegate a reggere la sezione rettilinea superiore, conformata a rigido abaco contrassegnato al centro da un'emergenza quadrangolare.La chiesa abbaziale venne rielaborata nella prima età romanica: tracce dell'intervento sono ravvisabili nella parte nordorientale, dove un tratto dell'ampia abside semicircolare si raccorda al campanile che insiste sulla prima campata settentrionale. La compagine esterna della torre, serrata da ampi risalti angolari e ritmata in due specchiature da una larga lesena centrale, risulta scandita dalla successione di due ripiani coronati da archetti binati, da un terzo registro concluso da arcate cieche correlate al sopracciglio di ampie aperture centinate e da un quinto ripiano illuminato da bifore. L'assetto interno prevede l'aggregazione in alzato di due absidi, la prima estradossata e la seconda contenuta in spessore di muro: esse sono illuminate da due ampie monofore strombate all'interno e conformate all'esterno a feritoia; la stessa formulazione presentano le aperture binate entro i ripiani successivi. Dalla torre campanaria si stacca la navata settentrionale, modulata all'esterno dalla sequenza di sei specchiature con archetti binati. La saldatura del campanile con il nucleo orientale e la sua scansione interna a due piani trovano un significativo riscontro nell'assetto, certamente più complesso, della cattedrale di Aosta; il raffronto porta a una datazione intorno al Mille, confermata anche dall'apparato decorativo e dalla tipologia delle aperture, mentre la parete settentrionale risulta di poco successiva. Se due capitelli cubici in pietra con grosse volute rozzamente incise possono essere connessi alla ricostruzione della basilica nel corso del sec. 11°, più problematica è la valutazione di due capitelli con telamoni alternati con un motivo a conchiglie e con un grifone conservati nel Mus. dell' Abbazia di S. Colombano; essi non sono in realtà omogenei, poiché a lato della struttura semplificata e della modulazione appiattita del primo si evidenzia l'articolazione più complessa del secondo. Ascritti talora al sec. 10°, quali precoci testimonianze del linguaggio preromanico, sono stati poi datati alla prima metà o alla fine del sec. 12° e considerati espressione di un arcaismo di tono artigianale.Nel corso del sec. 12° l'apparato decorativo della chiesa di S. Colombano si arricchì di un mosaico pavimentale, rinvenuto a m. 2,40 ca. dal livello pavimentale della navata attuale. Nei due registri inferiori arcatelle ribassate su colonnine includono personificazioni dei mesi con i tradizionali attributi e segni zodiacali, secondo una progressione binata che prende avvio dal mese di marzo e prevede, ogni due mesi, il passaggio al registro inferiore; a essa fanno riscontro, a destra, gli episodi di Giona gettato in mare e di Sansone che smascella il leone. Nei due registri sovrastanti sono raffigurati episodi del ciclo dei Maccabei - Mattatia mette alla testa delle milizie il figlio Giuda maccabeo, Eleazaro uccide l'elefante, Giuda maccabeo combatte con cavalieri 'pagani', tra i quali Gorgias - e in alto a destra lotte di mostri. Nelle storie dei Maccabei, derivate da un manoscritto perduto ma conformi all'iconografia invalsa nel sec. 12° (Hess, 1988), sono stati ravvisati riferimenti alle lotte dei cavalieri crociati contro i pagani, con una precisa allusione alla situazione contingente della conquista di Antiochia. Le immagini dei Maccabei possono configurare il ruolo dei cavalieri nel percorso della salvezza e la stessa valenza simbolica può acquisire la successione dei mesi per i lavoratori della terra, mentre le scene di Giona e di Sansone possono alludere alla risurrezione dopo la morte. Le affinità stilistiche con le Storie del martirio di s. Eustachio, provenienti da S. Maria del Popolo, fanno registrare un ulteriore robusto irrigidimento della trama cromatica, accorpata al percorso linearistico esterno, e fanno propendere per una datazione intorno alla metà del 12° secolo. Nel settore destro della cripta di S. Colombano è collocata una cancellata in ferro, a coppie di volute correlate a montanti verticali e orizzontali, secondo uno schema sottilmente variato sul tema dell'accostamento e della contrapposizione o dell'introduzione di spirali più piccole; sulla conclusione orizzontale sono poste terminazioni ornamentali, punte portaceri e tre alberelli, uno dei quali sormontato da un gallo. La collocazione eccentrica delle due porte centinate fa pensare che in origine la cancellata fosse più lunga e che, integrandosi con i due frammenti ora al museo, potesse dividere la navata dal coro della chiesa. Il manufatto è stato datato alla fine del sec. 12° o agli inizi del 13°, sulla base delle affinità con ferri battuti spagnoli, sia per l'andamento spiraliforme delle volute sia per l'addizione di terminazioni appuntite e alberelli.All'istituzione della sede vescovile si lega l'erezione della cattedrale, posta nel settore sud-est del nucleo urbano, verso il fiume Trebbia. Utile riferimento cronologico è costituito dal diploma del 1027, con il quale Corrado II concedeva alle chiese di S. Maria e di S. Pietro elargizioni per l'arredo liturgico e le campane; la data del 1075, incisa sulla seconda trave da E, può essere considerata come un possibile termine ante quem. L'originaria struttura della cattedrale è ancora leggibile nella conformazione a tre navate coperte a tetto, transetto absidato, probabilmente basso, e coro tripartito. L'articolata organizzazione del nucleo orientale consente di correlare la cattedrale bobbiese a edifici strutturati secondo principi che si considerano derivati da Cluny II, come Romainmôtier, o alla chiesa abbaziale di Bernay: in ambito italiano si possono citare una chiesa monastica come Fruttuaria, ma anche una cattedrale, quella di Acqui, eretta probabilmente entro la data di consacrazione del 1067. L'elaborazione di tale schema costruttivo si integra, nella formulazione della facciata tra due torri, con il riferimento a chiese renane, come Limburg an der Haardt, Strasburgo, Basilea e Hersfeld, o a chiese normanne. L'articolazione graduata del nucleo orientale e il saldo nodo verticale occidentale rivelano l'aggiornamento dell'ambiente lombardo intorno alla metà del sec. 11° su esperienze di ambito cluniacense e nordico: la traduzione si concretizza in termini di premier art roman meridionale, secondo una modulazione parietale incerta, specie nel settore orientale, tale da implicare una datazione tra il 1030 e il 1050.
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Il patrimonio librario bobbiese - conservato in massima parte nella Bibl. Ambrosiana di Milano, nella Bibl. Naz. di Torino e nella Bibl. Apostolica Vaticana (altri codici, per un totale di sedici, sono conservati o testimoniati a Berlino, Cambridge, Celtenham, Escorial, Firenze, Nancy, Napoli, Parigi, Torino - Bibl. Reale e Arch. di Stato -, Wolfenbüttel) - consta attualmente di centonovantotto codici, nel quale numero vanno compresi anche i manoscritti distrutti dall'incendio della Bibl. Naz. di Torino del 1904 e quelli conservati solo in frammenti o di non certa provenienza dal cenobio (Segre Montel, 1980, pp. 142-145). La dispersione della biblioteca di B. si documenta con sicurezza - secondo modalità indagate in tempi recenti (Ferrari, 1970) - dal 1493, con la scoperta di testi classici da parte degli umanisti. Consistenti migrazioni di manoscritti avvennero in seguito: nel 1606 verso la Bibl. Ambrosiana, allora istituita a Milano da Federico Borromeo, e nel 1618 verso la Bibl. Apostolica Vaticana (Mercati, 1934, pp. 134-142). Nel 1686, all'epoca della visita di Mabillon - il quale ebbe in prestito due codici, che non restituì (attualmente a Parigi, BN, lat. 13246 e lat. 13598) -, la biblioteca di B. possedeva ancora un centinaio di manoscritti; messi all'asta con l'intera biblioteca - libri a stampa, mobilio e suppellettili - nel 1803, dopo la soppressione del monastero del 1801, essi pervennero a Torino tra il 1820 e il 1822, per iniziativa di Peyron (Segre Montel, 1980, pp. 139-142).Alla fine del sec. 15° il fondo librario assommava a duecentoquarantatré codici, come risulta da un inventario del 1461 (Torino, Bibl. Naz., F.IV.29), registrando le gravissime perdite già intervenute nel passato, dal momento che un elenco pubblicato da Muratori (1740), oggi non più conservato, databile al sec. 10° ma probabile copia di uno stilato nel sec. 9°, riporta l'esistenza di ca. settecento codici nella biblioteca del cenobio (Mercati, 1934, pp. 29-30). Un recente riesame della trascrizione, lacunosa, stilata per conto di Muratori da Cantelli nel 1714, ha permesso a Tosi (1985) di correggere le sviste occorse nella stampa muratoriana e di portare il numero dei manoscritti citati da seicentosessantasei (Muratori, 1740; Becker, 1885) a seicentonovanta. L'elenco altomedievale costituisce elemento di grande rilevanza non solo in quanto d'a nozione della consistenza e qualità del fondo librario bobbiese, ma anche perché, verosimilmente, l'ordine progressivo attribuito ai libri testimonia il formarsi della biblioteca per addizioni successive. Di grande interesse in tal senso anche la seconda parte, che riporta gruppi di codici raccolti sotto i nomi dei donatori, aggiungendo ulteriori dati alle notizie fornite dalle dediche che talora i codici trasmettono.Tale ingente serie di informazioni - su cui le ricerche in atto già dal secolo scorso si sono a lungo esercitate, riuscendo a collegare parte dei titoli riportati negli elenchi antichi ai codici che oggi si conservano - permette di fare parzialmente luce sulla vicenda, che in un certo senso è da considerare paradigmatica, e sulle complesse modalità di formazione e di attività della biblioteca e dello scriptorium, o almeno di mettere a fuoco talune questioni a esse correlate.Il problema della miniatura bobbiese - che non va disgiunto da quello della scrittura, trattandosi in massima parte di decorazione applicata a lettere iniziali - si pone nella sua complessità già dalle prime fasi di vita del monastero. Dimostrata priva di supporti affidabili l'ipotesi dell'arrivo a B. di parte dei codici della biblioteca cassiodoriana di Vivarium (Mercati, 1934, p. 16ss.), resta la questione della dotazione libraria iniziale del cenobio, specialmente rivolta all'uso liturgico e alle letture da praticarsi all'interno della comunità, ma anche, ben presto, all'uso scolastico. In tal senso, pare poco probabile che il gruppo di monaci guidato da Colombano a B. per istituire il monastero possa aver recato con sé più che qualche libro immediatamente utile alla nuova comunità. È invece plausibile che il favore accordato al monastero dalla corte longobarda possa aver consentito l'afflusso di un più consistente numero di codici, molti dei quali probabilmente destinati a essere riscritti. È il caso di un palinsesto (Milano, Bibl. Ambrosiana, S.45 sup.) contenente in origine parte della Bibbia nella versione di Ulfila, sostituita nel reimpiego dai Commentarii in Isaiam di Girolamo, in semionciale. Vi compare l'annotazione "Liber de arca domno Atalani", aggiunta da mano più tarda, forse della seconda metà del sec. 7°, la stessa che avrebbe aggiunto annotazioni simili all'inizio di altri due codici bobbiesi (Roma, BAV, lat. 5758; Torino, Arch. di Stato, IB.II.27), con riferimento agli abati Bobuleno (643-652) e Vorgusto (forse seconda metà del sec. 7°; Tosi, 1982, pp. 30-31). La scritta pone il codice in relazione con il franco Attala, successore di Colombano, abate almeno fino al 622, con esplicito riferimento all'arca, ovvero all'armadio in cui si conservavano i codici sotto la cura diretta dell'abate; il manoscritto in questione si palesa così con ogni probabilità come uno dei primi prodotti dello scriptorium bobbiese. L'elemento decorativo principale è costituito da una grande N iniziale, in inchiostro nero con tocchi in verde e arancio, all'inizio della c. 2r. L'asta sinistra della lettera si allunga verso il margine inferiore del foglio; il corpo delle aste è campito a motivi geometrici, mentre il tratto obliquo è costituito da due piccoli pesci giustapposti a forma di esse con motivi spiraliformi; decorazioni a croci uncinate e con terminazioni a pelte salgono verso il margine superiore del foglio. Altre lettere iniziali più piccole, disseminate nel testo, presentano terminazioni a uncino e spessori campiti in nero, rosso-arancio, giallo, verde, o con trecce e motivi geometrici; talora il corpo delle lettere è formato in parte, come nell'iniziale dell'incipit, da piccole figure di pesci (Tosi, 1982, tavv. 1-4).Il codice è stato riferito, insieme ad altri coevi manoscritti bobbiesi (Milano, Bibl. Ambrosiana, D.23 sup.; C.26 sup.; I.61 sup.; O.212 sup.), a contatti con l'ambiente culturale irlandese, riscontrabili d'altra parte anche nella forte caratterizzazione insulare della scrittura (Henry, 1950). La decorazione del gruppo è stata inserita da Henry nel ben noto dibattito sugli inizi della miniatura insulare, al fine di rivendicare alla produzione irlandese originalità e caratteri propri, negati da Masai (1947) in favore della precedenza cronologica della produzione della Northumbria. In particolare, la grande N iniziale del citato manoscritto di Milano (Bibl. Ambrosiana, S.45 sup.) costituirebbe un archetipo per analoghe iniziali in codici insulari di produzione più tarda, quali i Vangeli di Durham (Cathedral Lib., A.II.10, metà sec. 7°) e il Libro di Durrow (Dublino, Trinity College, A.4.5., ora 57, seconda metà sec. 7°; Henry, 1950, p. 31; Alexander, 1978, nrr. 5-6). Il gruppo di codici bobbiesi viene così a costituire, almeno dal punto di vista critico, il principale fulcro nella definizione dello stile miniatorio insulare nel momento della sua formazione. A fronte di una tale situazione sta l'oggettiva mancanza di termini di confronto affidabili in terra irlandese, ove si escluda il c.d. Salterio Cathach (Dublino, Royal Irish Acad.), la cui datazione agli inizi del sec. 7° o addirittura alla fine del 6° è tutt'altro che certa (Alexander, 1978, nr. 4). Ciò che accomuna il Salterio Cathach ai codici bobbiesi del sec. 7° citati è, come è stato notato, il processo di profonda metamorfosi cui sono sottoposte le lettere iniziali, che talora paiono desunte anche dalla scrittura minuscola, e il valore strutturale che a esse viene progressivamente attribuito all'interno della pagina e che portò alle note realizzazioni della miniatura, non solo insulare, dei secoli successivi (Bertelli, 1984, pp. 586-587).D'altro canto, il tipo stesso dell'iniziale figurata, soprattutto associata al motivo del pesce o campita con motivi derivati da opere di oreficeria o dai tessuti, o ancora l'ornamentazione del profilo della lettera con una puntinatura, appartiene al repertorio decorativo già noto in manoscritti di area italica o più latamente mediterranea almeno dal sec. 6°; rappresenta quindi un elemento cui i miniatori bobbiesi potevano attingere direttamente (Bertelli, 1968, pp. 399-402). In ragione di tali osservazioni, è opportuno sospendere il giudizio sul ruolo svolto dallo scriptorium bobbiese del sec. 7° nell'importazione di modelli insulari oppure, eventualmente, come tramite in senso opposto. In simile ottica va anche considerata la recente attribuzione non più a B., come nel passato, ma a uno scriptorium irlandese attivo nella prima metà del sec. 7° del c.d. Codex Usserianus primus (Dublino, Trinity College, A.4.15, ora 55), nella cui decorazione eseguita a penna - in cui spicca, con funzione di explicit-incipit (c. 149v; si noti l'erroneo Lucanu(m) per Lucam), un cristogramma campito in rosso e dal profilo puntinato inscritto in una triplice cornice rettangolare con motivi a treccia - è stato visto il primo esempio di miniatura insulare ispirata a modelli mediterranei (Alexander, 1978, nr. 1). Nel manoscritto del Chronicon di Orosio (Milano, Bibl. Ambrosiana, D.23 sup.), in onciale, a lettere iniziali che si allungano sulla pagina, decorate con puntini rossi (c. 33r) o campite, come le altre lettere dell'incipit, in rossoarancio (c. 2r), si accompagna un foglio di frontespizio con decorazione a piena pagina colorata in giallo, rosso-arancio, verde, con motivi a cerchi concentrici eseguiti a compasso (il cui impiego può essere indice di seriorità cronologica; Tosi, 1982, p. 34), racchiusi da una cornice rettangolare con decorazione geometrica e a intreccio. Tale decorazione, che probabilmente allude a un piatto di legatura, se costituisce un precedente tipologico o un parallelo, rispetto alle carpet pages della miniatura insulare, certo si riallaccia agli stessi modelli mediterranei - sono state, per es., indicate affinità con alcune legature copte (Henry, 1950, pp. 12-19) - che hanno originato il foglio con motivi a intreccio individuato da Nordenfalk (1974) come reliquia, trasmessa da Corbie, della produzione libraria di Vivarium (Parigi, BN, lat. 12190, c. Av). È in una simile molteplicità di fonti e di stimoli culturali che si individua l'aspetto forse più caratteristico della produzione di pittura libraria bobbiese non solo del sec. 7°; d'altra parte, anche la paleografia indica la compresenza di diversi tipi scrittorî riconducibili ora all'elemento insulare, soprattutto nel sistema abbreviativo, ora a quello norditaliano, ora a una contaminazione di entrambi, ora, più raramente, all'elemento merovingico. La diretta componente irlandese nello scriptorium va dunque ridimensionata, in assenza anche di dati documentari (i successori di Colombano, Attala, Bertulfo e Bobuleno, sono franchi), anche se non quasi annullata, come volevano Mercati (1934, p. 24) e Collura (1943, pp. 183-186). Altri codici del sec. 7° danno conto della varietà di moduli decorativi applicata all'interno dello scriptorium; a titolo di esempio vanno ricordati la miscellanea grammaticale (Napoli, Bibl. Naz., lat. 2) - con explicit-incipit in lettere di modulo più grande assai spaziate e racchiuse entro cornici a penna -, il codice con opere di Lattanzio (Torino, Arch. di Stato, IB.II.27; Cipolla, 1907, tavv. XXIX-XXXI) - dove compaiono fasce decorative orizzontali a greca o tralci secondo moduli consueti nella produzione libraria italiana, cui si aggiunge un frontespizio con il titolo incluso in una cornice a motivi geometrici -, il palinsesto vaticano (Roma, BAV, lat. 5757) contenente in prima scrittura frammenti del De republica ciceroniano e in seconda le Enarrationes in Psalmos di Agostino (Mercati, 1934), che riporta iniziali figurate con volatili e pesci (Tosi, 1982, tav. 5). Quest'ultimo tipo di decorazione compare anche, fra l'altro, nel codice sangallese contenente parte dell'Edictus Rothari (San Gallo, Stiftsbibl., 730), rivendicato da Tosi (1982, pp. 37-55, tavv. 6-7), in ragione anche dell'elemento decorativo, a produzione bobbiese, con implicazioni circa la partecipazione di monaci di B. alla stesura del testo dell'editto. Va infine registrato il tentativo (Tosi, 1985, pp. 114-122) di ricondurre allo scriptorium bobbiese del sec. 7° l'esecuzione del testo e delle miniature in monocromo (la coloritura sarebbe stata effettuata nel sec. 10°) degli Agrimensores di Wolfenbüttel (Herzog August Bibl., Aug. 2°36.23), in contrasto con la tradizionale ascrizione all'ambiente ravennate del sec. 6° (Bertelli, 1984, p. 572).Nel sec. 8° si registra l'afflusso di peregrini Scotti al cenobio bobbiese, richiamati dalla tomba di Colombano (Mercati, 1934, p. 24; Collura, 1943, pp. 184-185); tra questi va ricordato il vescovo Cumiano sepolto a B., dove visse diciassette anni (come ricorda l'epitaffio fattogli preparare da Liutprando), il quale avrebbe donato libri al monastero (Kenney, 1929). Altre acquisizioni di libri dall'area insulare sono testimoniate dall'Antifonario di Bangor della fine del sec. 7° (Milano, Bibl. Ambrosiana, C.5 inf.), o dai frammenti liturgici ed evangelici di Torino del sec. 8° (Bibl. Naz., F.IV.1, frammento 9; F.VI.2, fascicolo 8; Segre Montel, 1980, nrr. 2-3), tutti giunti a B. verosimilmente in quest'epoca.Della produzione miniatoria bobbiese del sec. 8° si conservano taluni esempi notevoli, cui in due casi è anche possibile legare nomi di scribi: il nome Nazeris ("Deo favente Nazeris peccatore scrivente") è riportato in un palinsesto contenente i Sententiarium libri tres di Isidoro di Siviglia in onciale (Milano, Bibl. Ambrosiana, C.77 sup., ora S.P.52); la fitta decorazione delle lettere iniziali, disseminate in ogni pagina del testo, contempla, accanto a motivi geometrici e a intreccio, la frequentissima applicazione del motivo del pesce in numerose varianti, in ideale continuità con i motivi ornamentali applicati nello scriptorium già dal secolo precedente. Di un sicuro appiglio cronologico si dispone per un altro codice, contenente i Dialoghi di Gregorio Magno (Milano, Bibl. Ambrosiana, B.159 sup.), in onciale, eseguito per ordine dell'abate Anastasio (citato nel 747) dallo scriba Giorgione ("Deo favente, Anastasio abbate iovente Georgione peccatore scrivente"). Le numerose iniziali decorate - colorate in rosso, rosso-arancio e grigio -, la cui stretta interazione con il testo suggerisce l'identità tra scriptor e pictor (Cogliati Arano, 1970, p. 381), confermano un orientamento di gusto nel repertorio decorativo dello scriptorium che predilige fantasiose combinazioni di elementi astratti e naturalistici variati con notevole capacità compositiva: compaiono non solo motivi a intreccio o figure di volatili e di pesci, ma anche animali rampanti, protomi animali o umane innestate su motivi decorativi astrattizzanti, persino avambracci umani diposti in verticale, singoli (lettere I) o in coppia (lettere H). A un simile orientamento nella decorazione non sono certo estranee le suggestioni indotte, tramite l'acquisizione di codici, da contatti con altri scriptoria, ma anche derivanti da opere di oreficeria o di scultura, con le quali ultime il rapporto va naturalmente inteso nel senso di uno scambio reciproco (Gengaro, 1970, pp. 20-21). Un affine indirizzo stilistico mostrano, pur con minore esuberanza, altri codici bobbiesi, fra i quali quello contenente le Etymologiae di Isidoro (Milano, Bibl. Ambrosiana, L.99 sup.), vergato forse da sette scribi, in cui l'uso promiscuo di scritture diverse, dalla semionciale a una precarolina fortemente caratterizzata, indica, ormai verso la fine del secolo, fermenti in favore di nuovi modelli scrittorî (Collura, 1943, pp. 60-65). Va infine ricordato il manoscritto con le Vitae Patrum (Milano, Bibl. Ambrosiana, F.84 sup.), in onciale, che nella decorazione presenta, oltre alle consuete combinazioni di volatili e pesci, piccole iniziali contornate da puntinatura in colore rosso, secondo una tipologia già sopra esaminata in relazione al problema dei rapporti con la miniatura insulare; infine, la grande decorazione del frontespizio, che presenta cinque linee di testo in grandi capitali colorate alternativamente in rosso, verde e giallo, con minuscoli interventi zoomorfi e fitomorfi (in calce alla pagina compare inoltre una I iniziale la cui asta è riempita da intrecci policromi), sembra confermare i contatti indicati da Lowe (1934-1947, III, nr. 341) con centri scrittorî merovingici.Durante i secc. 9° e 10°, momento di grande prosperità per il cenobio, è testimoniato l'afflusso a B. di un grande numero di codici a seguito di donazioni, puntualmente registrate dall'elenco altomedievale della biblioteca. Si deve ritenere acquisito in questo periodo - oltre al manoscritto dell'Expositio in Psalmos di Teodoro di Mopsuestia del sec. 9° (Milano, Bibl. Ambrosiana, C.301 inf.; Alexander, 1978, nr. 62) - il grande evangeliario di Torino (Bibl. Naz., O.IV.20), databile alla fine del sec. 8° o agli inizi del 9°; il codice, che si presenta danneggiato a causa dell'incendio del 1904, è attualmente un palinsesto della seconda metà del sec. 15° contenente l'Esposizione sopra il Credo di Domenico Cavalca. Della decorazione originaria restano solo una iniziale Q (c. 158) e i fogli di guardia, nei quali le sontuose miniature rappresentanti l'Ascensione e il Giudizio finale (cc. 1-2v) e la carpet page (c. 128v) sono direttamente confrontabili con i prodotti più alti della miniatura insulare tra i secc. 8° e 9° (Alexander, 1978, nr. 61; Segre Montel, 1980, nr. 6).Nella prima metà del sec. 9°, probabilmente nel terzo decennio, si colloca la donazione al monastero da parte dell'irlandese Dungalo - magister della scuola pavese sotto Lotario (Ferrari, 1972) - di ventisei codici, registrati dal numero 496 al numero 522 dell'elenco altomedievale (Tosi, 1985, pp. 206-208); a Dungalo si dovrebbe così, secondo Collura (1943), l'introduzione a B. della minuscola carolina. Attualmente sono stati riconosciuti sette codici relativi al gruppo donato da Dungalo, tutti vergati, salvo integrazioni, in un centro del Nord della Francia (Vezin, 1982), a eccezione di quello dei Dungali responsa contra perversas Claudii Taurinensis episcopi sententias (Milano, Bibl. Ambrosiana, B.102 sup.), allestito probabilmente a Pavia, che presenta come unico elemento decorativo una croce contornata da puntinatura.Durante il governo abbaziale del franco Wala (835-836), cugino di Carlo Magno, proveniente da Corbie, si registra la prima menzione esplicita all'attività dello scriptorium, non necessariamente da connettere a un'eventuale riorganizzazione di questo; nel Breve memorationis approntato dall'abate - dello stesso tenore di quello preparato per Corbie dal fratello Adalardo - si raccomanda fra l'altro: "Bibliothecarius omnium librorum curam habeat, lectionum atque scriptorum. Custos cartarum omnia prevideat monasterii monimenta [...] Camararius abbatis provideat omnes fabros, scutarios, sellarios, tornatores, pergamentarios, furbitores, et ipse prevideat omnia feramenta" (Codice diplomatico del monastero, 1918, I, pp. 140-141).A questo periodo risale probabilmente l'allestimento del De temporum ratione di Beda (Milano, Bibl. Ambrosiana, D.30 inf.), un codice vergato da almeno tre mani, prevalentemente in una minuscola precarolina fortemente caratterizzata dall'elemento bobbiese. La parte iniziale del manoscritto è però forse da espungere dal testo originario e da riferire ad altro ambiente scrittorio, probabilmente vercellese (Collura, 1943, p. 71). La restante decorazione del codice presenta un repertorio assai ricco, costituito da combinazioni di elementi zoomorfi - prevalentemente fiere rampanti - con forme capitali e onciali o con forme geometriche, tra le quali predominano i cerchi concentrici, campite a intrecci; i rapporti suggeriti per questa ornamentazione con la produzione transalpina, segnatamente con quella di Corbie (Cogliati Arano, 1970, pp. 382-383; Gabriel, 1982, pp. 169-173), non ne invalidano tuttavia la valenza propriamente bobbiese, a cui riconducono talune forme di iniziali (Milano, Bibl. Ambrosiana, F.84 sup., datato da Collura, 1943, p. 129, alla fine del sec. 9°), oltre al ricorrere dei consueti motivi del volatile e del pesce, e gli stessi rapporti cromatici, prevalentemente incentrati sul rosso-bruno, sul giallo e sul verde. A un repertorio analogo e ad analoga cronologia va ricondotta anche la meno vivace decorazione del manoscritto delle Homiliae di Cesario d'Arles (Torino, Bibl. Naz., G.V.7; Segre Montel, 1980, nr. 8).L'alto livello formale raggiunto dallo scriptorium nel corso del sec. 9°, grazie anche a condizioni economiche che permettevano tra l'altro una maggiore disponibilità di pergamene vergini - Mercati (1934, p. 42) sottolinea l'assenza per questo periodo di palinsesti bobbiesi -, è testimoniato da cinque codici che portano la dedica dell'abate Agilulfo (888-896; Collura, 1943, pp. 124-134), per i quali recenti ricerche hanno confermato, anche in ragione di evidenze calligrafiche e codicologiche, l'allestimento nel cenobio bobbiese. Sotto l'aspetto formale, che contempla anche l'eleganza della scrittura e dell'impaginazione così come la qualità dei materiali impiegati, spiccano nel gruppo il manoscritto contenente lezionario e Vangeli a uso di B. (Milano, Bibl. Ambrosiana, C.228 inf.) e i Moralia in Iob di Gregorio Magno (Torino, Bibl. Naz., F.I.6), che riportano grandi iniziali a piena pagina, sontuosamente decorate a intrecci e appendici vegetali o astrattizzanti, profilate di rosso e d'oro su fondi purpurei. Lo stesso indirizzo stilistico, per il quale sono stati evidenziati contatti con la produzione franco-insulare e in particolare con quella gravitante intorno a Reims (Micheli, 1939, pp. 147-148; Segre Montel, 1982, pp. 67-68), informa la decorazione di altri codici allestiti a B. ancora nel sec. 10°, tra i quali va particolarmente ricordato per la sontuosità e l'accuratezza della decorazione il codice contenente la Vita sancti Columbani dell'abate Giona (Torino, Bibl. Naz., F.IV.12), un codice composito la cui prima parte (cc. 1-64v) è decorata da grandi iniziali a piena pagina con intrecci nastriformi in oro talora su fondi purpurei, incorniciate da fasce anch'esse a intreccio. Compaiono sporadicamente, sulle cornici o nel corpo delle lettere, protomi di oche, ulteriore segnale delle relazioni con centri dello stile franco-insulare (Reims, Saint-Amand), cui pure si ispirano, oltre ad altri esempi minori (Segre Montel, 1980, nrr. 13, 15, 18), la c. IIIv di un manoscritto di Milano (Bibl. Ambrosiana, E.20 inf.; Gabriel, 1982, pp. 180-181), un omeliario di Torino (Bibl. Naz., F.II.20) e il Missale romanum (Milano, Bibl. Ambrosiana, D.84 inf., ora S.P. 10.27 bis). Questi due ultimi codici furono probabilmente esemplati in parte su un sacramentario allestito nelle Fiandre nel sec. 9°, che risulterebbe presente a B. nel sec. 10° (Vienna, Öst. Nat. Bibl., 958; Micheli, 1939, p. 131; Cogliati Arano, 1970, p. 383; Segre Montel, 1982, p. 68). Mentre il codice torinese presenta una sola grande L iniziale decorata (c. 5r) e poche altre più piccole nel testo, nel Missale romanum compaiono una sessantina di iniziali, molte di grande formato, tutte a intreccio nastriforme - sporadicamente con protomi d'oca - in oro (oggi resta solo la preparazione verde) o in bruno profilato di rosso, talora con campiture in giallo, rosso, verde. Notevoli soprattutto le iniziali del Te igitur (c. 25r) su fondo purpureo - assai vicine al modello franco-insulare - e la grande Crocifissione (c. 24v), aggiunta probabilmente nel sec. 11° (il foglio è cucito al codice), per la quale sono stati indicati riferimenti alla miniatura nell'orbita della Reichenau (Toesca, 1927; Cogliati Arano, 1970, p. 384; Bertelli, 1980, p. 106).È stato osservato (Cogliati Arano, 1970, pp. 383-384; Segre Montel, 1982, p. 68) come la sontuosità nell'allestimento, scrittura e decorazione del gruppo di codici appena citato, la cui cronologia tende ormai alla seconda metà e allo scadere del sec. 10°, sia in contrasto con la situazione di crisi in cui viene a trovarsi il cenobio all'approssimarsi del sec. 11°, a causa dei contrasti con il nascente episcopato bobbiese.Nei codici prodotti dallo scriptorium nel sec. 11°, della sontuosa decorazione e impaginazione delle iniziali del secolo precedente resta solo il ricordo, in iniziali a intrecci anche molto fitti, per lo più a disegno, con l'intervento del colore - rosso, giallo, verde - negli interstizi; la condotta è più sciolta e compaiono talora motivi a stuoia - certamente in rapporto con la produzione scultorea (Torino, Bibl. Naz., F.IV.12) - o vivaci terminazioni zoomorfe o fogliacee (Torino, Bibl. Naz., F.IV.24; F.II.16; Milano, Bibl. Ambrosiana, L.14 sup.; D.547 inf.). Verso la fine del secolo e poi in quello successivo, l'inserzione di elementi zoomorfi e antropomorfi si fa più frequente, con esempi notevoli, quali il Salterio di Torino (Bibl. Naz., F.II.13), nel quale compaiono iniziali a tralci vegetali o con fiere avviluppate eseguite con grande inventiva e sicurezza; in un caso appare la figura umana, quella di Davide che suona una ribeca (c. 38r). La decorazione del codice è confrontabile con quella del Breviarium Monasticum Bobiense (Torino, Bibl. Naz., F.II.10), tanto negli ornati vegetali o zoomorfi quanto nelle raffigurazioni umane, qui più frequenti (alcuni santi, la Vergine, un arcangelo), tanto da far ritenere che gli stessi decoratori - almeno due - abbiano lavorato su entrambi i codici (Segre Montel, 1980, nrr. 33, 35).Nel corso del sec. 12°, il repertorio decorativo di base dei codici bobbiesi resta sostanzialmente immutato: a deboli richiami ai più complessi intrecci nastriformi del secolo precedente, eseguiti per lo più a disegno rosso o nero, con o senza protomi zoomorfe, si aggiungono iniziali a rigogliosa decorazione fogliacea colorata in rosso, giallo, verde e azzurro, come accade nel manoscritto del De civitate Dei di Agostino (Milano, Bibl. Ambrosiana, D.530 inf.), ricordato nell'inventario del 1461 ("habet litteras miniatas ad pennellum more antiquo"), dopo essere stato riscattato nel 1445 da un pignoramento durato trentuno anni (Collura, 1943, p. 176).Un riflesso della coeva produzione libraria piacentina si riscontra nella decorazione di un antifonario (Torino, Bibl. Naz., F.IV.18; Segre Montel, 1980, nr. 56), in cui i rigogliosi ornati vegetali delle eleganti lettere capitali includono elementi zoomorfi e antropomorfi; soprattutto notevole la grande A iniziale includente un personaggio maschile ignudo, a cui si avviluppano girali (c. 2), oppure la S iniziale formata da un orante inginocchiato (c. 140). Per questo codice, cui si affianca, con uno scarto qualitativo considerevole, un altro manoscritto di Torino (Bibl. Naz., F.IV.4), non sono neppure da escludere suggestioni derivate dalla ricca decorazione, con lettere in oro e argento, di un altro antifonario (Torino, Bibl. Naz., G.V.20) prodotto nel sec. 11° verosimilmente nello scriptorium di San Gallo a uso del cenobio bobbiese (Segre Montel, 1980, nr. 23; 1982, p. 69).Vanno sottolineati i riferimenti all'ambito culturale franco-inglese della metà del sec. 12° individuati da Segre Montel (1980, nr. 48) nei fogli sciolti di un messale frammentario e ricostituito dalla studiosa con i fogli di guardia di altri codici (Torino, Bibl. Naz., A.II.3); vi sono soprattutto notevoli le grandi iniziali di Vere dignum e Te igitur (p. b₁) - a ricchi ornati floreali e geometrici - e la D iniziale entro cui è posta la figura di Davide che suona la ribeca (p. e₁). Tale indirizzo culturale - che probabilmente testimonia la presenza nello scriptorium bobbiese della prima metà del secolo di miniatori di provenienza franco-inglese - è rintracciato anche nelle iniziali figurate di un altro antifonario di Torino (Bibl. Reale, Varia 186 bis) e in quattro iniziali a pennello rosso contenute nel blocco più recente di un codice (Torino, Bibl. Naz., F.II.10), oltre che, forse solo di riflesso, in quelle di un omeliario (Torino, Bibl. Naz., F.I.2; Segre Montel, 1980, nr. 47). In tal senso vanno forse intesi anche i disegni preparatori per due miniature, mai eseguite, contenuti in un foglio aggiunto a un evangelistario duecentesco (Torino, Bibl. Naz., F.II.21, c. 188v; Segre Montel, 1980, nr. 69), riportanti una raffigurazione allegorica e la consegna di una pergamena a un monaco da parte di un sovrano (Segre Montel, 1982, pp. 69-72).A partire dalla seconda metà del sec. 12° le testimonianze di produzione e decorazione libraria a B. si fanno estremamente scarse (Mercati, 1934, p. 53ss.). Ciò che resta della decorazione libraria a B. tra Duecento e Trecento (Torino, Bibl. Naz., F.II.2; F.IV.4) mostra un mediocre livello qualitativo e la stanca applicazione di moduli stereotipi. Le iniziali figurate della Bernardi Abbatis Expositio super Regulam Sancti Benedicti (Torino, Bibl. Naz., F.II.23; Cipolla, 1907, pp. 189-192), della prima metà del sec. 14°, non sono già più opera dello scriptorium (Mercati, 1934, p. 63).
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