Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Nell’ambito delle neoavanguardie degli anni Settanta,nell’esigenza di sconfinamento dai limiti della pittura, il campo d’azione del concettuale si allarga a dismisura. L’assunzione di modalità extra-artistiche è accompagnata dall’abbandono dei materiali e delle tecniche tradizionali, fino a includere, nella sfera dell’arte, la corporalità e il corpo stesso dell’artista.
Corpo d’artista
Con body art si designa una serie di ricerche fondate sul coinvolgimento del corpo dell’autore fino all’identificazione con l’opera che, in un intreccio totalizzante di Arte e Vita, si libera da qualsiasi codice di comportamento in una dimensione mobile e contingente.
È l’idea dell’evento, dell’happening, dell’azione che sceglie di non durare. A svolgere un ruolo centrale non è più l’opera ma la presenza fisica dell’artista: il corpo, i suoi recessi e la pervasività dei suoi linguaggi. La body art appare sulla scena internazionale con la mostra organizzata da Lucy Lippard, nel 1969 a New York, anche se l’attitudine a trasformare il proprio corpo in opera d’arte trova splendidi antecedenti a partire da Marcel Duchamp che in ripetute occasioni propone l’arte come comportamento: quando l’artista indossa gli abiti femminili di Rrose Sélavy, o si ricopre il volto di schiuma da barba per alterare i propri tratti fisionomici o, ancora, quando realizza la propria tonsura a forma di stella dietro la nuca, fissata dall’obiettivo fotografico di Man Ray; in ognuna di queste situazioni egli conferisce artisticità al proprio corpo. La decisione stessa di abbandonare la carriera per dedicarsi al gioco degli scacchi è un’operazione ante-litteram di body art.
Lo spirito aleatorio, la levità scherzosa e l’acutezza concettuale di Duchamp si trasformeranno però negli anni Settanta in azioni violente e radicali. Queste intuizioni affiorano già con i primi happening del gruppo internazionale Fluxus, le Antropometrie di Yves Klein e le sculture viventi di Piero Manzoni – che, dopo aver scandalizzato i benpensanti con la sua Merda d’artista, firma nel 1961 i corpi di modelle e personaggi famosi, da Umberto Eco a Mario Schifano, corredandoli di certificati di autenticità. I supporti di registrazione magnetica assumono un ruolo fondante nel recupero della fisicità, permettono di fissare il precario e il fenomenico, restituiscono il gesto effimero e il comportamento transitorio conservandone la presenza.
In America le prime azioni di Vito Acconci nascono da una partecipazione eccessiva, dall’abuso del proprio corpo che diviene estremo e oltraggioso. In Seadbed del 1972 la violenza voyeristica raggiunge livelli parossistici: durante l’inaugurazione l’artista si cela agli sguardi del pubblico e, al di sotto di una rampa di legno negli spazi della Galleria Sonnabend, si masturba mentre il sonoro della sua voce sale a intervalli irregolari. Sono provocazioni che violano il senso del pudore e infastidiscono; la ripresa con camera fissa non attenua quella carica istintuale che l’arte del passato aveva ignorato da sempre. Dennis Oppeneheim, altro americano vicino ad Acconci, introduce, nel doppio lavoro fotografico Reading position for a 2nd degree burn, la dimensione della temporalità, documenta lo scarto tra il prima e il dopo di un’esposizione ai raggi solari con un libro aperto sul proprio petto tanto da lasciare la traccia dell’ustione. Si spinge ancora più oltre il californiano Chris Burden, in Shooting Pièce del 1971, facendosi sparare con un fucile da un amico e riportando lievi ferite a un braccio.
Ritualità
In Europa la body art si impone, nella maggior parte dei casi, privilegiando atteggiamenti masochisti compiuti attraverso atti cruenti, gesti efferati inflitti sul corpo dell’artista. La ricerca della francese Gina Pane oscilla tra azione rituale, fragilità femminile e ascesi spirituale: in Lait chaud del 1972 si taglia con delle lamette prima il corpo poi la bocca da cui fuoriesce latte misto a sangue, mentre in Action sentimental le spine delle rose abbracciate lacerano la carne e il romanticismo del gesto si rovescia in cariche di affetto bloccate, nella congiunzione estrema di Eros e Thanatos. Per la tedesca Rebecca Horn il corpo e le sue propaggini sono una sorgente di vibrazioni. L’artista si applica delle estensioni, dita artificiali lunghissime, piume, ventagli, quasi dei “moltiplicatori” sensoriali che si dilatano nell’ambiente.
La relazione con il pubblico diventa essenziale: lo spettatore non osserva inerme, ma partecipa all’evento estetico, sviluppa un coinvolgimento emotivo spesso scioccante, che accetta, nel processo artistico, le molteplici possibilità del divenire. È indicativo il lavoro della serba Marina Abramovic e del suo compagno Ulay (1943-) alla Galleria d’Arte Moderna di Bologna nel 1977: l’ingresso della Galleria è presidiato dai due artisti nudi, posti l’uno di fronte all’altro, che obbligano il visitatore a passare in mezzo ai loro corpi, suscitando un inaspettato quanto disturbante contatto fisico.
L’azionismo viennese fondato nel 1965 ha prodotto le performance più sconvolgenti, oltrepassando, al limite della dissacrazione blasfema, la soglia tra arte, vita e morte. Animati da una ritualità sacrale, per alcuni addirittura orgiastica, attingono alla tormentata tradizione espressionista. La fine di Rudolf Schwarzkogler è sintomatica della liturgica radicalità: molti pensarono che il suo suicidio costituisse l’ultimo atto di una performance castratoria. Le pose autolesioniste del corpo di Arnulf Rainer sono enfatizzate, nelle sue fotografie, da aggressioni pittoriche e segni, mentre Otto Muehl organizza happening. Il fondatore del Teatro delle Orge e del Misteri, Hermann Nitsch, erede delle turbolenze romantiche di matrice nordica, assume il ruolo di regista-sacerdote di veri e propri sabba con animali sacrificati, viscere, flutti di sangue e umori organici, che coinvolgono direttamente i partecipanti. La repressione della sessualità è al centro delle foto-azioni di Günter Brus: fasciato come una mummia, sperimenta su di sé l’assenza di ogni contatto con l’esterno, in altri casi gira nudo per Vienna o compie atti oltraggiosi per cui viene arrestato.
Rientra nelle pratiche del comportamento la complessa figura del tedesco Joseph Beuys, artista-sciamano officiante verso il pubblico, le cui azioni hanno lo scopo di riattivare le energie assopite del mondo attraverso i suoi ready-made, che utilizza con una concezione decisamente animista. In Coyote: I like America and America likes me si reclude negli spazi di una galleria newyorkese con il suo “bastone eurasiatico” – l’immancabile amuleto insieme al cappello di feltro che sottolinea il suo volto scavato e penetrante – e interagisce con un coyote che da belva feroce diventa animale mansueto.
Travestimenti
Tra le linee di ricerca della body art, le poetiche legate al travestitismo e all’ambiguità sessuale introducono nell’arte il desiderio e la dimensione dell’immaginario attraverso vere e proprie mise en scène. Nel 1971 si tiene al Kunstmuseum di Lucerna la collettiva Transformer cui partecipano lo svizzero Urs Luthi con i suoi travestimenti androgini e femminili, che truccato in modo eccessivo e kitsch, ammicca verso l’obiettivo fotografico con la stessa sfuggente enigmaticità di Rrose Sélavy e l’italiano Luigi Ontani, protagonista di sovraccarichi tableaux vivant, che ripercorre un repertorio eterogeneo di iconografie, miti e personaggi, passando in rassegna, con ironico narcisismo, tutti gli stereotipi della cultura artistica. La coppia Gilbert&George, (Gilbert Proesch, 1943; George Passmore, 1942), due gentlemen vestiti alla maniera inglese, con inimitabile humour, caustico e paradossale, trasformano ogni azione quotidiana in living sculture. Sono gli anni della liberalizzazione del comportamento, del trasformismo nei fenomeni di costume e dell’ambivalenza sessuale che segnano la fine di ogni rigidità imposta al corpo dalle convenzioni.