Vedi Bolivia dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
La Bolivia è uno dei paesi più poveri dell’America Latina, nonostante sia economicamente in crescita. Posta al centro del subcontinente, da alcuni anni sta vivendo una profonda trasformazione politica e sociale legata all’affermazione del sindacalista ed ex coltivatore di coca Juan Evo Morales, che nell’ottobre del 2014 ha ottenuto un terzo mandato quinquennale. La sua nomina a capo dello stato ha coinciso con l’inizio di un processo di riforma volto a combattere la povertà e le forti disuguaglianze sociali. In campo economico, il presidente si è impegnato a ridurre il peso delle imprese straniere – con la nazionalizzazione delle industrie di telecomunicazioni, idrocarburi ed elettricità – e a ridistribuire le ricchezze tra la popolazione indigena. Parallelamente, la lotta contro le disuguaglianze e le discriminazioni sociali è passata anche attraverso l’adozione, nel 2009, di una nuova Costituzione che dichiara la Bolivia uno ‘stato plurinazionale’ e riconosce i diritti di tutte le minoranze indigene. In tale contesto vanno inseriti i tentativi di decentralizzazione in atto nel paese e il conferimento di maggiore rappresentanza politica alle organizzazioni sindacali e, appunto, alle minoranze indigene. Il mito di Morales quale presidente indigeno che difende l’ambiente e i diritti dei popoli autoctoni ha rischiato di essere compromesso nel 2011 dal ‘caso Tipnis’. Morales aveva permesso la continuazione dei lavori per la costruzione di un’autostrada che collegasse i dipartimenti di Beni e Cochabamba, passando per il Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro Sécure (da cui l’acronimo Tipnis). Solo in seguito alle proteste degli indios, il presidente ha deciso di promulgare la Ley Corta che garantisce la protezione del Tipnis. Sul piano internazionale l’avvento di Morales ha comportato un affrancamento del paese dall’influenza statunitense e un progressivo avvicinamento alle posizioni del Venezuela. Dagli anni Ottanta il problema della coltivazione di coca e del traffico di droga aveva indotto le autorità boliviane a stringere rapporti con gli USA per coordinare gli sforzi nella lotta al narcotraffico. Morales, profondo oppositore delle politiche neoliberiste sostenute da Washington, ha invertito la rotta recedendo dall’Accordo per l’estirpazione del traffico di droga e dal Trattato di promozione del commercio andino, entrambi siglati con gli Usa. La retorica antimperialista del presidente ha condotto poi a un allineamento della Bolivia al cosiddetto ‘fronte bolivariano’, che comprende Venezuela, Ecuador, Nicaragua e Cuba e che trova importanti interlocutori – in termini strategici e commerciali – in Iran, Cina e Russia.
A connotare la politica estera regionale boliviana sono anche gli interessi energetici. I depositi di gas e petrolio – così come quelli di zinco, stagno e argento – consentono alla Bolivia di giocare un ruolo rilevante in ambito energetico, con importanti riflessi sul posizionamento del paese nella regione. Argentina e Brasile, e in misura minore Uruguay, sono committenti decisi ad aumentare i loro investimenti in Bolivia. Nei confronti del Cile, invece, la Bolivia ha da tempo un contenzioso territoriale: a seguito della Guerra del Pacifico (1879-84), il paese ha perso l’accesso al mare in favore di Santiago.
Lo status democratico della Bolivia non è del tutto realizzato, tanto che il paese è classificato come ‘parzialmente libero’ secondo l’indice di Freedom House. Tra i maggiori problemi figurano la corruzione diffusa e le continue violazioni al principio di autonomia della magistratura. Numerosi iter procedurali hanno subito interferenze, l’equità processuale non è garantita e il meccanismo di supervisione delle garanzie costituzionali è lacunoso. Alle ultime elezioni presidenziali del 2014, soltanto 4 aspiranti presidenti su 9 sono riusciti a vedere ammessa la propria candidatura.
La stampa gode di una maggiore libertà. Esistono otto quotidiani nazionali: tre pubblicati a La Paz, tre a Santa Cruz e due a Cochabamba. Negli ultimi anni le vendite della stampa settimanale sono sensibilmente aumentate, così come l’utilizzo di Internet, sebbene il numero complessivo di utenti rimanga ancora molto basso.
È sul piano sociale che emergono le maggiori difficoltà. Disparità e discriminazioni sono tali che è in corso un programma promosso dalle autorità per individuare le situazioni di lavoro forzato e riduzione in schiavitù delle popolazioni indigene boliviane. Morales, oltre a mettere in atto una politica di sostegno economico alle fasce più deboli, ha adottato diversi provvedimenti in favore dei cocaleros, i coltivatori di coca messi in crisi dalle politiche restrittive delle passate amministrazioni.
Il settore sanitario è ancora arretrato. Mortalità infantile e materna sono due seri problemi a cui il governo sta cercando di porre rimedio con iniziative mirate e con contributi ad hoc. Tuttavia, i costi delle cure, la scarsità di medici e di strutture, nonché la morfologia stessa del territorio, limitano fortemente l’accesso ai servizi sanitari da parte della popolazione rurale.
La popolazione boliviana è composta da varie etnie: le popolazioni indigene (soprattutto quechua e aymará) costituiscono oltre il 50% degli abitanti, i mestizos (misti) rappresentano il 30%. I boliviani di origine europea sono il 12% e i rimanenti cittadini appartengono ad altre etnie. La religione più diffusa è il cattolicesimo.
Nell’ultimo decennio il paese ha registrato una crescita costante della popolazione che, accompagnata da una forte migrazione interna verso le città, ha dato luogo a un intenso fenomeno di urbanizzazione, tanto che metà della popolazione si concentra tra Santa Cruz, La Paz (capitale amministrativa del paese), El Alto e Cochabamba. Meno di un terzo della popolazione boliviana vive ancora in zone rurali, spesso di difficile accesso, a causa della carenza di infrastrutture e delle caratteristiche montane di buona parte del territorio (l’altopiano andino ha un’altitudine media tra 3500 e i 4000 metri s.l.m.).
In campo economico, la nazionalizzazione delle industrie di telecomunicazioni, idrocarburi ed elettricità avviata da Morales sta comportando una profonda trasformazione dell’economia boliviana. Alcuni dei provvedimenti più recenti riguardano il settore dell’elettricità: nel maggio 2010 sono state espropriate quattro società elettriche che da sole coprono più della metà del mercato elettrico boliviano. I piani energetici delineati da Morales e dal vicepresidente Álvaro García Linera prevedono la costruzione di nuovi impianti di produzione di energia elettrica per raggiungere, nel 2022, la capacità di 6,3 Gw.
Maggiore portata economico-strategica ha la nazionalizzazione delle compagnie del gas e del petrolio (nonostante quest’ultime presentino valori d’estrazione molto bassi). Oggi lo stato detiene almeno il 51% delle azioni di tutte le industrie energetiche e persegue l’obiettivo di diventare il principale hub energetico regionale. La Bolivia è il sesto paese del continente sudamericano per produzione di gas naturale e tra gli ultimi per consumo nazionale. Ciò le consente di destinare all’esportazione circa l’80% della produzione totale: dopo Trinidad e Tobago, la Bolivia è il secondo paese del Sudamerica per esportazione di gas. Maggiori acquirenti di questa risorsa sono l’Argentina e, soprattutto, il Brasile, che dipende dalla Bolivia per una buona percentuale del proprio consumo di gas. Tuttavia la forte dipendenza dagli idrocarburi e dalle risorse minerarie costituisce ancora oggi un freno al pieno sviluppo di un mercato interno boliviano diversificato e ampiamente sviluppato.
Al di là della partecipazione ad alcune missioni internazionali guidate dalle Nazioni Unite, l’impegno militare boliviano è teso a rendere più sicuro il territorio nazionale. In particolare, obiettivo primario dell’amministrazione Morales è contrastare il narcotraffico e ridurre il commercio di contrabbando. Con tale intento il presidente ha sensibilmente aumentato gli investimenti per la difesa, che tuttavia rimangono contenuti dato che la spesa si attesta all’1,45% del pil nazionale. Incrinati i rapporti con gli Usa, la Bolivia ha intensificato la cooperazione militare con il Venezuela, che rappresenta il maggiore fornitore di armi del paese. La partnership prevede il supporto tecnico venezuelano alle forze armate boliviane e una strategia d’azione comune per contrastare la criminalità organizzata. Il servizio militare è organizzato in modo tale che, qualora il numero annuale di volontari non sia sufficiente a coprire tutti i posti necessari, entri in vigore la leva obbligatoria. La legge, inoltre, sancisce che possano arruolarsi anche i minorenni, nella forma volontaria del servizio premilitare.
Con l’elezione di Morales a presidente le relazioni Usa-Bolivia si sono caratterizzate per forti tensioni politiche. A scatenarle sono state le espulsioni dell’ambasciatore Philip Goldberg e di alcuni membri dello Us Drug Enforcement Administration (Dea) con l’accusa di cospirazione. Dopo un lungo periodo di ostilità, nel 2011 i due paesi hanno firmato un accordo di normalizzazione delle relazioni, ma le tensioni sono rimaste alte. Una nuova escalation si è verificata quando Morales ha accusato gli Usa per la morte del presidente venezuelano Hugo Chávez. I rapporti si sono ulteriormente inaspriti a causa dell’espulsione di Usaid, l’agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale attiva in Bolivia fin dal 1964, avvenuta il 1° maggio 2013 sempre con l’accusa di cospirazione e interferenza negli affari interni. Gli attriti tra i due paesi hanno raggiunto l’apice il 3 giugno, quando l’aereo presidenziale di Morales è stato costretto a un atterraggio forzato di 12 ore all’aeroporto di Vienna. Il mancato diritto a sorvolare lo spazio aereo di alcuni paesi europei è stato giustificato con il sospetto che il leader boliviano trasportasse a bordo Edward Snowden, la ‘talpa’ che con le sue rivelazioni ha dato il via al Datagate, lo scandalo sulle intercettazioni internazionali della statunitense Nsa (National Security Agency), scoppiato nel giugno 2013. Lo stop forzato ha fatto scoppiare un caso diplomatico e la denuncia di ‘aggressione’ da parte del ministro degli esteri boliviano, David Choquehuanca.