BOLSCEVISMO
Bolscevismo (in russo bol′ševizm) significa "massimalismo" in contrapposizione di menscevismo (in russo men′ševizm) che significa "minimalismo". Infatti, il partito socialista marxista russo, fondato nel 1898 da Plechanov e da Axelrod, nel suo secondo congresso, tenuto nel 1903, si era suddiviso nelle due frazioni, massimalista e minimalista, che procedettero però in un certo accordo durante i moti rivoluzionarî del 1905. In seguito, e specialmente durante la guerra mondiale, la loro attività si svolse prevalentemente all'estero.
I capi del bolscevismo sono stati Lenin e Trotzki (Trockij). Fin dal 1914, essi sperarono che la rivoluzione sociale fosse conseguenza ineluttabile della conflagrazione internazionale e bandirono il programma: "trasformazione della guerra imperialista in una guerra civile degli oppressi contro gli oppressori e per il socialismo". Ma le cose procedettero ben altrimenti nel 1917, dopo la caduta dello zarismo. Il governo imperiale tedesco favorì indubbiamente il ritorno in patria dei capi bolscevichi e questi accettarono le facilitazioni e gli aiuti. Si è anche affermato che tali capi erano stati pagati e comprati dallo Stato maggiore tedesco: si sono pubblicati documenti (dal Committee on public information degli Stati Uniti, il cui rappresentante in Russia era Edgard Sisson), che dovevano suffragare tale affermazione; ma la loro autenticità, contestata recisamente dai bolscevichi, non è stata provata. Del resto, la controversia è più formale che sostanziale. La Germania aveva interesse a far prevalere in Russia le tendenze estreme, che potevano affrettare e assicurare il definitivo collasso militare di essa; i bolscevichi non potevano respingere un aiuto, anche finanziario, che accresceva grandemente la loro potenzialità d'azione. Ciò non esclude che essi, nell'intimo del loro cuore nutrissero avversione per il militarismo tedesco e sperassero di poterlo eludere e, magari, minare; ma è evidente che, nei fatti, dovevano piegarsi, come lo ha dimostrato la pace di Brest Litovsk, alle esigenze e alle ingiunzioni dei Tedeschi, i quali disponevano d'una potenza formidabile.
Attraverso la Germania e la Svezia, Lenin e Trotzki arrivarono a Pietrogrado il 16 aprile 1917, trentatré giorni dopo il principio della rivoluzione, e si stabilirono da padroni nel palazzo d'una ballerina. Prima di lasciare la Svizzera, Lenin indirizzò una lettera di congedo agli operai svizzeri, in cui diceva: "Sappiamo benissimo che il proletariato russo è meno organizzato e moralmente meno preparato delle classi operaie di altri paesi.... In Russia il socialismo non può vincere subito e direttamente; ma la massa dei contadini può spingere l'inevitabile e già matura riforma agraria fino alla confisca dell'enorme proprietà feudale.... Il proletariato russo non è in grado di compiere vittoriosamente con la propria forza la rivoluzione socialista, ma può contribuire a creare quello stato di cose, per cui il suo principale e più fedele alleato, il proletariato socialista europeo e americano, impegni la lotta decisiva". Malgrado queste previsioni tutt'altro che ottimiste, i bolscevichi, mediante un complotto militare, s'impadronirono del potere il 7 novembre 1917, poco più di sei mesi dopo il loro ritorno in Russia. Questo fatto si spiega con un complicato concorso di circostanze. In primo luogo, la rivoluzione del marzo 1917, favorita imprudentemente da parte dell'Intesa, la quale s'illudeva di accrescere, con l'allontanamento di Nicola II e dell'imperatrice Alessandra Feodorovna, la potenzialità bellica della Russia, aveva invece messo in moto una valanga, che doveva tutto travolgere. Il popolo russo, d'una cultura assai deficiente, non aveva più che due idee fisse: non più battersi e impadronirsi della terra. Mentre tutti gli altri partiti, che non volevano rompere l'alleanza con l'Intesa e fare il giuoco della Germania, esitavano dinanzi alla pace immediata ad ogni costo, i bolscevichi se ne proclamavano fautori. A differenza degli altri uomini politici, che erano demagoghi deboli e inetti, Lenin e Trotzki erano due personalità di ferrea tempra combattiva e procedevano con energia altrettanto indomita quanto sprovvista di scrupoli e si può dire che il loro avvento al governo è dovuto essenzialmente a questa loro superiorità subiettiva. Trotzki ha scritto: "Nella guerra civile, più che in ogni altra guerra, la vittoria può essere assicurata soltanto da un'offensiva continuata e risoluta. Esitazioni non ci debbono essere; le trattative sono pericolose; l'attesa sopra una posizione è funesta".
Nella costituente, le cui elezioni erano state indette prima ma effettuate dopo che essi si furono impadroniti del potere, i bolscevichi avevano soltanto 185 seggi contro 495 dei socialisti rivoluzionarî: essi la dispersero quindi il giorno stesso della sua convocazione e sgombrarono poi il terreno da tutto ciò che poteva ostacolarli. I capi del partito borghese dei cadetti, Šingarev e Kokoškin, due uomini d'incontestabile valore e di temperamento pugnace, furono assassinati ai primi di gennaio del 1918. Del resto, la borghesia, che costituisce la spina dorsale di ogni società moderna, era molto esigua in Russia e comprendeva numerosi elementi allogeni o addirittura stranieri: buona parte si affrettò a emigrare. I bolscevichi poterono facilmente sopprimerne i resti o ridurli a completa impotenza e consolidare la loro dominazione, precipuamente con la violenza. Il loro regime è stato un'imitazione dello zarismo, senza la vernice occidentale di questo, specialmente negli organi polizieschi, per cui hanno impiegato anche gran parte del personale, poco raccomandabile, che aveva servito l'autocrazia. Ogni libertà di stampa è stata soppressa; la giustizia asservita; un terrore feroce inaugurato. Essi hanno cercato di camuffare tutto ciò con la teorica della "dittatura del proletariato", enunciata da Marx come una necessità per passare dalla società capitalista a quella comunista. In realtà, i comunisti sono sempre stati una minoranza nel proletariato russo: per essi la dittatura del proletariato non è stata la dittatura, non necessariamente crudele e sanguinosa, della maggioranza, che vuol dare un nuovo ordinamento alla società su basi socialiste, ma la violenza senza limiti di una minoranza, la quale voleva abbattere tutti gli ostacoli, borghesi o proletarî, compresi i socialisti di altra gradazione. Nel periodo in cui l'esercito russo era in piena dissoluzione, prima che Trotzki ricostituisse con ferrea energia l'esercito rosso, il vero presidio del bolscevismo è stato costituito da efferati pretoriani stranieri, lettoni, estoni, ebrei e cinesi. Nemmeno nella costituzione della repubblica federativa socialista, approvata dal V congresso panrusso del 10 luglio 1918, si è ammessa l'eguaglianza teorica di tutti gli operai, soldati e contadini: in essa è invece sancito che per le elezioni tanto del congresso panrusso, quanto dei congressi provinciali, le città hanno proporzionalmente il quintuplo dei voti delle provincie, cioè che ogni operaio ha cinque voti, mentre ogni contadino ne ha uno.
Sul terreno economico il tentativo di comunismo è stato fatto, ma è ben presto fallito. Per quel che riguarda la riforma agraria, i bolscevichi hanno senza indugio soppresso la proprietà privata, dichiarando proprietà nazionale la terra, i boschi, le ricchezze del suolo, le acque, le scorte vive e morte e le imprese agricole. Ma, dinanzi alla tenace ostilità dei contadini, non hanno osato attuare il loro programma, lo sfruttamento collettivo, ed hanno dovuto accettare quello dei socialisti rivoluzionarî, lo sfruttamento in uso (lavoro familiare, comunità, associazioni di lavoro): nel far ciò, hanno favorito i contadini poveri, sprovvisti dei mezzi per mettere la terra in valore, a detrimento dei medî e specialmente dei ricchi. I contadini si sono però considerati in realtà come proprietarî della terra ricevuta in uso, e questo spiega la loro diffidenza e la loro ostilità contro tutti i tentativi reazionarî (Denikin, Wrangel, ecc.): essi temevano che, in caso di successo di simili tentativi, gli antichi proprietarî potessero essere reintegrati nei loro beni. Ma i contadini hanno egualmente resistito alle imposizioni di contributi in natura, di requisizioni, ecc. fatte dal governo sovietico. Per ciò, e per la mancanza di capitali, di scorte, di concimi, delle stesse semenze, la produzione è andata rapidamente diminuendo.
Per quel che riguarda la proprietà urbana, l'industria ed il commercio, l'economia comunista è stata applicata più radicalmente perché la sfera d'azione del potere centrale era più diretta e più limitata. Il risultato è stato disastroso, visto che il capitale e gli elementi tecnici facevano difetto e che la soppressione di qualsiasi interesse, di qualsiasi speranza di profitto da parte dei produttori isteriliva le sorgenti stesse della produzione. È ben vero che, già al momento del crollo dello zarismo, la Russia attraversava una grave crisi economica per la lunga durata della guerra e per il quasi completo isolamento, in cui gli avvenimenti militari l'avevano ridotta. Ma questa crisi sarebbe stata una ragione di più per non iniziare l'esperimento comunista, finché le condizioni economiche generali del paese non avessero ritrovato una certa stabilità.
Quando il pericolo imminente è apparso in tutta la sua grandiosità, Lenin (e ciò prova la superiorità del suo temperamento politico) non ha esitato a fare un passo indietro (marzo 1921), proclamando la necessità di una nuova politica economica (la NEP, dalle iniziali delle parole russe Novaja Ekonomičeskaja Politika), la quale ha ammesso la proprietà privata dei mobili, la proprietà temporanea dell'immobili, la formazione di un'industria e di un commercio privati, la sostituzione di imposte naturali progressive alle requisizioni per l'agricoltura; le case, gli esercizî, le fabbriche furono soltanto date in concessione agli esercenti, e lo stato ne rimaneva proprietario. Mentre il commercio estero rimaneva monopolio esclusivo dello stato, per l'interno si è sviluppato tutto un complesso di esercizî di stato, di imprese commerciali controllate dallo stato, di sindacati, di cooperative, di società miste, a cui partecipa tanto il capitale privato quanto quello di stato. Questi provvedimenti hanno indubbiamente stimolato la produzione, perché hanno aperto larghe possibilità di profitti onesti e disonesti anche nella nuova burocrazia, che è stata creata per sorvegliare la rinnovata attività economica. Il governo sovietico ha cercato, con le leggi e con l'arbitrio, di limitare i guadagni degli speculatori, ma ciò, impedendo di consolidare e di investire sicuramente i profitti, ha piuttosto servito d'incentivo alla dissipazione.
In epoca più recente, i bolscevichi hanno voluto rappresentare la NEP non già come un ripiegamento, ma come una naturale evoluzione, dopo che era stato superato il "comunismo di guerra", cioè il comunismo necessario per far fronte ai tentativi reazionarî e per spezzare la resistenza sorda dei contadini. Ma ciò non corrisponde alla realtà. Quando decise d'iniziare la NEP, Lenin riconobbe che i metodi della "politica di guerra" si erano alla lunga rivelati insostenibili e dovevano essere sostituiti con quelli della ricostruzione. La parola d'ordine ufficiale divenne allora: "Dal capitalismo al comunismo attraverso la NEP". Con questa, i bolscevichi s'illusero di poter ottenere anche dall'estero quell'aiuto di capitali, di merci e di capacità tecniche, che è assolutamente indispensabile per la restaurazione economica della Russia. Fino a quel momento, soltanto la Germania aveva avuto con loro rapporti politici ed economici e ciò piuttosto per considerazioni che astraevano dal regime sovietico; per il parallelismo d'interessi politici permanenti che l'esito della guerra mondiale ha creato fra essa e la Russia, quale che ne sia il regime. La stessa attività sovversiva, che i bolscevichi hanno fin dall'inizio svolta in Asia ed altrove contro le potenze dell'Intesa, e specialmente contro l'Inghilterra, favoriva gl'interessi tedeschi.
Le conferenze di Genova e dell'Aia del 1922 dimostrarono però che il governo sovietico non era in grado di dare agli stati capitalisti garanzie sufficienti ad assicurarsene la collaborazione per la ricostruzione economica della Russia. Durante la prima, anzi, i bolscevichi conclusero coi tedeschi il trattato di Rapallo (16 aprile 1922), che sembrava una nuova affermazione della solidarietà politica dei due grandi paesi, prostrati dalla guerra mondiale, e suonava quindi come una sfida alle potenze occidentali. Ma, in pratica, anche l'intesa russo-tedesca è rimasta sterile, perché le conseguenze economiche del regime bolscevico, pur coi temperamenti della NEP, hanno distolto la Germania dall'impegnarsi seriamente in Russia, per quanto la restaurazione di questa sia di capitale importanza per l'avvenire politico di quella. E la Russia, abbandonata più o meno a se stessa, malgrado gl'innegabili sforzi del governo sovietico, declina economicamente sempre più. Soltanto la sua grande estensione, le sue riserve di ricchezze naturali ed il ferreo, spietato rigore dell'organizzazione politica, creata da Lenin, allontanano la catastrofe.
Nel periodo che ha seguito la guerra mondiale la parola "bolscevismo" ha servito anche a designare le agitazioni sovversive a tendenza comunista, che si sono verificate in varî paesi. Ma non sarebbe esatto l'asserire che queste agitazioni derivassero dal bolscevismo: sebbene posteriori cronologicamente, esse erano piuttosto fenomeni paralleli, dovuti innanzi tutto agl'istinti di violenza, scatenati nelle masse dalla guerra, alle illusioni di chimerici miglioramenti sociali, ispirati nelle masse durante la guerra, alle sofferenze che la guerra ha imposte all'umanità. Ciò non toglie che gli avvenimenti di Russia abbiano esercitato una suggestione sulle masse sconvolte, tanto più che il governo sovietico, appena giunto al potere, ha costituito un'organizzazione grandiosa, largamente provvista di fondi, per fomentare la rivoluzione mondiale: l'internazionale comunista, detta comunemente la terza internazionale. Malgrado gli sforzi fatti, i risultati concreti di quella propaganda sovversiva sono stati però ben esigui: essi si limitano al governo di Bela Kun in Ungheria (21 marzo-1° agosto 1919), che fu piuttosto determinato da una crisi di disperazione del patriottismo magiaro, a un effimero governo sovietico in Baviera (aprile 1919) e a un tentativo comunista in Sassonia (nell'autunno del 1922) prontamente schiacciato dal governo del Reich. (Per gli avvenimenti storici della Russia durante il regime bolscevico v. russia).
Bibl.: Lenin e Trotzky, Krieg und Revolution, Zurigo 1918; N. Lenin, Ein bolschewichische Regime in Russland, Olten 1918; L. Trotzki, Von der Oktober-Revolution bis zum Brester Friedens-Vertrag, Berna 1918; Max Hirschberg, Bolschewismus, Monaco 1919; N. Lenin, Die nächten Aufgaben der Sowiet-Macht, Berlino 1918; A. Paquet, Der Geist der russischen Revolution, Lipsia 1919; J. Weiss, Les bolcheviks au pouvoir, Losanna 1918; E. Buisson, Les Bolcheviki, Parigi 1919; J. Sadoul, Notes sur la révolution bolchevique, Parigi 1919; A. Dennis, The foreign policies of Soviet Russia, Londra 1924; R. Fülöp-Miller, Geist und Gesicht des Bolschevismus, Zurich 1926; Wl. Sarabianow, An der Schwelle des zweiten Jahrzehntes, Amburgo 1927.