BOMBA ATOMICA
. Arma offensiva, realizzata negli Stati Uniti d'America durante la seconda Guerra mondiale e in cui l'energia necessaria all'azione dirompente è fornita dai processi di disintegrazione del nucleo (o scissione) di alcuni elementi pesanti.
Le questioni relative alla costruzione e all'impiego della bomba atomica sono: a) scientifiche, relative al problema della scissione e dei processi nucleari in genere; b) tecniche, relative ai piani di produzione su vasta scala degli elementi pesanti scissionabili e alla costruzione di bombe atomiche; c) militari, relative all'efficacia della bomba stessa e al suo impiego; d) giuridiche e politiche, relative al controllo statale e internazionale degli armamenti atomici e dell'energia nucleare; e) tecnico-economiche, relative allo sfruttamento industriale dell'energia nucleare a scopi pacifici; f) biologiche, relative agli effetti della bomba atomica sugli organismi viventi e alle modificazioni ambientali in genere da essa prodotta. Il presente articolo si occupa dei primi 4 punti; per gli altri, v. nucleare, energia, in questa App. e, per maggiori particolari teorici, Nucleo, pure in questa App.
I problemi della disintegrazione nucleare. - È noto che il numero di enti elementari sufficienti a descrivere il comportamento della materia si può oggi ridurre a poche particelle elementari, di cui, ai fini di questa esposizione, hanno importanza essenziale: l'elettrone, il protone e il neutrone. Un atomo è sostanzialmente il risultato dell'aggregazione di queste tre particelle secondo certi schemi di combinazione. Esso si può infatti immaginare costituito da un nucleo, carico positivamente, nella cui composizione interviene un certo numero Z di protoni (numero atomico), un numero N di neutroni, e un certo numero, uguale al valore di Z, di elettroni estranucleari (negativi) i quali si muovono attorno al nucleo stesso e ad esso sono vincolati da forze di attrazione coulombiana. Poiché in natura si trovano 92 elementi, per i quali Z assume i valori compresi fra i e 92, per distinguere uno qualsiasi di questi elementi basta assegnare per esso il numero atomico Z: resta così determinato anche il numero di elettroni presenti nella struttura estranucledre, ai quali, come si sa, si devono le proprietà chimiche dell'atomo.
Giova notare che mentre il raggio di un atomo (e cioè il raggio delle orbite descritte dagli elettroni periferici) è di circa 10-8 cm., quello del nucleo è di qualche migliaio di volte inferiore, e cioè di circa 10-12 cm. Data però l'estrema esiguità della massa degli elettroni rispetto a quella dei protoni e dei neutroni che compongono il nucleo, la massa di un atomo si suole identificare, senza commettere errore apprezzabile, con la massa del solo nucleo.
Il valore di questa massa si esprime in multipli dell'unità di massa nucleare. (Essa viene generalmente assunta uguale a 1/16 della massa dell'isotopo predominante nell'ossigeno e pertanto è uguale a 1,6603•10-24 gr. In queste unità le masse del protone e del neutrone valgono 1,0078 e 1,00893 rispettivamente). Detto valore, che coincide all'incirca con il numero Z + N (numero di massa), è un'altra grandezza importante per caratterizzare un atomo. Si è infatti trovato che spesso elementi naturali aventi lo stesso numero atomico, sono composti da atomi aventi numeri di massa differenti (isotopismo). Il divario fra le masse dei diversi isotopi si deve ascrivere alla presenza, nel nucleo stesso, di un diverso numero di neutroni.
Poiché le proprietà chimiche di un atomo sono completamente caratterizzate dal solo numero atomico Z, la separazione degli isotopi non è realizzabile mediante soli processi chimici. Tale separazione si è però rivelata un problema di fondamentale importanza per le ricerche nucleari in genere e, in particolare, per potere organizzare lo sfruttamento dell'energia atomica ai fini bellici. Per le diverse tecniche impiegate a questo scopo (alcune delle quali particolarmente sviluppate e perfezionate in questi ultimi anni, e non tutte ancora di pubblico dominio), v. sotto.
Più atomi possono combinarsi tra loro per formare delle molecole. Questo significa che l'energia potenziale del sistema pluriatomico possiede, relativamente ai campi di forza che in esso intervengono, un minimo relativo. Se una perturbazione esterna è capace di distruggere le condizioni necessarie a questo equilibrio, può darsi che i singoli atomi - o interi gruppi di atomi - della molecola, tendano ad assumere valori di energia potenziale ancora più piccoli di quello che competeva alla configurazione iniziale: un simile processo ha evidentemente luogo con sviluppo di energia (reazioni esoenergetiche della chimica come, per es., le conflagrazioni). In questi processi, come del resto in tutte le reazioni chimiche, è interessata la sola corona estranucleare degli atomi (e, anzi, generalmente i soli elettroni dell'orbita periferica), mentre la struttura dei nuclei non subisce alcuna modificazione e in nessun modo interviene nelle modalità secondo le quali la reazione si svolge.
Risulta pertanto evidente che il termine di energia atomica, per quanto consacrato dall'uso in un senso non proprio, dovrebbe riserbarsi per indicare l'energia che è posta in gioco nelle reazioni molecolari, poiché è legata appunto alle interazioni esistenti fra gli atomi interessati alle reazioni stesse, mentre per quella forma di energia, che si libera nei processi di disintegrazione nucleare e del cui impiego bellico e controllo internazionale si occupa la presente esposizione, si dovrebbe esattamente usare il termine di energia nucleare. Il sottolineare tale distinzione può giovare ad evitare false interpretazioni, peraltro frequenti.
Ora, come dalla conoscenza della natura dei campi di forze interatomici, responsabili dei legami che vincolano gli atomi nelle molecole, è stato possibile prevedere l'energia messa in gioco nelle comuni reazioni chimiche, così, dalla conoscenza dei campi di forze esistenti all'interno del nucleo, è stato possibile prevedere che nelle reazioni nucleari, cioè in quelle interessanti le particelle componenti il nucleo stesso, l'ordine di grandezza dell'energia messa in gioco in questi fenomeni sarebbe stata dell'ordine di 10-13 piccole calorie per ogni nucleo e, cioè, circa 100.000 volte maggiore di quella messa in gioco in una reazione chimica.
Queste previsioni hanno trovato conferma sperimentale in due tipi di fenomeni e cioè nella radioattività naturale e in quella artificiale.
Secondo quanto è oggi generalmente accettato, le forze che agiscono sui protoni e sui neutroni all'interno del nucleo sono di duplice natura, e cioè forze elettriche di tipo coulombiano, che agiscono sui protoni provocandone una mutua repulsione, e forze di attrazione (forze nucleari) a raggio d'azione assai ristretto, che agiscono fra tutte le particelle elementari.
A causa dell'azione contemporanea di queste forze, solo alcune combinazioni di protoni e di neutroni possono assumere configurazioni corrispondenti a un nucleo stabile. In particolare, per gli elementi a numero atomico molto basso, il numero dei protoni che entrano a fare parte del nucleo è uguale a quello dei neutroni, mentre con l'aumentare del numero atomico, il numero di neutroni presente nel nucleo diviene sempre maggiore fino a essere, per gli elementi pesanti, circa una volta e mezza quello dei protoni. Vedremo come proprio questa crescente asimmetria dei nuclei pesanti renda questi ultimi particolarmente adatti per essere impiegati come sorgenti di energia nucleare.
I principali fenomeni che hanno permesso di realizzare questa conoscenza della struttura nucleare sono quelli relativi alla disintegrazione radioattiva di alcuni elementi naturali. Si dice che un elemento è radioattivo quando il suo nucleo, non possedendo una forma di equilibrio stabile per le particelle che lo compongono, ne espelle alcune, tendendo così a raggiungere una struttura nucleare stabile. Le principali forme di disintegrazione nucleare sono la disintegrazione α, la disintegrazione β, la disintegrazione γ (vedi radioattività).
È notevole il fatto che diano luogo a questi processi di radioattività naturale, tranne rare ecceziori, solo elementi caratterizzati da un numero atomico e da un numero di massa molto elevato, e cioè quelli a struttura atomica più complicata.
Nel 1919 E. Rutherford, bombardando dei nuclei di azoto con particelle α emesse dal polonio, riuscì a ottenere un isotopo dell'ossigeno, secondo la reazione:
I varî isotopi di un elemento si distinguono scrivendo il simbolo chimico dell'elemento, preceduto da due indici: quello in alto esprime il valore di Z + N, quello in basso è uguale al valore del numero Z; quando non dia luogo ad equivoci si suole talvolta omettere il secondo indice, scrivendo così, per es., anziché ²%³9%25%U solo U235.
In seguito furono realizzate altre numerosissime reazioni di questo tipo, e cioè disintegrazioni nucleari artificiali. Esse sono caratterizzate dalle seguenti circostanze: a), possono avvenire anche con nuclei leggeri e, affinché avvengano, b), si richiede l'intervento di una particella bombardante; inoltre: c), possono essere endoenergetiche; d), avvengono istantaneamente; e), possono dare luogo, oltre che a particelle α o β o a radiazioni y, alla emissione anche di altre particelle, come protoni, neutroni, ecc.
Nel 1934 E. Curie e F. Joliot osservarono che alcuni elementi leggeri (boro, alluminio, magnesio, ecc.), dopo essere stati bombardati con particelle a, emettevano positroni anche per un certo tempo dopo che era cessato il bombardamento. I risultati di queste esperienze, costituirono un incentivo per una serie di ricerche, con le quali si venne creando e perfezionando la tecnica del bombardamento nucleare, mentre una serie di progressi nella tecnica delle alte tensioni e l'invenzione del ciclotrone e di consimili apparecchi, permise di realizzare acceleratori di grande potenza per particelle cariche. Si rese così possibile impiegare in queste ricerche, oltre alle particelle α e ai quanti γ delle sostanze radioattive (le particelle β non sono atte a produrre reazioni nucleari), anche nuclei di idrogeno, di deuterio e di elio, accelerati fino ad altissimi valori della loro energia.
Con questa tecnica, già nel 1932, J. D. Cockroft ed E. T. S. Walton, mediante protoni accelerati artificialmente, realizzavano la scissione del litio, giusta lo schema:
Inoltre, nel corso di queste esperienze si rivelò di grande interesse ed utilità l'impiego dei neutroni emessi in alcune reazioni nucleari, poiché, essendo la loro carica nulla, essi possono agevolmente essere impiegati per bombardare nuclei pesanti che, a causa del loro alto numero atomico, respingerebbero violentemente qualunque altra particella carica. Le sorgenti di neutroni più comunemente impiegate nei laboratorî sono costituite da miscele di radio e di berillio (o di boro), nelle quali vengono emessi neutroni secondo lo schema:
Nel 1934 E. Fermi riusciva, mediante neutroni rallentati, a realizzare la scissione dell'Uranio. Tale fenomeno, che per alcuni anni fu considerato da Fermi stesso come un normale processo di trasmutazione, fu esattamente interpretato nel 1939 dai fisici tedeschi O. Hahn e F. Strassmann come un nuovo tipo di processo nucleare, in cui il nucleo di uranio, anziché modificarsi mutando di una o due unità i suoi indici, così come avviene in tutti i processi che fino allora erano noti, si scinde in due componenti di quasi uguale peso atomico.
I fenomeni fin qui considerati permettono già di raggiungere alcune conclusioni.
La prima di esse consiste nel fatto che, qualora si effettui il bilancio energetico di una reazione nucleare tenendo conto della relazione di A. Einstein
anche nelle reazioni nucleari mantiene immutata la sua validità il principio della conservazione dell'energia, inteso come principio che riassuma in sé, come due aspetti differenti di una relazione più generale, i principî classici della conservazione della massa e della conservazione dell'energia (in senso classico).
Per molti anni mancò una diretta conferma sperimentale della [1], e ciò perché fin quando si poté effettuare lo studio del bilancio energetico dei fenomeni radioattivi, l'estrema esiguità della massa dell'energia sviluppata o assorbita nelle comuni reazioni chimiche non permetteva una misura diretta del divario fra le masse dei componenti chimici rispettivamente prima e dopo una reazione. Ma nei fenomeni nucleari questo divario diviene apprezzabile e controllabile quantitativamente. Consideriamo, per es., il caso particolarmente semplice dell'elio, il cui peso atomico, come si sa, è uguale a 4,0028 unità di massa, mentre d'altra parte la massa totale dei protoni e dei neutroni che ne formano il nucleo è 2 H + 2 N = 2 × 1,0078 + 2 × 1,0089 = 4,0334 unità di massa.
La differenza fra il peso del nucleo dell'elio e la somma dei pesi dei suoi componenti risulta quindi uguale a o,0306 unità di massa e corrisponde alla massa dell'energia di legame delle particelle del nucleo. Calcolando, mediante la [1] questo "difetto di massa" in elettrone-volt, si ha la misura del lavoro che bisognerebbe compiere per allontanare fra loro all'infinito le singole particelle componenti il nucleo di elio: nel nostro caso tale energia ha il valore di 28 Mev, corrispondenti a 44,8•10-13 Joule. Per una grammomolecola tale energia assumerebbe quindi l'enorme valore di 2,7210-12 Joule. Questo significa che per disintegrare tutti i nuclei di elio contenuti in una grammomolecola bisognerebbe spendere una simile quantità di energia o che, inversamente, qualora si riuscisse a combinare tra loro protoni e neutroni liberi per formare la stessa quantità di nuclei di elio, si verrebbe a liberare la stessa quantità di energia. Come si vede l'ordine di grandezza dell'energie che compaiono nel dominio delle forze nucleari è di gran lunga superiore a quello delle energie poste in gioco nelle comuni reazioni chimiche.
Qualora si prenda in considerazione, anziché il valore totale delle energie di legame del nucleo, quello relativo a una singola particella (Ep) si trova che questo valore, a parte alcune eccezioni, diminuisce rapidamente in funzione del peso atomico fino ad assumere i minimi valori per elementi di medio peso atomico per poi aumentare lentamente con l'ulteriore aumentare del peso atomico (v. fig. 1). Ne consegue pertanto che si può ottenere energia o combinando fra loro nuclei leggeri per formarne uno di medio peso atomico o facendo disintegrare nuclei molto pesanti in modo da ottenere filammenti di peso atomico più basso.
Altro punto essenziale è la natura statistica delle reazioni nucleari. Ogni atto elementare relativo a un dato processo nucleare ha infatti, con riguardo alle modalità che lo determinano, una certa probabilità per unità di tempo di avere luogo. Di conseguenza, nel caso che la trasmutazione di un nucleo sia provocata da bombardamento con particelle adatte, questa probabilità può essere notevolmente diversa a seconda delle particelle impiegate e della loro energia; da un punto di vista microscopico questa circostanza si traduce nel fatto che, a seconda della natura dei varî processi di trasmutazione, varia fortemente l'intensità con la quale essi hanno luogo. I fisici teorici hanno trovato conveniente caratterizzare questa probabilità mediante una grandezza, chiamata sezione d'urto (e avente appunto le dimensioni di una superficie), proporzionale a questa probabilità (v. nucleo, in questa App.). Questa grandezza può essere calcolata per ogni tipo di processo, come cattura, diffusione, produzione, ecc., di neutroni, di protoni, di particelle a, ecc. Pur variando entro ampî limiti, per molti processi il suo valore oscilla attorno a 10-24 cm2.
Dunque: 1) esistono reazioni nucleari esoenergetiche, e alcune di esse possono venire provocate artificialmente; 2) per alcune di esse la probabilità di avere luogo è molto più grande che per molte altre. Ci si può domandare come mai non si sia tentato di sfruttare su scala industriale fin dal 1930 almeno alcune delle reazioni nucleari allora note, dal momento che i fisici già sapevano che in alcuni processi, come, per es., in quello della scissione del litio a mezzo di neutroni in due particelle α, si libera per ogni nucleo di litio una energia pari a 6•10-13 piccole calorie e cioè pari a 6•10-7 grandi calorie circa per ogni grammomolecola di litio disintegrata. Tale utilizzazione era sconsigliata dal fatto che per nessuna di quelle reazioni il rapporto fra l'energia spesa per provocarle e quella ottenuta superava l'unità. Ora una reazione, per poter venire vantaggiosamente sfruttata su scala industriale o a scopi bellici deve - oltre che essere esoenergetica e potere eventualmente essere comandata - essere in grado o di automantenersi o di venir mantenuta con un dispendio di energia inferiore a quella forníta dalla reazione stessa. Ma nessuna delle reazioni allora note soddisfaceva alle due ultime condizioni. Ove però si fosse potuta scoprire una reazione nucleare automantenentesi o, come si suol dire, "a catena" si sarebbe offerta la possibilità di affrontare su basi sicure il problema della produzione di energia nucleare.
I lavori ispirati a questo genere di ricerche furono molti, ma la soluzione teorica del problema fu formulata per la prima volta solo nel 1939. Le ricerche condotte in quel periodo si ricollegano, in buona parte, direttamente alle esperienze effettuate nel 1934 da E. Fermi e dai suoi collaboratori presso l'università di Roma, nelle quali si riuscì a provocare, mediante un bombardamento con neutroni rallentati, la radioattività indotta in un gran numero di elementi. Fra di essi presentò immediatamente un particolare interesse il caso dell'uranio. Infatti dalle ricerche chimiche effettuate sull'uranio bombardato con neutroni rallentati, si era condotti a escludere che i fenomeni di radioattività indotta che si osservavano fossero dovuti alla formazione di elementi aventi uno Z compreso fra 85 e 92, e si pensò quindi che le nuove forme di attività β fossero dovute ad un nuovo elemento sconosciuto, di numero atomico 93 o forse 94: giacché fino allora gli studî sui fenomeni di radioattività indotta avevano sempre dimostrato come in casi analoghi gli indici degli elementi bombardati variassero al massimo di qualche unità. La circostanza che questi ipotetici elementi non si trovassero fra gli elementi naturali sarebbe stata giustificata dalla loro instabilità. Questi risultati destarono grande interesse nel mondo scientifico: O. Hahn e L. Meitner sulla traccia di ipotesi formulate in un primo tempo dal Fermi, tentarono di elaborare una serie di ipotesi intese a giustificare il gran numero di nuove attività che si generavano nel processo suddetto; le grandi difficoltà che essi incontrarono si mostrarono però tanto più insormontabili in quanto esse non si accordavano in tutto con le teorie allora accettate sulla radioattività indotta. Nel 1939 O. Hahn e F. Strassmann, sulla traccia di un precedente lavoro del 1937 di I. Curie e P. Savitch - i quali avevano notato come fra i prodotti della disintegrazione dell'uranio si trovasse un elemento molto simile al lantanio - cercarono di analizzare più dettagliatamente il comportamento degli elementi ottenuti bombardando l'uranio con neutroni rallentati, e giunsero all'inatteso e sconcertante risultato - peraltro di indiscutibile evidenza - che fra gli elementi finali che si generano nel processo si trova un elemento radioattivo avente proprietà simili a quelle del bario (Z = 56) anziché a quelle di un isotopo del radio, come si poteva allora pensare. Questo risultato si poteva giustificare solo supponendo che il nucleo di uranio si scindesse in due parti di medio peso atomico (donde il nome di scissione assegnato poi a questo fenomeno), secondo lo schema di un processo nucleare completamente nuovo. Questa interpretazione si presentò subito del massimo interesse, sia per l'enorme quantità di energia liberata, sia perché, come vedremo fra poco, essa offriva la possibilità di risolvere praticamente il problema della realizzazione di una reazione a catena.
I fenomeni che hanno luogo durante la scissione dell'uranio e che è necessario conoscere per comprendere la storia della bomba atomica, sono, in sostanza, i seguenti (per maggiori dati teorici, v. nucleo, in questa App.).
Il processo della scissione, come tutti gli altri processi nucleari, si svolge in due fasi successive, nella prima delle quali ha luogo la cattura del neutrone incidente e la formazione di un nucleo composto (tale nucleo avrà lo stesso Z e un numero di massa di un'unità più grande di quello del nucleo iniziale), il quale viene così ad essere eccitato. Nella seconda fase accade che una certa parte di questa energia viene, per fluttuazione statistica, a concentrarsi sopra un certo determinato numero di gradi di libertà del nucleo, rendendo possibile eventualmente o l'espulsione di un neutrone, o la scissione del nucleo in due frammenti o l'irraggiamento di un certo numero di quanti y, in modo da emettere, sotto forma di energia elettromagnetica, l'energia acquistata in seguito alla cattura del neutrone incidente. Gli altri processi radioattivi sono estremamente meno probabili. Questi tre eventi hanno una probabilità diversa a seconda del valore dell'energia di eccitazione del nucleo composto.
Indichiamo con Ec l'energia acquistata dal nucleo di uranio in seguito alla cattura di un neutrone fermo. (Tale energia vale 5 o 6 Mev.). Se l'energia del neutrone incidente è trascurabile (come avviene per i cosiddetti neutroni termici, che abbiano cioè raggiunto l'equilibrio con l'agitazione termica delle molecole della sostanza in cui si vengono a trovare e per i quali l'energia è dell'ordine di qualche frazione di elettrone-volt), la energia totale acquistata dal nucleo coincide con E" se invece l'energia cinetica T dei neutroni incidenti è comparabile con E" l'energia del nucleo eccitato varrà Ec + T. Condizione necessaria per la scissione del nucleo è evidentemente che l'energia di eccitazione sia superiore a quella necessaria per la scissione, cioè che sia soddisfatta la condizione
dove Es indica il valore dell'energia necessaria alla scissione.
Per l'U235 e per l'U238 i lavori di Bohr eWheeler forniscono i seguenti valori:
Anche gli altri nuclei pesanti si comportano come l'U238 poiché per essi Es − Ec > O. La circostanza che invece tale valore sia minore di zero per il nucleo eccitato dell'U23g significa che per questo nucleo basta la cattura di un neutrone di energia anche bassissima per generare la scissione. Se ci riferiamo ad una massa di uranio naturale si osserva che il valore della sezione d'urto σf relativa alla scissione mediante neutroni termici vale 2•10-24 cm2. Ma poiché, come abbiamo visto, i neutroni termici sono catturati praticamente solo dall'U235, per ottenere il valore della sezione d'urto relativa a questo isotopo, si deve moltiplicare il valore precedente per 140, e cioè per il rapporto del numero degli atomi dei due isotopi prevalenti nell'uranio naturale (una parte di U235 su 140 parti di U238: gli altri isotopi sono presenti in quantità trascurabili). Per tutti gli altri elementi pesanti, ivi compreso l'U238, la teoria di E. Bohr e J. A. Wheeler prevede che il valore di σf sia trascurabile fintanto che T è minore di Es - Ec e poi cresca rapidamente in vicinanza di questo valore, restando quindi pressoché costante al crescere dell'energia dei neutroni. Questo andamento è determinato dalla concorrenza dei due fenomeni di scissione e di evaporazione di un neutrone. I risultati del calcolo delle sezioni d'urto in questi processi sono oggi in buon accordo con i risultati sperimentali.
Inoltre, e questa circostanza è estremamente importante per quanto vedremo, l'U238 presenta, per neutroni di energia di circa 7 eV., una sezione d'urto per cattura senza scissione (cattura per risonanza) di circa 104•10-24 cm2. Le curve riportate nelle figure 2 e 3 rappresentano l'andamento delle sezioni d'urto σf e σc dell'U235 e U238 rispettivamente, in funzione della energia dei neutroni incidenti: intendendosi che σf indica la sezione d'urto relativa alla scissione mentre σc indica la sezione d'urto relativa alla cattura.
Riassumendo, si può quindi dire che la scissione è provocata nell'U235 da neutroni di qualsiasi energia e, in particolare ha maggiore probabilità di avvenire qualora sia provocata da neutroni termici; inoltre non ha in concorrenza nessun altro processo. Per l'U238 la scissione è provocata da neutroni di energia superiore ad un valore minimo, e ha in concorrenza il processo di cattura per risonanza, secondo lo schema:
cui corrisponde la massima probabilità per neutroni lenti, ma di energia leggermente superiore a quelli termici (i simboli Np e Pu indicano rispettivamente i due elementi transuranici Nettunio e Plutonio).
Durante la scissione si liberano circa 200 Mev per ogni nucleo che prenda parte al fenomeno. Questo valore dipende evidentemente dal modo in cui ha luogo la reazione, in quanto, in corrispondenza di ogni possibile modo in cui si può scindere l'uranio si ha un valore ben determinato dell'energia emessa. In ogni caso i frammenti della scissione debbono essere tali che le somme delle loro cariche e delle masse dei loro componenti elementari siano rispettivamente uguali alla carica e alla massa dei componenti del nucleo dal quale provengono. Peraltro, da numerose misure effettuate (Kanner e Barschall) si sa che di tutti i modi possibili di scindersi dell'uranio, il più probabile è quello in cui si liberano 161 Mev, con la formazione di frammenti di massa 93 e 143 cui corrispondono i numeri atomici Z = 48 e Z = 45 oppure Z = 56 e Z = 33. Mentre due di questi elementi sono stabili (e quindi non radioattivi) gli altri due contengono un eccesso di neutroni rispetto ai corrispondenti elementi stabili e quindi daranno luogo a famiglie radioattive β (v. Isotopi) secondo un processo che può essere interpretato come concomitante alla diminuzione del numero dei neutroni presenti nel nucleo del frammento, in corrispondenza di un contemporaneo accrescimento del numero di protoni, in modo da fare avvicinare gli indici dei frammenti della scissione a quelli degli elementi stabili. Questa tendenza ad assumere una configurazione stabile che si rivela nei frammenti della scissione, per i quali Z + N è maggiore di quello che competerebbe al relativo elemento stabile di numero atomico Z, si manifesta inoltre nel fenomeno dell'evaporazione di uno o più neutroni. Infatti, dato lo stadio di forte eccitazione dei frammenti espulsi dal nucleo, questo fenomeno è assai probabile perché è molto elevata la probabilità che l'energia di eccitazione si concentri, per fluttuazione statistica, su uno dei neutroni nucleari. Dobbiamo quindi annoverare fra i fenomeni che accompagnano la scissione la formazione di un certo numero di neutroni secondarî. Questa espulsione di neutroni dai nuclei dei frammenti della scissione può avvenire o istantaneamente (e quindi considerarsi che avvenga addirittura durante la scissione) o con un certo ritardo.
I neutroni ritardati, la cui scoperta è dovuta a R. Hafstad e a M. Wang, possono venire espulsi anche molti secondi dopo l'istante in cui è avvenuta la scissione, come risulta dalla seguente tabella.
A questa attività neutronica risulta associata anche una attività y. L'emissione dei neutroni istantanei è molto più intensa e si computa oggi che in media vengano emessi, per ogni scissione, dai 2 ai 3 neutroni istantanei.
Sulla base di quanto precede, tenendo conto anche dell'energia emessa dai frammenti redioattivi e di quella liberata nei diversi processi di attività γ, possiamo effettuare il bilancio energetico totale di una scissione, così come è presentato nella seguente tabella:
Appunto la circostanza che in questi processi venga emesso un certo numero di neutroni secondarî, ha suggerito l'idea di potere provocare nell'uranio delle reazioni divergenti, mentre, come vedremo, la scoperta dei neutroni ritardati ha permesso di realizzare un facile controllo di queste reazioni.
L'altro processo al quale abbiamo accennato, e cioè la cattura radioattiva dei neutroni da parte dell'U238, dà luogo, mediante due successivi atti di emissione β, ad un nucleo di Plutonio, caratterizzato da Z = 94 e Z + N = 239. Ora, dalla teoria di Bohr e Wheeler e sulla base di alcune relazioni dedotte da L.A. Turner si poteva già supporre che questo elemento sarebbe stato radioattivo a, ma relativamente stabile e che, sottoposto a bombardamento neutronico, avrebbe dato luogo alla scissione. Quindi la circostanza che l'U238 dia luogo alla cattura per risonanza di neutroni aventi energie di circa 7 eV, permette di pensare possibile la realizzazione di un processo a catena in cui un certo numero di neutroni prodotti dalle scissioni venga, dopo essere stato opportunamente rallentato, catturato secondo lo schema [2]. In un processo del genere si ha quindi un arricchimento della massa di uranio a favore della formazione di plutonio. In un dispositivo che realizzasse tali condizioni si avrebbe quindi, oltre che lo sviluppo di energia prodotto dalle scissioni, un mezzo per la produzione di un esplosivo atomico artificiale: il Plutonio.
Perché una reazione di tale genere possa risultare automantenentesi è necessario che il numero di neutroni prodotti in media in un certo intervallo di tempo per effetto delle scissioni superi quello dei neutroni comunque assorbiti per cattura radioattiva o dispersi. Le diverse possibilità che si offrono a un neutrone che penetri in una massa di uranio sono: a) fuga dalla massa, senza avere in nessun modo interagito con alcun nucleo; b) assorbimento per cattura radioattiva senza dare luogo a una scissione; c) cattura da parte dei nuclei delle impurità presenti nella massa; d) cattura con scissione. Perciò la condizione precedente si traduce nell'altra secondo la quale deve essere in media maggiore il numero di eventi relativi alla possibilità d) che non di quelli relativi alle a), b), c). Queste condizioni possono essere realizzate con un'opportuna scelta della forma e del volume della massa di uranio, nonché con una opportuna scelta dei materiali atti a impedire la fuga dei neutroni (materiali riflettori). Per caratterizzare l'andamento di una simile reazione si è introdotta una nuova grandezza, chiamata fattore di moltiplicazione, indicata di solito con k. Il suo significato può essere facilmente spiegato con un esempio: se in 1000 scissioni si producono 2000 neutroni dei quali solo 999 dànno successivamente luogo ad una scissione, k varrà 0,999. Quindi si potrà dire che una reazione a catena automantenentesi è caratterizzata da k > 1: per k molto maggiore dell'unità (per es., per k = 2) l'andamento della reazione sarà esplosivo, mentre un valore di k estremamente poco maggiore di 1 sarà una condizione necessaria, ma non sufficiente, per la regolabilità della reazione.
Abbiamo visto che i neutroni emessi durante la scissione posseggono in media elevate energie: un altro problema fondamentale per realizzare il massimo rendimento di una reazione divergente con l'uranio naturale è pertanto costituito dall'opportuna scelta di moderatori per questi neutroni veloci. Le sostanze più adatte a fungere da moderatori sono tutti gli elementi a basso peso atomico, capaci di rallentare i neutroni per urto anelastico, senza peraltro dare luogo alla loro cattura. Questa ultima condizione fa escludere il litio e il boro; l'elio è di difficile impiego sia perché è un gas, sia perché non dà luogo a composti; restano quindi l'idrogeno, il deuterio, il berillio e il carbonio. Inoltre, la necessità di ridurre al minimo la probabilità dell'evento c), ha comportato il grave problema tecnico di ottenere materiali che intervengano nelle strutture di una pila (uranio, riflettori e moderatori) con un elevatissimo grado di purezza, quale non si era mai raggiunto nella produzione su scala industriale di un così grande numero di sostanze.
All'inizio della seconda Guerra mondiale si sapeva dunque che l'esplosivo nucleare poteva essere fornito agevolmente soltanto dall'U235 (o dal plutonio). La creazione della bomba atomica implicava pertanto la soluzione dei seguenti problemi: a) creazione di impianti per la separazione dell'U235 dall'U238; b) messa a punto di dispositivi (poi chiamati pile ad uranio), nei quali una reazione divergente opportunamente controllabile permettesse di ottenere, mediante neutroni rallentati, quantità rilevanti di plutonio; c) realizzazione in pratica di una bomba a scissione.
I problemi della produzione. - Durante i primi tre mesi del 1939, a seguito di un viaggio di N. Bohr negli S. U. e della sua comunicazione dell'interpretazione fornita da O. R. Frisch e da L. Meitner (rifugiati a Copenaghen) circa il fenomeno chiamato poi della scissione, apparve chiaro a diversi fisici residenti negli S. U. la possibilità di basare su questo processo la eventuale realizzazione di una reazione nucleare divergente.
Pertanto, E. Fermi, sulla base di alcuni accordi raggiunti su questo argomento in diversi incontri fra lui, J. R. Dunning e G. B. Pegram, fece intraprendere presso l'Istituto di fisica della Columbia University una serie di ricerche dirette a verificare - mediante misure di ionizzazione -l'esistenza ed eventualmente la natura del fenomeno della scissione. In una successiva riunione in cui erano presenti N. Bohr ed E. Fermi, quest'ultimo emise l'ipotesi che durante la scissione si liberasse un certo numero di neutroni. Questa ipotesi fu confermata dalle comunicazioni giunte prima che finisse il congresso dagli Istituti delle università di California, Columbia e Johns Hopkins e dell'Istituto Carnegie di Washington. Contemporaneamente giunsero anche notizie di analoghe esperienze condotte in Danimarca (lettera del Frisch a Nature, 1939) e in Francia (comunicazione di F. Joliot, in Comptes Rendus Acad. sc., gennaio 1939); sicché nel marzo 1939 Fermi e Pegram informarono il governo degli S. U. della possibilità di uno sfruttamento su scala industriale dell'energia atomica, soprattutto a scopi bellici.
Nell'autunno di quell'anno fu quindi creato, per diretto intervento dello stesso F.D. Roosevelt, il "Comitato consultivo per l'uranio" (Advisory Committee on Uranium) primo organo alle dipendenze del governo. Per la considerazione e l'organizzazione di questi studî esercito e marina stanziarono 6.000 dollari. Nel giugno del 1940, fu creato il "Comitato di ricerche per la difesa nazionale" (National Defence Research Committee, NDRC), per sottoporre i diversi problemi tecnici e scientifici di urgenza bellica agli scienziati della nazione e organizzare, eventualmente, la loro collaborazione: il Comitato per l'uranio ne divenne una sezione (Sezione uranio, S-1). Furono stanziati allora 300.000 dollari da assegnarsi a diversi Istituti scientifici, per l'incremento degli studî sull'energia nucleare. La sezione S-1 era così composta: presidente, L. J. Briggs; vicepresidente G. B. Pegram; membri: S. K. Allison, J. W. Beams, G. Breit, A. H. Compton, H. D. Smyth, H.C. Urey; sottosezione studî teorici: presidente: E. Fermi; membri: Breit, Eckart, Smyth, L. Szilard, J. A. Wheeler; sottosezione per la preparazione: presidente, Urey; membro, Beams; sottosezione per la produzione di energia: presidente, Pegram; membri: Allison, Fermi, Smyth, Szilard; sottosezione dell'acqua pesante: presidente, Urey; membro; Chilton.
Nell'estate del 1940 si pensava che una quantità di uranio o di plutonio fra 1 kg. e 100 kg. bastasse per la costruzione di una bomba ad esplosivo atomico. Sebbene in quel tempo negli S. U. non ci fossero che irrilevanti quantità di sali di uranio, sufficientemente puro, il rifornimento di materia prima non destava eccessiva preoccupazione (per la distribuzione dei materiali radioattivi sulla crosta terrestre, v. radioattivi, minerali, XXVIII, p. 688): la scarsa disponibilità sul mercato dipendeva solamente dall'esiguità della richiesta e dell'impiego dei materiali stessi. Una grave incognita presentava invece il problema di ottenere questi materiali con l'alto grado di purezza necessaria, mentre buona parte delle proprietà e delle costanti chimiche e fisiche dell'uranio non erano ancora note.
Per quanto riguardava i moderatori, la situazione non era confortante: si disponeva di qualche litro di deuterio allo stato gassoso presso i laboratorî delle università, qualche cetitinaio di litri di acqua pesante (D2O), 300 kg. di berillio metallico. Quanto alla grafite, la difficoltà consisteva nella necessità di ottenerla ad un grado di purezza mai prima di allora richiesto e nella crescente richiesta di essa da parte dell'industria bellica. Si sapeva inoltre, dalla conoscenza di alcuni elementi che si formano durante la scissione, quale pericolo avrebbe costituito per le persone il lavorare con pile ad uranio, poiché si poteva già prevedere che una pila di medie dimensioni avrebbe avuto un'attività radioattiva equivalente a quella di diverse centinaia di grammi di radio. Erano inoltre poco noti gli effetti sull'organismo umano dell'attività neutronica.
La direzione scientifica del piano per l'uranio prevedeva di poter mettere a punto entro un anno una pila ad uranio da fare funzionare senza raffreddamento e senza sfruttare l'energia liberata, con un costo complessivo di 100.000 dollari. Il problema fu affrontato per via teorica e per via sperimentale, mentre negli ambienti militari si cominciava a rivolgere l'attenzione alle possibilità offerte dalla nuova arma.
Nei primi mesi del 1941, il comitato per l'uranio comunicò di avere studiato il fenomeno del rallentamento dei neutroni nella grafite e calcolato, sulla base di dati sperimentali, sia il numero di neutroni emessi in media per ogni scissione, sia quello di neutroni che sfuggono da un dispositivo a reticolo uranio-grafite di varie forme e dimensioni. Alla Columbia University, Fermi e i suoi collaboratciri indagarono appunto i vantaggi di una struttura reticolare uranio-grafite, e quale, eventualmente, sarebbe stata la migliore fra i varî tipi studiati.
Abbiamo visto infatti, come lo spettro dell'energia dei neutroni emessi durante una scissione, raggiunga valori dell'ordine di grandezza di qualche Mev. Ora, poiché la cattura dei neutroni da parte dell'uranio ha luogo solo intorno a determinati valori dell'energia, si pensò che una struttura reticolare offrisse la massima probabilità di cattura da parte dell'uranio. È infatti chiaro che un neutrone, attraversando un certo spessore di grafite, subisce una perdita praticamente continua di energia: se lungo il tragitto esso incontra più volte dei blocchi di uranio affogati nella grafite, la probabilità di cattura per risonanza è molto maggiore di quanto sarebbe qualora l'uranio fosse disposto in pochi blocchi separati da grossi spessori di grafite. Con i dati desunti dagli esperimenti (continuati dal febbraio 1941 all'università di Princeton), nel luglio del 1941, sotto la direzione di Fermi fu costruito il primo reticolo uranio-grafite avente la forma di un cubo di 240 cm. di lato. Era questo il primo tentativo di pila: il valore del fattore di moltiplicazione K∞ desunto da quelle misure era di 0,87 (con K∞ si indica il fattore di moltiplicazione relativo ad un certo dispositivo per reazioni a catena, supponendo che il raggio del dispositivo stesso sia infinito, in modo da ovviare al dannoso effetto della fuga dei neutroni): valore ancora notevolmente lontano dall'unità; ma non si dubitava di riuscire a migliorarlo notevolmente; più incerto era se si sarebbe riusciti a raggiungere un K∞ > 1.
Contemporaueamente (dal gennaio del 1941) furono condotte a Chicago esperienze dirette ad indagare le proprietà del berillio come assorbitore e come riflettore, poiché esso avrebbe particolarmente favorito la moltiplicazione dei neutroni secondo la reazione (n, 2n). La scarsità del berillio disponibile non permise però di prendere in seria considerazione il suo impiego in una pila ad uranio. Intanto Fermi e E. Wigner elaboravano le teorie della pila ad uranio. Nello stesso tempo furono approfondite le conoscenze degli effetti biologici delle radiazioni, si organizzarono le prime misure generali di sicurezza per il personale. Infatti è notevole non solo la quantità di radiazioni letali e nocive emesse in loco da una unità lavorante secondo una reazione a catena, ma anche il pericolo costituito dai prodotti secondarî della scissione, capaci di rendere inabitabili per largo raggio le zone circostanti agli impianti atomici.
Pertanto, nell'estate del 1941 era ormai acquisita la teoria generale delle reazioni a catena, erano note molte caratteristiche della pila ad uranio, erano state calcolate le sezioni d'urto per la scissione degli isotopi dell'uranio relative a neutroni di diversa energia e, sulla base di questi dati si era proceduto ad una revisione dei calcoli delle dimensioni critiche. Quindi si giunse a ritenere che l'energia esplosiva liberata da una certa massa di uranio sarebbe stata circa uguale al 10% dell'energia ottenibile dalla stessa massa per scissione completa. Inoltre non era stata trascurata la eventuale possibilità di costruire una bomba a scissione mediante l'impiego dell'U235 puro o almeno sufficientemente arricchito. Furono pertanto intrapresi anche studî per determinare quale dei metodi di separazione fosse il più conveniente (v. isotopismo, in questa App.) mentre si indagavano i metodi per la produzione su grande scala di sostanze catalizzatrici per l'arricchimento dell'acqua pesante.
Nella primavera del 1941 L. J. Briggs sollecitò l'intervento della National Academy of Sciences, per una analisi dettagliata del problema. La sezione di fisica, sotto la presidenza di A.H. Compton redasse tre relazioni, il cui contenuto faceva il punto della situazione fino all'estate del 1941. Tali comunicazioni riassumevano i risultati raggiunti dalla S-i del NDRC e formulavano alcune previsioni. I punti fondamentali sottolineati nel terzo rapporto erano:
1) Sebbene non si avessero ancora prove dirette, le previsioni basate sui calcoli permettevano di giustificare la fiducia di poter costruire bombe a scissione in un intervallo di tempo relativamente breve; 2) dai calcoli eseguiti si poteva prevedere che una percentuale compresa fra l'i e il 5% dell'energia di scissione dell'uranio avrebbe potuto essere liberata in una reazione esplosiva; la massa di uranio necessaria a una tale bomba sarebbe stata compresa fra i 2 e i 100 kg.; l'energia esplosiva utile per kg. di uranio sarebbe stata all'incirca uguale a quella fornita da 300.000 kg. di tritolo; 3) dai lavori in corso si poteva affermare che le attrezzature scientifiche ed industriali sarebbero state in grado di fornire le quantità sufficienti di U235, in modo da poter essere sicuri, sia pure con una grossolana valutazione di tempo, di consegnare le prime bombe a scissione entro 3 o 4 anni; 4) si forniva un preventivo delle urgentissime spese necessarie e si dimostrava la convenienza di sobbarcarsi senza esitazione al nuovo onere.
Quindi, sebbene i risultati tangibili fossero ancora scarsi, verso la fine del 1941 si era diffuso il senso che queste ricerche sarebbero state decisive per la guerra cui la nazione andava incontro. Quella che due anni prima sarebbe apparsa una speculazione insensata, fu allora considerata come una inderogabile necessità.
Durante una riunione del NDRC V. Bush, direttore dell Office of Scientific Research and Development (OSRD), di cui il NDRC era divenuto una sezione dal giugno 1941, propose che il piano dell'uranio fosse sviluppato al di fuori del NDRC. Così, nel dicembre del 1941, il piano passò alle dipendenze amministrative dell'OSRD e quindi, su proposta di J.B. Conant, ne fu riorganizzata anche la direzione sotto la presidenza di L.J. Briggs; l'Ufficio piani ebbe il compito di studiare e coordinare piani relativi alle questioni tecniche e costruttive del lavoro e della costruzione degli impianti, nonché all'acquisto delle materie prime. La sua direzione era affidata a Bush, Conant, Briggs, Compton, Urey, E.O. Lawrence, Murphy. Il 16 dicembre 1941 i rappresentanti politici e militari del governo approvarono pienamente la riorganizzazione e i preventivi.
Il 17 giugno 1942, Conant e Bush inviarono una relazione da cui risultava che lo stato di avanzamento del piano permetteva di confermare le previsioni relative alla potenza esplosiva di una bomba a scissione, mentre, d'altra parte, si era ormai giunti a conoscere i quattro metodi principali per la preparazione di elementi scissionabili, e pure senza essere in grado di predire quale di questi metodi fosse il migliore, si poteva prevedere che la loro messa a punto avrebbe comportato ingentissime spese. Ma Bush, Conant e il generale W.D. Styer posero in rilievo la circostanza che, essendo noti almeno quattro metodi per la separazione degli isotopi dell'uranio, non si poteva escludere che almeno qualcuno di questi non fosse in corso di realizzazione presso qualcuno dei paesi nemici; perciò il fattore tempo assumeva una importanza decisiva. E, data l'importanza militare delle ricerche, nel giugno e nel luglio del 1942, il colonnello J.C. Marshall fu incaricato dell'organizzazione del piano per l'uranio, alle dipendenze dell'arma del Genio.
In questa nuova forma fu istituito (13 agosto 1942) il Manhattan District (la cui sigla fu DSM Project). A questo nuovo organismo furono in un primo momento devolute le questioni di competenza dell'Ufficio piani; nel maggio 1943 esso rilevò anche tutti i compiti del S-i dell'OSRD. In seguito a colloquî con il ministro della Guerra H. L. Stimson, fu nominato un comitato strategico (alle cui dipendenze venne a trovarsi tutto il DSM - Project), formato da Bush, Conant, dal gen. Styer, dall'ammir. Purnell e dal gen. C. R. Groves. I contatti con le autorità governative furono mantenuti attraverso il Military Policy Committee. Il rapporto sulla realizzabilità (Feasibility Report) del Manhattan District è quello che fornisce il maggior numero dei dati cui attingono le relazioni ufficiali. La parte più rilevante del lavoro nel 1942 e nei primi mesi del 1943, quale si può ricostruire dai dati pubblicati sinora e usando come criterio di giudizio la valutazione dei risultati raggiunti, fu quella svolta nel Metallurgical Laboratory (nome convenzionale) dell'università di Chicago. Il piano del lavoro ivi svolto è ricordato nelle relazioni ufficiali col nome di Piano metallurgico. Gli scopi ultimi di queste ricerche consistevano nella preparazione dei progetti per la produzione su larga scala del plutonio e la costruzione di bombe a scissione. Contemporaneamente presso altri Istituti, si studiavano i mezzi più adatti per la separazione dell'U235: queste ricerche furono mantenute separate dai piani del Metallurgical Laboratory.
I compiti relativi al piano metallurgico possono, in grosso modo, schematizzarsi come segue. E. Fermi col suo gruppo lavorava alla messa a punto degl'impianti per studiare le reazioni a catena, mentre il gruppo dei fisici teorici diretto da E. Wigner si occupava del calcolo delle pile; la chimica del plutonio era studiata da un reparto chimico, organizzato da F. H. Spedding (e poi diretto successivamente da S. K. Allison, J. Frank, W. C. Johnson, E. T. Hogness).
Il problema dei rifornimenti fu uno dei più gravi. Per l'uranio, esso poté considerarsi risolto nel 1943: infatti, verso la fine del 1942, si era giunti alla consegna di 1 t. al giorno di ossido nero di uranio, con un grado di purezza tale che in esso il fattore di moltiplicazione aveva potuto essere portato al valore di 0,98 e la purificazione del metallo, compiuta presso gli stabilimenti Mallinckrodt Chemical Works di St. Louis e della compagnia Westinghouse, permise la consegna, alla fine del 1942, di quasi 3 t. mensili di metallo puro e a buon prezzo. Per la grafite, le difficoltà sorgevano evidentemente solo dall'insufficiente grado di purezza della grafite commerciale e dalla necessità di avere la precedenza nell'approvvigionamento. I metodi per la purificazione della grafite si potevano considerare messi a punto nell'estate 1942: essendosi così determinato un fattore di preferenza per questo genere di moderatore, gli sforzi del Piano metallurgico furono indirizzati alla costruzione di pile a grafite.
Oltre ai problemi teorici connessi alla costruzione di una unità per la fabbricazione del plutonio, basata sull'assorbimemo dei neutroni rallentati, si dimostrò decisiva per la messa a punto della prima pila ad uranio la circostanza che i frammenti della scissione emettano un certo numero di neutroni ritardati. Infatti, supponiamo che si riesca a realizzare una unità in cui k sia anche di poco superiore all'unità: l'estrema brevità dei tempi in cui si succedono le reazioni nucleari comporterebbe che la reazione sarebbe rapidamente divergente, e quindi poco facilmente controllabile. Ora, il fatto che un certo numero di neutroni venga emesso con un notevole ritardo (dell'ordine di grandezza in media, di qualche decina di secondi; v. tabella a p. 427) fa sì che la reazione abbia, per così dire, una certa inerzia e sia quindi possibile intervenire usufruendo degli intervalli di tempo dello stesso ordine di grandezza, mediante controlli dell'attività della pila, per diminuire o, eventualmente, arrestarne l'attività stessa. In tal modo, il problema del controllo di una unità in azione diveniva notevolmente più semplice.
Verso la fine del 1942 a Chicago fu allestita la prima pila, a reticolo uranio-grafite, la cui costruzione era stata diretta da Fermi e dai suoi assistenti: essa il 2 dicembre cominciò a funzionare come un sistema automantenentesi. Durante la costruzione si erano prese particolari precauzioni per arrestare il montaggio ed eventualmente anche il suo funzionamento, qualora le dimensioni critiche fossero state raggiunte. All'uopo furono situati all'interno e intorno alla pila strumenti per misurarne l'attività neutronica, mentre strisce di materiali assorbenti venivano intercalate ai blocchi di uranio, per essere poi rimosse solo all'atto dell'avviamento della pila, e pronte ad essere eventualmente inserite di nuovo. Il 12 dicembre la potenza della pila, che per i primi giorni era stata fatta funzionare ad un livello di ½ Watt, fu portata a 200 Watt. La notizia di questo primo brillante risultato fu comunicata al comitato del DSM Project proprio mentre questo era in una fase di revisione dei lavori del Metallurgical Laboratory: così il problema dell'ampliamento della produzione di uranio e di plutonio venne preso in considerazione con estrema decisione.
Infatti, dai dati desunti dal calcolo risultava che per ottenere la quantità di plutonio presumibilmente necessaria alla fabbricazione di una bomba a scissione, sarebbe stato necessario realizzare la costruzione di una pila di potenza di circa 1.000.000 di Kw., e cioè circa 5.000 volte più potente della pila allora in funzione. La messa a punto della prima pila per la fabbricazione del plutonio rese urgente una maggiore conoscenza delle proprietà chimiche di questo metallo, poiché appunto su procedimenti chimici si sarebbe dovuta basare la separazione del plutonio dalle miscele di uranio e di altri elementi dovuti alla scissione, che si estraevano dalla pila. Le ricerche iniziali furono eseguite in un primo tempo sul ²%³9%48%Pu anziché sul Pu239. Successivamente dall'università di 94 Washington, in St. Louis e dall'università della California, in Berkeley, furono forniti circa 0,5 milligrammi di plutonio puro, ottenuti con un bombardamento prolungato mediante ciclotroni di alcune centinaia di kg. di nitrato di Uranile; con i mezzi consueti della microchimica si giunse a preparare alcuni sali di plutonio, pervenendo alla conclusione che il problema della separazione del plutonio stesso per via chimica dagli altri componenti della pila non avrebbe costituito un ostacolo ai piani di produzione del plutonio stesso. Questo risultato significò che anche l'altro obiettivo del Metallurgical Laboratory era stato raggiunto. Parallelamente a queste direttive principali, si svolsero le altre attività del Metallurgical Laboratory, relative a gran numero di problemi gravi ma secondarî, e cioè le questioni di indole tecnica, chimica, biologica e sanitaria.
I risultati di 18 mesi di lavoro del Metallurgical Laboratory erano tali da dare la sicurezza che si sarebbe potuto passare decisamente alla produzione su vasta scala del plutonio. Fu quindi necessario studiare l'allestimento dell'impianto su base industriale. Si decise allora di mettere a punto - usufruendo dei dati disponibili e seguendo i crìterî che, suggeriti dai calcoli teorici, sembravano dovessero predominare in un impianto industriale - la rapida costruzione di un impianto-pilota. Esso doveva fornire indicazioni circa i due più gravi aspetti del problema industriale: il raffreddamento della pila e il caricamento e lo scaricamento dell'uranio. In una pila di medie dimensioni infatti, si sprigiona una grande quantità di calore, la quale, se da una parte può essere trasformata in energia utilizzabile, dall'altra viene a creare delle notevoli difficoltà, per la necessità di un sistema di refrigerazione. Ma questo, sia che venga basato sulla circolazione di un gas, sia su quella di un liquido, aumenta enormemente il pericolo per il personale (molto maggiore è la probabilità di infezione delle zone circostanti la pila) e d'altro canto costituisce una difficoltà tecnica, data la necessità di non fare circolare nell'interno della pila sostanze capaci di catturare i neutroni. Perciò il Feasibility Report suggeriva, per la costruzione dell'impianto-pilota, di usare, in un reticolo uranio-grafite, un sistema di raffreddamento o ad elio, o ad acqua o a bismuto fuso.
Già durante le prime prove del 1942 si era deciso di smontare la pila già costruita per ricostruirla in una località non molto distante da Chicago e di costruire a Clinton (Tennessee) un impianto pilota da 1000 kw. Quando il progetto iniziale fu ampliato fino a considerare la possibilità di passare in una sola volta dallo stadio sperimentale allo stadio industriale, l'attuazione di questo piano fu affidata alla ditta E.I. du Pont de Nemours, che assunse l'impegno di progettare, costruire e dirigere l'impianto-pilota (Clinton Engineer Works, a Oak Ridge, sul fiume Clinch a circa 50 km. da Knoxville nel Tennessee) e poi l'impianto industriale su vasta scala (Hanford Engineer Works, sul fiume Columbia, presso Pasco, nello stato di Washington): località isolate, scelte per ragioni di sicurezza militare e per evitare danni a centri abitati e perché vicine a grandi sorgenti di energia elettrica. La compagnia du Pont modificò il primitivo progetto di un raffreddamento ad elio in favore di un raffreddamento ad acqua: tale sistema, sebbene comportasse la necessità di stazioni idriche e di condutture di grande mole, offriva garanzie di maggiore continuità, al sicuro da qualsiasi incidente che, danneggiando i serbatoi o le condutture per l'elio, potesse compromettere, per ragioni di approvvigionamento, la continuità di funzionamento degl'impianti. Gli svantaggi più gravi del raffreddamento ad acqua erano che dopo il loro impiego le acque del fiume sarebbero risultate infette e che si rendeva necessario impiegare, per i tubi del refrigerante, materiali che soddisfacessero contemporaneamente ai requisiti di non assorbire neutroni in quantità tale che il valore di k potesse divenire inferiore all'unità, di resistere alla corrosione e di essere meccanicamente resistenti.
Furono suceessivamente apportate altre modifiche alla teoria della pila. Fra l'altro si sostituì la struttura reticolare delle unità uranio-grafite, con una struttura a simmetria cilindrica, in modo che l'uranio si trovasse disposto nella grafite non più in punti isolati, ma in barre. Questo fatto permetteva la facile estrazione dell'uranio arricchito. Le relazioni ufficiali non forniscono dati sulle tecniche impiegate né per i sistemi di controllo, né per gli accorgimenti specifici usati negli schermaggi delle unità in azione e degli impianti di separazione (che dovevano risultare opachi per le radiazioni e a tenuta stagna anche per i gas, mentre dovevano permettere la realizzazione delle operazioni telecomandate di carico e di scarico). Una difficoltà di carattere particolare era inoltre costituita dalla impossibilità di effettuare operazioni di manutenzioni all'interno della schermatura una volta avviata la reazione.
I progressi effettuati durante il 1943 furono tali che generalmente con questa data viene indicato l'inizio del periodo conclusivo per l'attuazione della costruzione delle bombe atomiche (per gli aspetti teorici delle relazioni riguardanti il funzionamento delle pile ad uranio e i prodotti della scissione, v. pila: Pila ad uranio, in questa App.). Mentre la pila di Clinton raggiungeva nel 1944 un potere di circa 2.000 kw, i chimici del Manhattan District riuscivano a realizzare un processo per la purificazione del plutonio (basato su un ciclo di successivi processi di ossido-riduzione del plutonio tetravalente e del plutonio esavalente), in modo che si portò nel giugno del 1944, mediante la separazione dei prodotti della pila di Clinton, la produzione del plutonio ad alcuni grammi giornalieri.
L'ampliamento dei piani di produzione rese necessaria la costruzione di un impianto-pilota realizzato secondo le conoscenze più recenti. Si venne così alla costruzione della pila del Laboratorio di Chicago (chiamato dal 1946 Argonne National Laboratory) costruito praticamente ex novo nei pressi di Chicago, nei primi mesi del 1943. Questa pila può essere considerata, con le dovute proporzioni, uno strumento da laboratorio, e su di essa E. Fermi e il suo gruppo eseguirono, facendo uso delle tecniche più raffinate, ricerche sperimentali su un gran numero di reazioni nucleari interessanti la scissione e la tecnica delle pile ad uranio. Furono osservati anche alcuni effetti di notevole interesse teorico sulle proprietà dei neutroni, sulla loro diffusione, sulla loro riflessione, ecc.
Molto più complessa fu la messa a punto degli impianti di Hanford, su cui mancano però, quasi completamente, dati ufficiali. La realizzazione di questo gigantesco progetto, fu iniziata il 6 aprile 1943; il 7 giugno si iniziò la costruzione della prima pila che entrò in funzione nel settembre del 1944; nell'estate del 1945 funzionavano tutte e tre le pile realizzate (di cinque progettate). Questi impianti erano inoltre dotati di tutte le installazioni necessarie per la separazione del plutonio, di cui cominciò la regolare consegna nelle quantità previste.
Come si è visto le due direttive principali che ispirarono i lavori per la costruzione di bombe a scissione erano costituite e dalla ricerca dei metodi per la separazione del plutonio e dalle indagini dirette a stabilire quali fossero i metodi più convenienti per la separazione dell'U235 dall'U238. Un altro problema dello stesso genere era posto dalla necessità di ottenere acqua pesante in grande quantità. (Per la tecnica di questi metodi, v. acqua pesante; isotopismo e spettrografo di massa, in questa App.). Di tutti i metodi noti, solo alcuni si mostrarono di pratica utilità e, in particolare, solo due di essi furono impiegati su vasta scala.
Nel 1940 O. Nier, facendo uso di uno spettrografo di massa, riuscì a separare piccole quantità dei tre isotopi dell'uranio. Su questi campioni E.D. Booth, A. von Grosse e J.R. Dunning effettuarono delle ricerche col ciclotrone di Berkeley e dimostrarono che la scissione osservata nell'uranio naturale era dovuta prevalentemente all'effetto dci neutroni sull'uranio 235. Questi dati furono noti agli scienziati prima ancora che fossero conosciute con sicurezza l'esistenza e le proprietà del plutonio. Per questa ragione l'interesse degli ambienti scientifici americani si polarizzò anche sui metodi per la separazione su vasta scala dell'U235; la loro fiducia nella possibilità di realizzare una bomba a scissione, in cui fosse impiegato come esplosivo l'U235, fu poi infatti confortata dai risultati di 5 anni di ricerche.
Uno dei metodi che fin dall'inizio sembrò particolarmente conveniente fu quello della separazione mediante la diffusione gassosa. La messa a punto di apparati diffusori a un solo stadio permise, nel 1941, di ottenere la prima separazione degli isotopi dell'uranio, allo stato di esafluoruri.
Infatti, per potere applicare questo metodo, era necessario avere un composto gassoso dell'uranio: fu scelto l'esafluoruro, perché, non possedendo il fluoro isotopi, la differenza tra le masse delle varie molecole del gas è dovuta solamente agli isotopi dell'uranio. Dagli scarsi dati delle relazioni ufficiali si sa solo che i lavori condotti su scala sempre più vasta per tre anni permettevano, all'inizio del 1945, la fornitura giornaliera di alcuni grammi di U235 fortemente arricchito.
Le ricerche furono condotte contemporaneamente anche in Inghilterra (dove anche R. Peierls, Sir James Chadwick e O.R. Frisch avevano pure accennato alla possibilità di scindere l'U235) da un comitato di scienziati presieduto da Sir t'eorge Thomson e in contatto con i fisici americani. I lavori furono condotti nei laboratorî Cavendish, di Cambridge, sotto N. Feather, e Clarendon, di Oxford, sotto Peierls e F. Simon che, alla caduta della Francia, era stato mandato, con Kovalski, da F. Joliot a portare in Inghilterra 165 litri di acqua pesante acquistati dal governo francese in Norvegia poco prima che questa fosse invasa. Sulla base di un rapporto di Lord Cherwell (F. A. Lindemann) W. Churchill dispose che il lavoro fosse intensificato affidandone la direzione a Sir lohn Andemon; fu così stabilito, sotto un nome fittizio, il Directorate of Tube Alloys e un consiglio consultivo composto di Sir Henry Dale, Lord Hankey, Lord Cherwell, Lord Brabazon (ministro di produzione aeronautica) assistito da un consiglio di scienziati (J. Chadwick, R. Peierls, Halban, F. Simon, R. E. Slade e poi Sir Charles Darwin, F. D. Cockroft, M. L. Oliphant, N. Feather) presieduto da W. A. Akers. In seguito a una lettera di F. D. Roosevelt a W. Churchill, proponente che le ricerche fossero coordinate o condotte congiuntamente, nell'autunno del 1941 Urey e Peyram si recarono in Inghilterra; quindi, per ragioni di sicurezza e di praticità, venne considerato più conveniente trasferire gli scienziati inglesi in America. Un laboratorio fu stabilito anche nel Canada, a Montreal, prima sotto Halban, e poi sotto Cockroft. In seguito a una visita di Sir John Anderson al Canada e agli Stati Uniti, nell'agosto 1943 venne creato il Combined Policy Committee, in cui la Gran Bretagna fu rappresentata dal maresciallo Sir John Dill (e dopo la sua m0rte da M. Wilson) e da J. J. Llewellyn (ministro residente a Washington per gli approvvigionamenti), gli Stati Uniti da H. L. Stimson, J. B. Conant, V. Bush e il Canada dal ministro delle munizioni, C. D. Howe.
Più scarse ancora sono le notizie concernenti le realizzazioni tecniche relative alla separazione elettromagnetica degli isotopi. Sotto la direzione di E. O. Lawrence e di H. D. Smyth furono perfezionate le tecniche esistenti e sulla loro base se ne crearono delle nuove.
R. R. Wilson suggerì un metodo che presentava notevoli vantaggi, rispetto ai precedenti, in quanto usufruiva di un'ampia sorgente di ioni, ovviando così in parte al principale difetto di questi metodi, e cioè all'esiguità del materiale ottenuto a loro mezzo. Le prime unità per la separazione elettromagnetica dell'U235 su scala relativamente vasta furono allestite a Clinton nel 1943. In vista del fatto che la loro efficienza era tanto maggiore quanto più alto era il contenuto in U235 dell'uranio che esse dovevano separare, si decise (estate 1944) di fare precedere quest'ultimo metodo da una serie di stadî a diffusione termica. Il complesso basato sulle due tecniche combinate si rivelò di grande efficacia, funzionando su larga scala nell'inverno 1944-45 e fornendo U235 ad un grado di purezza sufficiente per il suo uso nella costruzione della bomba.
La realizzazione della bomba atomica. - Procedeva intanto la realizzazione di un vastissimo piano per gli studî preliminari e per la costruzione delle bombe atomiche. Nel 1941 ebbero luogo presso il Metallurgical Laboratory i primi studî sulla scissione dell'U235 o di altro elemento scissionabile, impiegato in assenza di moderatori; all'inizio del 1942 A. Breit cominciò i primi lavori sperimentali che J. R. Oppenheimer si assunse l'incarico di organizzare durante l'estate e nel settembre dello stesso anno il gen. Groves, assunta la direzione dell'intero progetto, decise di creare un grande laboratorio separato per le ricerche di interesse bellico, per ragioni di sicurezza e di segretezza, fu scelta una località molto isolata: Los Álamos, nel Nuovo Messico a circa 32 km. da Santa Fe. Nel marzo 1943 J. R. Oppenheimer assunse la direzione del laboratorio, ove nel 1944 erano riuniti quasi tutti i più grandi scienziati presenti in quel momento negli Stati Uniti.
Nella primavera del 1945 il laboratorio venne diviso nelle seguenti sezioni (Divisions): Thzeoretical Physics, Experimental Nuclear Physics, Chemistry and Metallurgy, Ordnance, Explosive, Bomb Physics e Advanced Development dirette rispettivamente da H. Bethe, R. R. Wilson, J. W. Kennedy e C. S. Smith, comandante W. S. Parsons, C. B. Kistiakovsky, R.F. Bacher e E. Fermi. Si affrontarono in modo più generale e con tutti i mezzi di cui allora si disponeva, le difficoltà inerenti alla realizzazione pratica di una bomba a scissione. Le scarse notizie finora pubblicate, le conoscenze teoriche che si posseggono e i risultati raggiunti permettono di procedere alla seguente ricostruzione, induttiva, che si ha ragione di ritenere non lontana dalla realtà. Una reazione soddisfacente dal punto di vista dell'impiego bellico doveva avvenire secondo processi molto differenti da quelli che sono alla base della pila ad uranio. Infatti l'andamento di una reazione esplosiva sarebbe stato favorito da tutti i processi di cattura con scissione di neutroni, ma pregiudicato da ogni processo di assorbimento senza scissione (cattura parassitica). Occorreva cioè impiegare materiali quanto più possibile puri e poveri di U238 allo scopo di ovviare alla cattura parassitica, in modo da ottenere una reazione con k molto maggiore dell'unità, nella quale fosse nello stesso tempo sfruttata la maggiore parte del materiale scissionabile. Infatti durante il fenomeno dell'esplosione concorrono, a diminuire la massa critica, sia la scissione stessa (che porta evidentemente ad una diminuzione della massa di esplosivo) sia soprattutto, l'allontanamento delle singole parti della massa esplosiva durante gli istanti successivi all'innesco.
Anche il problema dell'innesco costituì una grave difficoltà: perché la bomba riuscisse un arma efficiente, era necessario poterla mantenere per lungo tempo senza pericolo di esplosione, e farla esplodere su comando. Il problema pare che sia stato risolto costruendo un dispositivo in cui le singole masse di esplosivo venivano tenute lontane fra loro fino all'istante dell'innesco: questo aveva poi luogo "sparando" in un opportuno dispositivo, le due masse una contro l'altra, in modo che la loro massa totale venisse a superare la massa critica, mentre per favorire l'avviamento della reazione, la fuga dei neutroni veniva diminuita mediante l'impiego di opportuni materiali riflettori (tamponi).
Nella storia della bomba atomica rientrano altresì le straordinarie precauzioni prese per mantenere il segreto contro lo spionaggio e il sabotaggio nemico (tra cui, i nomi fittizî dati ai laboratorî e l'estrema suddivisione e specializzazione dei compiti); la collaborazione prestata da scienziati italiani (tra cui, negli S. U., E. Segrè), tedeschi profughi (R. Peierls e F. Simon in Inghilterra, L. Meitner e D. Hahn dalla Svezia) e francesi; la fuga di N. Bohr su una barca da pesca dalla Danimarca in Svezia nell'estate 1943; nonché il bombardamento (novembre 1942) da parte dell'aviazione inglese, quindi la distruzione degli impianti e dei depositi - utilizzati dai Tedeschi per le loro ricerche - di acqua pesante della Norsk Hydro a Vencork: azione compiuta nel febbraio 1943 da 9 paracadutisti norvegesi.
Bibl.: Per le ricerche fino al 1940: L. A. Turner, in Physical Review, LVII (1940), p. 334 segg.; Atomic Energy (Relazione del prof. H. D. Smyth per incarico del gen. L. R. Groves), Princeton 1945; H. A. Bethe, Elementary Nuclear theory, Londra 1947; The Science and Engineering of Atomic Power, Cambridge (Mass.) 1947; elenchi dei documenti resi pubblici in Nucleonics, 1946, 1947, 1948.
La bomba e il suo impiego. - La custruzione della bomba venne seguita dall'esperimento compiuto alle 17,30 del 16 luglio 1945, nella base aerea di Alamogordo, nel deserto sabbioso a circa 190 km. da Albuquerque (Nuovo Messico). La bomba venne collocata su un'alta torre di acciaio che, con l'esplosione, sparì completamente, lasciando al suo posto un vasto cratere, nel cui fondo la sabbia si era trasformata in una materia vetrosa.
La potenza dell'esplosione fu tale che gli scienziati, i quali avevano chiesto al presidente Roosevelt che il popolo fosse informato dei risultati raggiunti, si rivolsero ripetutamente al presidente Truman (informato delle ricerche non appena entrato in carica) affinché la bomba non fosse usata.
Invece, alle 9,15 del 6 agosto 1945 (ora locale) una bomba atomica venne sganciata da una "Superfortezza volante" B 29 (pilota, ten. col. P. W. Tibbet; bombardiere, magg. Th. W. Ferebee; era a bordo il com.te Parsons) su Hiroshima. Il lampo dell'esplosione fu veduto da un aereo di ricognizione a 270 km. di distanza, la nube di vapori scuri salì fino a 12.000 metri.
La terza bomba (seconda e ultima impiegata in guerra) fu sganciata il 9 agosto 1945 alle 12,01 (ora locale) su Nagasaki; era di un tipo più potente di quella di Hiroshima. Secondo il rapporto del Dipartimento della guerra (30 giugno 1946) la bomba fece meno vittime umane a Nagasaki (38.000 morti) che a Hiroshima (66.000 morti). Il maggior numero di vittime (60% a Hiroshima, 80% a Nagasaki) fu dovuto a scottature. A Hiroshima, secondo il rapporto di Morrison, nel raggio di un miglio dal punto al disotto di quello dell'esplosione furono distrutti tutti gli edifici (in totale, 60.000 dei 90.000 della città) eccetto quelli in cemento armato; a Nagasaki in un raggio di 600 m. crollarono edifici in cemento armato con muri di 25 cm. e solai di 15 cm.
Da quanto è stato reso di pubblica ragione, specie dopo gli esperimenti di Bikini (v.), sembra si possano trarre le seguenti conclusioni: l'efficacia della bomba non può essere misurata in termini di esplosivi consueti; infatti, la sua azione è risentita entro un raggio massimo di 1200-1600 m. (ben superiore però a quello di ogni altro esplosivo), ma agli effetti diretti dell'esplosione e del calore si aggiungono quelli della radioattività: maggiore nel caso dell'esplosione subacquea, quando la colonna d'acqua radioattiva rese tali le navi stesse. Se - specie nel caso dell'esplosione aerea - sono stati assai maggiori i danni alle soprastrutture delle navi che alla parte immersa degli scafi, va tenuto presente che una bomba ordinaria danneggia gravemente una grossa nave solo se la colpisca direttamente o esploda a brevissima distanza; a Bikini invece ne affondò una a più di 150 m. Benché gli esperimenti non si proponessero di riprodurre le condizioni di un combattimento, la prima bomba distrusse un totale di 22.260 t. e la seconda 95.220.
Il 7 settembre 1945 il presidente H. S. Truman dichiarò che si rinunciava all'altro esperimento progettato, di far esplodere una bomba atomica a grande profondità in pieno oceano.
Il problema del controllo.
Si è accennato agli appelli al governo affinché la bomba non fosse impiegata. Per il "comitato provvisorio" formato dal segretario di stato J. F. Byrnes, dall'ex-sottosegretario alla marina R. A. Bard, dal vice-segretario di Stato W. L. Clayton e da V. Bush, J. B. Conant, K. T. Compton (presidente del Massachusetts Institute of Technology), G. L. Harrison (presidente della Compagnia di assicurazioni sulla vita di New York), J. R. Oppenheimer, E. O. Lawrence, A. H. Compton ed E. Fermi, un gruppo di scienziati del Metallurgical Laboratory, sotto la presidenza di J. Franck, presentò l'11 giugno 1945 le seguenti conclusioni: la bomba a energia nucleare, allo stato delle conoscenze scientifiche, non può rimanere un segreto per molti anni; un controllo internazionale sugli armamenti atomici è indispensabile, se si vuole evitare la "corsa" anche a questi armamenti, e una nuova guerra, in cui gli Stati Uniti, per l'agglomeramento della popolazione e delle industrie, si troverebbero in posizione di svantaggio; l'uso della bomba contro il Giappone, e senza preavviso, pregiudicherebbe la possibilità di giungere ad un accordo internazionale. Tali asserzioni vennero ripetute nel luglio in una petizione firmata da 67 scienziati. Perciò il presidente Truman, il 6 agosto (e, poche ore dopo, W. Churchill) e di nuovo il 10, cercarono di giustificare l'uso della bomba, che aveva nel frattempo provocato vive discussioni, asserendo che essa era stata lanciata contro il paese autore del proditorio attacco a Pearl Harbor e che, nonostante il gran numero di vittime, aveva in complesso causato un risparmio di vite umane, affrettando di molto la fine della guerra. Il Truman, mentre esaltava il successo scientifico e tecnico conseguito ("abbiamo speso 2 miliardi di dollari nella più grande scommessa della storia e abbiamo vinto") promise di chiedere al Congresso misure opportune; aggiunse che gli Stati Uniti e la Gran Bretagna avrebbero rivelato il segreto della bomba solo una volta trovato il modo di controllarne l'uso.
Intanto, nel settembre, gli scienziati parlarono ancora: il segreto non si sarebbe potuto mantenere a lungo; contro la bomba atomica non vi è difesa diretta e l'unica salvezza potrebbe essere offerta dall'intercettazione totale degli apparecchi che la trasportassero (si parlava già dell'associazione di essa con i proiettili a reazione e radiocomandati: su 100 bombe lanciate non varrebbe fermarne 99, poiché la superstite avrebbe già effetti tremendi); quando altre nazioni la possedessero, una supremazia nei mezzi di produzione non avrebbe valore pratico; l'unico modo di salvare la civiltà è il controllo internazionale. Tali punti di vista furono reiterati poi varie volte: dalla Federation of Atomic Scientists fondata nel novembre 1945 (e ampliata nel dicembre in Federation oj American Scientists), in un appello lanciato da un gruppo di scienziati e uomini politici belgi, francesi, inglesi e norvegesi - tra cui Lord Brabazon, Lord Vansittart, M. L. Oliphant e F. Joliot-Curie - da 19 dei più eminenti scienziati inglesi il 31 maggio 1946 e da un Emergency Committee of Atomic Scientists (A. Einstein, H. Urey, S. Hecht, H. Bethe, Th. Hogness, L. Szilard, Ph. Morse, V. Weisskopf, L. Pauling) il 17 novembre 1946.
Nel frattempo, il presidente Truman, il 3 ottobre 1945 annunciò che, in attesa che funzionasse l'organizzazione delle Nazioni Unite, gli Stati Uniti avrebbero agito di concerto con la Gran Bretagna e il Canada. Una conferenza tra il Truman, C. Attlee e W. L. M. King il 15 novembre 1945 produsse una dichiarazione nel senso che i tre paesi avrebbero accettato di scambiare informazioni con altri non appena si fossero escogitate misure efficaci a prevenire l'uso dell'energia nucleare a scopi distruttivi, e avrebbero proposto alle Nazioni Unite la nomina di una Commissione. Alla medesima conclusione giunse la Conferenza di Mosca tra i ministri degli esteri dell'URSS, della Gran Bretagna e degli S. U. il 27 dicembre.
La legislazione statunitense e britannica. - Intanto, un messaggio del presidente Truman al Congresso (3 ottobre 1945) chiedeva misure per mantenere il segreto sulla parte militare e porre le ricerche intorno all'energia nucleare sotto il controllo di un'apposita commissione che promuovesse il progresso scientifico e le eventuali applieazioni di natura pacifica; lo stesso giorno un progetto di legge venne presentato dal rappresentante A. C. May e dal senatore per il Colorado, E. C. Johnson, entrambi democratici. Ma il presidente preferì appoggiare quello presentato al Senato il 20 dicembre dal senatore per il Connecticut, B. McMahon presidente di un comitato speciale. Il progetto diede luogo a vivaci discussioni, perché affidava l'intero controllo sull'energia nucleare a civili; dopo l'approvazione di un emendamento Vanderbergh, a sua volta modificato, venne approvato il 1° giugno; ma la Camera dei rappresentanti lo modificò profondamente: l'accordo venne raggiunto il 26 luglio e il 1° agosto, con la firma presidenziale, si ebbe l'Atomic Energy Act of 1946.
Esso affida lo sviluppo delle ricerche, la diffusione di informazioni non lesive alla difesa nazionale e il controllo sui materiali scissionabili ad una commissione di 5 membri (presieduta da D.E. Lilienthal), da cui dipende un direttore generale (C.L. Wilson), e 4 sezioni: ricerche, produzione, ingegneria e applicazioni militari (il cui capo può essere un militare); crea una commissione del Congresso (9 senatori e 9 rappresentanti), una commissione di collegamento con le autorità militari (con il gen. L. H. Brereton e W. S. Parsons, contrammiraglio dal 1946) e un comitato di scienziati (J. B. Conant, L. A. Du Bridge, E. Fermi, J. Rabi, R. Oppenheimer); le nomine avvennero tra l'ottobre e il dicembre; nel 1948 il Congresso approvò la riconferma del Lilienthal per soli 2 anni. La legge permette inoltre all'esercito e alla marina di mettere insieme, dietro ordine presidenziale, le loro risorse di armi atomiche.
La legge inglese del 1946 attribuisce al Ministero per gli approvvigionamenti amplissimi poteri di controllare la produzione e la lavorazione delle materie prime, promuovere e vigilare lo sviluppo delle ricerche e mantenere il segreto (anche sui brevetti).
La discussione alle Nazioni Unite. - L'Assemblea, riunita a Londra, approvò il 24 gennaio 1946 la nomina di una Commissione per l'energia atomica, composta degli 11 stati membri del Consiglio di sicurezza più il Canada.
Il 28 marzo venne pubblicato il "rapporto Lilienthal" (presentato da un comitato consultivo del Dipartimento di Stato americano, di cui facevano parte J. R. Oppenheimer, V. Bush, J. B. Conant, il gen. Groves). Esso constatava l'impossibilità pratica di separare lo sviluppo dell'energia nucleare per usi bellici da quello pacifico; pertanto ogni accordo internazionale veniva a poggiare soltanto sulla parola e la buona fede di ciascuno Stato. Ma la possibilità di "denaturare" l'U235 e il plutonio, mescolandoli cioè con sostanze atte a togliere alla scissione il carattere esplosivo (mentre l'eliminazione di esse avrebbe richiesto impianti almeno uguali a quelli di Oak Ridge, e proibitivi per il loro costo), permetteva d'indicare la soluzione nella creazione di una Atomic Development Authority internazionale, che avrebbe avuto il monopolio mondiale dei giacimenti e della lavorazione delle materie scissionabili e della vendita di uranio e plutonio "denaturati" e atti a usi pacifici: distribuiti gl'impianti opportunamente tra i varî paesi, quello che avesse fabbricato bombe avrebbe avuto contro di sé l'attività di tutti gli altri impianti del mondo.
B. Baruch, rappresentante degli S. U. nella Commissione atomica presentò nella riunione di New York, il 14 giugno 1946, un progetto fondato appunto sul rapporto Lilienthal. Esso prevedeva la creazione della ADA, attribuendole, invece di un vero monopolio, il potere di dirigere, ispezionare e autorizzare tutte le attività "atomiche", subordinandole a quelle di ogni singolo Stato; gli S. U. avrebbero passato le proprie informazioni e attività alla ADA non appena costituita questa mediante un trattato internazionale. Al progetto Baruch si contrapposero le proposte presentate dal delegato dell'URSS, A. Gromyko: divieto di fabbricazione di armi nucleari, distruzione di quelle esistenti entro 3 mesi dalla firma dell'accordo, obbligo per i paesi partecipanti di punire ogni violazione come "delitto contro l'umanità", creazione di una Commissione atomica internazionale, e durata indefinita dell'accordo, aperto all'adesione anche di stati non membri delle N.U. e sottoposto altresì all'approvazione del Consiglio di sicurezza.
Tali proposte apparvero ad alcuni stati (Francia, Australia) non inconciliabili col progetto Baruch, quindi il lavoro passò ai comitati. Quello scientifico e tecnico presentò, il 26 settembre, le sue conclusioni: sulla base della produzione di uranio nel 1941, sarebbe possibile produrre annualmente da 3500 a 7000 bombe; il controllo, tecnicamente difficile, non è impossibile, specie per quanto riguarda la produzione e la prima preparazione delle materie prime. Ma già nel Comitato n. 1, quindi nel Comitato n. 2, incaricato di presentare proposte specifiche, si era delineato il contrasto tra i punti di vista degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica. I primi insistevano sulla necessità di attribuire all'organo internazionale amplissimi poteri di vigilanza e di abolire in questa materia la norma dell'unanimità dei "5 Grandi" nel Consiglio di sicurezza (il cosiddetto "veto"); la seconda, su quella di non alterare i poteri del Consiglio e di non modificare il patto. Anche le nuove proposte presentate dal Baruch il 5 dicembre mantenevano fermi quei due punti. Gli Stati Uniti si dichiaravano disposti a cedere il segreto da essi posseduto, solo a patto della creazione di un organo internazionale capace di impedire realmente la produzione di bombe nucleari e di evitare che gli eventuali violatori potessero rimanere impuniti, grazie al "veto"; e il 17 dicembre affermarono che l'accettazione di quei due punti costituiva per essi una condizione essenziale. Il Gromyko tentò in questa sessione di far includere la questione delle armi nucleari in quella della riduzione degli armamenti in genere, su cui poco prima s'era pronunziata l'Assemblea; ma insisté sul principio della non modificabilità del patto. Dopo un tentativo di conciliazione da parte del Canada, con una modificazione della proposta Baruch messa così d'accordo con la deliberazione dell'Assemblea, il Gromyko propose un rinvio, respinto il quale, dichiarò di ritirarsi dalla discussione. Così, la proposta Baruch venne approvata con 10 voti (astenuta, la Polonia). Finalmente il 30 dicembre, con 10 voti (astenute, l'URSS e la Polonia) fu deciso di presentare al Consiglio di sicurezza le proposte della Commissione; la clausola relativa al veto stabiliva che la norma dell'unanimità non avrebbe avuto valore in relazione con l'attività dell'organo di controllo sulla bomba atomica.
Nel Consiglio di sicurezza, dopo varie sedute, il 13 febbraio 1947 venne raggiunto, con 10 voti (astenuta l'URSS) un compromesso: nomina di una commissione per la riduzione degli armamenti e discussione immediata sulla bomba atomica. Il 10 marzo fu approvata la proposta degli S. U. di rinviare il rapporto alla Commissione perché preparasse uno schema di trattato; questa il 29 maggio accolse una formula dell'URSS per cui il controllo internazionale doveva essere posto "entro la struttura (within the framework) del Consiglio di sicurezza"; ma tutti i membri, eccetto l'URSS e la Polonia, rimanevano contrarî al veto. Un nuovo progetto venne presentato alla Commissione dal Gromyko l'11 giugno: esso prevedeva la creazione, entro la struttura del Consiglio di sicurezza, di una Commissione atomica internazionale, con il diritto di compiere ispezioni periodiche o investigazioni speciali quando si sospettasse una violazione, nonché di presentare raccomandazioni ai governi e al Consiglio (anche sulle misure da prendere contro i trasgressori); insieme, il Gromyko affermò di non poter rinunziare alla norma dell'unanimità. A ciò era ormai contraria la maggioranza. Così il 15 agosto, a Lake Success, il comitato politico della Commissione delle N. U. dichiarò, con 10 voti contro 2 (URSS e Polonia) le proposte russe inadeguate e nella riunione dell'11 settembre, col voto contrario dell'URSS e l'astensione della Polonia, la Commissione approvò il progetto fondato sul piano Baruch, concedendo all'organo internazionale un pieno diritto d'ispezione, raccomandando altresì che ad esso fosse data la proprietà delle materie scissionabili. Ciò - osservò il Gromyko - avrebbe costituito un monopolio dominato dagli S. U.; la Polonia obiettò a sua volta contro tale violazione della sovranità degli Stati. Così quando il 29 marzo 1948 si riunì nuovamente il Comitato di lavoro della Commissione, la proposta di 4 stati (Gran Bretagna, Canada, Francia e Cina) di cessare la discussione del progetto russo fu approvata con 9 voti contro 2 (URSS e Ucraina, succeduta alla Polonia). Giunta a un punto morto la Commissione, il 17 maggio con 9 voti (Gran Bretagna, Cina, Francia, S. U., Argentina, Belgio, Canada, Colombia e Siria) contro 2 approvò la sospensione dei lavori. Nella riunione dell'Assemblea a Parigi, il 2 ottobre, il delegato sovietico A. Visinskij propose che fossero firmati ed entrassero in vigore simultaneamente due trattati: per l'abolizione delle armi atomiche e per il controllo dell'energia nucleare. Si discusse circa il momento in cui si distruggerebbero le bombe e quale estensione avrebbe il controllo internazionale; ma il 9 ottobre, con 9 voti contro 2 (URSS e Ucraina) la Commissione approvò il progetto della maggioranza.