BOMINACO
Località nei pressi di Caporciano (prov. dell'Aquila), posta in posizione dominante sulla piana di Navelli e la zona detta Prati di Ansedonia, in prossimità di uno dei più importanti tratturi abruzzesi e dei percorsi definitisi in età romana in direzione NO-SE (via Claudia Nova e via Minucia) e O-E (via Cecilia e via Valeria Claudia).Perduto il Registrum actorum et scripturarum S. Mariae de Bominaco, ricordato da Antinori (Muratori, Antiq., VI, 1742, coll. 927-964), la principale fonte medievale disponibile su B. è costituita dal Chronicon Farfense di Gregorio da Catino, della fine del sec. 11°, che cita il toponimo Mamenacus, ricordato anche in un atto del 1093 esistente in copia del 1321. Antinori (Muratori, Antiq., VI, 1742, col. 937), sulla base di documenti non pervenuti, data al 1001 una donazione al monastero di B. da parte di Oderisio conte di Valva; nel sec. 11° esso dipendeva da Farfa, anche se diplomi imperiali del 1019 e del 1027 attestano il diritto di compatronato del conte di Valva. A seguito della conquista normanna il monastero fu donato nel 1093 da Ugo di Gerberto al Capitolo di S. Pelino a Corfinio e al vescovo di Valva Giovanni insieme al castello e a tutte le pertinenze: nell'atto relativo (Sulmona, Arch. di S. Panfilo, fasc. 69, nr. 11; Celidonio, 1911, p. 173) appare chiara la duplice dedicazione del monastero alla Madre di Dio e a s. Pellegrino martire. Almeno dal 1154, però, a tale donazione si oppose il costante rifiuto dei monaci, nonostante numerosi tentativi pontifici di ridurli sotto la tutela del vescovo di Valva. Quando nel 1280 Niccolò III convocò un tribunale nella cattedrale di Chieti per dirimere la questione, era abate del monastero Teodino, certamente lo stesso che nel 1263 aveva commissionato la decorazione dell'oratorio di S. Pellegrino e che ebbe un ruolo importante anche nel conflitto tra le due chiese cattedrali della diocesi, S. Pelino a Corfinio e S. Panfilo a Sulmona. Soltanto nel 1342 i monaci si sottomisero al vescovo valvense, ma venti anni più tardi il territorio di B. venne annesso alla diocesi dell'Aquila. Nel 1423, durante la guerra tra Angioini e Aragonesi, esso venne depredato e parzialmente distrutto da Braccio da Montone e da allora il cenobio si avviò alla decadenza: nel 1428 il signore di B. ricostruì il monastero e ottenne da Martino V il diritto di nominarne l'abate; nel 1506 il monastero divenne patronato laico e commenda, sopravvivendo sino al 18° secolo.Dell'antico cenobio, originariamente dedicato solo a s. Pellegrino, rimangono scarsi resti relativi agli edifici monastici, successivamente trasformati in torre; le mura difensive del sec. 15° sulle pendici del monte Buscito non sono pertinenti al monastero (Di Francesco, 1980). Restano invece due edifici di culto, la chiesa di S. Maria e l'oratorio di S. Pellegrino. La prima, ripristinata in forme romaniche da un restauro del 1932-1934 diretto da De Dominicis (per l'aspetto anteriore Gavini, 1927-1928, I, figg. 92-93), ha pianta basilicale a tre navate absidate, separate da arcate a pieno centro su colonne di spoglio; pilastri, in parte cruciformi, sostengono la copertura delle volte a crociera del transetto e di quella costolonata del presbiterio. Quel che resta del monastero (forse avanzi della ricostruzione del 1428) si connette alla chiesa sul lato sud-ovest, in corrispondenza del transetto. La facciata della chiesa ha coronamento orizzontale interrotto dal corpo centrale cuspidato, modificato per il rialzamento delle falde delle coperture; il portale architravato è sormontato da un archivolto a ghiere strombate rientranti dal piano di facciata, di esecuzione affine - come le altre sculture dell'edificio - ai prodotti elaborati nel cantiere di S. Liberatore alla Maiella; il grande finestrone arcuato che lo sovrasta è affiancato da protomi leonine. Finestre a monofora particolarmente elaborate negli ornati di stipiti e archivolti si inseriscono tra le archeggiature delle due absidi ancora abbastanza integre delle tre di cui la chiesa è dotata.Data l'omogeneità delle strutture, ritenute opera di "lapicidi dei laghi lombardi" (Arslan, 1963), si ritiene che l'edificio sia da ascrivere a un'unica fase, collocabile negli ultimi anni del sec. 11° e nei primi decenni del 12° (Gavini, 1927-1928, I, p. 73; De Dominicis, 1970; Dander, 1979), anche se l'esecuzione degli apparati decorativi del portale e delle finestre potrebbe ascriversi a un periodo successivo, mentre verso il 1180 potrebbero essere stati eseguiti altri lavori. L'ambone, a cassa e probabilmente già del tipo a ciborio, esibisce le strutture e le tipologie di ornato plastico tipiche della c.d. scuola valvense (Gavini, 1927-1928, I, pp. 152-154), ma con influssi campani, introducendo l'espressivo motivo delle rosette a petali rotanti e dimostrando nei raffinati intagli a soggetti fitozoomorfi dell'architrave e dei capitelli una più studiata derivazione dall'antico (Lehmann-Brockhaus, 1942-1944; 1983, p. 159). Il ciborio del presbiterio e la cattedra abbaziale (che ricorda esempi pugliesi) sono stati ricomposti e ampiamente integrati dal restauro di De Dominicis; questi tre elementi dell'arredo sono ascrivibili, per le iscrizioni che recano incise e per ragioni stilistiche, alla committenza dell'abate Giovanni. L'ambone è datato 1180: nell'iscrizione (Lehmann-Brockhaus, 1942-1944, p. 358), insieme con il re Guglielmo II, è citato il papa Alessandro III; entrambi avevano inutilmente tentato di ridurre all'obbedienza i monaci, sconfessando l'elezione ad abate del monaco Giovanni (1166-1168). Questi, ancora non sottomesso al tempo di Urbano III (1185-1187), si era fatto addirittura effigiare con il pastorale sul fianco sinistro della cattedra episcopale, entro una specchiatura che reca altresì l'iscrizione con la dedica a Cristo e la data 1180. Diversamente databile è invece il candelabro pasquale a fusto tortile, poggiante sul dorso di un leone stante e concluso da un elaborato capitello: opera integra, ancorché non finita, connessa (Gavini, 1927-1928; De Dominicis, 1970; Dander, 1979; Lehmann-Brockhaus, 1983) alla produzione gotica di età postfedericiana in area apulocampana, quasi anticipazione delle opere di Nicola di Bartolomeo da Foggia. L'altare, peraltro, reca sul bordo della mensa un'iscrizione che, commemorando la consacrazione (ottobre 1223), cita Onorio III, Federico II e l'abate Berardo.L'edificio di S. Pellegrino - un tempo connesso al complesso conventuale, come testimonia la posizione degli ingressi - è posto su un pendio, con nartece aggiunto nel sec. 18°; è costituito da un'aula unica con volta a botte a sesto acuto articolata in quattro campate, illuminata da rosoni sulle facciate anteriore e posteriore e da sei monofore laterali. Dei tre ingressi originali quello posteriore è servito da una scala che raccorda il dislivello tra presbiterio e soglia della porta. L'articolazione interna è data da plutei in bassorilievo con un drago e un grifo che beve a un calice; un'iscrizione sul bordo superiore - in accordo con un'altra posta all'esterno sulla facciata dell'edificio - attesta il 1263 come data di realizzazione dell'oratorio a opera dell'abate Teodino e insieme ne riferisce la primitiva fondazione a un re Carlo (non Carlo il Calvo, come si è sostenuto, ma certamente Carlo Magno). Nell'altare originario erano venerate le reliquie di s. Pellegrino.Le pareti e la volta sono interamente coperte da dipinti murali (dai quali sono state rimosse successive immagini votive), una delle testimonianze pittoriche più interessanti della regione, in parte dipendente (Matthiae, 1969, p. 31) da esempi pittorici dell'Umbria meridionale; essi sono stati poi accostati da Bologna (1962) al ciclo di S. Maria ad Cryptas di Fossa e da Magnanimi (1972) agli affreschi staccati da S. Pietro a Caporciano (ora all'Aquila, Mus. Naz. d'Abruzzo); Lehmann-Brockhaus (1983, p. 185ss.) vi rilevò anche legami con miniature cassinesi e influssi francesi.Si tratta di riquadri disposti in linea di massima su tre registri, al di sopra di un velario, che sviluppano tre cicli principali - l'Infanzia di Cristo, la Passione e la Vita di s. Pellegrino - cui si uniscono le rappresentazioni dell'inferno e del paradiso, del calendario con le allegorie dei mesi, nonché figure di santi, personaggi dell'Antico Testamento e altre figure estranee ai contesti narrativi dei cicli anzidetti.Le figurazioni, accompagnate da numerose iscrizioni, sono opera di più artisti: Carli (1938-1939) ritenne di identificare tre diversi maestri dalle inflessioni bizantine, toscane e protogotiche, queste ultime confermate da Bologna (1962) e da de' Maffei (1963); non concorda con Carli la critica più recente nel definire benedettini gli affreschi di S. Pellegrino. Baschet (1991) evidenzia il rapporto tra i motivi carolini presenti e l'insubordinazione dei monaci al vescovo valvense; inoltre, in merito al calendario, dimostra come sia liturgicamente più vicino a quello della curia romana - sia pure con forti accenti benedettini e meridionali - che non a quello della diocesi di Valva; sostiene poi l'attribuzione dei dipinti a un unico gruppo di artefici, con direzione unitaria, proponendo un'interpretazione dei nessi tra le scene e rilevando un percorso visivo di tipo circolare con inizio e fine nella controfacciata, riproposto per i diversi cicli e correlato a una concezione della liturgia eucaristica più teofanica che sacrificale.
Bibl.:
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Letteratura critica. - N.F. Faraglia, Codice diplomatico sulmonese, Lanciano 1888, pp. 23-25, 47-48; V. Bindi, Monumenti storici ed artistici degli Abruzzi, Napoli 1889, I, p. 834ss.; P. Piccirilli, L'Abruzzo monumentale, Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte 3, 1899, 7, pp. 3-30: 15-21; E. Bertaux, Due tesori di pitture medioevali. Santa Maria di Ronzano e San Pellegrino di Bominaco, ivi, 8, pp. 107-129; 4, 1900, 10, pp. 34-62: 43-60; id., L'art dans l'Italie méridionale, 3 voll., Paris 1903 (19682), pp. 290-296; G. Celidonio, La diocesi di Valva e Sulmona, III, Dal 1100 al 1200, Casalbordino 1911, pp. 169-206; I.C. Gavini, Storia dell'architettura in Abruzzo, Milano-Roma [1927-1928], I, pp. 73-81, 152, 154, 287-288, 364, 395-396, 430, 439 nn. 50-51, 468, 470; II, pp. 153, 337, 340-341; G. Matthiae, Le facciate a coronamento rettilineo in Abruzzo, Bullettino della R. Deputazione Abruzzese di Storia Patria, s. IV, 26, 1935, 5, pp. 7-14: 7-8; E. Carli, Affreschi Benedettini del XIII secolo in Abruzzo, Le Arti 1, 1938-1939, pp. 442-463; O. Lehmann-Brockhaus, Die Kanzeln der Abruzzen im 12. und 13. Jahrhundert, RömJKg 6, 1942-1944, pp. 257-428: 358-366; F. Bologna, La pittura italiana delle origini, Roma-Dresden 1962, pp. 43, 88; E. Arslan, s.v. Romanico Architettura - Italia, in EUA, XI, 1963, coll. 731-746: 736; F. de' Maffei, s.v. Romanico - Pittura - Italia, ivi, coll. 811-821: 819; U. Chierici, Arte d'Abruzzo, in Abruzzo, Milano 1963, pp. 151-263: 169-170, 215, figg. 189-204; R. Delogu, La chiesa di S. Pietro di Alba Fucense e l'architettura romanica in Abruzzo, in Alba Fucens, II (Etudes de philologie, d'archéologie et d'histoire ancienne publiées par l'Institut Historique Belge de Rome, 13), Bruxelles-Roma 1969, pp. 23-68: 29, 30 n. 1, 44; G. Matthiae, Pittura medioevale abruzzese, Milano 1969, pp. 31-45, 65-68; A. De Dominicis, Bominaco e la sua abbazia. Guida storico-artistica, L'Aquila 1970; V. Pace, Precisazioni sugli affreschi dell'oratorio di San Pellegrino a Bominaco, Commentari 21, 1970, pp. 291-297; M. Moretti, Architettura medioevale in Abruzzo (dal VI al XVI secolo), 2 voll., Roma [1971]; G. Magnanimi, Caporciano, Chiesa di S. Pietro, in Ritrovamenti e restauri, cat. (L'Aquila 1972), Roma 1972, nr. 4, pp. 16-19; V. Pace, Note su alcune scene evangeliche nella pittura del Duecento in Abruzzo, Commentari 23, 1972, pp. 152-162; L'art dans l'Italie méridionale. Aggiornamento dell'opera di Emile Bertaux, Roma-Bari, 1978, IV, pp. 290-296; M. Dander, I tesori di Bominaco (Quaderni storico-artistici dell'Aquilano, 6), L'Aquila 1979; A. Di Francesco, Il recinto fortificato di Bominaco, "Atti del XIX Congresso di storia dell'architettura, L'Aquila 1975", L'Aquila 1980, I, pp. 151-154; O. Lehmann-Brockhaus, Abruzzen und Molise. Kunst und Geschichte, München 1983; L. Gatto, Bominaco gemendo germinat. Lineamenti per una storia dell'abbazia, in Momenti di storia del medioevo abruzzese, L'Aquila 1986, pp. 224-278; V. Pace, Pittura del Duecento e del Trecento in Abruzzo e Molise, in La pittura in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, II, pp. 443-450: 443; J. Baschet, Lieu sacré, lieu d'images. Les fresques de Bominaco (Abruzzes, 1263): thèmes, parcours, fonctions, Paris-Roma, 1991.P. Petraroia