BONA DEA
Sotto questo appellativo di significato generale si venerava un'antica divinità indigena laziale, di cui era vietato pronunziare il vero nome, Fenteia o Fentia, di origine comune con quello di Fauna o Fatua. Considerata moglie o figlia di Faunus, la B. D. era dea della pastorizia e della fecondità, con caratteri quindi di salutifera, protettrice di luoghi, quasi Genius femminile (donde i numerosi predicati). Per la sua natura facilmente si prestò ad essere variamente identificata con Demetra, Proserpina, Ecate, Semele, Afrodite, Igea, Medea, Ops, Maia. Il culto, che ben presto si confuse, fino ad esserne sostituito, con quello della greca dea Damia, giunto dalla Magna Grecia, era essenzialmente femminile (Macrob., Sat., i, 12, 21 5.; Plut., Caes., 9; Plut., Quaest. Rorn., 20; Lactant., ii, 22). La principale festa, compiuta pro populo Romano, ricorreva ai primi di dicembre; veniva celebrata di notte, dalle matrone, guidate dalle Vestali, nella casa di un magistrato cum imperio. Da essa erano esclusi sia gli uomini che gli animali maschi; il rituale, tenuto segreto, aveva il carattere dei mysteria. Si ricordi lo scandalo suscitato dal tribuno Clodio, che, sotto false vesti, osò prendere parte ad una di queste cerimonie nella casa di Cesare (Cic., Ad Att., iI, ep. xii; Pro Milone, xxxi). Come risulta dalle abbastanza numerose iscrizioni, il culto era diffuso principalmente in Roma e nell'Italia centrale; nell'Italia settentrionale compare soprattutto ad Aquileia; nelle province imperiali soltanto nella Gallia Narbonense, nella Pannonia e nelle province africane. La B. D. era servita da sacerdotesse, da magistrae e ministrae, riunite in collegium. In Roma aveva un tempio sull'Aventino, sotto il Saxum (donde il nome di aedes Bonae deae Subsaxanae; S. B. Platner-Th. Ashby, A Topographical Dictionary ofAncient Rome, 1929, p. 85), fondato al tempo della introduzione del culto di Damia, restaurato da Livia e da Adriano, esistente ancora nel IV sec. d. C. (Not. Reg., xii). Ci è nota inoltre, dalle iscrizioni, l'esistenza di cappelle ed altari privati e di un sacello presso il luogo ove sorse la chiesa di S. Cecilia in Trastevere (G. I. L., vii, 65-67). Fuori Roma sono specificatamente ricordati dalle epigrafi templi a Bovillae, Tivoli, Ficulea (Regio I), Cerchio (Regio IV), Civitella (Regio I), Lavernae (Regio IV), Aquileia, Auzia (?) in Mauretania. Ruderi di templi sono conosciuti ad Ilci presso Todi (Bull. Inst., 1881, p. 8 s.; Notizie Scavi, 1881, p. 21 s.), a Tivoli (C. I. L., xiv, 3530; A. Nibby, Analisi, i, p. 24 ss.; Th. Ashby, Papers Br. Sch., iii, 1906, p. 133; G. Mancini, Inscr. Italiae, iv, Reg. iv, 1. Tibur, 1952, 2a ed., n. 611), a Trieste di età augustea, (P. Sticotti, Archeografo Triestino, iii, vi, 1911, p. 187 ss.) e soprattutto ad Ostia (G. Calza, in Not. Scavi, 1942, p. 152 ss.), meglio definito e vasto. Quest'ultimo, fondato nella prima metà del I sec. d. C., e successivamente più volte trasformato, presenta in comune con quello di Trieste il peribolo che chiude completamente l'area dell'edificio ed un portico a tre lati intorno al tempio.
Il tipo della B. D. è identificato in base ad una statuetta da Albano (Bull. Comm. Arch. Com., 1879, p. 227 SS., tav. 23; Greifenhagen, n. 1, fig. 6). Intorno a questa 1) sono state raccolte dal Greifenhagen altre 10 figurazioni a tutto tondo: 2) da Nîmes, 3) da Urbisaglia, 4) nel magazzino dei Musei Vaticani, 5) a Bonn, 6-8) già a Roma, Coll. Giustiniani, 9) già a Roma, Istituto Archeologico, 10) già a Roma, Villa Casali, 11) già a Velletri, Colì. Latini, e due rilievi su altari (Napoli, Museo Naz.; Roma, Villa Albani). A tale lista sono da aggiungere le statuette. di Ilci con iscrizione (Not. Scavi, 1881, p. 22), di Trieste (rinvenuta a Grado, proveniente probabilmente da Aquileia: P. Sticotti, Aquileia Nostra, x, 1939, p. 34, fig. 2), di Ostia (Not. Scavi, 1942, p. 152 5., fig. 1) e forse quella di Firenze con iscrizione (Palazzo già Antinori; Photogr. Einzelaufnahmen, 4054). Tutte le sculture sono del I-II sec. d. C. e provengono dall'Italia, tranne una proveniente da Nîmes. La B. D. è rappresentata seduta in trono, vestita di chitone e mantello, con capo velato, ornato di diadema; nella mano sinistra ha la cornucopia, nella destra la patera, in cui si abbevera un serpente avvolto intorno all'avambraccio della dea. Tale tipo, di età imperiale, mostra riuniti in sé l'originario carattere di divinità dell'agricoltura, dell'abbondanza e l'altro, più recente, della salute. L'aspetto salutifero della B. D. è largamente documentato dalle fonti letterarie, dalle epigrafi, dalla statuetta già nella Villa Casali con dedica alla "Bona Dea Hygieia" e dalla esistenza nei templi della B. D. di una annessa apotheca e dell'allevamento dei serpenti come negli Asklepieia greci (F. Cumont, Mélanges d'archéol. et d'hist., xlix, 1932, p. 1 ss.).
Il vario sincretismo religioso di questo culto si riflette anche nelle immagini figurate: a somiglianza di Giunone, la B. D. doveva avere uno scettro nella mano sinistra (Macrob., Sat., I, 12, 23); con scettro nella silustra e serpente con patera nella destra è raffigurata in un rilievo di Wilton House (A. Michaelis, Anc. Marbles in Great Britain, 676, n. 13 a; Greifenhagen, fig. 8) con dedica a Vesta: per il culto riunito delle due dee si ricordi la presenza delle vestali nelle cerimonie, la dedica di una edicola da parte di una vestale (Cic., De domo, 136), l'immagine di Vesta sull'altare di Napoli. Le sculture conservate sono tutte di piccolo modulo, al più terzine. Non ne sono state identificate copie in terracotta; in bronzo si ha solo quella di Trieste (forse il braccio destro di una statuetta di argento con pantera e serpente nel museo di Velletri potrebbe appartenere ad una immagine della Bona Dea). Sono quasi tutte acefale o in frammenti, quando non ci sono note soltanto da disegni; si segnalano perciò, come più indicative e meglio conservate, quelle del Vaticano, di Trieste e degli altari di Napoli (Greifenhagen, tav. 51, 1) e di Villa Albani (Greifenhagen, fig. 7). Non si ha menzione di nessuna grande e famosa statua della dea.
Bibl.: E. Saglio, in Dict. Antiq., I, s. v.; Roscher, I, s. v.; D. Vaglieri, in E. De Ruggiero, Diz., s. v.; G. Wissowa, in Pauly-Wissowa, III, 1899, cc. 686-94, s. v.; id., Religion und Kultus der Römer, in Handb. kl. Altertumswissensch., V, 4, Monaco 1912, p. 216 ss.; G. Giannelli, in Encicl. Ital., VII 1930, s. v.; M. Motty, De Fauno et Fauna sive B. D. eiusque Mysteriis, Diss., Berlino 1840; E. Gerhard, Agathodaemon und B. D., in Abhandl. Akad. Berlin, 1847, p. 461 ss. (= Akad. bhandl., II, p. 21 ss.); D. De Guidobaldi, Damia o B. D. ad occasione di una iscrizione osca opistrofa su di una terracotta Campana nel Museo nazionale, Napoli 1865 (v. F. Bücheler, Rhein. Museum, XXXIII, p. 71 s.; XLIII, v. 562); O. Marucchi, Di una rara statuetta rappresentante la B. D., in Bull. Comm. Arch., 1879, p. 227 ss., tav. 23; E. Caetani-Lovatelli, L'antico culto di B. D. in Roma, in Scritti vari, 1898, p. 25 ss. (da Nuova Antologia, Vol. LI, s. III, agosto 1894); G. Pansa, S. Maria d'Arabona e le are sacrificali alla "B. D.", in Riv. Abr. Scienze Lettere ed Arti, XXXIII, 1918, p. 482 ss.; A. Greifenhagen, B. D., in Röm. Mitt., LII, 1937, p. 227 ss.; P. Sticotti, B. D., in Aquileia Nostra, X, 1939, p. 27 ss.; A. Adriani, Sculture in tufo, Cataloghi illustrati del Museo Campano, Napoli 1939, p. 21 ss.; G. Calza, Ostia. Il tempio della B. D., in Not. Scavi, 1942, p. 152 ss.; V. Scrinari, Tergeste (Trieste), in Italia Romana: Municipî e colonie, Roma 1951, p. 72 ss.; A. Greifenhagen, in Reallex. Antike u. Christentum, II, 1953, c. 508 ss.