SORESINA, Bonaccorso da
SORESINA, Bonaccorso da. – La data di nascita e i nomi dei genitori sono sconosciuti; appartenne peraltro a una famiglia capitaneale di origine milanese che ebbe rilievo notevole nel XIII secolo tra quei lignaggi che – come i da Mandello, i da Pusterla, i da Pirovano, i da Osa, i da Landriano – espressero la maggior parte dei grandi podestà milanesi (Maire Vigueur, in I podestà..., 2000).
Nei decenni centrali del Duecento i da Soresina videro molti loro esponenti ricoprire la carica di podestà in grandi città e centri minori: Spino fu podestà a Genova nel 1222 e poi ancora nel 1230, mentre Paolo ricoprì l’incarico nella stessa città nel 1238; Guglielmo fu podestà di Vercelli nel 1243, Paolo fu chiamato a Piacenza nel 1249, Alberto ricoprì la carica a Crema nel 1250 e anche altri esponenti della casata (Corrado, Guiscardo, Tommaso) ricoprirono in quegli anni numerose podesterie (Albini, in I podestà..., 2000).
Nel 1256 Bonaccorso fu prima podestà di Faenza e poi capitano del Popolo a Bologna, dove l’anno successivo ricoprì invece la carica di podestà (Grillo, 2001). Si tratta di un caso particolare e quasi unico (l’altra eccezione è costituita dal piacentino Alberto da Fontana) di un ufficiale che ricoprì entrambe le cariche nella stessa città senza soluzione di continuità. Questa inusuale esperienza si lega verosimilmente al ruolo da lui ricoperto – insieme al podestà Manfredi da Marengo – in quella che fu probabilmente la più importante e certamente la più clamorosa delle riforme che il regime di Popolo mise in atto a Bologna nei decenni centrali del Duecento: la liberazione di tutti i servi presenti sul territorio bolognese, sancita dalla delibera approvata dal consiglio del Popolo e della massa di Bologna il 3 giugno 1257. Tale delibera costituiva l’atto conclusivo di un’operazione complicata, durata nel complesso dodici mesi, ed economicamente assai onerosa: ai padroni dei servi liberati, il Comune si impegnava a corrispondere nell’arco di tre anni un compenso pattuito in 10 lire per ogni soggetto maggiore di 14 anni e 8 lire per ogni minore. Fu proprio Bonaccorso da Soresina ad avanzare in consiglio, il 26 giugno 1256, la proposta di riforma delle condizioni della servitù nel territorio bolognese.
Bonaccorso non fu il primo membro della famiglia da Soresina a portare avanti un’iniziativa di tal genere, tanto che è stato anche ipotizzato che fosse stato chiamato in città proprio allo scopo di abolire la servitù sul territorio bolognese (Il Liber Paradisus con un’antologia di fanti..., 2007, p. XXIX): nel 1243, infatti, il podestà di Vercelli Guglielmo da Soresina, alla presenza del Consiglio di credenza e di duecento rappresentanti delle istituzioni popolari, aveva proclamato l’abolizione generale dei pesi signorili e glebali all’interno del distretto vercellese (De Vergottini, 1977).
L’operazione di affrancamento dei servi del contado fu accompagnata dalla stesura di un memoriale, giustamente divenuto famoso: si tratta del Memoriale servorum et ancillarum, più comunemente noto come Liber Paradisus, per via delle prime parole del suo proemio: «Paradisum voluptatis».
Ciò era assolutamente in linea con quella più attenta politica documentaria che caratterizzò i momenti di passaggio dal regime consolare a quello podestarile e da quest’ultimo a quello popolare, in conseguenza della quale molti Comuni provvidero a raccogliere gli atti che attestavano i propri beni, a compilare statuti contenenti norme e disposizioni e a redigere registri che consentissero di controllare i vari aspetti dell’amministrazione.
Il memoriale fu realizzato nel primo semestre del 1257 da quattro notai incaricati dal Comune di trascrivere i nomi – raggruppati per nuclei familiari e distinti per ragioni fiscali tra minori e maggiori di quattordici anni – di tutti i servi e le serve affrancati dal Comune, accompagnati da quelli dei loro padroni. Particolarmente significativo, per la carica retorica che lo caratterizza, appare il prologo, che nel dichiarare la propria finalità – trasmettere ai contemporanei e ai posteri un messaggio apertamente ideologico, nella piena consapevolezza della propria valenza storica – si costituiva come esplicito manifesto del regime politico che lo produceva.
Nonostante le motivazioni di tipo ideologico fornite nel proemio del decreto Paradisus – restituire all’uomo la primitiva libertà che Dio gli ha donato al momento della creazione – gli studiosi hanno attribuito al provvedimento ragioni più prosaiche, interpretandolo di volta in volta in chiave antifeudale e antimagnatizia (Vaccari, 1939; Fasoli, 1939), oppure come un compromesso della città con gli stessi signori rurali (Violante, 1961; Simeoni, 1951), o ancora come risposta alle nuove esigenze dell’economia agraria e al bisogno di manodopera da parte della città (Dal Pane, 1959) e alle difficoltà che avevano le città a mantenere i vincoli servili nelle campagne (Luzzatto, 1974). Secondo gli storici che hanno dato del provvedimento una lettura in chiave antimagnatizia, la liberazione dei servi, diminuendo le riserve di uomini da sfruttare negli scontri di fazione, avrebbe indebolito la potenza economica dei magnati. Secondo i sostenitori della tesi del compromesso sarebbero stati gli stessi signori rurali ad appoggiare la liberazione dei servi, con il triplice scopo di evitarne la fuga, di creare le premesse per un più intenso sviluppo delle loro aziende e un conseguente aumento della loro rendita agraria e, infine, per intascare una somma non indifferente di denaro liquido.
La più recente e condivisibile interpretazione esprime l’idea che il provvedimento avesse ragioni di natura essenzialmente fiscale (Pini, 1978), poiché decretava che i servi liberati potessero stabilirsi in qualunque località del contado, purché si iscrivessero, entro quattro mesi, negli elenchi dei fumantes della località nella quale si erano stabiliti. Il servo che non l’avesse fatto sarebbe stato considerato tamquam homicida. Tale ipotesi appare particolarmente convincente se si colloca la riforma che portò alla liberazione dei servi all’interno del contesto più ampio di una serie di altre operazioni che miravano a razionalizzare le risorse del Comune e a creare nuovi gettiti di entrata, con l’obiettivo da parte dell’amministrazione comunale di contenere il ricorso al prestito privato affidandosi ad altre forme di finanziamento del debito (Vendittelli, 2015-16).
A conferma della rilevanza dell’operazione e dell’eccezionalità della vicenda professionale di Bonaccorso da Soresina a Bologna, vanno ricordati i conflitti che, stando alle cronache bolognesi, seguirono in città la sua elezione alla carica di podestà nel 1257, di dubbia legittimità costituzionale, come è stato sottolineato dalla storiografia («contra sacramentum suum et contra formam statuti comunis Bononie»: Petri Cantinelli Chronicon..., a cura di F. Torraca, 1902, p. 7). Ma si trattava di concludere un’operazione estremamente complessa.
Non si conosce l’anno di morte.
Alla figura di questo capitano e podestà, che ricoprì un ruolo tanto significativo nella storia della città, è dedicato palazzo Bonaccorso, seconda sede del Comune di Bologna, costruito nella nuova piazza Liber Paradisus e inaugurato nel settembre del 2008 dal sindaco Sergio Cofferati.
Fonti e Bibl.: Petri Cantinelli Chronicon (1228-1306), a cura di F. Torraca, in RIS, Città di Castello 1902, p. 7.
G. Fasoli, Ricerche sulla legislazione antimagnatizia nei comuni dell’alta e media Italia, in Rivista di storia del diritto italiano, XII (1939), p. 122; P. Vaccari, Le affrancazioni collettive dei servi della gleba, Milano 1939; L. Simeoni, La liberazione dei servi a Bologna nel 1256-57, in Archivio storico italiano, CIX (1951), pp. 2-26; L. Dal Pane, L’economia bolognese del secolo XIII e l’affrancazione dei servi, in Giornale degli economisti e Annali di economia, XVIII (1959), pp. 552-569; C. Violante, Storia ed economia dell’Italia medioevale, a proposito di un libro recente (Storia economica italiana. Saggi di storia economica, a cura di C.M. Cipolla, I, Secoli settimo-diciassettesimo, Torino 1959), in Rivista storica italiana, LXXXIII (1961), pp. 513-535; G. Luzzatto, Per una storia economica d’Italia, Roma-Bari 1974; G. De Vergottini, La liberazione dei servi della gleba a Bologna, in Scritti di storia del diritto italiano, I-III, a cura di G. De Vergottini - G. Rossi, II, Milano 1977, pp. 853-879; A.I. Pini, Un aspetto dei rapporti tra città e territorio: la politica demografica «ad elastico» di Bologna fra il XII e il XIV secolo, in Studi in memoria di Federigo Melis, I-V, a cura di L. De Rosa, I, Napoli 1978, pp. 365-408; M. Giansante, Retorica e ideologia nei prologhi del Liber Paradisus di Bologna (1257), in Nuova rivista storica, LXXIX (1995), pp. 675-694; I podestà dell’Italia comunale, I-II, a cura di J.-C. Maire Vigueur, Roma 2000 (in partic. G. Albini, I podestà delle “quasi-città” dell’Italia padana, tra aspirazione all’autonomia e volontà di controllo. Reclutamento e circolazione, I, pp. 147-165; J.-C. Maire Vigueur, I profili, II, pp. 1009-1099); P. Grillo, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001; Il Liber Paradisus con un’antologia di fonti bolognesi in materia di servitù medievale (942-1304), a cura di A. Antonelli, Venezia 2007; Il Liber Paradisus e le liberazioni collettive nel XIII secolo: cento anni di studi, 1906-2008, a cura di A. Antonelli - M. Giansante, Venezia 2008; G. Vendittelli, Interessi privati e finanza pubblica in un comune italiano. Bologna 1260-1310, tesi di dottorato, a.a. 2015-16.