ORBICCIANI, Bonagiunta
ORBICCIANI, Bonagiunta. – Scarsi sono i dati biografici di questo poeta del XIII secolo. Definito «ser» nelle rubriche del Vaticano latino 3793 e del Vaticano latino 3214, nonché nel commento quattrocentesco alla Commedia dell’Anonimo fiorentino (Commento..., 1869, p. 389), è probabilmente da identificare con il notaio e giudice che compare tra il 1242 e il 1257 in una dozzina di atti conservati negli Archivi di Lucca, in alcuni dei quali si legge (una volta almeno di suo pugno) il signum notarile: «Ego Bonaiunta Urbicciani iudex et notarius» (Luiso, 1927; Guidi, 1929; Menichetti, 1978, p. 2). Figlio di un Perfetto (Guidi, 1929; Nuzzi, 1972, p. 9), Bonagiunta era già notaio nel 1242 e per poter esercitare la professione doveva essere nato «al più tardi nel 1224» (Menichetti, 2012, p. XIX).
Forse era ancora in vita agli inizi degli anni Novanta, quando veniva divulgata Donne ch’avete intelletto d’amore, la canzone dantesca che nel XXIV canto del Purgatorio Dante immagina di porre sulle labbra del personaggio di Bonagiunta. La testimonianza non ha di per sé valore documentario; Donne ch’avete ebbe tuttavia una relativa diffusione manoscritta già prima della fine del secolo e Bonagiunta potrebbe quindi averla conosciuta. La presenza nel Purgatorio potrebbe comunque indicare che fosse già morto nel 1300, anno della visione dantesca.
È solo una debole congettura l’ipotesi di un esilio tra 1263 e 1266, quando Lucca passò sotto il governo ghibellino (Nuzzi, 1972, p. 15). Si sa che fu in corrispondenza con Gonella degli Anterminelli, attestato tra 1270 e 1313 (Massèra, 1920, pp. 221-224), e con Guido Guinizzelli, che si tende ormai a considerare suo contemporaneo (cfr. Antonelli, 2004, p. 80; Borsa, 2007). Menichetti (2012, pp. XXI s.), basandosi sul tono di alcuni componimenti, sostiene che Bonagiunta fu «tutt’altro che distaccato di fronte alle vicende politiche della sua città» e parla di un «impegno civile forte, per quanto immune da prese di posizione settarie riconducibili a una precisa fazione». Assai incerta è la possibilità che il sonetto Con sicurtà dirò, po’ ch’i son vosso sia indirizzato a Cavalcanti (come argomenta invece Menichetti: ibid., pp. 236 s.) e soprattutto che implichi un rapporto con Una figura della Donna mia di Guido, datata abitualmente al 1292; se fosse così, si avrebbe prova sia della longevità di Bonagiunta sia dei suoi contatti diretti con ambienti fiorentini (cfr. ibid., pp. XX s., XXX). Certamente va distinto da ser Bonagiunta monaco della Badia di Firenze, rimatore in corrispondenza con il fiorentino Guido Orlandi (cfr. Menichetti, 2008).
Prima di Contini (1960), Bonagiunta è stato descritto prevalentemente come un seguace di Guittone d’Arezzo ma, poiché forse fu persino più anziano di questo, sembrerebbe collocabile in una tradizione parallela rispetto al magistero poetico guittoniano (ma v. Picone, 2001, p. 714, che lo inserisce nella «scuola guittoniana»). Giunta (1998) parla infatti di una «linea Bonagiunta-Guinizzelli» della poesia italiana del Duecento, dimostrando innanzitutto l’affinità stilistica con Guido. Si può quindi delineare il ritratto di un poeta che fu «l’autentico trapiantatore dei modi siciliani in Toscana» (Contini, 1960, p. 258), e certamente «il primo […] di alto livello e porsi sulla scia dei rimatori federiciani» (Carrai, 1997, p. 26). Bonagiunta ebbe quindi un ruolo centrale nella fase in cui la lirica d’arte cominciava ad affermarsi nelle città toscane. Dal punto di vista cronologico e stilistico, risulta infatti estremamente prossimo ai poeti della Scuola siciliana (nel sonetto Di penne di paone, di attribuzione incerta fra Chiaro Davanzati e Maestro Francesco, sembra accusato di plagio nei confronti di Giacomo da Lentini); ebbe però il tempo di attraversare i mutamenti culturali e storico-politici e di procedere in parallelo all’affermazione di Guinizzelli, forse aprendo con lui la strada agli stilnovisti propriamente intesi e influenzando direttamente alcuni rimatori spesso considerati guittoniani, come Davanzati (cfr. Menichetti, 2012, p. XXVI). Sembrerebbe quindi confermato il «ruolo di precorritore dello Stil Nuovo» (Id., 1978, p. 12).
Si attribuiscono a Bonagiunta undici canzoni (compresa In quanto la natura, assegnatagli da Menichetti, 2002B; Giunta, 1998, p. 140), due discordi, cinque ballate e una ventina di sonetti (più alcuni ritenuti dubbi). I manoscritti principali delle rime sono i più antichi e autorevoli della poesia italiana (per un regesto completo della tradizione manoscritta e a stampa, cfr. Menichetti, 2012, pp. XXXVIII-L), tra i quali vi sono il Vaticano latino 3793 (Biblioteca apost. Vaticana), Redi 9 (Firenze, Bibl. Medicea Laurenziana) e il Banco Rari 217 (Ibid., Bibl. nazionale centrale), quest’ultimo caratterizzato dalla presenza di vari autori lucchesi (Bonagiunta, Inghilfredi e altri) e forse copiato da una fonte anch’essa lucchese (Menichetti, 1988, p. 7; Concordanze, 1992, pp. 161-166; Leonardi, 2002, p. 561).
Dal punto di vista metrico, Bonagiunta può essere collocato a metà strada fra i Siciliani e i Toscani: il discordo, in Italia, è una forma prettamente siciliana, mentre la ballata, ignota ai poeti federiciani, è un’innovazione continentale (Carrai, 1997, p. 27; Menichetti, 2011, p. 191). Dal punto di vista tematico, nelle rime d’amore Bonagiunta è vicinissimo ai Siciliani: significativa la canzone Avegna che partensa, costruita sul ricorrere a ogni strofa di una diversa comparazione naturalistica, come in alcuni testi trobadorici e poi nei Siciliani (Picone, 2001, pp. 711 s.; Menichetti, 2002A, pp. 89-103). Per alcuni componimenti di carattere etico-politico, nei quali traspare un certo interesse per le questioni morali e per l’attualità politica, si distingue nettamente dai Siciliani e si avvicina ai Toscani e a Guittone (Bruni, 1990, p. 290), pur rimanendo distante dalle tendenze militanti e anti-cortesi dell’aretino, caratterizzandosi infatti per uno stile piano affine al trobar leu dei trovatori e ben lontano dal trobar clus di Guittone (Pierantozzi, 1948; Giunta, 1998, passim; Rossi, 2005, p. 622). La canzone detta ‘dell’onore’ (Similemente onore), che canta la lode della liberalità contro l’avarizia, è un esempio di poesia civile che anticipa per alcuni tratti le rime dottrinali di Dante come Poscia ch’amore (Rime, LXXXIII; Menichetti, 1978, p. 11) e contiene forse riferimenti all’attualità. La ballata Molto si fa biasmare, un testo morale, un ‘insegnamento’ (come nel genere trobadorico dell’ensenhamen) sul tema della modestia, critica coloro che non esercitano correttamente la giustizia (si è voluto vedere qui un accenno al governo ghibellino di Lucca: Nuzzi, 1972, p. 20).
Tra i testi più celebri vi è il sonetto Voi, ch’avete mutata la mainera, in tenzone con Omo ch’è saggio non corre leggero di Guinizzelli, nel quale Bonagiunta rivendica, utilizzando strategie retoriche tipiche del gap (‘vanto’) trobadorico, la superiorità della propria poesia (o della propria donna, come sostiene Rea, 2003); il testo ebbe vasta diffusione manoscritta (Giunta, 1998, p. 82) e a esso principalmente si lega la sua fama, antica e moderna. È infatti possibile che Dante abbia interpretato la tenzone come uno spartiacque tra vecchia e nuova maniera e che possa aver utilizzato il presunto contrasto tra i due poeti per fondare il proprio canone storiografico (ibid., pp. 105 s., 113 e passim). Su questo punto gli studiosi non sono tuttavia concordi: alcuni considerano la tenzone una testimonianza di dissidio radicale tra Bonagiunta e Guinizzelli (Picone, 2001, pp. 713 s.), altri sottolineano i toni «tutto sommato piuttosto scherzosi» (Menichetti, 2012, p. 267) e astratti della denuncia dell’oscurità e dell’intellettualismo di Guido.
Comunque sia, si tratta di una delle chiavi per comprendere le ragioni della presenza di Bonagiunta nella Commedia, tra i golosi del Purgatorio, dove il personaggio del poeta lucchese pronuncia una celebre auto-accusa finalizzata a caratterizzare i poeti che non seppero seguire il nuovo stile inaugurato da Dante stesso: «“O frate, issa veggi’io”, diss’elli, “il nodo / ch ’l Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce stil novo ch’i’ odo!”» (Purg., XXIV, 55-57).
Bonagiunta viene quindi scelto da Alighieri per rappresentare i poeti che non seppero seguire il nuovo stile. A partire da questo passo è stato elaborato in epoca moderna il concetto storiografico di stilnovismo; sono quindi numerosi gli studi che cercano di delineare la natura – quasi certamente letteraria – del «nodo» che avrebbe posto Bonagiunta, Giacomo da Lentini (il Notaro) e Guittone d’Arezzo al di fuori del dolce stil novo di Dante e dei suoi sodali. Non vi è prova che Dante e Bonagiunta si siano conosciuti, sebbene gli antichi commentatori della Commedia accennino ad alcuni sonetti di corrispondenza dei quali non v’è traccia nella tradizione manoscritta. Il personaggio di Bonagiunta preannunzia inoltre a Dante l’incontro con una donna lucchese, «Gentucca» (Purg., XXIV, 43-45), che si è cercato di identificare senza successo (v. Santagata, 2011, p. 380).
È impossibile dedurre dalla produzione poetica o dalle notizie biografiche in nostro possesso il motivo per cui Dante colloca Bonagiunta tra i golosi (Contini, 1958, p. 53; Giunta, 1998, p. 47): forse aveva notizie di prima mano ora inaccessibili (Menichetti, 2012, p. XVII). Più interessante risulta la caratterizzazione linguistica del personaggio, al quale Alighieri fa pronunciare l’espressione settentrionale e lucchese issa (‘adesso’); linguisticamente, il corpus di Bonagiunta è infatti «macchiato di tratti toscano-occidentali» (Tavoni, 2011, p. 1281; Menichetti, 2012, pp. LV s.). Dipenderà quindi anche da considerazioni linguistiche la collocazione di Bonagiunta, nel De vulgari eloquentia, fra i toscani ‘municipali’ «qui propter amentiam suam infroniti titulum sibi vulgaris illustris arrogare videntur» (I XIII 1: «i quali, ingordi nella loro dissennatezza, pretendono di arrogarsi il titolo del volgare illustre»; ed. e trad. Tavoni, 2011, pp. 1278-1281). Si noti a questo proposito che nell’edizione critica di riferimento Aldo Menichetti ha occasionalmente trasposto in lucchese la veste linguistica dei testi «anche in alcuni casi in cui difetta la legittimazione dei codici» (2012, p. LV). L’episodio del Purgatorio, al di là dal giudizio comunque severo di Dante, costituisce quindi una preziosa testimonianza della centralità della produzione poetica di Bonagiunta nella storia letteraria del Duecento.
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