Orbicciani, Bonagiunta
Rimatore lucchese (sec. XIII); particolari difficoltà hanno dovuto affrontare gli studiosi non tanto per l'esatta identificazione dell'O. quanto per setacciare e sceverare le notizie che lo riguardassero sicuramente. Si è infatti potuto verificare che ben nove diversi notai si chiamarono nello stesso modo a Lucca nella seconda metà di quel secolo. Di certo sappiamo che l'O. esercitò appunto la professione notarile, dal momento che in codici molto antichi e autorevoli il suo nome è preceduto dalla qualifica di " sere ", e che egli fu a sua volta figlio di un notaio, Riccomo di Bonagiunta Orbicciani degli Averardi, morto fra il 1257 e il 1259.
Inoltre all'O. certamente si riferiscono citazioni onomastiche che compaiono in atti compilati fra il 1242 e il 1257, in uno dei quali, del 1252, egli compare con l'apposizione di " iudex et notarius ". Meno attendibili sono da considerare invece successive attestazioni che giungerebbero fino al 1296, non potendosi per altro superare il limite del secolo per il fatto che l'O. compare fra i trapassati della visione dantesca (Pg XXIV): I dati biografici così accertati condurrebbero non irragionevolmente all'ipotesi secondo la quale la sua nascita sarebbe da fissare intorno al 1220. Non pare che egli possa esser confuso con quel " ser Bonagiunta monaco della Badia di Firenze ", del quale si leggono rime nel codice Vaticano lat. 3214 e al quale forse Guittone indirizzò la sua IX lettera (ediz. Meriano, Bologna 1922, 117 ss.: " Gaude, carissimo mio "). Quanto al cognome O., esso trae verosimilmente la propria origine dalla località di Orbicciano, che è una frazione di Camaiore.
Tradizionalmente l'O. è stato considerato e giudicato come uno dei più notevoli rimatori della scuola toscana guittoniana, sia per la sua posizione fortemente polemica nei confronti della nuova poetica guinizzelliana e stilnovistica (cfr. il sonetto Voi ch'avete mutata la mainera), sia per l'inquadramento a lui riservato dallo stesso D. fra il ‛ Notaro ' Iacopo da Lentini e Guittone nel già ricordato episodio di Pg XXIV 55-57, sia perché effettivamente in una parte almeno della sua produzione poetica è dato cogliere atteggiamenti evidentemente guittoniani o espedienti tecnici e modulazioni contenutistiche che sembra difficile non riportare alla scuola del grande maestro aretino. Ma una più attenta e smagata considerazione dei dati biografici più sicuri dell'O. ha di recente mutato profondamente questo tradizionale giudizio, dacché non è pensabile in linea generale che un epigono superi in età il maestro e il modello. E a questo si aggiunga lo spostamento della prospettiva critica ora rivolta a mettere soprattutto in rilievo le affinità e le parentele di contenuto e di stile fra l'O. e i poeti siciliani (in particolare Iacopo da Lentini, come già rinfacciava all'O. un antico rimatore) da una parte, e dall'altra certi freschi momenti poetici, talune luminose e nette immagini che sembrano vivacemente preludere al nuovo stile. Sicché " dal ductus generale del rimare bonagiuntiano " risulterebbe " che Bonagiunta sia stato, fuori dei veri e propri membri della scuola, l'autentico trapiantatore dei modi siciliani in Toscana ", e che esista sufficiente materiale per poter " aprire il discorso sullo stilnovismo di certo Bonagiunta " (Contini, Poeti I 258). Ciò spiegherebbe perché D. proprio sulla bocca di lui e non di altri abbia messo la famosa confessione: O frate, issa vegg'io... il nodo / che 'l Notaro e Guittone e me ritenne / di qua dal dolce stil novo ch'i' odo (Pg XXIV 55-57), e farebbe pensare che l'innovazione guittoniana avrebbe operato piuttosto sul bonagiuntismo che direttamente sulla poetica dei ‛ siciliani '.
Di undici canzoni, cinque ballate, due discordi e diciotto sonetti (più uno di non sicura attribuzione) è composto il canzoniere dell'O. edito dal Parducci. In esso sono assai frequenti gli argomenti moraleggianti; per esempio si discute sulla natura del piacere e dell'onore, si condannano coloro che vantano sé stessi o malamente amministrano la giustizia; si afferma la necessità di resistere agli avversi colpi della fortuna, della quale peraltro è stolto rallegrarsi; s'insiste sulla perseveranza, sulla fragilità dell'umano potere, e così via. Ma certo la maggior parte dei componimenti tratta d'amore; anzi talora le riflessioni moraleggianti fioriscono proprio ai margini della vicenda amorosa. Né vi mancano effettivamente luminose metafore e spunti di un'immediatezza felice, anche se quasi sempre occasionali e frammentari, o un sentimento della natura talora meno topico e letterario nei confronti della tradizione siciliana o di Guittone. Tuttavia dal canzoniere considerato nel suo complesso emerge una personalità tutt'altro che rivoluzionaria o fortemente rinnovatrice; e se è vero che certe clausole e forme stilematiche, e talune immagini di lui possono esser ritrovate negli stilnovisti, non sempre esse denunciano intuitivi precorrimenti da parte del rimatore lucchese, anzi più spesso indicano concretamente i legami con la più recente tradizione da parte dei poeti nuovi, in un contesto generale, di poesia e di cultura, profondamente diverso.
Del resto, la condanna dantesca di Guittone e dei guittoniani in genere, fra i quali nel De vulg. Eloq. è posto appunto l'O., è netta e inequivocabile. L'O.. è mandato da D. insieme con quei ‛ Tusci ' i quali, propter amentiam suam infroniti, titulum sibi vulgaris illustris arrogare videntur, mentre le loro rime, se solo fossero diligentemente esaminate, non curialia, sed municipalia tantum invenientur (VE I XIII 1). Da siffatta precisa presa di posizione non è lecito prescindere al fine d'intendere esattamente il significato e il valore della famosa autocritica dell'O. nella cornice dei golosi. L'episodio invero è soffuso di umana simpatia ed è percorso da venature intensamente autobiografiche; ma la condanna del rimatore sembra tuttavia esservi chiaramente riconfermata. L'O. rimane al di qua del dolce stil novo, del quale solo quando egli è nel Purgatorio (issa vegg'io), libero da ogni legame di affezione umana e dopo la programmatica dichiarazione di D., è capace d'intuire la poetica, basata su una concezione dell'amore tanto diversa dalla sua.
Bibl.-I testi dell'O. sono raccolti in A. Parducci, I rimatori lucchesi del sec. XIII, Bergamo 1905, e poi senz'apparato in Rimatori siculo-toscani del Dugento, Serie prima: Pistoiesi-Lucchesi-Pisani, a c. di G. Zaccagnini e A. Parducci, Bari 1915, 49-93. Un'ampia scelta di testi criticamente riveduti è in Contini, Poeti I 257-282, preceduta da un'illuminante breve introduzione.
Studi più importanti: F.P. Luiso, Per la biografia di B.O. da Lucca. Omonimie disturbatrici, in " Arch. Stor. Ital. " s. 7, VII (1927) 37-59; P. Guidi, Ancora per la biografia di B.O., in " Boll. Stor. Lucchese " I (1929) 31-40; E. Coffari, B.O., Palermo 1934; M. Apollonio, Uomini e forme della cultura italiana delle origini, Firenze 1943², 242-248; D. Pierantozzi, B.O. campione del " trobar leu ", in " Convivium " n.s., II (1948) 873-887; A. Chiari, B. da Lucca, in Indagini e letture, Firenze 1954, 8-20; A. Tartaro, in Storia della letteratura italiana, a c. di E. Cecchi e N. Sapegno, I, Milano 1965, 381-389.