DIETAIUTI, Bondie
Nacque nella prima metà del sec. XIII, probabilmente a Firenze: fiorentino lo dice infatti il cod. Vat. lat. 3793, unico testimone del suo piccolo corpus poetico.
Nessuna menzione del D. si è trovata però in fonti archivistiche a Firenze o altrove. Nessuna notizia diretta o indiretta ne ha fatto sospettare l'esistenza fino a quando per la prima volta (dal Massi nel 1840, seguito da altri) non è stato estratto qualche esemplare inedito di antica poesia dall'allora ignorato e poi celeberrimo codice vaticano, testimone tra i più autorevoli della lirica del Duecento e quasi unica fonte per l'importante gruppo dei rimatori fiorentini prestilnovisti. Il sonetto prescelto dal Massi, graziosa composizione sul tema occitanico della primavera, Quando l'aira rischiara e rinserena, ebbe perciò onore di menzione nell'esordio della Storia della letteratura italiana di F. De Sanctis; il che diede al D. o almeno al suo nome una tarda rinomanza, superiore spesso a quella di altri rimatori fiorentini dello stesso momento storico, ugualmente o più importanti, come Neri de' Visdomini, Carnino Ghiberti, Maestro Francesco e altri, ai quali il D. è accomunato dalla tradizione manoscritta.
Dalla produzione poetica sono state tratte (Avalle, 1977) le indicazioni più consistenti per dare al D. una più precisa biografia. Le corrispondenze interne tra la canzone del D. Amore quando mi membra e la canzone S'eo sono distretto jnamoratamente di Brunetto Latini, e soprattutto la collocazione contigua dei due testi nel Vat. lat. 3793 (cc. 181-182), fanno della lirica del D. una risposta a Brunetto, mentre la natura amorosa di questa corrispondenza poetica lo coinvolge nell'accusa di sodomia rivolta al Latini da Dante nel XV dell'Inferno. Del peccato attribuito a Brunetto si è talvolta dubitato in assenza di altre testimonianze oltre quella dantesca. La corrispondenza col D. - finzione letteraria o esperienza reale che sia - può costituire la "prova a carico" (Avalle). Almeno agli occhi di Dante. Le due composizioni, canzoni di lontananza, dovrebbero risalire agli anni dell'esilio di Brunetto, 1260-66.
Al D. il codice vaticano attribuisce un sonetto di risposta in tenzone con Rustico Filippi, in contrasto con altre fonti, ritenute meno autorevoli, una delle quali menziona invece come destinatario Palamidesse di Bellindote. Rustico è un poeta che molto innova nella cultura fiorentina, iniziandola ai modi comici, sia giocosi sia politici; e, sebbene ghibellino, fu fortemente legato, in sodalizio anche con il guelfo Palamidesse, a Brunetto Latini. L'oscillazione delle fonti tra Rustico e il "buon Palamidesso", come titolari della tenzone cui è legato anche il nome del D., riconduce comunque alla cerchia del Latini. Questo gruppo fu forse partecipe a Firenze delle iniziative culturali di quel guelfismo comunale e "democratico" di cui Brunetto fu fondatore (Folena), ed è comunque parte attiva di un grande movimento di innovazione poetica, intellettuale e politica, sia guelfo sia ghibellino, vivo a Firenze già all'indomani di Montaperti e intenso in particolar modo dopo Benevento (1266).
Nessuna traccia di queste eventualità - se si esclude l'insolita compromissione con Brunetto - registra comunque la piccola raccolta di liriche pervenutaci, tutta concepita all'insegna di quella maniera "siculo-toscana" di trobar leu, uniforme nel comune fondo cortese siciliano e provenzale e poco influenzata da Guittone, che per scelta, ancora una volta, "siciliana" (Tartaro) rifugge da ogni determinazione storica. Essa è costituita da quattro canzoni e due sonetti, ai quali deve esser probabilmente aggiunto quello in risposta a Rustico o altri. Lessico, temi, rime e tecnica metrica si richiamano ai siciliani e più spesso a Guido delle Colonne. E vi si esibisce un intenso provenzaleggiare, sia nell'attenzione alla dottrina d'amore sia nelle citazioni, allusioni, traduzioni dai trovatori: il caso più noto è, nell'esordio della canzone Madonna, mè avenuto simigliante, la traduzione del famoso Can vei la lauzeta mover di Bernardo di Ventadorn, un luogo imitato anche da Dante. Due delle canzoni accolgono la tecnica delle coblasunissonans. Peculiare del D. sono la ricerca di eleganze sintattiche e l'uso del respiro lungo dell'endecasillabo in funzione di una certa solennità retorica. L'amore per la tradizione provenzale e l'interesse per il giudice Guido s'incontrano nella predilezione, per la quale il D. va famoso, per le piccole immagini di animali, da bestiario, uno dei tratti più vivaci della sua poesia.
Il Vat. lat. 3793 è l'unica fonte per le quattro canzoni (cc. 182-5) e per i due sonetti (cc. 396 e 401). Per la tenzone, oltre al Vat. lat. (cc. 623-624) che indica i nomi di Rustico Filippi e del D., si hanno altre testimonianze: il vaticano Chigiano L VIII, 305, in cui i due testi sono adespoti; il Magliabechiano VII, 1040, c. 56b, della Nazionale di Firenze in cui il primo sonetto è attribuito a Palamides di Bellendote, con risposta adespota; infine il Marciano ital. IX, 529, f. 6r, della Marciana di Venezia che attribuisce l'uno e l'altro a Jacopo da Lentini.
Bibl.: F. Massi, Saggio di rime illustri inedite del sec. XIII, scelte da un codice antico della Bibl. Vaticana, Roma 1840, p. 21; F. Trucchi, Poesie italiane di dugento autori..., Prato 1846-47, pp; 100 ss., 179 s.; F. De Sanctis, Storia della letter. ital., a cura di G. Lazzeri, I, Milano 1940, pp. 326, 572 s.; V. Nannucci, Manuale della letter. del primo secolo della lingua ital., Firenze 1874, I, pp. 200, 484; A. Gaspary, La scuola poetica sicil. del sec. XIII, Livorno 1882, II, pp. 1-6; A. D'Ancona-D. Comparetti, Le antiche rime volgari secondo la lezione del Cod. Vat. 3793, II, Bologna 1882, pp. 362-72; IV, ibid. 1886, pp. 71, 77, 318 s.; B. Wiese, Alcune osserv. alle cantilene, ballate..., in Giorn. stor. d. lett. ital., II (1883), p. 124; L. Biadene, Morfologia del sonetto nei secc. XIII e XIV, in Studi di filologia romanza, IV (1889), pp. 104 s.; B. Wiese, Altitalienisches Elementarbuch, Heidelberg 1904, pp. 210 s.; G. Carducci, Antica lirica ital., Firenze 1907, pp. 258 s.; E. Monaci, Crestomazia ital. dei primi secoli [1912], a cura di F. Arese, Roma-Napoli-Città di Castello 1955, pp. 263 ss.; E. Werder, Studien zur Geschichte der lyrischen Dichtung im alten Florenz, Zurich 1918, pp. 137-40; G. Lazzeri, Antologia dei primi secoli della lett. ital., Milano 1942, p. 346; M. Marti, Cultura e stile dei poeti giocosi del tempo di Dante, Pisa 1953, p. 45; G. Contini, Poeti del Duecento, I, Milano-Napoli 1960, pp. 385-88; B. Panvini, Le rime della scuola siciliana, I, Firenze, 1962, pp. 289-97, 648 ss.; A. Tartaro, Irimatori siculo-toscani, in Storia della lett. ital., a cura di E. Cecchi-N. Sapegno, I, Milano 1965, pp. 411 ss.; 417; I. Baldelli, Dante e i poeti fiorentini del Duecento, in Lectura Dantis Scaligera, Firenze 1968, passim; G. Folena, Cultura poetica dei primi fiorentini, in Giorn. stor. d. lett. ital., CXLVII (1970), pp. 1-42 passim (spec. pp. 34-38); F. Catenazzi, Poeti fiorentini del Duecento, Brescia 1977, pp. 111-152, 217 s., 220 ss.; D'A. S. Avalle, Ai luoghi di delizia pieni. Saggio sulla lirica italiana del XIII secolo, Milano-Napoli 1977, pp. 87-106, 191-97; N. B. Smith, The image in B. D. and Dante, in Forum Italicum, XII (1978), pp. 233-42.