GIANFIGLIAZZI, Bongianni
Nacque a Firenze il 27 marzo 1500 da Jacopo di Bongianni e da Smeralda di Pier Filippo Pandolfini.
I Gianfigliazzi erano, fin dal secolo XIII, una delle più ricche e potenti famiglie fiorentine, dedita all'attività bancaria e con interessi anche all'estero, tanto da essere annoverata tra i magnati. Nel 1293 fu colpita dagli ordinamenti di giustizia, che, tra l'altro, la privarono della possibilità di accedere alle cariche pubbliche. Dalle limitazioni alla partecipazione politica (implicite nella qualifica di magnati) i Gianfigliazzi erano poi riusciti a liberarsi nel corso del secolo XIV. Con l'avvento dei Medici al potere, dopo il 1434, il ramo cui apparteneva il G. fu stabilmente presente nella vita pubblica fiorentina, grazie ai legami di parentela e di affari, oltre che politici, stretti con la famiglia dominante. In particolare, il nonno del G., Bongianni, era stato uno dei più vicini collaboratori di Lorenzo il Magnifico, mentre il padre, Jacopo, ebbe un ruolo cruciale nel 1530-32, quando a Firenze si passò dall'ultimo governo repubblicano al principato mediceo. Jacopo era stato uno dei primi fedeli di Alessandro de' Medici a essere eletto senatore a vita.
L'ingresso del G. nella vita pubblica risale al 1531, con la carica, di secondaria importanza, di doganiere di Montecchio Vesponi, località oggi in provincia di Arezzo. A questa seguirono innumerevoli altri uffici, di importanza progressivamente crescente, e da allora egli passò da un incarico all'altro, senza soluzione di continuità.
Tra gli incarichi "estrinseci" (quelli connessi con il governo del territorio) ebbe quelli di: podestà di Castiglion Fiorentino, esercitato per sei mesi a partire dal 1° sett. 1532; podestà di Terranova, sempre per sei mesi, dal 12 nov. 1538; capitano di Fivizzano, per un anno, dal 20 maggio 1540 e poi, di nuovo per un altro anno, dal 1° giugno 1545; capitano di Volterra, per un anno, dal 1° sett. 1544; commissario di Pisa, per un anno, dal 20 maggio 1549; commissario di Arezzo, dal 18 genn. 1554 all'11 giugno 1555. Quanto agli uffici "intrinseci" (esercitati all'interno della città), il G. fu per lo più membro di magistrature collegiali, tra le più importanti per il governo del Ducato: fu per tre volte tra gli Otto di guardia e balia, la magistratura che sovrintendeva all'ordine pubblico e che si rinnovava ogni quattro mesi. Il G. ne fece parte dal 1° genn. 1536, dal 1° maggio 1551 e dal 18 giugno 1565. Per sei volte (con inizio dal 1° ag. 1542, 1° dic. 1544, 1° dic. 1547, 1° genn. 1560, 1° maggio 1562 e 1° sett. 1564) fu membro dei Sei della mercanzia, il tribunale fiorentino competente per le cause commerciali. Dieci volte entrò a far parte del magistrato del Luogotenente e consiglieri (il Magistrato supremo), che costituiva il supremo tribunale del principe per le cause civili, con competenza particolare sulle cause tra parenti. Fu, per numerosissime volte, membro del Collegio degli accoppiatori, con il delicato compito di predisporre le liste elettorali. Fu inoltre membro del Consiglio dei duecento (nel 1540), dei Capitani di parte guelfa e di molte altre magistrature. Nel 1549, alla morte del padre, il G. gli subentrò nella carica di senatore e nel ruolo di primo piano da questo rivestito nella vita pubblica del Ducato mediceo.
Il G. ebbe inoltre un ruolo importante presso la famiglia regnante, per conto della quale portò a termine incarichi di fiducia: nel 1558 condusse le trattative di acquisto - in quanto rappresentante di Eleonora de Toledo, moglie di Cosimo I de' Medici - di Castiglione della Pescaia e dell'isola del Giglio, di proprietà dei Piccolomini. Nel 1559-60 fece inoltre parte di una commissione incaricata di studiare la riforma delle magistrature centrali che sovrintendevano al governo del territorio.
I membri di questa commissione erano tutti collaboratori di fiducia del duca, e potevano vantare una lunga esperienza nei pubblici uffici. I lavori culminarono con il provvedimento del 12 febbr. 1560 che fuse le due preesistenti magistrature (degli Otto di pratica e dei Cinque conservatori del contado e distretto) nell'unica magistratura dei Nove conservatori del dominio e della giurisdizione.
Gli stessi requisiti di uomo di fiducia del sovrano e di amministratore e politico di profonda esperienza valsero al G. la nomina a membro della Pratica segreta, un consiglio ristretto cui venivano richiesti pareri su tutte le questioni di vitale importanza per il governo. Era formato dai principali collaboratori del duca, e cominciò a riunirsi in modo informale sin dal 1545.
Il G. fu impegnato anche nell'ambito diplomatico. Svolse due importanti missioni diplomatiche presso la S. Sede in un periodo denso di avvenimenti e di tensioni, in cui motivi strettamente politici si intrecciavano con istanze religiose e spirituali. Per la prima missione, protrattasi per quattro anni, egli fu nominato ambasciatore residente e dovette fronteggiare una situazione assai delicata. Nel corso di essa il G. ebbe modo di rivelarsi "forse il più abile degli agenti medicei" (Cantagalli, p. 453) e di guadagnarsi stabilmente la fiducia e la confidenza del pontefice, Paolo IV. Il suo incarico di ambasciatore residente prese avvio nel gennaio del 1556, benché la sua designazione risalisse al precedente mese di agosto. Egli doveva sostituire l'inviato mediceo a Roma, Averardo Serristori, accusato dalla voce popolare di essere il mandante dell'assassinio di Giovan Francesco Giugni, noto esponente dell'opposizione antimedicea. In particolare l'ostilità della colonia fiorentina di Roma, composta in larga misura da esuli filorepubblicani, aveva costretto il Serristori a rimanere barricato in casa e gli aveva impedito di espletare i suoi compiti di ambasciatore.
I repubblicani fiorentini, che avevano il loro punto di riferimento in Piero Strozzi, a Roma trovavano un ambiente particolarmente propizio per il favore loro accordato dal cardinale Carlo Carafa, nipote di papa Paolo IV. Carafa mirava a costituirsi una signoria personale e contava sull'aiuto della monarchia francese, la quale a sua volta proteggeva i repubblicani fiorentini in odio a Cosimo de' Medici, alleato dell'imperatore.
Queste differenti mire politiche trovavano alimento dalla recente conclusione della guerra di Siena, terminata con la resa della città alle truppe imperiali del marchese di Marignano nell'aprile 1555. Finita infatti la guerra aperta tra gli Imperiali e i Francesi (questi ultimi erano stati coinvolti dagli organi del governo senese), erano cominciate le trattative per decidere l'assetto politico del territorio senese. Cosimo de' Medici era tra i più interessati alla questione e sperava che l'imperatore decidesse di annettere il territorio al Ducato, ma, a causa del suo scarso peso politico, era costretto a tramare di nascosto.
Il cardinale Carafa sperava invece di ottenere, con l'aiuto dei Francesi, che il territorio dell'ex Repubblica fosse eretto in signoria e che gliene fosse concessa l'investitura; a questo scopo ricercava l'appoggio di P. Strozzi e degli altri fuorusciti fiorentini, notoriamente ben introdotti presso la corte francese. Il papa era però all'oscuro dei piani del nipote e mostrava di mantenere un atteggiamento neutrale sulla questione di Siena; essendo inoltre interessato a limitare l'influenza imperiale sul Regno di Napoli, ricercava l'alleanza del duca di Firenze.
In questo groviglio di interessi e ambizioni il G. si dimostrò molto abile, sapendo conquistarsi la fiducia del vecchio pontefice: conoscendone, pertanto, le vere intenzioni, non era difficile per il G. perseguire con determinazione l'interesse del suo principe. La questione di Siena si risolse dunque, anche per merito del G., in favore del duca di Firenze.
Concluso l'accordo per Siena, il G. ebbe la soddisfazione di svelare al papa le trame del nipote: ciò avvenne nel gennaio 1559 ed ebbe come conseguenza immediata l'emarginazione del Carafa. La questione di Siena, con i connessi problemi delle trame dei fuorusciti antimedicei e delle manovre del Carafa, fu il tema principale della corrispondenza del G. con la corte toscana nei suoi quattro anni di permanenza a Roma.
Tuttavia, in questo periodo egli non mancò di occuparsi di questioni minute, ma non meno importanti: tra il 1557 e il 1558 fu incaricato da Cosimo I di adoperarsi per ottenere per Pietro Carnesecchi una proroga dal tribunale del S. Uffizio che lo aveva convocato a Roma.
Il Carnesecchi, già in odore di eresia, era in questo periodo ancora protetto dal duca di Firenze che, pur cercando di non mettersi in urto con la Curia pontificia, lo difendeva.
Nel gennaio 1559 il G. dovette occuparsi dell'Indice dei libri proibiti pubblicato da Paolo IV. Quando l'elenco giunse a Firenze, il duca Cosimo, anche su parere del suo auditore Lelio Torelli, decise di tentare di ottenerne, se non il ritiro, almeno una mitigazione da parte pontificia, comprendendo che la pedissequa accettazione avrebbe significato la rovina economica di molti librai e stampatori fiorentini. Inoltre, altri Stati italiani si erano apertamente rifiutati di dar corso a tale pubblicazione. Il G. si adoperò al meglio delle sue possibilità per ottenerne delle limitazioni, ma i risultati furono modesti. Così anche a Firenze si ebbero, a partire dal marzo 1559, i primi roghi di libri proibiti.
Alla morte di Paolo IV (18 ag. 1559), egli seguì i lavori del conclave, inviando puntuali rapporti al suo principe. Con il nuovo pontefice, Pio IV, il G. trattò sulla scelta di Firenze come sede di una nunziatura apostolica, una delle sole quattro rappresentanze permanenti della S. Sede, che fu infine istituita ufficialmente il 2 ag. 1560, dopo il richiamo a Firenze del G., avvenuto su sua richiesta.
Dal gennaio 1560 il G. riprese a partecipare assiduamente alle cariche pubbliche e alla vita della corte fiorentina. Il 27 apr. 1566 tornò a Roma come membro di un'ambasciata di obbedienza al nuovo pontefice Pio V, di cui facevano parte anche Averardo Serristori, Simone Corsi, Giovan Paolo Pucci, Camillo Strozzi e Agnolo Guicciardini. Questa sua permanenza a Roma fu di breve durata, e il 29 luglio dello stesso anno era già a Firenze, ove fu eletto per l'ultima volta membro del Magistrato supremo. Si trattò della sua ultima carica.
Morì infatti a Firenze il 28 luglio 1568 e fu sepolto nella chiesa di S. Trinita.
Nel 1536 aveva sposato Lucrezia di Francesco Corbinelli, da cui ebbe almeno due figli, Jacopo, canonico del duomo di Firenze, e Ginevra, che fu moglie di Roberto Pucci.
Fonti e Bibl.: L'archivio del G. è confluito in quello familiare e si trova a Firenze presso la Congregazione dei Buonuomini di S. Martino; l'inventario è anche presso la Soprintendenza archivistica per la Toscana e presso l'Archivio di Stato di Firenze. Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 3275-3279; Carte Sebregondi, 2573; Carte Ceramelli Papiani, 2341; Carteggio universale di Cosimo I de' Medici, I-II, a cura di A. Bellinazzi - C. Lamioni, Firenze 1982-83; IX, a cura di M. Morviducci, ibid. 1990; IV, a cura di V. Arrighi, ibid. 1992; VIII, a cura di M. Morviducci, ibid. 1998, ad indices; D.M. Manni, Il Senato fiorentino, Firenze 1771, pp. 53 s.; L. von Pastor, Storia dei papi, VI-VII, Roma 1927-29, ad indices; A. Panella, L'introduzione a Firenze dell'Indice di Paolo IV, in Riv. stor. degli archivi toscani, I (1929), pp. 12, 15 s.; M. Del Piazzo, Gli ambasciatori toscani del principato, Roma 1951, ad indicem; R. Cantagalli, La guerra di Siena, Siena 1962, ad indicem; A. D'Addario, Aspetti della Controriforma a Firenze, Roma 1972, pp. 159, 497.