BONI HOMINES
. Classe di persone che compare nei testi dell'alto Medioevo, e specialmente nella Lex Romana Utinensis, che spesso ne fa ricordo, riconoscendola in possesso di speciali diritti. Da essa risulta che i boni homines contribuiscono alla nomina dei giudici del proprio luogo e a quella dei curiales (I, 10, 1; XII, 2, 1); sono messi accanto ai giudici e partecipano alla formazione della sentenza (II, 10, 1; I, 4; I, 6, 2) e ad atti esecutivi (IV, 8, 1); esercitano atti di giurisdizione volontaria, assistendo alle donazioni e alla redazione dei gesta (VIII, 5, 1); intervengono nell'inventario dei beni dei minori (III, 19, 4); fanno da testimonî a preferenza di altri in certi negozî (IV, 16, 1). Sono detti seniores civitatis (III, 17, 2) e insieme con alii iudices nominano i tutori. Sono inoltre giudicati penalmente dal principe (XI, 8); e il clericus de bona gente è contrapposto (XV, 1, 4.) al clericus inferior persona ed è trattato diversamente per le stesse colpe.
Da ulteriori indagini, che tuttavia si riferiscono solo a singoli territorî d'Italia, è risultato che le cose dette nella Lex intorno ai boni homines trovano corrispondenza nei documenti. Così, per Firenze e il comitato fiorentino, il Davidsohn ha mostrato, con documenti per lo più inediti, che da tempi molto anteriori all'apparire del comune i boni homines erano chiamati dagl'imperatori, dai marchesi e dai messi regi come assistenti e assessori nei tribunali da essi presieduti; che non poche liti fra privati erano sottoposte alla loro decisione anziché a quella dei giudici pubblici, che funzionavano da apprezzatori soprattutto nelle permute e da consulenti nell'erezione dei testamenti; intervenivano inoltre nelle questioni possessorie specie tra vescovi e capitolo, e facevano anche da consiglieri del vescovo. Di più, alla testa del popolo del luogo al quale essi pure appartenevano, concludevano contratti relativi specialmente ad immobili; e, in tempi prossimi al sorgere del comune, si vede talora una giunta di essi trattare faccende comunali che prima erano state trattate da tutta la collettività. Per l'Italia meridionale, longobarda e bizantina, e per l'ultima soprattutto, L. v. Heinemann fece qualcosa di simile, mostrando che anche colà i boni homines funzionavano da testimonî nei negozî giuridici e intervenivano negli atti giudiziarî assistendo allo svolgersi del processo, sebbene dapprima solo come ascoltatori inattivi, specie nella giurisdizione contenziosa. Erano poi anche testimonî del comune, e come tali non solo servivano a fissare certi rapporti di fatto, ma figuravano anche quali rappresentanti del comune stesso, quando si trattava di apprezzare beni comunali da alienarsi, ed erano i custodi delle consuetudini del proprio luogo. Funzionavano spesso da giudici scelti dalle parti, e quali arbitri e amichevoli compositori. Spesso però appariscono accanto al giudice, e, o giudicano insieme con lui, o gli si sostituiscono senz'altro. Esercitano qua e là anche un'attività amministrativa e politica; e alcuni fra essi, come delegati degli altri, formano insieme col signore della città l'autorità pubblica.
Quest'ultimo fatto, ossia la pubblica potestà affidata elettivamente a una giunta di boni homines funzionante insieme col signore, era pure stata messa in vista dal Davidsohn per il territorio fiorentino; ed entrambi questi scrittori, vedendo che via via il signore era eliminato e i boni homines facevano da soli quegli stessi atti compiuti in addietro insieme col feudatario, ne deducevano che nel sec. XI, e anche prima, i boni homines avevano rappresentato nelle città italiane, tanto nel Nord quanto nel Sud, la classe direttiva dei moti delle cittadinanze rivolti ad abbattere il feudo e a stabilire i liberi ordinamenti comunali. I collegi consolari, apparsi sulla fine del secolo stesso, avrebbero avuto i loro precursori nei collegi dei boni homines. Le cose poi andarono diversamente nel Sud, dove quei moti furono compressi e arrestati dal costituirsi di un forte potere regio, e nel Nord, dove invece i moti stessi condussero all'abbattimento del potere imperiale, e alla depressione e menomazione del feudo.
Certo è un fatto che, nel corso del sec. XI, spesso si vedono le città italiane compiere atti assai importanti, senza che sia ricordata la partecipazione di quelle autorità che dovevano averne il governo. Qualche volta però gli atti stessi, o altri più o meno analoghi, appariscono compiuti o di accordo fra l'autorità costituita e un certo numero di boni homines, oppure da questi ultimi soltanto; e ciò non può non indurre a pensare che gli ultimi, o da soli o insieme alle autorità preesistenti, fossero stati anche i direttori degli atti attribuiti collettivamente alla sola cittadinanza. Ma chi erano quei boni homines e a quali istituzioni precedenti si possono o debbono collegare? Sopra di ciò le opinioni sono divergenti; e a chi li mette in rapporto con ordinamenti germanici, soprattutto con lo scabinato, si oppone chi vuole in essi vedere la continuazione o lo svolgimento dell'assetto municipale romano. Ma forse tanto l'una quanto l'altra debbono tuttora aversi come opinioni bisognose di indagini ulteriori, anche perché sembrano fondate sul presupposto che ciò che si vede in un determinato tempo debba necessariamente riprodurre più o meno ciò che era prima esistito, e quindi che nella storia non appariscano mai forme nuove, rispecchianti una sostanza diversa dalle precedenti.
Bibl.: F. Schupfer, in Atti della R. Accademia dei Lincei, Classe di scienze morali, s. 3ª, VIII (1881) e X (1882), s. 4ª, III (1888) e VI (1889), dove è anche discussa la letteratura precedente; R. Davidsohn, Entstehung des Consulats, in Deutsche Zeitschrift für Geschichtswissenschaft, VI (1891), pp. 22, 358, 381; id., Gesch. v. Florenz, Berlino 1896, I, p. 302 segg., ed anche in Archivio storico italiano, s. 5ª, 1892; L. Zdekauer, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, XII, p. 363; P. Santini, in Arch. storico ital., s. 5ª, XVI (1895), p. 3 segg.
Per l'Italia meridionale: L. v. Heinemann, Zur Entstehung der Städteverfassung in Italien, Lipsia 1896; e M. Amari, Storia dei Musulmani di Sicilia, III, Firenze 1872, p. 278 segg.; E. Mayer, Italienische Verfassungsgeschichte, I, Lipsia 1909, p. 64 segg.