ANTELMI, Bonifacio
Nato a Venezia nel 1542 da Marcantonio, di famiglia di antica origine cremonese (caduta nell'indigenza in seguito a fallimentari perdite nella mercatura e nei traffici di Levante), trascorse l'infanzia e l'adolescenza "in strettissima fortuna", abitando dal 1550 al 1567 in una di quelle case della scuola di S. Maria della Misericordia che venivano concesse a cittadini veneziani bisognosi d'aiuto; in tal modo "col sollevamento dell'affitto" il padre poté curare l'istruzione dell'A. e avviarlo, insieme con altri tre figli, agli uffici cancellereschi.
L'A. dimostrò ottime doti come segretario d'ambasciata in Polonia, Spagna e presso l'imperatore; si fece, poi, stimare come abile diplomatico quando, dal novembre 1579 al marzo 1586, disimpegnò l'importante incarico di residente veneto a Milano. I rapporti della Serenissima con la Spagna erano sempre piuttosto tesi per la diffidenza veneziana circa i trasferimenti di truppe dalla Fiandra ai domini spagnoli in Italia e per l'aggravato pericolo imperialista di Filippo II, dopo che questi nel 1580 ebbe annesso il Portogallo; l'A. contribuì anche all'amichevole soluzione delle controversie sui banditi e accomodò le trattative per la visita apostolica del cardinale Carlo Borromeo a Brescia nel 1580. Nel frattempo aveva sposato Adriana Uberti e a Milano gli era nato il primogenito Valerio, che fu battezzato solennemente da S. Carlo, avendo per padrino lo stesso governatore spagnolo Carlo d'Aragona duca di Terranova.
Continuando la sua attività nella segreteria ducale, dovette nel 1605 superare la temibile concorrenza di Francesco Gerardo e soltanto dopo dieci votazioni, durate cinque giomi, riuscì eletto segretario del Consiglio dei Dieci, ossia grancancelliere; senonché Giulio Gerardo, segretario del Senato e fratello di Francesco (che era morto proprio in quei giorni), tentò di far annullare l'ultima votazione, ma l'A. definitivamente prevalse, ottenendo oltre mille voti più dell'avversario il 31 maggio di quello stesso anno. Disimpegnò l'importantissimo ufficio con grande competenza, meritando le lodi del doge Marino Grimani e anche del suo successore Leonardo Donà.
Morì il 13 nov. 1610, dopo venti giorni di "febbre maligna"; ai suoi funerali, nella chiesa dei SS. Giovanni e Paolo, il 17 novembre, presenziarono, oltre al doge, gli ambasciatori dei diversi principi ed Enea Piccolomini ne recitò l'orazione funebre; fu sepolto in S. Francesco di Paola.
Nel testamento volle, fra l'altro, dimostrare la riconoscenza della sua famiglia verso la scuola di S. Maria della Misericordia, lasciandola erede perpetua di un reddito annuo da distribuirsi a quattro poveri cittadini. I suoi figli continuarono con onore la carriera diplomatica: Valerio come residente veneto a Milano, poi a Napoli e infine capitano a Zara nel 1647; Antonio, confidente del Sarpi nei suoi rapporti con i protestanti, fu pure residente veneto a Milano, a Napoli e in Germania; per i meriti paterni e propri e con l'offerta di 100.000 ducati alla Repubblica in occasione della guerra contro i Turchi, essi ottennero nell'anno 1646 di essere aggregati alla nobiltà veneziana.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Senato, Dispacci Milano, filze 9-12 (15 nov. 1579 - 5 marzo 1586) e Capi del Consiglio dei Dieci, Lettere dei residenti a Milano, busta XVII, c. 79 (in data 16 genn. 1584); Bibl. Correr, Venezia, Cod. Cic. 1701, pp. 157-162 e ms. PD 613 C/IV, pp. 4-5; P. Sarvi, Lettere ai protestanti, a cura di M. D. Busnelli, Bari 1931, I, p. 145; II, p. 111; G. Soranzo, San Carlo arciv. di Milano nelle relazioni dei "residenti veneti", in Echi di San Carlo Borromeo, I (1937), pp. 126-129; A. Pino Branca, La vita economica degli Stati italiani nei secc. XVI-XVIII secondo le relazioni degli ambasciatori veneti, Catania 1938, p. 125; A. Fanfani, Storia del lavoro in Italia dalla fine del sec. XV agli inizi del XVIII, Milano 1949, p. 87; G. Cozzi, Il doge Nicolò Contarini. Ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del Seicento, Venezia-Roma 1958, p. 134.