GOZZADINI, Bonifacio
Nacque a Bologna poco dopo il 1340 da Gabione di Gozzadino, pronipote di Benno (podestà di Milano) e da Margherita di Nanne Sabatini.
I suoi ascendenti, cavalieri nelle milizie comunali, avevano fatto parte della ristretta oligarchia cittadina e le condizioni economiche di questo ramo della famiglia si erano mantenute a un buon livello.
Nel 1319 Gabione rimase orfano ancora minorenne, insieme con i fratelli Giovanni, Castellano, Paolo, Galvano e Bartolomeo e le sorelle Azolina e Maina, tutti minori di lui. L'estimo da essi unitariamente presentato nel 1329 denunciava la proprietà di alcuni immobili a Prunaro e di crediti per l'importo complessivo di 600 lire. Gabione sposò in prime nozze Azzolina o Ursolina Spersonaldi da cui ebbe due figli, Gozzadino e Simonino, e in seconde nozze Margherita da cui nacquero, oltre al G., Giovanni, detto Nanne, e le figlie Gesia e Goliana. Resta memoria anche di un'altra figlia, Nicolosia, natagli da una Francesca, di cui è ignoto il casato. Morto Gabione poco prima del 1362, il patrimonio familiare fu gestito unitariamente dai figli; Simonino dalla sua abitazione in Ferrara assunse la guida delle complessive attività dal gruppo familiare.
Scarse sono le notizie della vita del G. in questo primo periodo. Sposò verso il 1370 Antonia, figlia di Guglielmo Cristiani, e dal matrimonio nacquero almeno nove figli: Battista che fu monaco benedettino, Brandaligi, Giovanni, Venceslao, Lippa, Elisea (o Lasia, e non Domitilla, che è probabilmente un fraintendimento del "filiam domicellam" riportato dal Griffoni, p. 8) Francesca, Faustina ed Elena.
Sull'esempio del padre il G. si dedicò all'attività bancaria gestendo in società con il fratello Nanne un banco ubicato in "cappella" di S. Cataldo. I guadagni conseguiti consentirono loro nel 1384 di acquistare dagli eredi di Tommasino da Loro per 2000 lire una grande casa in Bologna nella cappella di S. Michele dei Leprosetti, di cui fecero la loro sontuosa e comune residenza.
La denuncia d'estimo dei due fratelli, che si dichiaravano entrambi campsores (banchieri), presentata nel 1385 e concernente i soli beni immobili ne attestava la proprietà, oltre che della grande casa acquistata l'anno prima e prudentemente stimata 1500 lire, di altre cinque case in città stimate in tutto 1200 lire e di varie possessioni nel contado, ubicate in gran parte nei centri di Prunaro e Le Caselle, per un'estensione di quasi 400 tornature, poco meno di 80 ettari, e una stima di quasi 4000 lire. Nel 1386 le proprietà a Prunaro vennero incrementate tramite acquisti di alcuni appezzamenti ceduti da Egidio Caccianemici e valorizzate dall'autorizzazione ottenuta dal governo cittadino di riedificare nella stessa Prunaro un mulino, già appartenuto al nonno e distrutto anni prima in una delle tante scorrerie di bande armate.
Gli interessi dei due fratelli erano peraltro rivolti in prevalenza alla gestione del loro banco il cui giro d'affari si andava ampliando su altre piazze con la creazione di banchi stabili. Nella loro gestione furono via via coinvolti i rispettivi figli e un loro congiunto, Nicola di Simone Gozzadini, che nel 1390 assunse con loro la direzione della società. Nel successivo decennio le testimonianze della loro attività spaziano da Bologna a Firenze, da Ferrara a Venezia, da Padova a Roma e a Genova, coinvolgendo nel giro d'affari e di prestiti signori e privati cittadini, traendo alimento e contemporaneamente sostenendo episodiche ambizioni di capitani di ventura e disegni politici di solide signorie.
Difficile è valutare quale sia stato in questa fase l'apporto dei singoli membri della società familiare. Sembra comunque che il G. fosse particolarmente impegnato nei rapporti esterni: è rimasta notizia di suoi legami con Francesco Novello da Carrara che nel 1390 avrebbe sostenuto finanziariamente nella riconquista della signoria su Padova e anche con la corte di Francia, da cui con privilegio di Carlo VI ottenne di inserire nel proprio stemma il capo d'Angiò. Nel gennaio del 1390 il G. partì per Venezia - come segnala il libro di ricordi del nipote Gozzadino - e nella contrada di S. Marina a Venezia egli si fermò a lungo fino a farne la sua sede privilegiata.
Nel maggio del 1394 un accordo redatto in Bologna, nella casa e con la mediazione del dottore di leggi Francesco Ramponi, poneva fine alla comunione di beni tra i figli di Gabione. L'eredità paterna non era molto rilevante: due case in Bologna, una nella cappella di S. Michele dei Leprosetti e l'altra in quella di S. Tommaso della Braina, e alcuni appezzamenti di terra, uno solo dei quali, a Prunaro, raggiungeva le 60 tornature. Ma la divisione servì soprattutto a sancire la definitiva separazione di interessi e prospettive tra il figlio di primo letto, Simonino, pienamente integrato nella società ferrarese, e gli altri due fratelli che avevano fatto di Bologna il centro dei propri affari. Nanne e il G. acquisirono in comune i beni loro assegnati: la casa in S. Tommaso della Braina, l'appezzamento di 60 tornature e altri due più piccoli a Prunaro e i diritti non meglio specificati che la precedente comunione ereditaria vantava in Bologna e ancora in comune assunsero gli obblighi per la restituzione delle doti della madre Margherita e delle rispettive consorti: Antonia Cristiani, moglie del G. e Giovanna Negrisoli, moglie di Nanne.
Alla fine dello stesso 1394 dal banco di Venezia, gestito dal G., venne accolto un prestito di 3000 ducati dal ferrarese Giovanni da Sala, con impegno di dividere a metà lucro e danni e di restituirli entro un anno. L'affare non ebbe successo e i suoi effetti negativi si protrassero a lungo. Ancora più negativo si rivelò un altro affare avviato sempre dal banco di Venezia e per opera del G., che nel gennaio del 1398, quando la situazione sembrava del tutto favorevole, acquisì in deposito dal notaio bolognese Giovanni Monterenzoli 4454 ducati.
Il 14 sett. 1398 il G., Nanne e Nicolò di Simone sciolsero la loro società. Le verifiche attestarono che l'attivo del banco raggiungeva le 20.000 lire. La successiva divisione attribuì al G. gli affari delle sedi, entrambe attive, di Venezia, valutati 10.000 ducati, e di Roma e gli arredi della casa in Venezia. Vennero anche divise le proprietà immobiliari dei due fratelli. Al G. fu attribuita la proprietà di un terreno edificabile in cappella di S. Michele dei Leprosetti, di 6 unità poderali per complessive 320 tornature, pari a circa 64 ettari, a Le Caselle e a Prunaro. In comproprietà restò una vigna di 5 ettari a Borgo Panigale. Due anni dopo, il 4 maggio 1401, un nuovo accordo tra il G. e Nanne sancì una diversa valutazione degli immobili ma non modificò le precedenti attribuzioni.
La gestione separata dell'attività bancaria aveva nel frattempo sortito risultati opposti per i due fratelli. Quella del G. fu presto in difficoltà: la somma che il G. doveva a Giovanni da Sala venne pagata da Nicolò di Simone e l'8 marzo 1400, accertata l'impossibilità di restituire la parte che gli spettava del debito contratto con Giovanni Monterenzoli, il G. fu costretto a cedergli le proprietà immobiliari in Bologna e nel contado. Le proprietà valevano molto di più dell'importo del suo debito, pari a circa 1500 ducati, ma solo vent'anni dopo e a opera dei vari eredi la questione poté venire completamente definita.
All'ultimo scorcio del Trecento risale un accentuato impegno del G. nella politica cittadina: un impegno forse estraneo alla sua reale vocazione e di certo manifestato molto tardi. I precedenti erano stati nel 1386 e nel 1387 l'incarico di membro del Consiglio generale e per un bimestre del 1394, tra due prolungati periodi di residenza a Venezia, quello di gonfaloniere di Giustizia. Solo a partire dal 1397 la sua partecipazione alla politica cittadina divenne particolarmente intensa.
Occasione ne fu l'alleanza che vedeva uniti contro Gian Galeazzo Visconti i Comuni di Bologna e Firenze, gli Estensi, i Gonzaga e i Carraresi. Il governo di Bologna ne approfittò per sollecitare, con la mediazione di Francesco da Carrara, la consegna da parte di Niccolò III d'Este dei castelli di Bazzano e Nonantola che il marchese occupava. La trattativa si concluse favorevolmente grazie anche all'interessamento della Repubblica veneta che a tale scopo condonò al marchese parte del prestito concessogli e a garanzia del quale aveva ottenuto in pegno il Polesine. Nelle lunghe trattative aveva agito per conto di Bologna il G. che poneva a frutto in tal modo gli ottimi rapporti che lo legavano ai Carraresi, agli Estensi e a Venezia. E Niccolò d'Este consegnò ufficialmente il castello di Nonantola proprio al G., che tuttavia nell'ottobre dello stesso anno ne cedette il controllo agli ufficiali del Comune bolognese.
Nel maggio 1398 il G. ebbe parte nella provvisoria pacificazione tra due fazioni dell'oligarchia cittadina, l'una guidata da Carlo Zambeccari, al momento prevalente, e l'altra dal fratello del G., Nanne. I patti di conciliazione furono rafforzati da tre promesse di matrimonio che impegnarono una figlia di Gozzadino di Simonino e due figli del G., Brandaligi, fidanzato con Lucrezia, figlia dello Zambeccari ed Elisea (o Lasia), promessa sposa di Giovanni, figlio di Jacopo Griffoni, uno dei capi della fazione dello Zambeccari.
Nonostante gli accordi la pace ebbe vita breve. Nella sua opposizione a Zambeccari, Nanne trovò un alleato deciso e motivato in Giovanni Bentivoglio. Insieme l'11 marzo 1399 tentarono di impadronirsi con le armi del potere, ma il tentativo fallì. Prigionieri degli avversari, rischiavano la condanna a morte, ma Zambeccari si limitò a bandirli con i loro principali seguaci e a confiscarne i beni. Tra i colpiti dal bando e dalla confisca fu anche il G., in esilio a Genova e poi a Lucca. La morte di Zambeccari il 9 settembre successivo facilitò una nuova riconciliazione e il ritorno degli esuli. Tra essi fu anche il G., inviato subito ambasciatore a Padova, presso quella corte cui era da tempo fortemente legato. Ma la sete di rivalsa di Nanne e del Bentivoglio li indusse a una nuova prova di forza. Il 27 dic. 1399, eccitato un tumulto e occupata la piazza, s'impadronirono del potere e bandirono a loro volta gli avversari sconfitti. L'intesa tra i due vincitori non era certo perfetta: troppo forti le ambizioni di entrambi e contrastanti i rispettivi interessi e le alleanze. Nanne, con l'aiuto del fratello, cercò il sostegno del giovane Niccolò d'Este. Ben tre volte nella primavera del 1400 il G. si recò alla corte estense e quando il marchese venne con grande seguito in Bologna fu ospitato nella casa del G. e del fratello.
L'adesione del G. alle iniziative politiche di Nanne divenne sempre più evidente e convinta. Probabilmente ne aveva dato motivo l'intervento di Nanne a sostegno del banco di Roma inizialmente concesso al G. e la definizione, pare grazie a questo stesso banco, del destino dei rispettivi figli che avevano indossato il saio benedettino: nel maggio 1400 Battista, figlio del G., divenne abate di Pomposa, sostituito quale abate di Nonantola dal cugino Delfino, figlio di Nanne.
Contemporaneamente nelle sedute del Consiglio generale il G. assumeva posizioni in aperto contrasto con quelle di G. Bentivoglio: spia di un contrasto che minava la precedente intesa e che apparve del tutto insanabile quando il 24 febbr. 1401 il Bentivoglio, forte dell'appoggio delle milizie mercenarie al soldo della città, si impadronì della piazza e fu acclamato signore. Un tentativo di Gozzadino di Simonino, nipote del G. e di Nanne, di opporsi con le armi fu presto rintuzzato e i due fratelli caddero prigionieri di Bentivoglio. In un primo tempo egli ne ricercò l'alleanza. Il G. e Nanne furono liberati e nei festeggiamenti che fecero seguito alla sua acclamazione a signore da parte del Consiglio generale alla metà del mese di marzo il Bentivoglio armò cavaliere, tra gli altri, anche il Gozzadini. Ma questo non bastò ad assicurargli la sua adesione e quella del fratello. Alla metà di giugno, adducendo pretesti di affari, Nanne, il G. e numerosi loro familiari abbandonarono Bologna. Il Bentivoglio rispose confiscando le loro case.
Prendeva corpo nel frattempo il piano di Nanne di abbattere la signoria del Bentivoglio ricorrendo all'aiuto di Gian Galeazzo Visconti che non aveva mai cessato di aspirare a unire Bologna ai suoi domini. Per indurlo a rompere gli indugi Nanne promise al Visconti un forte contributo in denaro ed egli dovette ritenere maturi i tempi dell'azione. Nel dicembre 1401 un forte esercito si radunò a Mirandola, agli ordini di Francesco Gonzaga, con l'evidente proposito di assalire Bologna.
Nel campo di Nonantola, accanto ai vari capitani di ventura assoldati nell'esercito visconteo, erano anche il G. e Nanne. L'esercito visconteo iniziò la conquista del contado bolognese impadronendosi dei vari castelli che lo difendevano. In questa azione si distinsero il G. e Nanne. Il primo alla fine di gennaio discese su barche il Po con un centinaio di armati, si inoltrò nella pianura ferrarese attestandosi vicino a Pieve di Cento. D'intesa con alcuni suoi abitanti penetrò con uno stratagemma nel suo castello e se ne impadronì a nome di Gian Galeazzo. Poco dopo Nanne occupò il vicino castello di Cento e in seguito gran parte dei centri fortificati nella pianura a nord di Bologna.
A decidere della guerra fu peraltro una grande battaglia campale che ebbe luogo a Casalecchio il 26 giugno 1402 e nella quale a sostegno dell'esercito visconteo agirono anche gruppi di armati provenienti dalla montagna, assoldati e guidati dal G. e da Nanne. Le forze messe in campo dal Bentivoglio, molto inferiori di numero, vennero sbaragliate, e il giorno seguente i vincitori entravano in Bologna. La proclamazione di Gian Galeazzo a signore di Bologna non tardò che un giorno, deludendo quanti (e tra essi forse anche Nanne e il G.) si erano illusi di ridare vita con l'appoggio del Visconti all'autonomia cittadina.
Per ottenere comunque un compenso per l'impegno profuso o, più semplicemente, per recuperare il tanto denaro prestato Nanne chiese per sé e per il fratello la signoria di Cento e di Pieve di Cento, i due centri più importanti fra tutti quelli da essi occupati. La risposta di Gian Galeazzo, formalizzata in tre lettere del 31 luglio al suo capitano generale Iacopo Dal Verme, mentre dava una parziale soddisfazione ai tanti crediti vantati da Nanne e dal G., lasciava sospesa la decisione definitiva circa la richiesta di signoria. I due fratelli erano peraltro mantenuti nel possesso di Cento, di Pieve di Cento e della Torre di Canuli, un piccolo fortilizio nel territorio di Nonantola. All'inizio di settembre Gian Galeazzo morì e nel dominio di Bologna gli succedette il figlio Giovanni Maria sotto la reggenza della madre Caterina Visconti. A essi il G. e Nanne rinnovarono la richiesta di signoria e questa volta, anche per tacitare i residui crediti da loro vantati, la richiesta fu accolta. Il 31 marzo e il 1° apr. 1403 le assemblee dei cittadini di Pieve di Cento e di Cento acclamarono a loro volta i due fratelli loro signori, protettori e difensori.
Questa acclamazione giungeva molto opportuna ai nuovi signori che avevano già avviato trattative con i precedenti nemici per estromettere i Visconti da Bologna. Si era infatti costituita una nuova Lega antiviscontea nella quale erano confluiti Firenze, il papa e i Carraresi e che aveva messo in campo un esercito, posto agli ordini del marchese Niccolò d'Este e del suo marescalco Uguccione Contrari. Anche i signori di Cento e di Pieve di Cento entrarono nella Lega e coadiuvarono le operazioni del suo esercito occupando con proprie milizie il castello di Massumatico. Il podestà di Bologna rispose condannando a morte, in contumacia, il G., Nanne e una dozzina di loro congiunti. Ma la difesa di Bologna e degli altri domini già appartenuti allo Stato pontificio da parte dei Visconti risultò presto impossibile e il 25 agosto Caterina Visconti concordò una pace separata con il rappresentante pontificio, il cardinale Baldassarre Cossa. Frutto dell'accordo fu la cessione al papa delle città da lui rivendicate, in primo luogo Bologna. Il successivo 3 settembre il cardinale entrava in città, accompagnato tra gli altri dai signori di Cento e di Pieve di Cento e dalle loro milizie. Il 29 settembre B. Cossa concedeva ai due fratelli e ai loro discendenti il vicariato apostolico sui territori di Cento, Pieve di Cento e Torre di Canuli con ogni diritto di governo e giurisdizione sui loro abitanti.
Ma la concessione fu presto annullata a seguito di alcune iniziative, frutto forse più dell'intenzione del legato di sbarazzarsi di alleati troppo potenti che della loro volontà di sedizione. Il 26 ottobre Gabione, figlio di Nanne, con un piccolo gruppo di seguaci tentò di occupare la piazza. Il tentativo fallì né migliore esito ebbe l'azione del G. che il giorno seguente con un più folto gruppo di armati si accostò alla porta di S. Stefano. Alcune cronache narrano di un suo assalto alla porta, ma una lettera scritta dallo stesso G. il giorno dopo al fratello fa supporre che egli fosse convinto di dover intervenire a sostegno del governo del legato pontificio. B. Cossa invece, dopo aver convinto il G. a separarsi dai suoi armati, lo fece prigioniero e lo rinchiuse in carcere insieme con il nipote. Avvertì quindi Nanne che ogni sua mossa in loro difesa sarebbe stata di grave danno ai due prigionieri. Nanne, che aveva nel frattempo raccolto un consistente esercito e, ricevuto aiuto dai signori di Padova e di Ferrara, si stava avvicinando alla città, arrestò la sua azione. Ciò non bastò a fermare B. Cossa.
Un processo velocemente imbastito contro il G. si chiuse il 31 ottobre con la sua condanna a morte. Il 3 nov. 1403 la sentenza fu eseguita nella piazza di Bologna.
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