Bonifacio II
Arcidiacono della Chiesa romana, ai primi di settembre del 530 fu designato come proprio successore da papa Felice IV che era caduto gravemente ammalato.
Non era uso nuovo. Il concilio romano del 1° marzo 499 lo aveva esplicitamente sanzionato quando, nel decretare la scomunica per chiunque si fosse adoperato con promesse simoniache per far prevalere, "vivo il papa e senza averlo consultato", la propria candidatura nella futura elezione e nell'enunciare le norme da osservare all'atto della nuova elezione, aveva tuttavia precisato, in linea di principio, che quelle norme dovevano venire applicate solo nell'eventualità in cui, per morte improvvisa, il pontefice regnante non avesse potuto decidere nulla circa l'elezione del successore. Non aveva, al contrario, precedenti la procedura seguita da Felice IV per designare Bonifacio II. Il papa, infatti, presenti i presbiteri, i diaconi e una parte dei senatori di Roma, aveva compiuto il gesto simbolico di trasmettere il pallio all'arcidiacono. Aveva quindi dato immediata comunicazione del suo operato al governo di Ravenna, da un lato, e, con un "praeceptum" o "constitutum" che fu affisso nelle chiese titolari della città, ai vescovi (presbiteri e diaconi), a tutto il clero, al Senato e al popolo romano. Nel documento si affermava che il pontefice aveva inteso assicurare, in tal modo, la loro quiete e la pace della Chiesa, travagliata da gravi difficoltà; si esprimeva la fiducia che lo "iudicium" del papa sarebbe stato accettato; si comminava la scomunica per chi avesse cercato di suscitare passioni o dissensi nell'intento di provocare uno scisma. È chiaro che solo da motivi di eccezionale gravità Felice IV poteva esser stato indotto a dare alla designazione di B. il carattere d'una vera e propria investitura: senza dubbio, la critica situazione interna di Roma, e l'atteggiamento minaccioso di Ravenna dovevano aver avuto un peso non indifferente nel convincere ilpontefice della necessità di ricorrere a mezzi eccezionali per evitare uno scisma, che avrebbe significato un ritorno alle tragiche convulsioni che avevano accompagnato e seguito i violenti contrasti tra simmachiani e laurenziani scoppiati nel 498 alla morte di papa Anastasio II. Un nuovo scisma avrebbe inoltre finito col compromettere definitivamente le già spossate finanze pontificie - per procurarsi il danaro necessario alla lotta, i contendenti non avrebbero infatti esitato a mettere le mani sulle rendite della Chiesa romana - fornendo in tal modo al governo di Ravenna il pretesto per tornare alle misure repressive e al clima d'intimidazione che avevano caratterizzato gli ultimi anni di Teoderico.
B. apparteneva - come risulta dal nome del padre, Sigibuldo - a famiglia di origine germanica, ma con ogni probabilità era nato a Roma, e nel clero romano aveva percorso tutta la sua carriera; anche i suoi dovevano essersi completamente assimilati, se l'anonimo autore della biografia di B. inserita nel Liber pontificalis afferma senz'altro che egli era "natione Romanus". Felice IV, dunque, aveva tenuto soprattutto conto, nel risolvere il difficile problema della successione, dell'opportunità di non alimentare i sospetti e le preoccupazioni del partito goto intransigente, se pure non aveva agito in seguito a precisi accordi con il governo della reggente Amalasunta: scegliendo B., aveva senza dubbio inteso preparare l'avvento sul soglio pontificio di una persona su cui potessero confluire i consensi delle opposte fazioni e che, per ragioni di stirpe e di cultura, fosse in grado di conciliare agli interessi dei Goti i sentimenti e le speranze del clero, del Senato e del popolo romano. I fatti si incaricarono di frustrare i suoi disegni e di smentire le sue speranze. Lo stesso giorno in cui Felice IV morì (20 o 22 settembre 530) si verificò una frattura nel clero e nello stesso Senato romano: mentre, in una delle aule del Palazzo Lateranense (la cosiddetta "basilica Iulii"), veniva consacrato papa B., nella vicina basilica costantiniana del Salvatore, su iniziativa della maggioranza dei presbiteri e col consenso di una parte dei senatori, veniva consacrato invece papa un arcidiacono della Chiesa di Alessandria, Dioscoro.
Questi (v. Dioscoro, antipapa), uomo di fiducia di Simmaco e, successivamente, di Ormisda, all'epoca dello scisma simmachiano, aveva condotto per conto del primo le trattative con Teoderico perché la fazione di Festo venisse costretta alla restituzione delle chiese e dei beni da essa usurpati; e, per incarico del secondo, era stato protagonista dei negoziati svoltisi a Bisanzio per risolvere il conflitto religioso. Appunto le conoscenze e le relazioni, che certamente l'arcidiacono aveva avuto modo di allacciare negli ambienti della corte costantinopolitana, e la stessa sua origine greca davano all'elezione di Dioscoro un evidente significato di manifestazione ostile alla corte e al governo di Ravenna. È altresì chiaro come, nell'atto con cui la stragrande maggioranza del clero romano, esercitando liberamente i propri diritti elettorali, aveva mostrato di preferire Dioscoro a B., sia da vedere, oltre che una precisa volontà politica, anche un rifiuto inequivocabile del sistema seguito da Felice IV per designare il proprio successore.
Il nuovo scisma non ebbe tuttavia né la durata né la violenza dello scisma laurenziano, perché ai dissidi politici e ai privati risentimenti non si aggiungevano questa volta motivi di contrasto dottrinale. Neppure un mese dopo la duplice consacrazione, morto il 14 ottobre Dioscoro, i suoi aderenti rinunziarono - per quanto rappresentassero la maggioranza del clero romano - a dargli un successore, cedendo alle energiche pressioni esercitate da B. e alle sue minacce di anatema: il 27 dicembre i sessanta presbiteri che avevano aderito alla elezione di Dioscoro firmavano un documento di ritrattazione, in cui dichiaravano di rigettare la memoria del diacono alessandrino, contro il quale lanciavano l'anatema per aver violato il "constitutum" di Felice IV e, dando al suo sopravvissuto avversario la soddisfazione di definirlo "beatissimus papa" e "papa venerabilis", si impegnavano a non incorrere anch'essi nella medesima colpa. Ciò non era bastato, tuttavia, a riportare la situazione alla normalità: nessuno dei sostenitori di Dioscoro volle accondiscendere a firmare gli atti dell'elezione di B., mentre, data l'età avanzata di quest'ultimo, erano ricominciati i maneggi in vista di una prossima vacanza. Di fronte a tali difficoltà, permanendo tutt'altro che chiara la situazione politica sia a Roma sia fuori, il pontefice reagì allo stesso modo di Felice IV. Convocato nella basilica vaticana un sinodo di tutto il clero della diocesi, B. promulgò solennemente, "ante confessionem beati apostoli Petri", un nuovo "constitutum" (che gli ecclesiastici presenti si impegnarono, con giuramento scritto, ad osservare scrupolosamente), nel quale designava come suo successore il diacono Vigilio. Alla decisa presa di posizione del papa il Senato rispose, dal canto suo, con un decreto approvato nel corso di una tempestosa seduta plenaria, decreto in cui si comminava la confisca della metà dei beni per chi si fosse adoperato, vivente il papa, in segreti maneggi "per l'ordinazione di un successore"; identica pena era prevista per quanti, coinvolti in simili negoziati, avessero accettato compensi o promesso il proprio appoggio. Il documento contemplava inoltre l'esilio e la totale confisca dei beni per i candidati alla cattedra pontificia che fossero risultati compromessi in tali trame. Il testo del decreto venne notificato ufficialmente e con tutte le formalità di rito ai diaconi, ai presbiteri, al resto del clero della diocesi di Roma.
Nel documento non si faceva alcuna allusione a decreti pontifici o ad ordinanze regie, né il suo testo era stato sottoposto a ratifica sovrana, a differenza di quanto era invece accaduto nel 507 per il "senatus consultum" che aveva approvato le deliberazioni prese dal concilio del 6 novembre 502: esso veniva ad acquistare, pertanto, un particolare rilievo sia dal punto di vista strettamente politico che da quello religioso-costituzionale. Con quel decreto i "patres conscripti" non solo affermavano, "nobilitatis suae memores", il loro diritto a deliberare anche in materia di elezioni papali, ma lasciavano chiaramente comprendere che essi intendevano esercitare tale potestà in piena autonomia rispetto al governo goto di Ravenna e alla Sede apostolica. Tuttavia, se una simile presa di posizione nei confronti delle autorità laiche trovava una sua giustificazione nel rescritto nel quale Teoderico, pur ratificandolo, aveva dichiarato di per sé valido - per esser stato promulgato dal Senato - il decreto del 507, l'atteggiamento assunto dal Senato nei confronti della Sede apostolica era, invece, un'esplicita denunzia delle deliberazioni del concilio del 502, che aveva sancitol'esclusiva competenza della Chiesa in materia di elezioni pontificie e dichiarato perciò invalidi e illegittimi i provvedimenti presi, all'epoca di Odoacre, dalle autorità civili prima dell'elezione che portò Felice III al papato.
Se tali erano dunque i rapporti tra il Senato e la Chiesa, turbati da sospetti e da contrasti personali, non meno tese erano le relazioni tra Ravenna e Roma, dove si andavano aggravando i torbidi e le agitazioni, chiaro sintomo di una situazione di disagio interno, che in apparenza era causata dal dissidio tra il papa, il clero e l'aristocrazia senatoria, ma che molto probabilmente aveva le sue radici nella stessa particolare realtà romana. Il governo goto reagì sospendendo, dal 531 al 533, la nomina dei consoli, che erano stati scelti, sino al 530, tra gli esponenti più in vista della classe senatoria; quanto alle autorità locali, queste, preoccupate per l'aumentare del malcontento, procedettero, nel timore di un'aperta rivolta, a una serie indiscriminata di arresti "per il solo sospetto di sedizione" e aprirono, a carico dei fermati, un'inchiesta formale, che fu condotta con tutti i rigori previsti dalla legge, senza riguardo allo stato o alla dignità degli accusati. Tutti gli arresti vennero tuttavia confermati anche per quanti non si poté provare la fondatezza delle accuse loro addebitate: odio e risentimento si diffusero per Roma, guadagnando anche i ceti più ricchi.
Il fatto era che, pur con diverse motivazioni, così il Senato come il clero romano erano contrari all'istituto della designazione del successore compiuta dal papa regnante: il clero, perché la considerava in contrasto con i sacri canoni, dai quali, secondo l'interpretazione tradizionale, era espressamente vietata; il Senato, perché la considerava una menomazione del diritto del popolo romano di concorrere all'elezione del suo vescovo e, quindi, un'innovazione soprattutto pregiudizievole per l'influenza sin allora esercitata dall'aristocrazia senatoria nella designazione e nell'elezione del pontefice.
Costretto dalla forza delle cose, B. si dovette acconciare pertanto a condannare il nuovo istituto con quella stessa solennità e con la stessa procedura che egli e il suo predecessore avevano adottato per consacrarne l'introduzione. Fu convocato nella basilica vaticana un nuovo sinodo, a cui parteciparono tutti gli ordini del clero romano ed al quale fu chiamato ad assistere anche il Senato, che intervenne al completo. In una solenne risoluzione, che gli ecclesiastici presenti approvarono all'unanimità, il sinodo, "propter reverentiam Sedis sanctae", sentenziò che il pontefice aveva agito "contro i canoni" e che si era, perciò, macchiato di grave colpa quando aveva creduto di poter stabilire la persona del successore. Quanto a B., questi "confessus est maiestatis" per aver violato il principio della eleggibilità dei papi promulgando il "constitutum" munito della sua sottoscrizione, con cui designava il diacono Vigilio come futuro pontefice; e, con gesto significativo, bruciò lo stesso "constitutum" davanti alla confessione di S. Pietro alla presenza di tutto il clero e del Senato. La solenne ritrattazione di B. concluse i lavori del sinodo, che si sciolse subito dopo senza aver tuttavia revocato né l'anatema contro Dioscoro né il "constitutum" che l'aveva motivato: il concilio non era dunque riuscito ad eliminare le cause profonde di contrasto e di malcontento, e la situazione interna di Roma continuò infatti ad essere tanto tesa da indurre il governo di Ravenna - che non poteva certo assistere senza allarmarsi al prevalere in Roma degli elementi contrari ad una prerogativa della Sede apostolica, che sarebbe potuta tornare di vantaggio alla reggenza - a riconfermare lo stato di arresto dei fermati per sospetto di sedizione. Quando nell'ottobre - forse il 17 - del 532 B. morì, l'elezione del nuovo papa fu per oltre due mesi e mezzo oggetto di violenti contrasti, causati con ogni probabilità dallo scontro di orientamenti politico-religiosi analoghi a quelli che due anni prima avevano portato allo scisma di Dioscoro.
La controversia sull'elezione dei vescovi di Roma, con le sue implicazioni d'ordine politico e religioso, i violenti dissensi e le opposizioni che turbarono i due anni del suo pontificato non distolsero tuttavia B. dal suo ministero pastorale. In un periodo in cui le aumentate difficoltà dell'approvvigionamento e la carestia facevano pesare su Roma lo spettro della fame, egli provvide infatti efficacemente a soccorrere le necessità del clero e, soprattutto, i bisogni della popolazione meno abbiente della città con regolari, gratuite distribuzioni di vettovaglie "in basilica beati Petri apostoli", attingendo con larghezza alle risorse finanziarie della propria famiglia: la sua morte, è scritto nel suo epitaffio, fu dolorosamente pianta dai poveri di Roma. A B. si devono, anche, alcuni importanti provvedimenti in materia religiosa e disciplinare: fu lui, infatti, a ratificare, accordando la richiesta approvazione apostolica, le deliberazioni del concilio di Orange del 529, i cui atti, per il tramite del presbitero Armenio, erano stati indirizzati dal vescovo Cesario di Arles a papa Felice IV, che tuttavia era morto prima dell'arrivo a Roma dell'ecclesiastico franco. Allo stesso modo si preoccupò di riaffermare i diritti giurisdizionali sulle sedi suffraganee dell'Illirico, intervenendo nella polemica tra il vescovo eletto di Larissa in Tessaglia, Stefano, e il patriarca di Costantinopoli, Epifanio: questi, rivendicando prerogative metropolitiche nei confronti della sede di Larissa, si era rifiutato di sanzionare l'elezione di Stefano. Si sa che per risolvere la vicenda B. convocò un sinodo, i cui atti non sono pervenuti, ma che si dovette tuttavia pronunziare in favore di Stefano.
Nel corso del pur breve pontificato di B. cominciarono a vedersi i primi frutti dell'intensa attività culturale dei circoli religiosi romani, attività promossa dalla Sede apostolica e spronata dalle controversie dogmatiche con le Chiese orientali e con gli imperatori bizantini. Appunto tra il 530 e il 532 comparve a Roma la prima redazione di quelle biografie ufficiose dei papi, composte da funzionari del "vestiarium" lateranense, che giungevano allora sino alla morte di Felice IV e che, insieme con le continuazioni successive, contribuirono a formare il Liber pontificalis, una delle fonti più preziose - spesso unica - per la storia della Chiesa e di Roma nell'alto Medioevo.
La militanza di papa B. nella Chiesa di Roma sin dagli anni della sua giovinezza costituisce il motivo d'esordio dell'epitaffio (v. 1 "sedis apostolicae promaevis miles ab annis"), il quale svolge nel suo nucleo centrale, in funzione apologetica, l'elogio delle virtù per mezzo delle quali il papa, asceso al soglio pontificio, cercò di sanare il dissidio che la sua elezione aveva suscitato in seno alla Chiesa. Egli adempì al compito di pastore benigno (v. 5 "mitis pastor") di radunare le proprie pecore in un solo gregge ("[...] adunavit divisum ovile"), rianimando la Chiesa afflitta dalle discordie interne (v. 6 "vexatos refovens"), mentre Dioscoro moriva ("[...] hoste cadente"). Con atteggiamento umile e semplice (v. 7 "[...] humili de corde"; v. 8 "[...] simplicitate [...]") perdonò i membri del clero che sottoscrivevano la propria sottomissione (v. 7 "iram supplicibus remisit") dimenticando i trascorsi tradimenti (v. 8 "debellans cunctos [...] dolos"). A tutto ciò si aggiunge che il papa non mancò di manifestare la sua generosità verso la popolazione di Roma in un periodo di carestia (v. 9 "egit ne sterilis Romana consumeret annus") prestando il proprio aiuto con preghiere e interventi concreti (v. 10 "nunc orando fugans nunc miserando famem").
fonti e bibliografia
Bonifatii papae Epistulae et decreta, in P.L., LXV, coll. 29-42; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 281 ss.; Ch.J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des conciles d'après les documents originaux, II, ivi 1908, pp. 1349-66 (v. anche pp. 1115-17).
L. Duchesne, L'Illiricum ecclésiastique, in Id., Églises séparées, ivi 1896, p. 245; H. Grisar, Geschichte Roms und der Päpste im Mittelalter, I, Freiburg i. B. 1901, pp. 322-24; L. Duchesne, L'Église au VIe siècle, Paris 1925, pp. 142-45; O. Bertolini, Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi, Bologna 1941, pp. 104 ss., 212, 225; A. von Harnack, Kleine Schriften zur Alten Kirche, II, Leipzig 1980, pp. 655-73; J. Speigl, Das Religionsgespräch mit den severianischen Bischöfen in Konstantinopel im Jahre 532, "Annuarium Historiae Conciliorum", 16, 1984, pp. 264-85.
I documenti relativi all'avvento di B., scoperti nel 1883 dall'Amelli in un manoscritto di Novara - si tratta del Praeceptum papae Felicis, con cui si notificava la scelta del pontefice, della Contestatio senatus, il decreto approvato dal Senato sul finire del 530, e del Libellus quem dederunt presbiteri LX post mortem Dioscuri Bonifacio Papae, l'atto di ritrattazione sottoscritto dai sostenitori di Dioscoro - sono stati pubblicati da L. Duchesne, La succession du pape Félix IV, "Mélanges d'Archéologie et d'Histoire. École Française de Rome", 3, 1883, pp. 239 ss.