LUPI, Bonifacio
Figlio di Ugolotto di Bonifacio e di Legarda di Guglielmo Rossi, nacque probabilmente nel 1318 a Parma e seguì il padre nella vita politica e militare parmense, schierandosi prima a favore di Giovanni di Lussemburgo re di Boemia, per il quale Ugolotto fu vicario di Cremona nel 1333, e poi del figlio Carlo IV di Lussemburgo. In quanto ostili ai Visconti, i Lupi nel 1346 furono costretti ad allontanarsi da Parma, e se il 21 sett. 1347 Ugolotto ottenne l'investitura feudale di marchese di Soragna da Carlo IV, tale documento era destinato a restare per lungo tempo privo di ogni significato concreto. Il 21 maggio 1350 Ugolotto e il L. ottennero soltanto un salvacondotto per recarsi presso i Visconti e anzi, morto Ugolotto il 4 febbr. 1351, l'arcivescovo Giovanni Visconti costrinse il L. all'esilio da Parma. Si recò allora a Padova, dove si trovava almeno dal 14 ott. 1351 e in cui contava stretti legami familiari e patrimoniali nella cerchia della famiglia signorile cittadina dei da Carrara, in quanto sua madre Legarda era nata dall'unione di Guglielmo Rossi con Donella di Pietro da Carrara; peraltro, ancora dopo il 18 marzo 1353 il L. fu costretto a giurare fedeltà al Visconti per poter avviare la procura per l'eredità del padre. Si diede quindi alla carriera di condottiero, conducendo un vero e proprio "pendolarismo" (Billanovich, p. 260) fra le città su cui poi si incardinò la sua vita, Firenze e Padova; ma soprattutto divenne uno dei più fedeli seguaci di Carlo IV, che accompagnò durante la prima discesa in Italia per ricevere l'incoronazione imperiale.
Mentre il sovrano della casa di Lussemburgo percorreva l'Italia, riaccendendo speranze tra i ghibellini, ma destreggiandosi sempre più faticosamente tra i grandi potentati signorili e anzi ottenendo l'incoronazione imperiale in Roma il 5 apr. 1355 soltanto a patto di lasciare subito la città, il L., come suo "consiliarius, familiaris et fidelis dilectus", era presente ad atti di rilievo, come il giuramento di fedeltà all'imperatore dei rappresentanti di Firenze, in Pisa, il 21 marzo 1355. Era inoltre destinatario di numerose concessioni quali, il 13 febbr. 1354, lo scioglimento da ogni obbligo verso i Visconti e la riconferma delle più ampie investiture imperiali come marchese di Soragna, con l'aggiunta, il 14 giugno seguente, di numerosi altri feudi (Crema, Pizzighettone e Boccadadda) - anche questi titoli erano però destinati a restare del tutto teorici, essendo tali centri, così come il feudo avito di Soragna, di fatto controllati dai Visconti -, nonché di corposi donativi, come la pensio di 300 fiorini accordatagli il 10 giugno 1355.
Nell'ambito della tessitura di una sempre più estesa e proficua rete di rapporti, il L. fu ascritto alla cittadinanza veneziana il 6 dic. 1355 e nello stesso anno fu nominato, sempre da Carlo IV, governatore di Primiero, nel Trentino; ancora al suo seguito fu per la prima volta a Firenze, dove, mediando tra il governo cittadino e il sovrano una composizione pecuniaria che contemperasse le esigenze di disimpegno fiorentino con la necessità di denaro della corte imperiale, si fece apprezzare anche per doti diplomatiche e mise le basi che avrebbero portato alla sua chiamata come condottiero al servizio di Firenze e al suo radicamento patrimoniale, familiare e affettivo in questa città. Infatti nel 1359 ricoprì la carica di podestà di Firenze e fu mandato contro il conte Lando; dal 18 maggio 1362 fu capitano generale nella guerra contro Pisa, in una delle sue migliori prove come condottiero.
Il L. diede qui infatti prova di spirito d'iniziativa e di indipendenza di giudizio, operando con successo a partire dal 23-24 giugno 1362 azioni efficaci a Peccioli, Ghiazzano, Castel San Pietro e Riccavilla, ma finendo con l'essere sollevato dall'incarico per le divergenze con le direttive del governo fiorentino, in conseguenza dei contrasti e dei personalismi che caratterizzavano consiglieri "assai vie più presuntuosi che savi" (Villani, p. 597); tuttavia, sostituito il 6 luglio da Rodolfo da Camerino, fu richiamato in servizio già il 30 luglio all'assedio di Peccioli. In questa occasione gli si attribuisce un episodio di lealtà, di stampo cavalleresco: avendo stabilito con gli assediati una tregua fino al 10 agosto seguente, data in cui questi si sarebbero impegnati alla resa se non fossero intervenuti aiuti, si verificò il crollo accidentale di un tratto di mura che aprì una breccia nella quale i Fiorentini cominciarono a passare. Il L. si sarebbe allora frapposto con le proprie insegne, imponendo ai suoi soldati il rispetto delle condizioni di tregua stabilite.
Conseguiti altri successi, in particolare nella risolutiva battaglia di Cascina del 29 luglio 1364, il L. continuò a ricoprire ruoli di primo piano in contiguità con la corte imperiale: il 26 giugno 1366 Carlo IV lo investì dei titoli di suo consigliere e segretario; il 22 luglio gli concesse i privilegi di cittadinanza di Parma, Cremona, Mantova e Reggio, esteso anche al secondo cugino Raimondino di Rolandino Lupi e ai nipoti Antonio, Simone e Folco, figli di Guido Lupi. Contemporaneamente però, almeno dall'inizio degli anni Sessanta del Trecento, la sede principale di residenza e di interessi patrimoniali dell'intera consorteria dei marchesi di Soragna in esilio divenne sempre più Padova, dove soprattutto Francesco da Carrara il Vecchio fece dei fuoriusciti della famiglia Lupi uno dei punti fermi attorno a cui costruire un ceto dirigente leale e coeso, composto di giuristi, funzionari, intellettuali e condottieri in grado di difendere, consolidare e rappresentare adeguatamente la sua casa.
Il L. inizia a comparire fra i testimoni di importanti atti patrimoniali riguardanti i signori Carraresi almeno dal luglio 1363; nello stesso tempo, avvalendosi degli stessi amministratori di Francesco il Vecchio, Giovanni Naseri di Montagnana e Antonio da Casale, il L. intraprese una campagna di acquisizioni fondiarie intorno a Padova, principalmente a Campagnola e a Rosta, circondandosi però anche nella sua residenza padovana nella parrocchia di S. Fermo di mercanti toscani e parmigiani che, come procuratori, assicuravano il coordinamento dei vari piani patrimoniali e territoriali su cui il L. agiva.
Il L. e gli altri membri della sua famiglia si distinsero tra i fideles dei Carraresi come condottieri e come diplomatici; ma fu soprattutto il L., quale rappresentante più eminente, a rivestire i più alti incarichi di ambasciatore e di stretto consigliere di Francesco il Vecchio, coltivando anche rapporti con la cerchia di Francesco Petrarca nella ricca temperie culturale padovana. Nell'estate 1367 rappresentò i da Carrara a Viterbo, dove fu stretta fra il pontefice, il re d'Ungheria e i signori di Padova, Ferrara e Mantova una lega contro i Visconti e gli Scaligeri promossa da Carlo IV. Quando, nella guerra che ne seguì, i Visconti passarono all'attacco e Carlo IV scese per la seconda e ultima volta in Italia, ricevuto a Udine il 1( maggio 1368 da Francesco il Vecchio e da Petrarca, il L. e gli altri membri della famiglia tra il 1368 e il 1369 seguirono l'imperatore lungo tutto il tragitto verso Roma; il 7 marzo 1368 Carlo IV emise una sentenza a favore del L. e di Raimondino Lupi contro le pretese di Ugo e di Folco d'Este su Soragna.
Quindi, tra la primavera e l'estate del 1372, di fronte al crescente rischio di una guerra tra Venezia e Padova, il L. fu inviato come ambasciatore da Francesco il Vecchio presso il re d'Ungheria, ottenendo la promessa di un intervento a favore dei Carraresi; a seguito di questo successo e a testimonianza dell'organicità della famiglia Lupi al potere carrarese, nel luglio 1372 il L., Antonio e Simone figuravano nel Consiglio di guerra della signoria carrarese. Sempre in preparazione della guerra di confine del 1372-73 tra i Carraresi e la Serenissima, che si concluse per Padova con la sconfitta di Buonconforto e con un oneroso trattato di pace, il L. fu inviato a Bologna per cercare il sostegno del legato pontificio e in Toscana per arruolare la compagnia di John Hawkwood. Il L. fu catturato a Buonconforto e trattenuto prigioniero a Venezia fino al pagamento di un riscatto.
Insignito della cittadinanza padovana già prima del gennaio 1375, nel luglio del 1376 il L. fu posto da Francesco il Vecchio tra i negoziatori di una lega con Venezia contro il duca Leopoldo d'Austria. Nel 1378 fu mandato di nuovo in missione a Venezia prima dell'inizio della guerra di Chioggia, in cui l'alleanza tra Genova, Padova e il re d'Ungheria tentava un attacco contro la Repubblica, giungendo fino alla conquista di Chioggia e all'assedio di Venezia senza però saper sfruttare il successo, dissipato attraverso lunghe e contraddittorie trattative di pace che consentirono a Venezia di rilanciare una controffensiva efficace.
Nella fase finale della guerra il L. fu, con Giacomo Scrovegni e Paganino Sala, uno degli ambasciatori carraresi presenti agli incontri preliminari di Cittadella intrapresi l'8 giugno 1380, ma interrotti dai Veneziani già il 13 seguente in vista della resa di Chioggia del 24 giugno, che portò - con la pace di Torino dell'8 ag. 1381 - alla sostanziale riaffermazione tra le parti in lotta dello status quo ante.
Nella primavera del 1383 il L. fu, insieme con Paganino Sala e altri eminenti della cerchia carrarese, alle trattative ai massimi livelli con il duca d'Austria Leopoldo, cui i signori padovani cercavano di strappare Treviso con la forza; questa fu l'ultima missione diplomatica nota del L., prima che il duca Leopoldo si piegasse alla cessione per denaro della città della Marca ai Carraresi, nel gennaio 1384.
Nell'ambiente padovano il L. manifestò il suo interesse nei confronti delle fondazioni religiose per mezzo di una serie di donazioni a favore dei minori, degli olivetani di S. Maria della Riviera e, soprattutto, delle clarisse dell'Arcella Nuova, che beneficiò tramite concessioni molto consistenti a Volta Brusegana, Mandria, Abano e Torreglia tra il 1380 e il 1384.
Alla volontà del L. si deve la cappella funebre familiare di S. Giacomo, realizzata in una posizione di rilievo nella basilica padovana di S. Antonio e terminata prima del 23 apr. 1371. In essa le opere del pittore Altichiero, celebrato ritrattista della cerchia petrarchesca, e degli scultori Andriolo e Giovanni de' Santi rappresentano un programma di autocelebrazione iconografica del L. come "miles iam bello clarus et armis", della moglie Caterina Francesi, ma anche della corte carrarese, di Petrarca e del suo segretario Lombardo Della Seta, a sua volta legato al L. da strettissimi rapporti personali e patrimoniali (insieme compaiono in più documenti redatti tra 1378 e 1389, contenuti nel volume 407 dell'Archivio notarile, conservato presso l'Archivio di Stato di Padova, che raccoglie le imbreviature del notaio di fiducia del L., Andrea Codagnelli).
È però Firenze, città a cui rimase sempre legato - il 25 genn. 1369 gli fu riconosciuta la cittadinanza fiorentina, con particolari privilegi fiscali - e dove si radicò grazie al secondo matrimonio con Caterina Francesi, che in un primo momento rappresentò per il L. il luogo destinato al riposo definitivo. Dapprima egli aveva infatti chiesto il privilegio di poter collocare il proprio sepolcro nel battistero di S. Giovanni, ottenendo - nonostante le sue consistenti offerte economiche - un rifiuto, essendo la destinazione d'uso di un locale contenente un fonte battesimale canonicamente incompatibile con una funzione sepolcrale; in conseguenza di ciò, il L. optò per la costruzione della propria arca sepolcrale nella basilica di S. Antonio a Padova, ribadendo però la volontà di destinare un significativo lascito alla città di Firenze.
Con il testamento dell'11 giugno 1377 il L. istituì come erede l'arte dei mercanti di Calimala in favore di un ospedale da erigersi, volontà concretizzata già il 23 dicembre seguente con l'atto con cui i priori delle arti concedevano la licenza per la costituzione dell'ospedale di S. Giovanni Battista, da costruirsi in via S. Gallo per l'alloggio dei "pauperes infirmi" e che (detto poi correntemente "ospedale di Bonifazio") divenne nei secoli a seguire, oltre che luogo di rilevanti interventi architettonici e artistici, un importante punto di riferimento per l'attività d'assistenza e poi, dal XVIII secolo, l'ospedale manicomiale della città di Firenze. Dalla documentazione emerge con chiarezza la volontà del L., almeno in prima istanza, di costituire questa fondazione esclusivamente come patronato laicale, volontà riaffermata con un codicillo del 21 giugno 1378 in cui ribadiva il carattere esclusivo di "domus deputata ad hospitalitatem pauperum Christi".
La cura per questa fondazione pia non abbandonò più il L.: dopo l'interruzione nell'avvio delle operazioni dovuta al tumulto dei ciompi (1378), il 21 aprile e il 22 nov. 1380 il L. acquistò altri spazi edificabili per ampliare il complesso; il 17 luglio 1385, tuttavia, con un nuovo testamento stabilì che la fondazione fosse invece eretta in "locus religiosus" sottoposto alla giurisdizione dell'ordinario diocesano. È plausibile che a tale ripensamento non fosse estranea l'influenza di Lapo da Castiglionchio il Vecchio, autore di un Tractatus hospitalitatis per tanti aspetti rispecchiato nelle disposizioni date dal L. per il governo del suo ospedale, nonché avvocato concistoriale di papa Urbano VI; poiché questi, a propria volta, il 6 e il 12 febbr. 1386 accordò ampie indulgenze a chi visitasse gli altari della chiesa dell'ospedale bonifaciano e della cappella di S. Giacomo a Padova, si trattò probabilmente non di una coincidenza, bensì dei risultati dell'estensione di una solida rete di legami di amicizia e di influenza. In conseguenza di queste operazioni, la parte più importante della documentazione privata relativa al L. è confluita nella documentazione dell'ospedale e da qui nel fondo Diplomatico dell'Archivio di Stato di Firenze.
Nel frattempo, nell'ambito dei persistenti rapporti con l'area lombarda, il L. riuscì a ottenere da Gian Galeazzo Visconti la restituzione del feudo avito di Soragna a sé e alla sua famiglia, così che i Lupi poterono avviare nel 1385 la costruzione della nuova rocca, che divenne la dimora della famiglia.
Nel 1388 il L. fu per l'ultima volta a Firenze: il 10 giugno fu aperto l'ospedale e il 12 giugno il L. ottenne per esso l'approvazione di una serie di "capitoli" sottoposti al reggimento fiorentino per assicurare la sua migliore continuità funzionale, con ampie esenzioni e privilegi; in tale atto, tra l'altro, egli dichiarava esplicitamente di essere nell'età di 70 anni, notizia da cui si deduce la sua data di nascita.
Rientrato il 5 luglio 1388 a Padova - dove, dopo la morte di Simone e il trasferimento a Mantova di Antonio, il L. era rimasto l'unico esponente di rilievo della famiglia presso la corte carrarese -, stese il suo ultimo testamento con cui, in assenza di figli, garantiva lasciti alla moglie Caterina e nominava per il resto erede il nipote Ugolotto Biancardo, figlio della sorella Caterina, cui il 25 genn. 1386 aveva già ceduto le proprie insegne di guerra.
Il momento del ritorno del L. a Padova coincise con quello in cui la signoria carrarese stava per essere inesorabilmente schiacciata dalla pressione militare dei Visconti e di Venezia: inutile il tentativo di salvare il salvabile con la rinuncia al potere su Padova da parte di Francesco il Vecchio e la successione di Francesco Novello il 29 giugno 1388; tra l'estate e l'autunno seguenti, a fronte del sempre più stringente assedio, i Carraresi cercarono di finanziare la difesa della città cedendo i propri beni ai membri della loro cerchia. Il L. figurava tra gli acquirenti di primo piano per beni in Bovolenta e a Brugine per 16.000 ducati.
Quando, di fronte all'oramai incipiente sollevazione popolare contro i Carraresi, in novembre Francesco Novello chiese parere ai suoi più stretti collaboratori, e in particolare al L. come uomo "veio d'anni e di senno profondo e in lialtà e con utili consigli pasato hogn'altro cavalieri" (G. Gatari - B. Gatari - A. Gatari, p. 326), il L. sostenne con forza la necessità che Francesco Novello cedesse immediatamente il controllo di Padova a Gian Galeazzo Visconti. Francesco Novello abbandonò Padova il 24 nov. 1388, lasciando il L. tra i suoi luogotenenti al governo della città.
Tuttavia, nella situazione di crisi e di disordine in cui versava la città, e in cui il suo ceto dirigente cercava di garantire nello stesso tempo il passaggio del potere ai Visconti e la propria conservazione, il Consiglio degli anziani creato ex novo elesse proprio il L. come capitano del Popolo e responsabile della difesa della città: egli sembrò quindi qualificarsi come elemento organico del nuovo gruppo di potere della Padova divenuta viscontea, in cui molti filocarraresi di lungo corso si riproposero al servizio dei nuovi venuti. In questa circostanza il L. continuò a incrementare il proprio patrimonio attraverso speculazioni finanziarie e acquisti di immobili.
La conquista di Padova da parte dei Visconti era soltanto apparentemente salda: con l'appoggio di Firenze e di Venezia, ora timorose dell'espansionismo visconteo, Francesco Novello fu in grado di attaccare Padova e riprendere buona parte della città già il 19 giugno 1390. Il da Carrara fece prima contattare proprio il L., per proporgli di collaborare facendo aprire una breccia nelle mura adiacenti la sua abitazione, ma ne ricevette un rifiuto improntato a motivazioni di lealtà per principio ("Io non fuy mai traditore, e mentre io fuy al servixio dila caxa da Carara fuy lialle a loro, e così intendo de eser ala caxa di Visconti": G. Gatari - B. Gatari - A. Gatari, p. 418) che ne segnarono il destino. Infatti con il successo ottenuto dai Carraresi, che ripresero il controllo della città il 21 giugno, il L. fu costretto all'esilio il 3 agosto (non fu invece ucciso dallo stesso Francesco Novello, come vuole erroneamente molta tradizione erudita) salvaguardando l'incolumità personale, anche in virtù dell'intercessione del Comune di Firenze e di molti dei più influenti suoi concittadini. Ritiratosi con la moglie Caterina a Venezia, dove aveva acquisito alcune case fin dal 1387, il L. vi morì il 23 marzo 1391.
Il L. si era sposato due volte: la prima nel 1341 a Parma con Filippina di Ubertino Lupi di Soragna, che lo lasciò presto vedovo, e la seconda a Firenze, con la nobile senese Caterina di Antonio dei Francesi (o Franceschi) della Foresta, signori di Staggia. Sicuramente non lasciò figli, come si desume anche dalle sue disposizioni testamentarie; alcune notizie che asseriscono il contrario nascono dalla confusione con il Bonifacio Lupi figlio di Rolandino, suo omonimo e coevo cugino anch'egli attivo a Padova, con il quale si sono verificate ripetute sovrapposizioni di notizie. Anche la moglie Caterina, con testamento rogato il 19 luglio 1405 a Venezia, destinò tutti i suoi beni all'ospedale fiorentino di S. Giovanni Battista; dovettero invece attendere gli esiti del processo celebrato fra 1406 e 1408 (i cui atti si conservano nel volume 964 del fondo Ospedale civile, S. Francesco, presso l'Archivio di Stato di Padova) i rettori dell'ospedale fiorentino per rientrare in possesso dei beni padovani del L. usurpati dopo l'ultimo e definitivo esilio.
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