BONSIGNORI (Buonsignori)
Famiglia senese, fondò la cosiddetta "Gran Tavola" dei B., la più potente organizzazione bancaria europea del sec. XIII. Come le altre compagnie bancarie senesi, anch'essa si costituì nell'ambito di una comunione familiare, nucleo originario di una più vasta società, che raggiunse il suo massimo fulgore intorno al 1260.
Nuovi documenti d'archivio, che confortano alcune testimonianze cronachistiche, permettono ora di affermare che le origini della Gran Tavola - la cui attività mercantile sarebbe stata avviata, secondo M. Chiaudano (I Rothschild..., p.113), da una famiglia "molto modesta", senza "un grande patrimonio, né terre, né case" - sono da ricercare invece nelle iniziative commerciali di alcuni componenti di una ricca casata d'antica nobiltà feudale. I B., infatti, non avrebbero potuto dedicarsi a quell'attività così largamente remunerativa del traffico del denaro e del prestito ad usura senza le solide garanzie che ai terzi offrivano le loro proprietà immobiliari in Siena e nel contado. Sappiamo che nel periodo del loro splendore i B. possedevano i castelli e le terre di Monte Giovi, Monte Antico, Monteverdi, Montenero, Bagno Vignoni, Potentino, nonché alcune case, fondachi e mulini in Siena, e si può legittimamente presumere che buona parte di questi possessi fosse patrimonio della famiglia anche prima dell'inizio della sua fortunata attività bancaria. D'altra parte, il fatto che Bonsignore di Bernardo appaia nel 1203 tra i gestori della dogana del sale di Siena e di Grosseto e che il Comune di Siena non gli chieda nessuna garanzia, come invece pretende dagli altri soci (D. Bizzarri, Il monopolio del sale a Grosseto, in Bullett. senese di storia patria, XXVII [1920], pp. 372-380), dimostra che la sua posizione finanziaria doveva essere sufficientemente solida; come il fatto che, all'arrivo dell'imperatore Ottone IV a Siena nel 1207, i B., "e quai erano valenti uomini", stessero "in ponto con arme e con chavagli se bisognio alchuno avenisse" (Cronacasenese di autore anonimo del secolo XIV, in Rerum Italicarum Scriptores, 2 ediz., XV, 6, a cura di A. Lisini e F. Iacometti, p. 42) conferma la loro nobile origine e, di nuovo, la loro ricchezza.
Andrea Dei, nel suo Chronicon senense (in Rerum Italicarum Scriptores, XV, Mediolani 1729, col. 20), fa risalire la formazione della compagnia al 1209 ed è probabile che proprio in quell'anno i B. - da tempo negli affari - abbiano allargato il cerchio della loro attività associandosi con persone estranee alla famiglia. La grande fortuna della compagnia inizia però con i figli di Bonsignore, Bonifazio ed Orlando, i cui nomi appaiono nei registri pontifici a partire dal 1235. Da questa prima collaborazione, sotto il pontificato di Gregorio IX, fino al tramonto del secolo XIII, la Camera apostolica si servì, infatti, dei B. come dei più esperti e sicuri dei suoi "campsores", di quei mercanti cioè, che non solo cambiavano i denari delle decime e dei censi riscossi dal Papato, riducendoli ad un'unica valuta, ma fungevano daveri e propri banchieri, ai quali la Curia romana si rivolgeva per i prestiti di cui aveva immediato bisogno, affidando loro come corrispettivo il compito di riscuotere i tributi a lei dovuti in determinati luoghi e di ritenerne l'importo a saldo o garanzia.
La compagnia dei B., trasformata e ampliata, assunse intorno al 1250 una posizione di assoluto predominio presso la corte pontificia, e tale posizione mantenne anche dopo la battaglia di Montaperti (1260), cui partecipò Orlando, rimasto solo alla testa della compagnia dopo la morte di Bonifazio, avvenuta nel 1255. Ma la palese prova di ghibellinismo offerta da Orlando e l'interdetto lanciato su Siena da Alessandro IV crearono solo un breve imbarazzo per la compagnia, che fu immediatamente esclusa dalle sanzioni economiche decretate da Urbano IV nel gennaio 1262, intese ad impedire il saldo di ogni credito dei mercanti senesi. La Curia, evidentemente, non si poteva privare di uno strumento così prezioso, ed anzi, per ordine dello stesso Urbano IV, la compagnia dei B. divenne, nel 1263, unica depositaria di tutte le somme raccolte dai collettori pontifici. Inoltre, le indecisioni politiche della Repubblica di Siena favorivano i compromessi e un banchiere audace e senza scrupoli come Orlando, che ricopriva un ruolo di primo piano nell'amministrazione della città, si trovò a finanziare - quasi contemporaneamente - la spedizione di Carlo d'Angiò e i fuorusciti ghibellini senesi.
La varietà, quantità ed importanza degli affari trattati dalla compagnia dal 1261 al 1292 sono abbondantemente documentate, e non solo nei registri pontifici: tutte le risorse dell'"arte di mercantia" - soprattutto per quanto riguarda le operazioni bancarie - furono infatti sfruttate, operando alacremente i B. attraverso le loro succursali, di cui le più importanti furono quelle di Roma, Genova, Parigi, Londra, Marsiglia e della Champagne. Durante gli anni di collaborazione col Papato i B., secondo una statistica condotta da Y. Renouard (p. 570), si trovarono sempre al primo posto nelle preferenze della Camera apostolica fino al 1270. Sotto Gregorio X si rileva una loro flessione, data la preferenza accordata da quel papa agli Scotti di Piacenza, suoi compatrioti. Con Giovanni XXI riprendono il loro posto, ma ormai la concorrenza dei banchieri fiorentini, lucchesi e pistoiesi si fa pressante ed anche per la potente compagnia senese - che, fra l'altro, ha perso la guida sicura e spregiudicata di Orlando, morto fra il 1272 e il 1273 - cominciano le difficoltà ed il lento ma progressivo decadimento. Subito dopo la morte di Orlando, infatti, due dei soci, Ristoro e Fazio di Giunta, abbandonano la compagnia ritirando i loro capitali. Un anno più tardi, nel 1274, la riforma costituzionale attuata dai XXXVIgubernatores populi et comunis Senensis impone l'esclusione dal governo degli appartenenti alla nobiltà feudale, fra cui come ribadisce un atto ufficiale del 1277 il casato dei Bonsignori.
I mercanti senesi "di mezzana gente" erano dunque riusciti a sbarazzarsi dei magnati, dei cavalieri e dei loro alleati popolari e piccoli borghesi, e si avviavano a dominare la città - con il governo dei Nove - fino al 1355. Il culmine dell'attrito fra i B. e i mercanti guelfi che avevano preso il potere fu raggiunto nel luglio 1281, quando Niccolò, figlio di Bonifazio, tentò un colpo di mano su Siena, a capo di un centinaio di ghibellini fuorusciti e con l'appoggio del conte Aldobrandino di Santa Fiora. Il colpo di mano fallì e il Comune di Siena fece demolire le mura di Montefollonico, Sant'Angelo in Colle e Monticiano, i cui abitanti erano colpevoli di aver dato asilo ai ribelli. Cinque anni dopo i fuorusciti ghibellini - e fra essi Niccolò B. - rientrarono in Siena, dopo un accordo col governo guelfo.
Nel 1289, liquidata la vecchia compagnia, se ne formò un'altra, detta "Società dei figli di Bonsignore". Ma la discordia sopravvenuta fra i soci estranei alla famiglia B. e questi ultimi, accusati di voler accentrare nelle loro mani la direzione della società, portò, nonostante il tentativo di un accordo triennale firmato nel 1292 e i buoni uffici interposti da Bonifacio VIII, alla crisi scoppiata l'8 ag. 1298, quando alcuni soci estranei alla famiglia B. chiesero al Comune d'intervenire presso i creditori della compagnia per ottenere una moratoria, lamentando la difficoltà di riscuotere i crediti sparsi per ogni dove, le discordie interne della società e l'invidia di alcune persone, la cui identità non fu specificata nel testo della petizione, ma che è facile immaginare come mercanti concorrenti o nemici politici dei B., probabilmente ispirati dai Nove. Il Comune non adottò alcun provvedimento, limitandosi ad incaricare i Nove e i consoli di Mercanzia di procurare un accordo fra i soci, applicando il principio della responsabilità solidale e Wimitata. L'accordo fu raggiunto nel dicembre dello stesso annoe il Comune si impegnò a farlo rispettare dai soci, minacciando una multa a carico degli inadempienti. Ormai, però, la situazione della compagnia era irrimediabilmente compromessa, e nel 1301 alcuni banchieri fiorentini, tra cui i Cerchi, gli Acciaiuoli, i Mozzi e i Bardi, chiesero ed ottennero dal Comune di Siena il sequestro dei beni della compagnia fino alla concorrenza del debito. Contemporaneamente, a causa delle insolvenze della compagnia, iniziarono ovunque le rappresaglie contro i mercanti senesi e il Consiglio generale ordinò il sequestro di tutti i beni dei B., che furono banditi e condannati, e affidò ai consoli di Mercanzia la liquidazione della società. Nel corso della procedura fallimentare gli ex soci sistemarono molti creditori con successive transazioni e risarcirono anche quei mercanti senesi che, trovandosi in Francia, avevano dovuto saldare un grosso debito, contratto a suo tempo dai B. con Filippo il Bello.
Esaminando gli sviluppi di questo fallimento è necessario sempre tener presente quanto affermarono i soci firmatari della petizione del 1298, e cioè che la compagnia "non fallit nec fallere potest propter impotentiam sed propter eorum discordiam et propter illos qui optent dicte societatis destructionem". A parte, infatti, l'ardore politico che ancora animava alcuni B. nonostante l'avversa fortuna (in particolare Niccolò), i saldi dei creditori e le transazioni di cui è rimasta notizia dimostrano che il fallimento della compagnia non aveva intaccato le sostanze della famiglia, come invece accadrà con i fallimenti dei Mozzi, dei Frescobaldi, degli Scali, dei Bardi e soprattutto dei Peruzzi.
Anche la Camera apostolica, dopo molti anni, riuscì a recuperare parte dei crediti che aveva con la compagnia. Infatti, dopo il tentativo di Clemente V, che nel 1307 aveva fatto sequestrare i beni dei B. in Inghilterra e aveva reclamato le somme che il Comune di Cambrai doveva a Niccolò, Clemente VI nominò una commissione con l'incarico di procedere contro gli eredi B. per il pagamento di un credito - forse di 80.000 fiorini - risalente al tempo di Niccolò IV. Non avendo ottenuto la richiesta collaborazione del Comune senese per l'esazione del credito, i commissari pontifici, il 18 nov. 1345, scomunicarono la balia, il capitano e il consiglio del Comune, pronunciando l'interdetto sulla città. I pericoli che queste sanzioni costituivano per il commercio senese costrinsero il Comune a trattare e gli eredi dei soci della Gran Tavola si obbligarono - in seguito ad un accordo stilato il 25 aprile 1347 - a versare 16.000 fiorini in otto anni a partire dal 1349. Così, il 1º maggio di quell'anno, fu tolto definitivamente l'interdetto sulla città e gli eredi dei soci B. continuarono - almeno fino al 1353 - a pagare le loro rate secondo la transazione concordata.
Fonti e Bibl.: Ai documenti citati dagli autori che si sono occupati della compagnia B. sono da aggiungere anche i seguenti: Arch. di Stato di Siena, Particolari 5(famiglia B.); Pergamene Tolomei, 1351 genn. 11 (pagamento della 4ª rata della somma dovuta alla Curia romana dagli eredi dei soci della Magna Tavola);Firenze, Bibl. Moreniana, mss. Pecci 85: G. A. Pecci, Albero della famiglia B., cc.30v-32, 37-38v. Per la bibl. si rimanda ai fondamentali lavori di M. Chiaudano, Studi e documenti per la storia del diritto commerciale italiano nel sec. XIII, Torino 1930, pp. 1-44, 114-131; e IRothschild del Duecento. La Gran Tavola di Orlando B., in Bullett. senese di storia patria, XLII (1935), pp. 103-142, aggiornati con Y. Renouard, Les relations des papes d'Avignon et des compagnies commerciales et bancaires de 1316 à1378, Paris 1941, pp. 90-95, 576-583; A. Sapori, Le compagnie mercantili toscane del Dugento e dei primi del Trecento (la responsabilità dei compagni verso terzi), in Studi di storia economica medievale, Firenze 1946, pp. 327-370; Id., Le marchand italien au Moyen Age, Paris 1952, pp. XII-XIV, XXXIII, XXXV, LIV, LXIV; G. Martini, Siena da Montaperti alla caduta dei Nove (1260-1355), in Bullett. senese di storia patria, LXVIII (1961), pp. 97-101, 112-114; G. Bigwood-A. Grunzweig, Les livres des comptes des Gallerani, II, Bruxelles 1962, pp. 43, 45, 47, 143 s., 214; R. de Roover, The Organisation of Trade, in TheCambridge Economic History of Europe, III, Cambridge 1965, pp. 67, 70 s., 74 s.