Bonvesin da la Riva
Scrittore lombardo (Milano circa 1245 - ivi ante 1315), una delle personalità più interessanti della cultura settentrionale predantesca, autore di un buon numero di opere didascalico-morali in volgare (sei ‛ contrasti ', dieci volgari narrativi e due volgari didattici); è stato più volte citato tra i cosiddetti ‛ precursori ' di D. per alcune simmetrie e strutture chiaramente intenzionali che egli mostra di avere adottato nel più noto dei suoi volgari narrativi, il Libro delle tre scritture, e che solo vagamente possono però accostarsi alla concezione dantesca dell'aldilà quale appare delineata nella Commedia.
Il Libro ha le caratteristiche di un vero e proprio poemetto (2108 versi) diviso in tre parti: nella " scriptura negra " Si descrivono le " dodexe pene de lo inferno " (v. 15); nella " rossa si determina de la passione divina, / de la morte de Yesù Cristo, fiolo de la Regina "; la " dorata ", infine, " Si dixe de la corte divina, / zoè de le dodexe glorie de quella terra fina " (vv. 17-20). Dodici sono le pene che B. descrive, traendole per lo più da altre opere escatologiche o inventandole come terribili torture atte a spaventare l'ingenuo lettore: fuoco che brucia avari e lussuriosi, " puza grande " per coloro che vissero " vita guasta ", ghiaccio eterno per chi restò freddo al richiamo di una santa vita, vermi velenosi che rodono chi in vita ingannò o profittò del prossimo, la vista di orribili demoni per chi si dilettò di leccornie e belle donne, urla pianti e frastuono per coloro che disertarono le prediche per ascoltare " le mate delectanze " (tra le quali sono annoverati anche " li cunti de Rolando "); coloro che " altrui rodeva al mondo, mordeva e percotiva " vengono tagliuzzati dai demoni " come fano li becari mondani de li porci e de li montoni "; i golosi soffrono fame e sete, i vanitosi son vestiti d'abiti di spine velenose e giacciono in letti di ferri appuntiti e roventi con materassi di scorpioni, bisce e zolfo; chi non si curò che del proprio corpo è preda delle più terribili malattie, chi non credette in Cristo è dannato alla contemplazione della gioia eterna dei beati; chi restò infine legato ai beni mondani soffre della consapevolezza che la sua pena durerà in eterno.
Alle dodici pene della " nera " si oppongono, quasi sempre simmetricamente, le dodici beatitudini della " scriptura dorata ":bellezza della " città soprana ", " odore suave ", grande ricchezza e onori, gioia di aver abbandonato la " persona mundana ", bellezza " de li angeli placenti ", canti " stradolcissimi ", l'essere serviti da Cristo stesso, cibi ricchi e gustosissimi, vesti preziose, bellezza e " pura claritade " del giusto, gioia d'essere scampati ai tormenti infernali, certezza di restare in paradiso per l'eternità.
Tra le due parti si inserisce, come si è detto, la " scrittura rossa ", il racconto della Passione, ove si trovano talora punte di alta drammaticità.
Sembra avvicinare B. a D. anzitutto la tripartizione del poemetto (cfr. De Bartholomaeis, Il libro delle tre scritture, Roma 1901, 21: " È questa la prima trilogia veramente organica che abbia la nostra letteratura... È questa di Bonvesin la prima composizione didattica, nella quale, vuoi pel principio che l'informa, vuoi per la configurazione esterna, vuoi pel rapporto indissolubile tra forma e contenuto, si può dire che se n'intravveda [della Commedia] quasi l'embrione "): analogia peraltro apparente, giacché se la prima e la terza " scriptura " potrebbero ‛ topograficamente ' corrispondere all'Inferno e al Paradiso, nella seconda non è trattato il Purgatorio, che anzi neppure viene nominato nel corso di tutto il poemetto - il che ha suggerito l'idea di accostare B. alle correnti patariniche della sua epoca -, e si tratta inoltre di una divisione già presente, tanto per fare un esempio, in Giacomino da Verona. Né assai più probanti appaiono le generiche somiglianze di alcune pene e beatitudini, che a un'attenta ricerca si rivelano topiche di molta letteratura escatologica precedente; né l'esplicito riferimento alla legge del ‛ contrappasso ' (" Lì ge sostene li miseri de tute guixe tormenti, / e hano tuto lo contrario de quilli delectamenti / ... Li peccatori tristissimi illoga [" colà "] fin pagadi / segondo le opere proprie de tuti li soy peccadi; / de tuto lo contrario illoga fin desconsoladi, / azò ke le pene respondeno a tuti li soy peccati ", vv. 289-296); né i vv. 571-572, in cui il numero dei peccati è in relazione con i giri di catena coi quali i demoni legano i peccatori; né infine la presunta, e del tutto casuale, analogia tra il demonio del ‛ contrasto ' de Sathana cum Virgine e il diavolo loico di D. (If XXVII 113 ss.).
Solo in senso molto lato, dunque, B. può essere considerato un ‛ precursore ' di D.: non è del resto neppure nominato nel migliore degli studi sull'argomento, la conferenza (1874) di A. D'Ancona (rist. in Scritti danteschi, Firenze 1912, 1-108). Se pure vi è qualche coincidenza formale, scopo didattico immediato e statura artistica, mondo morale e ingenuità dimostrano chiaramente l'assoluta mancanza di un qualunque legame diretto tra i due poeti.
Bibl. - E.G. Parodi, in " Bull. " X (1902-03) 78-79; Zingarelli, Dante 836-837; F. De Sanctis, Storia della letter. italiana, a c. di G. Lazzeri, Milano 1940, 137-143; L. Russo, Ritratti e disegni storici, serie I, Firenze 19603, 131-144; E. Ragni, B. da la R., in Dizion. storico-critico della letter. ital., Torino.