PETRUCCI, Borghese
PETRUCCI, Borghese. – Nacque a Siena nel 1490 da Pandolfo Petrucci e da Aurelia Borghesi (o Borghese), membri di due delle famiglie più autorevoli della città e del Monte dei nove, il raggruppamento politico-territoriale che dal 1487 aveva esercitato un influsso preponderante sulle scelte adottate dalla Balìa e dagli altri organi di governo della Repubblica, il Concistoro e il Consiglio del Popolo. Per volontà del nonno, Niccolò Borghesi (o Borghese), uomo di cultura ed esponente di primo piano della vita politica senese, Borghese ricevette il nome di battesimo di un parente morto il 24 settembre del suo stesso anno di nascita.
A quell’altezza cronologica, i rapporti di Borghesi con il genero Pandolfo Petrucci, l’uomo emergente della vita politica senese, erano improntati a una proficua collaborazione in vista di comuni interessi fazionari e poco lasciava presagire i contrasti che sarebbero sorti nell’arco di un decennio, né tanto meno il drammatico epilogo che maturò nel 1500 con l’omicidio di Niccolò da parte, come in molti credettero, di sicari al soldo proprio di Pandolfo. Con l’eliminazione del suocero e di altri influenti oppositori, tra i quali Lucio Bellanti, al principio del XVI secolo Pandolfo Petrucci assurse a una posizione dominante nel contesto di un quadro istituzionale formalmente ancora ispirato a norme e ideali grazie ai quali nel Medioevo Siena si era dotata di un sistema di governo ‘largo’, ad ampia partecipazione popolare, ma che in realtà appariva ormai avviato verso un’evoluzione in senso oligarchico-signorile, destinata a trovare infine il proprio compimento con la caduta della Repubblica nel 1555.
A questo lungo processo Borghese Petrucci prese parte attivamente in un frangente dei più delicati, quello riguardante la successione a Pandolfo Petrucci. Nel momento in cui decise di ritirarsi a vita privata, infatti, quest’ultimo designò il figlio proprio erede politico, affidandogli la responsabilità di mantenere vivo il complesso intreccio di relazioni diplomatiche, interessi commerciali e strategie di governo che avevano garantito al suo potere una base eccezionalmente ampia, stratificata e, in una certa misura, trasversale alle tradizionali divisioni tra monti. Per legittimare agli occhi della città la propria scelta, il 6 febbraio 1512 Pandolfo ottenne il riconoscimento di Borghese, ormai ventunenne e dunque maggiorenne, quale risieduto di Balìa. Tre anni prima, nel 1509, il giovane aveva preso in sposa Vittoria Piccolomini, nipote del defunto pontefice Pio II. Da lei ebbe alcuni figli maschi che non gli sopravvissero e quattro femmine, tra le quali una Giulia che sposò nel 1531 Enea Borghesi (o Borghese) e un’altra che si unì nel 1524 a Giacomo di Giovan Francesco Petrucci.
Il fratello minore di Petrucci, Alfonso, era stato invece creato cardinale nel 1511 dal pontefice Giulio II Della Rovere che aveva in questo modo convinto l’anziano Pandolfo a desistere dal negare a Firenze la restituzione di Montepulciano. Fu soprattutto al suo consiglio che Petrucci si rivolse per il governo di Siena, in particolare dopo la morte di Pandolfo (21 maggio 1512). La scomparsa del padre, del quale si disse Petrucci avesse ereditato la spietata determinazione, ma non l’intelligenza politica, proiettò precocemente il giovane moderatore della Repubblica di Siena su uno scenario politico-militare particolarmente accidentato.
In seguito agli accordi di Blois tra francesi e veneziani, si profilava infatti all’orizzonte la ripresa della guerra tra il Regno di Francia e la monarchia spagnola per il controllo della penisola. Inoltre, l’elezione al soglio pontificio di Giovanni de’ Medici (Leone X) nel marzo 1513, pure appoggiata da Alfonso Petrucci nella speranza di ottenere dal nuovo papa la garanzia del rispetto del regime di Borghese, poneva la Repubblica in una posizione alquanto delicata. Trovandosi a controllare lo Stato pontificio oltre che il territorio di Firenze, infatti, mai come in quel momento i Medici avvertivano l’esigenza di controllare Siena e la Val di Chiana al fine di assicurare la continuità territoriale tra Firenze e Roma.
In tale contesto, Petrucci agì in sostanziale continuità con la politica paterna, mantenendosi fedele all’alleanza con la Spagna recentemente stipulata e all’intesa con le medie potenze signorili umbro-marchigiane (Città di Castello, Perugia, Urbino) le quali, al pari di Siena, si sentivano minacciate dall’espansionismo mediceo-pontificio e dalle ambizioni italiane dei regni di Francia e di Spagna. Nel febbraio 1516, inoltre, assicurò il proprio sostegno a Massimiliano I d’Asburgo, imperatore del Sacro Romano Impero cui Siena era legata da vincolo feudale, in relazione alla sua prevista discesa in Italia. Quest’ultima iniziativa, tuttavia, acuì i sospetti di Leone X, il quale già in occasione di un incontro avuto con Petrucci a Bolsena nel novembre 1515 aveva maturato la convinzione che il figlio di Pandolfo Petrucci non avrebbe facilmente avallato i piani egemonici dei Medici sulla Toscana. Considerando anche il supporto offerto a Petrucci dai Baglioni di Perugia, il pontefice iniziò a meditare seriamente un’azione militare contro Siena al fine di porre fine allo sgradito governo di Borghese e di stroncare sul nascere la possibile formazione di un coeso blocco antifiorentino e antipontificio nell’Italia centrale. Ancor prima di papa Medici, tuttavia, a prendere l’iniziativa fu il suo più fedele alleato tra i senesi, il vescovo di Grosseto Raffaele Petrucci, cugino di Alfonso e Borghese (era figlio del fratello maggiore di Pandolfo, Giacoppo). Con il sostegno di Giulio Bellanti e di altri fuoriusciti, ai primi di marzo del 1516 egli mosse su Siena da Roma, mettendo in atto un colpo di Stato preventivo, finalizzato ad abbattere il regime di Borghese ma anche, al contempo, a scongiurare un intervento diretto di Leone X, che avrebbe potuto comportare la fine della già in parte compromessa libertà di Siena.
Petrucci reagì alla minaccia inviando a Firenze un emissario e invocando il rispetto da parte dei Medici della lega venticinquennale siglata nel 1512. Il 9 marzo, tuttavia, si vide costretto a lasciare Siena e a prendere la via dell’esilio insieme al fratello minore, Fabio. Il giorno seguente, Raffaele Petrucci entrava in Siena e dava vita a un governo filomediceo che tra le prime misure votò la confisca dei beni dei figli di Pandolfo. Bandito da Siena, entro il maggio 1516 Petrucci trovò rifugio a Napoli, dove, grazie al favore degli Aragona, conseguì poi il titolo di barone. Morì, nella stessa Napoli, probabilmente nel 1526.
Fonti e Bibl.: Biblioteca apostolica Vaticana, Chig., R.III.70, cc. 5v-6r; Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, 109; Archivio di Stato di Siena, Balìa, 57, 59, 64; Particolari Famiglie Senesi, 146; Siena, Biblioteca comunale degli Intronati, Mss., B.III.11-12: S. Tizio, Historiae Senenses (secolo XVI).
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