BORGHESE
Famiglia romana, originaria di Siena, dove i suoi membri sono ricordati fino dalla prima metà del sec. XIII come magistrati, come ambasciatori, capitani e soprattutto come giuristi. Un Agostino B. fu incaricato di missioni varie; fra le altre, di una all'imperatore Sigismondo, dal quale fu fatto cavaliere, con diritto di portare un'aquila nell'arma. Un Galgano rappresentò la sua città natia in Roma, alla fine del pontificato di Niccolò V, e nel 1456 fu inviato a Napoli come ambasciatore. A Roma, i B. cominciano a metter piede già ai primi del sec. XVI, quando un Pietro B. fu nominato senatore da Leone X (1516) e un Giambattista si trovò a prender parte, sotto Clemente VII, alla disgraziata difesa contro le truppe del Borbone nel 1527. Ma quello che trapiantò definitivamente la famiglia fu il noto giureconsulto Marcantonio (1504-74), che circa la metà del sec. XVI, sospinto anche dalle turbolenze che in quel tempo affliggevano Siena, si trasferì in Roma, divenne apprezzatissimo avvocato concistoriale e poi decano del collegio, e, presa in moglie Flaminia, della vecchia famiglia romana degli Astalli, dalla quale ebbe sette figli, diede così principio al ramo romano dei B. Primogenito di Marcantonio fu Camillo che, divenuto cardinale e poi papa col nome di Paolo V (v.; 1605-21), portò di colpo la sua famiglia fra le maggiori di Roma. Sono note le larghezze che Paolo V usò verso i suoi congiunti: verso i fratelli Francesco e Giambattista, l'uno fatto generale di S. Chiesa, l'altro castellano di Castel S. Angelo e colmati tutt'e due di ricchezze; più ancora verso i nipoti Marcantonio e Scipione. Quest'ultimo (1576-1633) era figlio di una sorella di Paolo V, sposata a Francesco Caffarelli; ma, adottato dal pontefice e da lui fatto cardinale, assunse il nome e le armi dei B. e con questo nome egli rimase conosciuto.
Marcantonio (1598-1658), figlio del fratello di Paolo V, Giambattista, era l'unico nipote che potesse continuare la famiglia B. Il papa prese personalmente cura della sua educazione; gli ottenne da Filippo III re di Spagna il principato di Sulmona e il titolo di grande di Spagna; gli donò (1613) il grande palazzo in Campomarzio ch'egli, da cardinale, aveva acquistato dagli eredi del cardinale Deza e compiuto poi coi disegni di Flaminio Ponzio e C. Maderno; infine, gli preparò un gran matrimonio con Camilla Orsini, figlia di Virginio, celebrato il 19 ottobre 1619, con straordinaria pompa, nella cappella Paolina al Quirinale. Mortogli il padre, morto lo zio Francesco senza prole (1620), morto il cardinal Scipione (1633), Marco Antonio raccolse l'eredità di tutti, e quella privata del pontefice. Con gli acquisti fatti personalmente, e con i beni a lui pervenuti a titolo ereditario, egli si trovò a essere il maggiore dei proprietarî fondiarî del Lazio, prendendo ivi il posto che fin allora avevano tenuto le vecchie famiglie principesche degli Orsini e dei Colonna. Alla sua morte, a prescindere dai beni mobili, dai tesori d'arte che aveva raccolti, dal grande palazzo di Campomarzio, dalla villa Pinciana e dal principato di Sulmona che possedeva nel regno di Napoli, la famiglia B., solo entro i confini del Lazio, disponeva delle proprietà seguenti: Terre di Mentana e Palombara, che da sole erano state acquistate rispettivamente per una somma di 352 e 375 mila scudi, e di cui la seconda portava con sé il titolo di duca; terra di Canemorto, castelli di Vivaro, Vallinfreda, Scarpa, ecc.; terra di Morlupo; castello di Pratica; terra di Montefortino; terra di Norma; terra d'Olevano; Torre Tarquinia e piano d'Arcione in territorio di Corneto; terre di Montecompatri e Monteporzio, con la villa di Mondragone; villa Tuscolana e villa Borghese. Oltre a ciò, il figlio di Marcantonio, Paolo (1725-46), premorto al padre, sposando Olimpia, unica erede Aldobrandini, aveva aumentato ancora più la ricchezza della famiglia, portandovi anche il titolo di principe di Rossano.
La famiglia ebbe ancora cardinali: Pier Maria (1509-1642) del ramo di Siena, Francesco (1697-1759) e Scipione (1734-82); e seguitò sempre a distinguersi per la sua straordinaria magnificenza. Di Marcantonio III (1660-1729), che fu anche vicere di Napoli, rimase memorabile un ricevimento dato nella sua villa di Carroceto (1698) a Innocenzo XII, che si recava ad Anzio a visitare i lavori del nuovo porto. Rappresentante tipico di questa tradizione fu anche Marcantonio IV (1730-1800), nipote del precedente, che, durante la repubblica romana, fu senatore per il dipartimento del Clitunno e rimase ed è tuttora in Roma sinonimo di magnificenza. Protettore delle arti, rinnovò la villa Pinciana, secondo il gusto del tempo, aggiungendovi opere architettoniche, monumenti, una chiesa, la fontana dei cavalli marini, il cosiddetto giardino del lago, un ippodromo - piazza di Siena -, il museo Gabino, di cui E. Q. Visconti fu illustratore in un volume (1797) pubblicato a tutte spese del principe. Figlio di lui fu Camillo (1775-1832). Aperto alle nuove idee liberali, egli passò in Francia, sposò (1803) Paolina Bonaparte vedova del generale Leclerc e militò sotto Napoleone, fino a raggiungere il grado di generale di brigata. Per poco fu anche duca di Guastalla e poi dignitario dell'impero e governatore dei dipartimenti francesi in Italia, Piemonte e Genovesato: per cui mise la sua residenza e tenne splendida corte a Torino. È noto come, con la minaccia di un preteso sbarco della flotta inglese a Roma, egli venisse indotto o costretto dal cognato imperatore a vendergli per il museo imperiale gli oggetti d'arte della villa Pinciana, compreso il museo Gabino: perdita ch'egli, seguita la restaurazione, non riuscì a riparare e a cui cercò un compenso nei nuovi abbellimenti recati alla villa e nell'ingrandimento suo fino davanti alla porta del Popolo.
Morto Camillo a Firenze senza prole, gli successe il fratello Francesco (1776-1839). Recatosi anch'egli in Francia, alla corte di Napoleone, aveva militato con onore, meritando il grado di generale, ed era stato nominato scudiere della casa dell'imperatrice. Come secondogenito, egli portava già il titolo di principe Aldobrandini, riconosciuto alla famiglia B. dopo la lite vinta (1769) per il fidecommesso Aldobrandini che, per disposizione testamentaria del cardinale Ippolito, portava, col godimento, l'obbligo di assumere il cognome Aldobrandini. Inoltre, alla morte del fratello Camillo, egli veniva ad aggiungere al titolo di principe B. anche quello di duca Salviati, titolo entrato nella famiglia in seguito al matrimonio di Marcantonio IV, su ricordato, con Anna Maria Salviati, morta nel 1819. Non volendo pertanto che alcuna di queste tre illustri famiglie avesse ad estinguersi, dispose che il suo primogenito, D. Marcantonio V (1814-1886) fosse principe B. e avesse i titoli dei primogeniti di casa Aldobrandini, che il secondogenito D. Camillo (1816-1902) fosse principe Aldobrandini con i titoli dei secondogeniti della casa e finalmente che il terzogenito, D. Scipione (1823-1892) fosse duca Salviati. A questo patto e in tal modo, vennero proseguite, e si mantengono in realtà da un unico B., le tre grandi famiglie romane.
La linea di don Marcantonio V si è divisa a sua volta in due rami, iniziati da due dei suoi sette figli: 1. da Paolo (1845-1920), il ramo che mantiene il cognome di Borghese col titolo principale di principi di Montecompatri; i titoli di principe di Vivaro, di Sant'Angelo e di San Paolo, di duca di Bomarzo, di principe di Nettuno ecc., sono portati per cessione avvenuta nel 1903 e 1907, dai figli cadetti e dai loro discendenti; 2. da Giulio (1847-1914) il ramo che porta dal 1875 il cognome di Torlonia principi di Fucino, duchi di Ceri, marchesi di Romavecchia, in seguito al suo matrimonio con Anna Maria Torlonia, unica erede del ramo dei Torlonia principi di Fucino.
Delle donne di casa B., vanno ricordate Camilla nata Orsini, che, rimasta vedova di Marcantonio I, si ritirò in convento e fu poi, per la sua santa vita, dichiarata venerabile; Adelaide nata La Rochefoucault, moglie di Francesco principe Aldobrandini, che in Roma e in casa sua fondò una scuola per le fanciulle; e soprattutto Guendalina nata Talbot, preclara per carità e soavità di costumi.
La crisi economica che infierì in Italia, e a Roma, più che altrove, nell'ultimo decennio del sec. XIX portò un grave colpo anche alla fortuna, che sembrava incrollabile, della famiglia B. La biblioteca andò dispersa (1891); l'avito palazzo venduto; i manoscritti, insieme con l'archivio, passarono alla biblioteca vaticana, mentre lo stato italiano (1901-02) acquistava la raccolta di statue, la galleria di quadri, e consegnava alla città di Roma, come parco pubblico, la villa famosa fondata dal cardinale Scipione.
Arma: troncata, nel 1° d'oro all'aquila di nero coronata d'oro, nel 2° d'azzurro al drago d'oro con la coda recisa.
Bibl.: G. B. Chiodino, Della nobiltà Burghesia romana, Macerata 1619-20; G. Gigli, Diario sanese, Lucca 1723, I; Moroni, Dizion., VI, 37; P. E. Visconti, Città e famiglie dello stato pontificio, III, pp. 913-85; Amayden, Storie delle famiglie romane, ed. Berrini, Roma 1915, I, 171; Pastor, Geich. der Päpste, XII, pp. 31-54 e passim; Orbaan, Documenti sul barocco in Roma, Roma 1920, passim; L. Vicchi, Villa Borghese, Roma 1885.