Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Rispetto alla Gran Bretagna, alla Germania e alla Francia, in altri Paesi europei quali l’Italia, la Russia e l’Austria-Ungheria il processo di affermazione delle borghesie inizia soltanto nell’ultimo quarto dell’Ottocento e avviene comunque nell’ambito di una società che vede la persistenza di mentalità, istituzioni e meccanismi economici tipici dell’ ancien régime.
Il quadro generale
I profondi cambiamenti che la rivoluzione industriale inglese e la Rivoluzione francese producono nella struttura sociale ed economica di Francia e Gran Bretagna, e in buona parte della Germania, non comportano affatto la scomparsa delle categorie più tradizionali; si verifica invece una crescente differenziazione, in virtù della quale l’affermarsi di nuove figure non avviene sempre e comunque a detrimento di altre. Dunque, a fine Ottocento, la società di questi Paesi si presenta molto più variegata e frammentata rispetto a un secolo prima e appare plasmata dalle differenti borghesie.
Nella fascia geografica delimitata dalle Alpi e dal bacino del Mediterraneo a occidente, dal Volga e dagli Urali a oriente, le dinamiche del cambiamento si innescano con ritmi e modalità differenti rispetto alla Gran Bretagna, alla Germania e alla Francia. In Italia, in Russia e in Austria-Ungheria, infatti, fino all’ultimo quarto del secolo l’ammodernamento del settore agricolo non è altrettanto intenso, né l’applicazione della tecnica alle imprese così rapida o lo sviluppo delle attività terziarie ugualmente deciso. Nelle campagne, ben oltre la metà del XIX secolo, prevale la figura del grande proprietario aristocratico che, pur non conducendo direttamente i propri fondi, ne percepisce i redditi. Il legame tra il mondo rurale e la città più vicina mantiene i caratteri di un’osmosi governata dai circuiti tradizionali del consumo piuttosto che da nuovi fattori produttivi. Le industrie non riescono a uscire dalla loro dimensione artigianale e, quando ciò avviene, il salto di qualità dipende dall’indispensabile sostegno statale in favore dei pionieri dell’industrializzazione. Alla figura dell’imprenditore privato si affianca dunque quella onnipresente del funzionario statale, preposto al controllo e alla destinazione degli investimenti pubblici.
In Italia, in Russia e in Austria-Ungheria, la debole presenza di una borghesia legata ai circuiti bancari e creditizi, alla finanza e alla grande distribuzione commerciale si accompagna a una limitata o inesistente tecnicizzazione delle funzioni statali. Le figure di ingegneri e architetti, ragionieri e statistici – necessarie per l’adempimento di alcune mansioni amministrative in altre aree d’Europa – qui si affermano con difficoltà e ritardo, anche perché il ruolo riservato all’istruzione tecnica dalle classi dirigenti tradizionali rimane marginale fino al tardo Ottocento. I professionisti, quindi, riescono solo in misura limitata a svolgere una funzione di raccordo ideologico e di giuntura sociale tra i differenti segmenti borghesi. Trovandosi nell’impossibilità di offrire a un mercato ancora embrionale le loro prestazioni specializzate, essi continuano a impiegarle al servizio di una pratica d’ufficio consolidata e di un impegno politico talvolta esercitato per delega. Essi sono i rappresentanti tipici di un mondo geograficamente vasto e diversificato al proprio interno che, alla vigilia della prima guerra mondiale, si trova ancora sospeso tra persistenza e innovazione.
Italia
In Italia la formazione delle classi borghesi avviene, molto più che in Germania, in stretta connessione con il processo di unificazione nazionale. Già dopo il 1835, in effetti, nel settore agricolo iniziano ad affermarsi i primi proprietari imprenditori che tendono a diversificare le fonti di reddito e ad allargare l’orizzonte tradizionale alla nozione di profitto. Si tratta tuttavia di una categoria limitata al solo Lombardo-Veneto – un’entità territorialmente omogenea – e in particolare al delta padano, dove l’integrazione di fasce borghesi con una nobiltà intraprendente consente la costituzione di un’élite sociale capitalistica. Se questa si dimostra capace di integrare gli introiti agricoli con i guadagni derivanti da attività imprenditoriali, come la coltivazione del gelso e la produzione della seta, al sud la situazione è ben diversa. Di origine aristocratica o meno, gli agrari meridionali si comportano quasi tutti da autentici rentiers, godendo di un elevato tenore di vita, dovuto ai pesanti sacrifici richiesti ai contadini piuttosto che ai progressi attuati con investimenti produttivi. Mentre al nord la propensione verso uno sfruttamento intensivo delle colture aumenta notevolmente nel periodo successivo all’unificazione, devono trascorrere alcuni decenni perché anche nel Meridione si faccia strada una forte borghesia industriale e commerciale. Se all’inizio degli anni Ottanta compare un primo nucleo industriale, non più legato unicamente ai comparti tessile e cotoniero, gli imprenditori del settore meccanico in realtà non operano una rottura drastica con le antiche strutture: soprattutto nel Mezzogiorno, ma non soltanto, le unità produttive sono a carattere domestico e i loro impianti tecnologicamente in difficoltà di fronte alla concorrenza estera. È soltanto al termine del ventennio iniziato nel 1887 con il varo del protezionismo doganale e conclusosi con la crisi economica del 1907 che in settori all’avanguardia, quali la chimica, l’elettricità e i mezzi di trasporto, emerge una nuova classe imprenditoriale.
Questa si muove come una ristretta élite all’interno di una società piena di contraddizioni: nelle medie e piccole borghesie degli impieghi e del commercio, delle professioni urbane e della rendita fondiaria, la nozione di “classe” si sostituisce o si sovrappone, di volta in volta, a quella di “famiglia”, ma rimane comunque fondamentale il ruolo svolto dallo Stato, per la creazione di nuovi orientamenti e nuove attitudini culturali che favoriscano lo sviluppo della società.
Russia
All’indomani delle guerre napoleoniche, nonostante l’innegabile presenza di una borghesia manifatturiera, la Russia è ancora un Paese agricolo e artigianale. Il progresso economico e industriale del XVIII secolo non è accompagnato da una trasformazione sociale, poiché la moltiplicazione delle manifatture avviene grazie ai grandi proprietari terrieri che intensificano lo sfruttamento del lavoro servile. Senza dubbio la ritardata comparsa di un ceto borghese risente della mancata volontà dell’autocrazia zarista di condurre a termine una radicale riforma agraria, indispensabile per la formazione di una classe di contadini agiati e di un nuovo spirito d’iniziativa. Nel 1825 il romanziere e cronista Bestujev nota: “in qualsiasi altro luogo classe influente e rispettata, i borghesi da noi sono disprezzati, miserabili, oppressi dalle tasse e privi di mezzi di sussistenza”. Benché espressa nella prima metà dell’Ottocento in riferimento ai rampolli dei mercanti arricchiti, che non hanno altra ambizione se non quella di entrare nei ranghi di un’amministrazione statale monopolizzata dalla nobiltà, l’affermazione rimane valida per molto tempo. Si deve infatti attendere ben oltre l’abolizione della servitù della gleba nel 1861, perché si affermi una classe di “contadini ricchi” e perché il secondo periodo di forte crescita industriale, tra il 1906 e il 1914, porti alla ribalta un gruppo ristretto ma importante di imprenditori. L’erosione degli antichi valori terrieri agisce lentamente, ma finisce per incidere sulla società russa, anche se è difficile indicare la qualità della stratificazione sociale. Secondo un censimento del 1897 – il più attendibile tra quelli ufficiali dal punto di vista giuridico – le caste in cui è ancora divisa la Russia sono così ripartite: 1,22 milioni di nobili ereditari, 600 mila nobili di prima generazione, 342 mila ecclesiastici, 342 mila “cittadini onorari”, 281 mila mercanti, 13,4 milioni di meshchanin, 96,8 milioni di contadini. I criteri di appartenenza a ciascuna di queste categorie sono molto labili: l’antica aristocrazia comprende non solo i proprietari fondiari, ma anche i ranghi superiori dell’esercito e dell’impiego statale, nonché buona parte delle professioni liberali; vi è poi un’enorme distanza, soprattutto di reddito, tra il ricco commerciante e l’esponente delle corporazioni più povere; quanto ai meshchanin, essi accomunano il piccolo negoziante, l’industriale e la maggioranza della classe operaia. Di fronte a uno Stato onnipresente la società civile inizia comunque ad articolarsi seguendo dinamiche proprie che non rispondono più alle suddivisioni tradizionali e consolidate.
Austria-Ungheria
In Austria-Ungheria all’abolizione della servitù della gleba, decretata alla fine del Settecento, non si accompagna quella delle corvée prestate dai contadini. La nobiltà continua a essere la classe dirigente per tutto il secolo successivo, inquadrando nelle strutture della grande proprietà la popolazione rurale e imponendo agli abitanti dei centri urbani in forte crescita il proprio stile di vita e i propri valori sociali. A metà dell’Ottocento, tuttavia, lo scenario sociale non è completamente immobile: in Moravia e nella Bassa Austria la tendenza dei contadini ad affittare lavoratori agricoli che svolgano per loro conto le mansioni stabilite nella corvée sembra diventare generalizzata; nei villaggi boemi lo scarto sociale tra contadini ricchi e salariati senza terra aumenta, soprattutto in virtù dell’intraprendenza commerciale dei primi; mentre nella Slesia, nella pianura ungherese e nella stessa Boemia il livello medio della produttività agricola viene decisamente incrementato grazie all’adozione dell’agricoltura scientifica da parte di alcuni esponenti dell’aristocrazia. Il fatto che gli ambienti nobiliari sviluppino un atteggiamento mentale favorevole al progresso economico e investano nell’industria già nella prima metà dell’Ottocento finisce per ostacolare l’affermarsi di borghesie imprenditoriali, le sole a cui sia consentito svilupparsi liberamente. La carriera negli alti gradi dell’amministrazione asburgica rimane, infatti, come in Russia, quasi del tutto preclusa alle aspirazioni dei gruppi in ascesa; del resto, il sistema economico continua ad accusare i vincoli e le divisioni interne inerenti all’ordinamento politico anche quando, dopo il 1870, la rivoluzione industriale inizia a trasformare visibilmente il tessuto sociale. Anche allora l’impero soffre per alcuni anni della mancanza di grandi circuiti bancari e della debolezza delle società per azioni, mentre l’aristocrazia del merito – banchieri come Rothschild, industriali come Liebig e Leitenberger – stenta a ottenere lo stesso prestigio sociale della nobiltà di sangue e non riesce a sostituirla come classe dirigente. Alla vigilia della prima guerra mondiale l’Austria-Ungheria rimane un Paese gerarchizzato, ma segnato in varie zone dall’avanzare di un’industrializzazione che contribuisce a mettere in crisi un ordine sociale superato, ormai incapace di creare consenso attorno alla duplice monarchia.