Kaufman, Boris ArkadÐevič
Direttore della fotografia russo, nato a Białystok (od. Polonia) il 24 agosto 1906 e morto a New York il 24 giugno 1980. Fratello minore del regista Dziga Vertov (Denis A. Kaufman) e dell'operatore Michail, portò dapprima nella Francia delle avanguardie storiche e poi tra i cineasti statunitensi dell'area newyorkese l'eredità della sperimentazione del primo cinema sovietico: un connubio di istanze documentaristiche e capacità di trasfigurazione della realtà, mediate dalla ricerca tonale. Nella sua vita di apolide costantemente in fuga entrò in contatto con molteplici esperienze e culture, senza tuttavia mai mettere radici. Benché in odore di comunismo e assai po-co amato dall'establishment hollywoodiano, nel 1955 ottenne un Oscar per il bianco e nero di stampo semi-documentaristico di On the waterfront (1954; Fronte del porto) e una nomination per le drammatiche atmosfere di Baby Doll (1956; Baby Doll ‒ La bambola viva), film diretti entrambi da Elia Kazan.
Figlio di un bibliotecario e scrittore, nel 1915, durante la Prima guerra mondiale, si trasferì a Mosca al seguito dei genitori. Dopo la rivoluzione sovietica la famiglia fece ritorno nella città natale. In seguito K. giunse a Parigi, dove entrò in contatto con alcuni cineasti delle avanguardie storiche, soprattutto con l'ala più vicina alle istanze documentaristiche: tra il 1928 e il 1932 curò infatti la fotografia di diversi cortometraggi del belga Henri Storck, del russo Eugène Deslaw (Evgenij Stavčenko) e soprattutto del francese Jean Lods. Importando in Francia il modello fotografico e stilistico delle sperimentazioni che i suoi fratelli stavano compiendo in Unione Sovietica con il kinoglaz ("cineocchio"), nel 1929 realizzò, insieme a Jean Vigo, À propos de Nice, documentario fortemente creativo con ampio uso di macchina a spalla e immagini 'rubate', che continuano a trasmettere un senso di grande libertà; in questo caso K. collaborò anche alla sceneggiatura e al montaggio e in alcune affiche pubblicitarie dell'epoca i due cineasti risultano coautori. Seguì, per tutta la sua durata, la breve carriera di Vigo, fotografando, con Louis Berger, Zéro de conduite (Zero in condotta), di cui fu anche uno degli scenografi; il film, per l'intervento della censura, fu diffuso solo nei cineclub dal 1933 al 1945, data della sua proiezione in pubblico. In seguito lavorò, insieme a Jean-Paul Alphen e Berger, a L'Atalante (1934), rimasto incompiuto per la prematura morte di Vigo e portato a termine proprio da Kaufman. Negli anni successivi collaborò con una lunga serie di registi 'commerciali' (tra cui Jean Boyer, Pierre Caron, Léo Joannon, René Le Hénaff, Jean Mamy), ma anche con alcuni grandi autori come Abel Gance, Marc Allégret, Christian-Jaque.All'inizio della Seconda guerra mondiale si arruolò nell'esercito francese. Emigrato negli Stati Uniti, venne invitato a lavorare in Canada da John Grierson: quest'ultimo stava infatti riorganizzando il National Film Board, organismo che si occupava di produzione documentaristica e di propaganda. K. vi restò fino al 1943, ma rifiutò l'offerta di acquisire la nazionalità canadese e preferì trasferirsi a New York, dove entrò al servizio dell'Office of War Information, per il quale collaborò a numerosi documentari di propaganda bellica, tra cui, anche se non accreditato, alcuni episodi della celebre serie Why we fight diretta da Frank Capra. Conclusa la guerra, si stabilì per qualche tempo a Hollywood, sotto contratto per la Metro Goldwyn Mayer, che sfruttò il suo talento per il documentario, impiegandolo lontano dai teatri di posa, con il mortificante incarico di operatore nelle troupe di seconda unità inviate in esterni per raccogliere immagini d'ambientazione per i film della serie Lassie. Parallelamente continuò a lavorare nell'ambito del documentarismo progressista, al fianco di registi come Alexander Hammid (Alexander Hacken-schmied), Henwar Rodakiewicz, W.S. Van Dyke; collaborò anche con Luciano Emmer per la versione statunitense di uno dei suoi film sull'arte (Leonardo da Vinci, 1952). Quindi si riaccostò al cinema di finzione grazie a Kazan, alla ricerca di uno sguardo realista per il suo On the waterfront. K. spinse il regista a portare alle estreme conseguenze questo approccio, girando tutto il film on locations, sui moli newyorkesi affacciati sul fiume Hudson e nei bar frequentati dai portuali, scelta inusuale per un'epoca in cui raramente le grandi produzioni si allontanavano dai teatri di posa. Per l'occasione dovette modificare la tecnologia d'illuminazione, concepita per le riprese in studio, applicando reostati per controllare l'intensità dei proiettori. La fotografia di On the waterfront, per la quale vennero sfruttate la luce naturale e le atmosfere luministiche del porto all'alba, fu molto apprezzata per la sua autenticità. Grazie a questo fortunato film K. divenne un punto di riferimento per i cineasti progressisti newyorkesi, ideologicamente e stilisticamente lontani dalle atmosfere patinate della Hollywood anni Cinquanta, con i quali lavorò, utilizzando quasi esclusivamente il bianco e nero, in film che, pur ricorrendo a formule diverse, cercavano una drammatica autenticità dell'immagine. Collaborò così, oltre che con Kazan (Baby Doll; Splendor in the grass, 1961, Splendore nell'erba), soprattutto con Sidney Lumet, da 12 angry men (1957; La parola ai giurati) fino a Long day's journey into night (1962; Il lungo viaggio verso la notte), da The pawnbroker (1965; L'uomo del banco dei pegni), di cui restano memorabili l'uso della macchina a mano e lo sguardo crudamente documentaristico, a The group (1966; Il gruppo). Fu anche impegnato nel cortometraggio Film (1965) di Alan Schneider, l'unica esperienza cinematografica che abbia coinvolto (come sceneggiatore) il commediografo Samuel Beckett. Tra gli altri registi con i quali ebbe modo di lavorare sono da ricordare George Roy Hill, Martin Ritt, Otto Preminger, Jules Dassin.
R. Prédal, Cinq grands opérateurs américains, in "Cinéma 72", 1973, 178-79, pp. 168-97; S. Kagan, Du documentaire à la fiction, in "Cahiers du cinéma", 1982, 331, pp. II-IV; Boris Kaufman, in "Film dope", 1984, 29, pp. 16-17.