Ejchenbaum, Boris Michajlovič
Teorico e storico russo della letteratura e delle arti, nato a Krasni il 4 ottobre 1886 e morto a Leningrado il 24 novembre 1959. Nel 1918 aderì alla Società per lo studio del linguaggio poetico (OPOJAZ) di Pietroburgo (poi Leningrado), uno dei nuclei della scuola formale; dal 1918 al 1949 fu docente presso l'Istituto di Storia delle arti dell'Università di Leningrado. Anche se viene in genere ricordato come uno dei rappresentanti più radicali del movimento formalista (v. formalismo), di cui fu anche il primo storiografo (Teorija "formal′nogo metoda", 1927; trad. it. La teoria del metodo formale, 1968), E. fu autore di studi che si segnalano per la capacità di coniugare l'immanenza dell'analisi formale con una più ampia considerazione dei fenomeni letterari e artistici, che in termini estetico-filosofici si può definire pragmatica. È senz'altro questo il caso dei suoi contributi alla teoria del cinema ‒ tra i più originali e meditati dell'intera ricerca 'formalista' ‒ che consistono, essenzialmente, in tre densi saggi: Literatura i kino (Letteratura e cinema, in "SE", 1926, 42), Vnutrennjaja rec′ i kino-zritelja (Il discorso interno e lo spettatore cinematografico, in "Kino", 1926, 46), Problemy kino-stilistiki (uscito nella raccolta Poetika kino, 1927, curata dallo stesso E.; trad. it. I problemi dello stile cinematografico, in I formalisti russi nel cinema, a cura di G. Kraiski, 1971, pp. 11-52).
E. prende le mosse da un rilievo di carattere storico ‒ per la prima volta, con il cinema, le arti della figurazione hanno raggiunto la possibilità di muoversi nel tempo ‒ ma ne trae spunto per orientarsi decisamente sul terreno delle nuove modalità percettive e spettatoriali che il fenomeno comporta. In particolare, gli interessa il fatto che il cinema, arte sincretica per eccellenza, appare nondimeno potenzialmente dotato della capacità di dar luogo a una modalità del tutto autonoma di 'discorso'. Si tratta dunque di determinare in primo luogo su che cosa si fonda questa peculiare discorsività e di porre successivamente la questione della forma e dello stile cinematografico avvalendosi dei chiarimenti così raggiunti. Secondo E. il primo e più generale tratto distintivo del cinema è da cogliere in una coppia di elementi ‒ il linguistico e il fotogenico ‒ che interagiscono in modo significativo. La scelta e la composizione dei materiali della realtà visibile operate dal cineasta implicano un superamento della mera riproduzione fotografica e la messa in rilievo di quegli aspetti che si prestano a un'elaborazione costruttiva delle immagini, in particolare in direzione narrativa. È questo l'elemento 'linguistico' (da intendere in un'accezione analogica e senza riferimento diretto ai principi della teoria del linguaggio). D'altro lato, però, il discorso cinematografico si serve anche di componenti di senso che, parafrasando un concetto della poetica del futurismo, E. definisce zaumnye, cioè dotati di una particolare significanza che, senza contestarne la natura costruttiva, va "oltre" (za) il carattere "razionale" (umnyj) del linguistico e lascia liberamente giocare nell'immagine un insieme indeterminato di risonanze semantiche. È questo l'elemento 'fotogenico' del discorso cinematografico che, dispiegandosi in una dimensione indipendente da quella narrativa, proprio per questo può interagire creativamente con il racconto filmico, arrivando a rinnovarne le forme e gli stili. Secondo E., infatti, il cinema è diventato arte solo dopo aver preso coscienza dell'importanza di questi due elementi, ma mentre i suoi inizi si caratterizzano per la necessaria dominanza strutturale del linguistico, ci si può aspettare che esso sappia evolvere verso una più marcata valorizzazione del fotogenico. Questa notevole ipotesi storiografica si fonda su un'originale e illuminante teoria della ricezione: il cinema, sostiene E., è sprovvisto della "parola udibile" (e si ricordi che tutti i contributi di E. furono scritti negli anni Venti), ma non manca di un'essenziale componente linguistica (questa volta in senso stretto) che va identificata nel "discorso interno" dello spettatore, e cioè in quell'operazione di sintesi (progressiva e regressiva) dei materiali visivi che chi guarda il film è tenuto a effettuare se vuole seguire la storia che gli viene raccontata per immagini. E. parla di uno specifico "lavoro cerebrale" che è richiesto allo spettatore per 'leggere' correttamente l'immagine e di cui lo stesso cineasta tiene conto, in particolare nella fase del montaggio; ma se questo lavoro tende, per sua natura, a esercitarsi prevalentemente sulle concatenazioni narrative, nulla vieta di pensare che la cultura cinematografica non sappia renderlo idoneo a una più ampia prestazione ricettiva. Su queste basi, E. delinea i compiti di una semantica e di una stilistica della forma cinematografica, i cui risultati tuttavia denunciano una forte dipendenza dal cinema di montaggio perdendo l'ampiezza e la persuasività teorica che vanno senz'altro riconosciute alla sua tesi, tuttora feconda, sul discorso interno dello spettatore.
V. Erlich, Russian formalism: history, doctrine, Gravenhage 1955 (trad. it. Milano 1966); Théorie de la littérature. Textes des formalistes russes réunis, présentés et traduits par Tzvetan Todorov, Paris 1966 (trad. it. I formalisti russi, Torino 1968).