BORONI
Famiglia di argentieri, orafi e bronzisti originari di Vicenza e operosi a Roma nel secolo XVIII e oltre.
Bartolomeo, nato a Vicenza nel 1703, dagli archivi dell'università degli orefici (Bulgari, 1959) risulta lavorante a Roma fin dal 1725, ma forse vi era giunto anche prima. Nel 1719 è ammesso alla prova di abilità e nel 1730 ottiene la patente di maestro. Abita in via del Pellegrino e sotto la casa ha la bottega all'insegna del "nome di Maria". Lo stesso simbolo, formato dalle lettere A ed M intrecciate, appare sul merco personale con il quale contrassegna i suoi lavori. Nel corso della sua vita ricopre varie cariche in seno all'università degli orefici.
La prima opera importante che si conosca del B. è il grande tabernacolo di bronzo dorato che gli fu commissionato nel 1737 dai camaldolesi dell'abbazia di Classe a Ravenna e che egli eseguì entro il 1739 su disegno di Giampaolo Pannini; il grande ciborio venne anche corredato di candelieri in bronzo dorato e lapislazzuli e di una pisside d'argento, perduta (gli altri oggetti, con tutto il tesoro di S. Romualdo, sono nel Museo Naz. di S. Vitale). Gli sono attribuiti anche i bronzi dorati dell'altar maggiore del duomo di Ravenna. Nel 1749 collabora alla grande fornitura per la cappella di S. Giovanni Battista nella chiesa di S. Rocco in Lisbona, eseguendo due cassette d'argento dorato, recanti incise le armi del pontefice Benedetto XIV e destinate a custodire i sigilli usati per l'autenticazione delle reliquie.
Nel 1754 da Fabriano viene commissionato al B. il rivestimento dell'urna di s. Romualdo, opera di maestro Taddeo da Como del sec. XV, nella chiesa di SS. Biagio e Romualdo; il rivestimento è in bronzo dorato con tavolette di lapislazzuli e applicazioni di ornati d'argento; al centro è un medaglione raffigurante la morte del santo. Il medaglione e le testine d'angeli, asportate dai Francesi nel 1797, e attualmente disperse, furono rifatte dopo il 1822 dall'argentiere Clitofonte Coacci di Montalboddo (ora Ostra), forse sul disegno primitivo.
Il B. è per un lungo periodo argentiere dei palazzi apostolici sotto i pontificati di Clemente XIII, Clemente XIV e Pio VI, per i quali esegue lavori importanti: nel 1760 la "rosa d'oro"; nel 1766 lo scettro e la corona che furono poste nella cassa di Giacomo Stuart (il vecchio pretendente); nel 1768 due grandi reliquiari d'oro massiccio (perduti) su disegno del Piranesi; nel 1774 e 1776 le decorazioni per le cancellate della Biblioteca Vaticana e della stanza dei papiri (oggi salone Sistino), purtroppo scomparse dopo il crollo del pavimento del 1931.
Un complesso di pezzi notevoli doveva essere quello commesso al B. da Clemente XIII: una croce da altare, sei candelieri in argento dorato e le statue d'argento fuso, raffiguranti i dodici apostoli, che nelle solennità venivano esposte sul gradino superiore dell'altare nella cappella Paolina: tutto è scomparso nel periodo francese. Nel 1775 Pio VI gli ordinò lo stocco, e il cinturone che nella notte di Natale furono donati a fra' Emanuele de Rohan, gran maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta: lo stocco, lungo cinque piedi, è in argento dorato di bellissima esecuzione e reca in cima all'elsa lo stemma del pontefice sorretto da due angeli; oggi è conservato a Roma, presso l'Ordine di Malta. Particolare menzione merita il grande ostensorio ancor oggi esistente a Roma, presso la chiesa di S. Carlo ai Catinari: è un pezzo di notevole valore, molto bene lavorato e ornato di grosse pietre multicolori. Molti altri pezzi di argenterie civili come candelabri, caffettiere, ecc., tutti lavori di gran pregio, si trovano presso varie collezioni private.
Il B. morì a Roma nel 1787.
Giuseppe, figlio di Bartolomeo, nasce a Roma nel 1741; lavora con il padre e con i fratelli Giovanni Battista e Pietro, mantenendo l'insegna e il merco con il "nome di Maria". Ricopre più volte la carica di console degli orefici e di soprastante alla Zecca. Prende la patente di maestro nell'anno 1787, alla morte del padre, e a lui succede nella direzione della bottega. Per i camaldolesi di Classe in Ravenna esegue nel 1788, su disegni di Camillo Morigia, due putti di bronzo, le cornici, la croce e le rosette per l'urna di verde antico contenente le reliquie di s. Severo; nello stesso periodo esegue, su ordinazione dell'abate Giordani, un parato da altare e cioè una croce d'argento e sei candelieri, tutti cesellati, dorati e con figure in bassorilievo; tre cartegloria parimenti d'argento con riporti dorati, due lampade d'argento con teste di cherubini e catenelle di metallo dorato, due piccole lampade di rame dorato con cartigli, il tutto per una spesa complessiva, per il solo argento, di scudi 1403,28 (questi oggetti sono in parte nel Museo di S. Vitale).
A completamento del lavoro fatto dal padre per l'urna di s. Romualdo nel 1791 esegue per la chiesa dei SS. Biagio e Romualdo a Fabriano il gradino d'altare, con cornice di bronzo dorato e specchi di lapislazzuli, e nel 1793 sei candelieri e la croce, anche questi di bronzo dorato e ornati di fogliame d'argento, su disegno di Giuseppe Valadier. Di Giuseppe si conserva pure nella basilica di S. Francesco in Assisi una statuetta dell'Immacolata in argento fuso, alta 45 cm, e una coppia di ampolline in vetro con rivestimenti d'argento. Morì a Roma nel 1830.
Anche GiovanniBattista e Pietro, figli di Bartolomeo, furono orefici, come Vincenzo figlio di Pietro. Del primo si ignorano le date di nascita e di morte; del secondo sappiamo che è nato nel 1743 e morto nel 1822 a Roma; dell'ultimo infine si hanno notizie frammentarie tra il 1805 e il 1821 (Bulgari, 1959).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Roma, Mandati camerali del Sacro Palazzo Apostolico, ad annos (per Bartolomeo); Ravenna, Archivio di Stato, fondo Corporazioni religiose, b. 319, p. 393 (per Giuseppe); C. G. Bulgari, Argentiari, gemmari e orafi d'Italia, I, 1, Roma 1959, pp. 197, 199; III, 4, ibid. 1969, p. 174 (per Bartolomeo); F. Beltrami, Il forestiero istruito nelle cose notabili della città di Ravenna…, Ravenna 1783, p. 55 (per Bartolomeo); G. Martinetti Cardoni, Vite brevi degli artefici defunti...., Ravenna 1873, p. 9 (per Bartolomeo e Giuseppe); G. Annibaldi, Il Lucagnolo, Jesi 1879, p. 138 (per Giuseppe); A. Zonghi, Documenti intorno alla traslazione e al culto delle reliquie di San Romualdo in Fabriano, Fabriano 1881 (per Bartolomeo e Giuseppe); S. Viterbo-R. V. D'Almeida, A capella de São JoãoBaptista, Lisboa 1900, pp. 36, 91 (per Bartolomeo); G. Gerola, L'opera dei B. per il monastero di Classe in Ravenna, in Boll. del Museo civico di Vicenza, I (1910), 3-4, pp. 16, 24 (per Bartolomeo e Giuseppe); C. Ricci, Guida di Ravenna, Bologna 1923, pp. 41, 143 (per Bartolomeo e Giuseppe); G. A. Facchini, Mem. storiche della chiesa di San Biagio e Romualdo, Fabriano 1925, pp. 49, 65 (per Bartolomeo e Giuseppe); Inventario degli oggetti d'arte in Italia, VII, Ancona e Ascoli Piceno, Roma 1936, p. 86 (per Bartolomeo e Giuseppe); Argenterie settecentesche sacre e profane (catal.), Venezia 1938, p. 35 (per Bartolomeo); Z. Giunta di Roccagiovine, Il Settecento a Roma (catal.), Roma 1959, p. 437 (per Bartolomeo); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, IV, p. 376 (sub voce Borroni, Bartolomeo).