BORORÓ (port. Bororos)
Popolazione indigena del Brasile che al tempo della prima penetrazione europea occupava gran parte dell'altipiano di Matto Grosso fra 14°30′ e 20° S. e fra 60° e 50° O. Ora è divisa in due gruppi, separati dalla città di Cuyabá e dagl'insediamenti civili della zona contermine ad essa: i Bororó orientali, circa 1500, Orarimugu o semplicemente Orari (il termine Bororó, "cortile o villaggio", è usato solo dai Bianchi), riuniti in maggioranza nelle colonie militari del Rio S. Lourenço e dei suoi affluenti e nei villaggi diretti dai Salesiani; e i Bororó occidentali (Cabaçães, da Campanha), a O. dell'alto R. Paraguay, meno tocchi dalla cultura coloniale, dei quali è ignoto anche il numero. Gli Orari sono stati compiutamente studiati e descritti dal padre salesiano A. Colbacchini. Sono divisi in due sezioni e ciascuna di queste in 7 clan totemici esogamici, e vivono in villaggi costituiti da capanne a due spioventi poggianti sul suolo, ciascuna delle quali alberga più famiglie, disposte a circolo intorno alla capanna dei celibi e delle riunioni. L'esistenza materiale e spirituale mostra molte affinità con le culture primitive dei Gēs e qualche punto di contatto con quelle più meridionali dell'America. La caccia, la pesca e la raccolta sono le occupazioni tradizionali, una volta le sole. L'arco con la freccia (a punta d'osso o di legno) e la clava piatta di legno sono ancora usati, mentre è abbandonata ormai l'ascia di pietra a solco equatoriale. L'abbigliamento degli uomini comprende legacci, collane, cinture e l'astuccio penico; quello delle donne si compone di una fascia lombare di libro macerato che trattiene un'altra fascia più stretta che passa fra le gambe. Le mutilazioni usate sono la foratura del labbro inferiore, che viene già fatta ai neonati, più tardi quella del lobo dell'orecchio e del setto nasale. Ricchi ornamenti di penne adornano il capo nelle feste e nelle danze. La ceramica è poverissima. Mancano le imbarcazioni e le amache. Nelle credenze religiose hanno larga parte le anime dei morti (areo), e una particolare categoria di spiriti (maeréboe) che presiedono anche ai fenomeni celesti e naturali e vengono esorcizzati o invocati dallo stregone del villaggio. I miti sono numerosissimi, e riguardano il totem e l'origine dei diversi clan, o l'origine dei costumi e degli oggetti della tribù e dei maggiori fenomeni naturali. I riti funebri comprendono anche un seppellimento secondario nel quale le ossa principali del defunto (cranio, ossa lunghe) vengono decorate con penne e tenute per qualche tempo nella capanna.
Lingua. - Poche lingue dell'America Meridionale hanno avuto una documemazione così ampia come quella che è toccata per opera dei Salesiani alla lingua dei Bororos Orarimugodoge (o semplicemente Orari) del Matto Grosso. Essa appartiene ad un piccolo gruppo linguistico che fino a pochi anni fa era molto imperfettamente conosciuto. Nel 1912 G. de Créqui-Montfort e P. Rivet pubblicarono uno studio sull'Otuke e lingue affini, per il quale si valsero dei manoscritti di Alcide d'Orbigny. Nel 1913 i medesimi autori aggiunsero al gruppo Otuke il Bororó. Infine, nell'opera Les langues du monde. P. Rivet determina in questo modo il gruppo Otuke o Bororó: 1. Bororó, 2. Otuke, 3. Kovareka, 4. Kuruminaka, probabilmente, 5. Korabeka, 6. Kurave, 7. Kumkaneka, 8. Tapii. Unico linguaggio sopravvissuto è il Bororó.
È un linguaggio molto arcaico. Il gruppo al quale appartengono l'Orari e l'Otuke ha numerosi elementi in comune con le più svariate lingue dell'America, ma non si può dire che concordi in modo speciale con alcun'altra lingua o gruppo di lingue. Orari e Otuke stanno a sé, pur essendo legati a una moltitudine di linguaggi americani per cognate radici profonde.
Bibl.: A. Colbacchini, I Bororos orientali "Orarimugudoge" del Matto Grosso, Torino, s. a. Per la lingua, vedi A. Trombetti, La lingua dei Bororos-Orarimugudoge, Torino s. a.