BOSCIMANI (fr. Bochimans; sp. Bosquimanos; ted. Buschmänner; ingl. Bushmen)
Etnologia. - I Boscimani devono essere considerati, dal punto di vista culturale, come l'elemento di popolazione più primitivo dell'Africa meridionale. Essi occuparono un tempo tutte le pianure erbose al sud dello Zambesi e del Cunene fino alle montagne della Colonia del Capo, come possiamo dedurre dall'estensione delle vecchie pitture lasciate da essi sulle pareti delle caverne e dalle incisioni rupestri, e anche da alcuni piccoli manufatti di pietra e dalle pietre perforate usate per i bastoni da scavo, che sono sparsi per tutta la regione; i disegni su roccia si trovano perfino all'ovest del lago Tanganica.
Serpa Pinto incontrò anche fra il Cuango e il Cubango (Angola meridionale) un popolo di cacciatori di piccola statura chiamato Bacassequere, dalla pelle giallastra e dai capelli a ciuffi, proprio come i Boscimani, e nell'Africa orientale, nei Sandawa e Kindiga, si sono conosciute delle tribù di cacciatori nomadi con archi e frecce avvelenate e parlanti una lingua che esibisce come la lingua dei Boscimani una quantità di clicks, suoni schioccanti. Tutti questi potrebbero essere i rappresentanti d'uno strato di popolazione prenegritica, che nella lotta per l'esistenza fu spinto gradatamente verso le regioni steppiche più povere, per andare a poco a poco incontro alla morte della razza nello scontro con la civiltà europea.
La parola bosjeman ha in origine lo stesso significato degli "uomini del bosco" della fantasia popolare medievale, e fu adoprata originariamente anche in questo senso nella Colonia del Capo fondata nel 1662. Nel 1685 i Boscimani, che si trovavano in lotta continua con gli Ottentotti loro vicini, furono conosciuti con una designazione ottentotta, Sonqua (Soaqua), e furono osservati in una spedizione a Monomotapa. A cominciare dal 1770 i Boeri condussero una brutale lotta di annientamento contro i Boscimani, giacché questi, che erano una volta i padroni del paese, reagivano con attacchi ostili, furti di bestiame e ruberie al crescente restringersi del loro territorio di caccia, provocato dai coloni che avanzavano noncuranti. Onde essi, che avevano già subito in più luoghi qualche miscela con i vicini (Negri, Ottentotti), caddero sempre più sotto la dipendenza dei Bianchi, dovettero pagare a questi delle tasse e custodire i loro posti di bestiame. Come terreno libero di caccia sono rimaste loro quasi unicamente le steppe aride del Kalahari, devono però esistere ancora alcune tribù libere nel Gran Nama. Nella Colonia del Capo quello che è rimasto di essi sta per scomparire: si trovano quasi solamente occupati in singole fattorie o internati nei penitenziarî. Osservazioni scientifiche su di essi furono iniziate da Sparrmann (1778) e Barrow (1779), e Lichtenstein diede nel 1810 il primo rapporto documentato sui Boscimani del Capo, oggi quasi estinti, e stabilì per primo con chiarezza la differenza tra i Boscimani e gli Ottentotti. Fra gli investigatori più recenti va ricordato soprattutto l'impiegato inglese G .W. Stow, che vi ha dedicato, si può dire, tutta la vita. Molti dei più notevoli contributi alla conoscenza dei Boscimani si devono inoltre agli etnologi tedeschi.
I Boscimani si dividono in più popoli con numerose tribù. Essi stessi si chiamano Kwe (o forme foneticamente analoghe; cfr. ottentotto khoin "uomini"), mutando il prefisso della tribù (Ai-kwe, Tsau-kwe della regione dello Ngami). Affine appare anche l'espressione di Makaukau usata dai Batuana (Beciuana), per i Boscimani del Kalahari occidentale. Per queste regioni ricorrono anche le designazioni di Naron o Masarwa; a sud del fiume Orange s'incontrano le denominazioni di khuai e kham. Questi Boscimani del Capo, più piccoli e più chiari, si sono mantenuti fisicamente più puri dei loro affini del nord, che sono molto mescolati con Ottentotti e Negri. Nella Cafreria si chiamano Batua o Abatua, nel Sesuto Baroa. L'espressione Kattea è ancora piuttosto oscura. Delle tribù del Kalahari, i cui uomini S. Passarge ha stimato da 5000 a 10.000 (piuttosto in eccesso), i più conosciuti da N. a S. sono i Kuṅ e gli Heikum (Hei-hom) ad O. della regione dello Ngami, i Tannekwe, e più a S. gli Aikwe e Aukwe (Auin).
In origine le steppe dell'Africa del Sud con i loro innumerevoli branchi di antilopi, elefanti, bufali, giraffe, ippopotami, cinghiali, struzzi e uccelli, offrivano ai Boscimani, come si è menzionato, una regione di caccia ideale, divisa in grandi distretti per tribù e famiglie. Essi avevano gli accampamenti della tribù principale in caverne e ripari sotto roccia lungo il corso delle valli fluviali ricche d'acqua, o su punti montuosi dominanti, come si può tuttora desumere dai semicerchi di pietre rimasti sul posto dopo l'abbandono delle piccole capanne. Queste erano disposte intorno alla capanna del capo e della sua famiglia. Attualmente i Boscimani del Kalahari hanno accampamenti variabili: nella stagione asciutta vicino ai punti d'acqua, col tempo più piovoso nella stessa steppa, dove si sotterrano eventualmente piccoli depositi di uova di struzzo pieni d'acqua nella sabbia, o a volte si provvede al bisogno d'acqua col semplice uso dei meloni (specialmente Citrullus caffer). In alcuni luoghi l'acqua delle pozze viene succhiata per mezzo di canne sotterranee provviste alla loro estremità posteriore di un filtro d'erba. Il Boscimano è un cacciatore straordinario: con piccoli sandali piegati in giù all'estremità, i quali nella sabbia accrescono lo slancio del passo e al tempo stesso lo nascondono in un nugolo di polvere, egli riesce, a gruppi o solo, a seguire la selvaggina finché viene alla portata delle sue lance. In passato essi avvicinavano elefanti, struzzo e altri animali, mascherati nella pelle di un'antilope o d'uno struzzo o in un fitto involucro d'erba, per poter lanciare dalla minima distanza la freccia avvelenata dal corto arco; corone d'erba erano impiegate come maschere anche negli assalti di guerra. In generale però il Boscimano striscia per delle ore attraverso l'erba verso la selvaggina, ed anche dopo i colpi riusciti resta a lungo immobile per non perdere le tracce dell'animale ferito. Le frecce avvelenate hanno un fusto cavo, in origine senza impennatura, con una parte aguzza che si compone d'un pezzo d'osso e d'una punta avvelenata d'osso o di ferro legata a quello con erba e che si stacca rimanendo nella ferita. Gli animali selvatici venivano abbattuti anche con corte lance da getto o da stocco, con le quali in particolare si recidevano agli elefanti i tendini delle zampe posteriori. Anche le lance da getto erano probabilmente avvelenate. Come veleno i Boscimani adoperano tuttora il succo di varie piante (Acocanthera venerata, Euphorbia arborescens, Digitalis purpurea, Strophantus combe, Strychnos toxifera, Amaryllis distichia) e anche di serpenti, di ragni e specialmente della larva d'uno scarabeo (nigwa). Esso è conservato con cura e disteso su una pietra a debole incavo. La dose per le diverse specie di animali varia e tutta la fabbricazione dei veleni, come l'uso degli antidoti, è il segreto di alcuni "iniziati". Anche le pozze d'acqua venivano talvolta avvelenate. Per la selvaggina più piccola, ma anche per le antilopi, si usano trappole a cappio, appese all'estremità di un ramo che legano la bestia con un nodo scorsoio; per gli elefanti trappole ad arpone, nelle quali un pezzo di pietra appuntita o una punta di ferro avvelenata fissata in un ceppo di legno cade sull'animale. Si costruivano anche presso i luoghi d'abbeveraggio fosse a trabocchetto con pali aguzzi confitti nel fondo. Segni di una ben organizzata unione di lavoro nei tempi antichi sono gli steccati di pali, pietre e cespugli spinosi convergenti per miglia, attraverso i quali la selvaggina veniva spinta nottetempo con torce accese e rumori assordanti in tali fosse. I limiti dei distretti di caccia sono osservati gelosamente. Lo stesso vale per i segni di riconoscimento che si mettono presso i nidi di api selvatiche nel cavo degli alberi o nelle fessure delle rocce. Col miele si preparava una bevanda inebriante. Gli uomini e le donne si incamminano separati per queste spedizioni di caccia e di raccolta già dall'alba. Gli uomini portano un piccolo triangolo di cuoio legato ad una corda girata intorno ai fianchi ed un mantello di cuoio legato sulle spalle, però nella stagione calda se ne vanno anche del tutto nudi. I capelli vengono rasi a formare taluni determinati disegni, raramente si portano anche dei berretti di pelo. In un sacco di cuoio il Boscimano tiene i pochi averi, tabacco, canapa (Dacla), una pipa fatta con un osso cavo, un punteruolo di ferro che sostituisce l'antica lesina d'osso. Cucita al sacco c'è qualche volta anche la faretra di legno, di canna, di corteccia (di Aloe dichotoma) o di cuoio. In questa si portano le frecce, bacchette rivestite di resina d'acacia impregnata di veleno per le frecce, e due bastoni per fare il fuoco. Non manca mai il bastone da scavare, appesantito con una pietra perforata; l'arco viene legato alla faretra; si portano talora anche delle corte lance.
Tutto ciò che è mangiabile viene raccolto, ogni bulbo è dissotterrato, i funghi coltivati dalle termiti sono mangiati sul posto. Bruchi, larve grasse, rane muggenti (Rana mugiens), perfino lucertole e serpenti spariscono nel sacco. I pesci, nelle acque più pescose, si uccidono con frecce; animali acquatici più grandi si uccidevano anche con arponi aventi una punta d'osso dentata da una parte. Si costruivano pure dighe di sassi e d'erbe ingabbiate di vimini.
Nelle spedizioni di caccia più grandi gli uomini consumano una parte del bottino in campo aperto. I piedi degli elefanti si arrostiscono in buche ove sono collocate pietre infocate. Anche nell'accampamento, ove ogni donna possiede il suo proprio paravento e il suo focolare composto di tre pietre, spesso gli uomini e le donne cuociono e arrostiscono il loro cibo separatamente. Le donne coi bambini raccolgono specialmente semi d'erbe, bacche, bulbi e piante mangerecce d'ogni sorta. Portano con sé anche legna, e, in sacchi di pelle di gnu o in uova di struzzo, l'acqua. Quando trasferiscono l'accampamento prendono anche i loro pochi utensili da cucina, qualche vaso d'argilla (forse una volta fabbricato da loro stessi), scodelle di legno, un mortaio e le stuoie per il rifugio paravento. Questo viene eretto per mezzo di un'armatura di rami o semplicemente di pali riuniti all'estremità superiore e coperto con le stuoie menzionate fatte con ramoscelli o erbe intrecciate. Per dormire si rannicchiano in una buca nella sabbia, e si coprono con un mantello. Il vestiario della donna, oltre al mantello di cuoio il quale serve anche a portarvi i bambini, si compone di un doppio grembiule di cuoio scendente davanti e di dietro. A questo, e inoltre alla fronte e ai capelli, come alle braccia e alle gambe, sono fissati degli anelli e delle catene di moletza, piccoli dischi fatti con uova di struzzo. Gli ornamenti degli uomini sono allo stesso tempo trofei e contrassegni, come specialmente gli anelli sottili di peli, tratti dalla coda dell'elefante e della giraffa; inoltre amuleti, strisce di pelle, e anelli d'erbe finemente intrecciate.
Nelle spedizioni maggiori, come nelle danze di guerra o di caccia, gli uomini si dipingono con terra rossa, bianca e gialla. Il tatuaggio a cicatrici (a tagli verticali sulla faccia) è spesso un contrassegno di tribù, ma serve anche come incantesimo di caccia, al quale si provvede inoltre perfino con l'impianto di pezzi di carne di antilope nella schiena e nelle natiche.
Ancora fino a tempi recenti i Boscimani possedevano una speciale industria della pietra. Oltre alle schegge ed ai coltelli ottenuti rapidamente per sventrare gli animali, ed ai punteruoli per scolpire disegni su roccia, si fabbricavano anche punte di lancia a forma di foglia, pietre a leggiera concavità per arrostirvi i semi o mescolare il veleno, e punte di freccia con alette. Molto penosa era la fabbricazione di mortai (per schiacciare semi, cavallette, ecc.) da blocchi massicci di pietra, e quella degli anelli di pietra per i bastoni da scavo. La lavorazione delle pelli è analoga a quella delle tribù circostanti, dalle quali i Boscimani sembrano avere appreso anche una modesta arte di fabbro ferraio.
Dopo una caccia fruttuosa e un abbondante pasto, nelle chiare notti di luna, si balla appassionatamente, specialmente dopo il primo acquazzone, ed allora gli uomini si lanciano perfino frecce avvelenate, simulano scene di caccia, cadono in estasi per l'eccessivo movimento. Esistono anche danze erotiche delle donne che si portano da un accampamento all'altro ed esibizioni simili da parte degli uomini. Le danze dei capi sembrano essere allo stesso tempo un'invocazione di fertilità, ed anche i balli che imitano l'antilope, il babbuino, lo struzzo, l'ottarda e altri animali hanno fino a un certo punto un carattere magico. Per l'accompagnamento si adoperano flauti di canna o di osso e tamburi. Il Boscimano suona volentieri da solo anche l'arco musicale, e come giocattolo da bambini è conosciuta pure la raganella. La danza dell'eland è rappresentata dalle donne e da un uomo quando una ragazza entra in pubertà; per i giovani sussistono presso varie tribù riti di iniziazione, nei quali essi vengono condotti in capanne isolate e sottoposti anche alla circoncisione. È difficile in questi riti, come nell'ordinamento totemistico di alcune orde, nelle regole di iniziazione e nelle proibizioni di cibo, distinguere ciò che dipende dalle forme originali di esistenza dei cacciatori e ciò che fu acquisito nei contatti coi vicini (Beciuana, Cafri). Il taglio della falange di un dito alla mano destra per i ragazzi e alla sinistra per le ragazze sembra essere stato in origine un atto religioso (sacrificio di riscatto) e ricorre anche fra i Damara delle montagne e gli Ottentotti; mentre l'usanza di portare un pezzo di legno nel setto nasale pare limitata ad alcune tribù dell'ovest. Fenomeni di analoga interpretazione, e cioè per i probabili contatti di cultura, sono i bastoncelli miracolosi che il Boscimano, come il negro, interroga gettandoli prima di ogni impresa, le pratiche dei medici-stregoni che pretendono trasformarsi in bestie, gli amuleti ed altre simili credenze. Il Boscimano come artista eccelle nella rappresentazione di scene di guerra e di caccia riprodotte naturalisticamente; gli artisti sono tenuti in grande onore. La nascita di un Boscimano avviene semplicemente con l'assistenza delle donne; più tardi segue una festa per dargli il nome. La mortalità dei bambini è in generale molto alta, date le condizioni di esistenza. Per ottenere una moglie l'uomo la chiede in sposa alla madre di lei e spesso per più di un anno provvede la famiglia di selvaggina. Presso alcune tribù egli deve anche spingere uno struzzo o una giraffa verso l'accampamento della sposa e quivi uccidere l'animale con una lancia. In alcuni luoghi il matrimonio deve essere preceduto da una violenta zuffa, in altri il giovane deve tenere la sposa sotto i colpi di bastone dei suoi coetanei, oppure sottostare ad una baruffa coi congiunti della sposa. Egli si trasferisce allora per un po' di tempo nell'orda di lei, facendo a ciò eccezione soltanto i capi. Il diritto di eredità segue in generale la linea paterna. I cacciatori valenti prendono anche più mogli. L'autorità del capo era una volta assai più importante, ora essa esiste solamente come ricordo. I morti, coi loro averi, son posti rannicchiati in fosse, su cui si erigono cumuli di pietre e d'erbe che i passanti spesso accrescono. Il luogo è abbandonato con grande terrore, ma i morti si ricordano. Il patrimonio novellistico dei Boscimani è molto ricco e dimostra un'attiva vita spirituale.
Religione e mitologia. - Dominano il pensiero associazioni di idee che esso volge in rapporti di causalità. In tal modo, i ragazzi che mangiano il cuore d'uno sciacallo diventano vili come questo e per renderli coraggiosi si dà loro il cuore di un leopardo. Se prima della caccia si mangia la carne di animali veloci la selvaggina sfugge al cacciatore; e se durante una caccia notturna si guarda la luna, la selvaggina se ne va lontana in deserti senza acqua, così come la luna viaggia per il cielo. E viceversa, per es., un pezzo della pelle d'un animale da caccia conferisce l'acutezza dei sensi di quest'ultimo e il cacciatore ne porta perciò un lembo conficcato nella ferita che egli si incide verticalmente fra gli occhi. Un arco e frecce in miniatura, di per sé del tutto innocui, portano magicamente la morte alla persona nella direzione della quale l'arma viene lanciata insieme con maledizioni. Un fondo magico è evidente anche in alcune danze praticate durante i riti di iniziazione. Spesso le malattie vengono succhiate dal corpo da uno stregone e poi mostrate al paziente sotto forma d'una spina o d'un sassolino. Le ragazze, all'epoca della prima mestruazione, emanano influssi malefici: esse vengono strettamente segregate e devono camminare a occhi bassi, il solo loro sguardo potrebbe stregare le antilopi. Ancora di più sono temuti i cadaveri, e le tombe sono evitate girando al largo. Talvolta però i morti, probabilmente per influenze culturali esterne vengono invocati come avi soccorrevoli. Gli spiriti dei morti errano in lungo viaggio nell'al di là, dove non ha luogo nessuna sanzione morale. I Boscimani !Kuṅ di oggi distinguono il principio della vita (χα) che dopo la morte emigra nel cielo verso il "grande capitano", dove abitano già anche le anime dei bianchi, e il "sosia" (!gauab), una copia del cadavere, che ha la sua casa nella tomba e che, secondo vecchie relazioni, poteva anche mutarsi in serpente o antilope o in un altro qualsiasi degli animali che si vedevano in vicinanza della tomba. Il signore degli spiriti dei trapassati è chiamato dai Boscimani !Kuṅ !Gauab oppure Nawa; è questo che manda la maggior parte delle malattie e riceve in sacrificio la prima parte del bottino di caccia; egli è identico al cosiddetto "dio malefico" delle relazioni più antiche. Il "dio benefico" di quelle stesse relazioni è Kaggen fra la maggior parte delle tribù, e Hue fra i Boscimani !Kuṅ. Il primo è così strettamente collegato al mondo animale, del quale è come il signore, che viene quasi sempre egli stesso identificato con la mantide: ha moglie e bambini, prende improvvisamente diversi aspetti e se viene smembrato si ricompone di nuovo. Secondo le notizie più antiche, ancor più ingannatore era Hue, che le credenze attuali dei !Kuṅ, già non più esenti da influenze esterne. collocano nel cielo, come signore o "gran capitano". Anch'egli ha moglie e numerosi figli, l'aspetto di un boscimano e parla il dialetto !Kun. Da esso gli stregoni traggono il potere e vengono la pioggia e la folgore. Mediante altri spiriti egli manda fortuna per la caccia e per la ricerca di cibi. Chi giura il falso nel suo nome o anche parla male di lui è fulminato. Altrimenti si occupa poco delle attività e dei movimenti dei Boscimani.
Il culto è poco sviluppato, si compone di sacrifici di propiziazione e di preghiere a Hue per la pioggia, prima d'un viaggio o della partenza per la caccia, e nelle malattie. Così è concepita, per es., una preghiera: "Padre, io vengo a te, io ti imploro, dammi nutrimento e tutte le cose necessarie a che io viva". Anche !Gauab, signore degli spiriti dei morti, riceve sacrifici propiziatorî e preghiere vengono innalzate alla nuova luna. Il patrimonio mitico dei Boscimani non possiede una vera e propria storia della creazione, ma spiega in maniera incoerente l'origine di ciò che più interessa il narratore: i fenomeni della natura, le proprietà del mondo animale, le istituzioni sociali. Il sole era dapprima un uomo, che stava sempre nella sua capanna; quando alzava il braccio la luce splendeva dalla sua ascella, quando lo abbassava, la luce si oscurava. Affinché la sua luce brillasse sul mondo intero alcuni bambini gettarono l'uomo nel cielo. La luna è la scarpa di una mantide che una volta questa gettò nel cielo. La via lattea è cenere di legno che una ragazza gettò in cielo: essa gettò in alto delle radici bianche e rosse che diventarono stelle e per questo alcune sono bianche e altre rosse. La luna voleva che gli uomini rivivessero come lei dopo la morte; la lepre lo impediva e la luna le batté il muso; da questo proviene il muso leporino. Altre leggende narrano le avventure degli dei: così il figlio di Kaggen, venne ucciso dai babbuini, i quali giocavano a palla col suo occhio, il padre andò in incognito presso di essi, prese parte al gioco e sottrasse loro l'occhio che posò sull'acqua e da esso rinacque il bambino.
Bibl.: G.W. Stow, The native Races of South Africa, Londra 1905; Passarge, Die Buschmänner der Kalahari, Berlino 1907; P. Bleez e H. Tongue, Bushman Paintings, Oxford 1909; W. H. J. Bleek e L. C. Lloyd, Specimens of Bushman Folk Lore, Londra 1911; L. S. Dornan, The Tati Bushmen, in Journ. Anthrop. Inst. of Great Brit. and Irl., XLVII, Londra 1917; W. H. J. Bleek e L. C. Lloyd, The Mantis and his friends, Città del Capo 1923; S. S. Dornau, Pygmies and Bushmen of the Kalahari, Londra 1925; V. Lebzelter, bei den Kun-Buschleuten am oberen Omuramba und Ovambo, in Mitt. anthrop. Ges., LIX, Vienna 1929.
V. tav. a colori.
Antropologia. - Allo stato attuale delle ricerche non si possono unire senz'altro i Boscimani agli Ottentotti, sebbene non pochi autori (Péringuey, Schinz) ritengano i due gruppi così strettamente affini, che anche l'occhio esercitato d'un Europeo possa ingannarsi nell'attribuzione di un individuo all'una o all'altra stirpe.
È comunemente ammesso che i boscimani rappresentino il tipo più puro e più primitivo, mentre gli Ottentotti siano il prodotto d'una mescolanza dell'elemento boscimano, prevalente, con un elemento negroide, bantu. Ma non si è tenuto conto a sufficienza della possibilità che gli Ottentotti siano un tipo a sé, indipendente, sebbene strettamente affine al boscimano, ma non risultato di mescolanza. Con ciò non si vuole dire che gli Ottentotti attuali siano una razza pura, neppure relativamente, giacché razze pure più non esistono, ma solo si vuol dire che le somiglianze che essi hanno con i Boscimani, possono provenire da un elemento originariamente affine con il boscimano, ma non identificabile con questo senz'altro. Ciò dovranno stabilire ulteriori ricerche.
Il tipo boscimano presenta un insieme di singolarità tali che si può dire uno dei più differenziati dell'umanità in una direzione speciale. Questo fatto colpì immediatamente i primi Europei che viaggiarono o si stabilirono nell'Africa del Sud. Nella faccia il naso, per una buona metà della sua altezza, non ha quasi dorso e ciò si verifica in un grado assai più accentuato che in qualsiasi altra razza; esso, anche in basso, non è mai così largo come spesso è nei Negri e la sua punta è sovente mozza. L'apertura palpebrale è stretta, talvolta presenta una vera plica mongolica (v. asia: Antropologia). L'occhio è sormontato spesso all'esterno da una piega cutanea (piega di copertura). Per ciò la faccia ha un innegabile aspetto mongoleggiante, aumentato dalla prominenza forte dei pomelli. Le labbra sono prominenti, ma non così grosse e rovesciate come nei Negri e la loro prominenza deve derivare in buona parte dall'impianto obliquo verso l'innanzi dei denti (profatnia). La faccia, nel suo insieme, è quadrata, ma si nota sempre una forte larghezza bizigomatica, onde talvolta ha forma di un esagono basso. La pelle è d'un giallo scuro e presenta rughe e pieghe profonde anche nei giovani. La pelosità generale è scarsa. La capigliatura, secondo il von Luschan, non presenterebbe la forma cosiddetta a grano di pepe, cioè l'apparenza della distribuzione in piccoli batuffoli rotondeggianti, separati da spazî, come si è detto per lo più, ma presenterebbe ricciolini a spirale il cui raggio è assai piccolo (i mm.) e i cui capelli avrebbero lunghezza scarsa (15 mm.).
Caratteri singolarissimi del tipo sarebbero: nel sesso maschile, la disposizione orizzontale del pene, nel sesso femminile un allungamento più o meno sensibile delle labbra minori o ninfe (longininfismo, tablier). Non è ancora accertato se quest'ultimo sia un carattere naturale ereditario, o se non contribuiscano, almeno in parte, a determinarlo pratiche speciali, esercitate dalle madri sulle bambine. Questo intervento è stato recentemente affermato dal Cipriani per alcune stirpi bantu, dimoranti in luoghi non distanti dalle sedi dei Boscimani ed Ottentotti. Un altro carattere, quello dell'accumulo speciale di masse adipose nella regione delle natiche e della parte superiore delle cosce (cosiddetta steatopigia), sembra non così frequente nei Boscimani come negli Ottentotti (Luschan). Esso è più frequente ed intenso nel sesso femminile, ma è presente anche nel maschile. È da notare che la forma della regione sopra nominata nella steatopigia è diversa da quella che essa assume nelle nostre popolazioni europee nei casi di adiposità. È questo perciò un fenomeno, la cui spiegazione è ancora piuttosto oscura. Da alcuni è stato giudicato una massa di riserva alimentare. Difficilmente si può interpretarlo, in modo esclusivo, come un fatto in relazione alla funzione sessuale, data la sua presenza in entrambi i sessi, sebbene un certo rapporto nella scelta sessuale sia ammissibile. Caratteristica è anche la forma dell'orecchio, corto e largo, con elice molto bene accartocciato, tubercolo di Darwin assente: ciò è singolare, date le idee dominanti sul significato di questo tubercolo (v. orecchio) e data la posizione bassa di tutta la morfologia dei Boscimani.
La statura è in media di cm. 144 per uomini e donne. Von Luschan ritiene che una statura superante i 146 cm. sia un segno sicuro di mescolanze; bisogna dire tuttavia che le stature desunte dallo Shrubsall dalle misure delle ossa lunghe sono alquanto superiori per circa 8-10 cm. Quasi tutti gli autori ritengono tale piccola statura un carattere primitivo. Solo Johnston la ritiene un fenomeno secondario di riduzione. È opportuno qui ricordare che Virchow già ritenne essere i Boscimani una forma umana prodotta per cattive condizioni di esistenza; ma questa veduta è ormai affatto dimessa. I Boscimani sono dotati di mani e piedi assai piccoli: questi ultimi spesso in posizione molto obliqua verso il margine esterno. Le gambe sarebbero corte in confronto del tronco. Molto caratteristica è anche la profonda insellatura della regione dei lombi, resa anche più appariscente dalla steatopigia. Questa insellatura è nei Boscimani forse nel grado massimo che si presenti nell'umanità.
L'anatomia delle parti molli ha ricevuto notevoli contributi dal tempo in cui Cuvier sezionò una giovane donna boscimana (la famosa Venere ottentotta) nel 1818. Altri cadaveri di questa razza furono studiati dal Flower e Murie, dal Testut e da Hella Pöch.
Questa autrice avrebbe constatato nelle masse grassose determinanti la steatopigia una distribuzione caratteristica degli accumuli, con assenza di depositi fra i muscoli, il che conferma la natura speciale del fenomeno e la sua non comparabilità con l'adiposità della stessa regione degli Europei. L'autrice ha anche constatato anomalie muscolari molto rare.
Passando a considerare lo scheletro del Boscimano, noi troviamo che la capacità del cranio è relativamente bassa, anche tenendo conto della piccola statura. Secondo Shrubsall (1911), essa sarebbe, per i Boscimani del Kalahari, di 1300 cmc. per i maschi, di 1100 cmc. per le femmine. Gli antichi Strandloopers dovrebbero però avere capacità più forti (1500 cmc. nei maschi, 1350 nelle femmine). Il cranio cerebrale ha forma mesocefala, con tendenza brachicefala. Lo Shrubsall è l'autore che più estesamente ha trattato in lavori successivi la craniometria dei Boscimani ed affini. Nel suo ultimo lavoro del 1922, basato sopra materiale meglio autenticato, egli dà alcune medie dei diametri assoluti per diversi gruppi, da cui si possono ricavare i seguenti indici orizzontali: 45 Strandloopers maschi, 76,2; 62 Boscimani del Capo 74,9; 19 Boscimani del Kalahari 74; 28 Ottentotti 73. Riguardo all'altezza, il cranio dei tre primi gruppi sarebbe tipicamente basso. Gli Ottentotti avrebbero un cranio di altezza superiore. È degna di essere menzionata la scarsa evidenza, in genere, della regione glabellare e sopraorbitale. Nel cranio facciale assai caratteristiche sono le ossa nasali, piccole, piatte, rettangolari, quasi in uno stesso piano fra loro e con le superficie anteriori dei mascellari. L'indice facciale superiore è, nella prima serie (lavoro del 1898) studiata dallo Shrubsall, di 69,7 nei maschi, di 70,2 nelle femmine; l'indice orbitale rispettivamente 78,5 e 84,9; l'indice nasale 60,2 e 61,8. La mandibola ha corpo e branca ascendente bassi.
Il bacino presenta delle note di grande somiglianza con quello degli antropomorfi (Cleland, Turner, Sera) e cioè: l'ilio piuttosto stretto, l'apertura del piccolo bacino lunga, la grande incisura sciatica assai aperta. Secondo Vermooten, che misurò recentemente molte ossa lunghe di Boscimani, il radio avrebbe negli Strandloopers una lunghezza media di 224 mm.; nei Boscimani dell'interno 222; nei Boscimani del Sud 224. Gli Ottentotti, secondo lo stesso autore, hanno la lunghezza, assai maggiore, di 242 mm. Le cifre relative ai segmenti dell'arto inferiore non sono purtroppo accessibili per medie di serie numerose. Secondo il Vermooten, l'indice omero-radiale, o rapporto della lunghezza del radio all'omero, è nei Boscimani dell'interno 77,6; l'indice femoro-tibiale, o rapporto della lunghezza della tibia a quella del femore, 83,8; l'indice intermembrale, o rapporto della lunghezza omero-radio alla femore-tibia, è di 66,7.
Da molti si ritiene che i Boscimani rappresentino la razza primitiva propria del Sudafrica. Ciò non può dirsi però dimostrato scientificamente sinora: né ci pare dimostrato che gli Strandloopers o Boscimani della costa, i cui resti si trovano negli accumuli di conchiglie sulla spiaggia o in caverne della regione costiera, rappresentino veramente i Boscimani primitivi. I cranî a indice orizzontale più alto, più capaci e, in qualche caso, di maggiore spessore nelle loro ossa (come quello della Grotta di Coldstream, che lo Shrubsall ravvicina al cranio di Boskop; v. paleoantropologia) fanno in verità sospettare la presenza d'un altro tipo o allo stato di residuo o di nuovo accesso. Riguardo alle affinità dei Boscimani con altri gruppi umani, è degna di esser ricordata l'opinione che risale ad un viaggiatore inglese, il Barrow, il quale pensò che i Boscimani fossero discendenti di marinai cinesi. Affinità con Mongoli furono ammesse anche da Knox. Quest'opinione, per quanto assolutamente infondata, esprime un fatto della morfologia facciale bene osservato e che sembra impedisca di accomunare i Boscimani-Ottentotti ai Negri, sia di alta statura, sia di piccola (Negrilli). Ed infatti da molti autori i Boscimani vengono associati ai Negrilli dell'Africa centrale. Ma, già nel 1861, il geniale Isidoro Geoffroy-Saint-Hilaire staccava i Boscimani-Ottentotti dalle altre razze dell'umanità e ne faceva uno dei suoi quattro grandi tronchi per il quale anzi addirittura sospettava un'origine speciale. Uno dei più recenti indagatori, che hanno studiato sul luogo i Boscimani; Rudolf Pöch, dice che essi costituiscono un gruppo dell'umanità che ha diramato assai precocemente, in guisa che esso rappresenta il membro terminale d'una particolare serie di sviluppo; perciò noi cercheremmo invano fra le razze oggi viventi una forma a cui collocarlo vicino. Il Sera infine ha posto i Boscimani sopra uno dei due phyla fondamentali da lui ammessi per i Primati, tutte le altre razze umane essendo poste sopra l'altro.
Bibl.: R. Martin, Zur Anthropologie der Buschmänner, in E. Kaiser, Die Diamantenwüste Südafrikas, Berlino 1926; II, pp. 436-490.
Lingua. - Gl'idiomi dei Boscimani, considerati da alcuni come lingue e da altri come dialetti, presentano un notevole grado di affinità reciproca e formano perciò un gruppo omogeneo. Recentemente D.F. Bleek della Città del Capo ha diviso (v. Bibl.) il gruppo in tre sottogruppi:1. meridionale, comprendente sei tribù viventi, fra cui la maggiore è quella dei Kham e una estinta; 2. settentrionale, comprendente almeno tre grandi tribù e probabilmente parecchie altre minori; 3. centrale, comprendente varie tribù, di due soltanto delle quali (Tati e Naron) conosciamo a sufficienza il linguaggio. Quest'ultimo sottogruppo è linguisticamente intermedio fra il settentrionale e il gruppo Ottentotto. Abbiamo dunque un gruppo di ordine superiore Ottentotto-Boscimano, al quale si collega il lontano Sandawe parlato fra il 5° e il 6° grado di latitudine meridionale e il 35°, 36° grado di longitudine orientale. L'ulteriore parentela è con le lingue nilotiche e camitiche.
I clicks, suoni avulsivi che si articolano inspirando, sono quattro come nell'Ottentotto, eccetto il primo sottogruppo che ne ha cinque.
Il genitivo o caso possessivo precede il nome della cosa posseduta, ossia la collocazione è inversa (determinante + determinando). Fra i due termini sta la particella ka, ga o ta in 1., in 3. Tati dhe e Naron di (come nel Nama).
I pronomi personali sono molto omogenei. In 1. non si ha distinzione del genere, ma il "noi" ha due forme, inclusiva ed esclusiva. In 2. un dialetto ha forme maschili e femminili nel plurale, un altro distingue il "noi" inclusivo ed esclusivo. In 3., il Tati ha ka "noi" maschile e tse "noi" femminile, mentre il Naron ha tre generi come il Nama (maschile, femminile e comune) e anche forme di duale.
Nel Kham il plurale dei nomi si forma di regola col raddoppiamento totale o parziale, negli altri dialetti con suffissi.
I numerali arrivano sino al 3, solo nel terzo sottogruppo vi sono anche forme per 4 e 5. In luogo di "tre" si usa spesso la perifrasi "due e uno" come in lingue australiane.
Nei verbi si distinguono i tempi e i modi per mezzo di particelle preposte.
Bibl.: G. Bertin, The Bushmen and their Language, in Journal of the R. Asiatic Society, XVIII (1886); G. H. Schils, L'affinité des langues des Bushmans et des Ottentots, Bruxelles 1895; W. Planert, Über die Sprache der hottentotten und Buschmänner, Berlino 1905; H. Werner, Anthrop. u. ethnogr. Beobachtungen über die Heikum- und Kung-Buschleute, in Zeitschrift für Ethnographie, 1906; H. Vedder, Grundriss einer Grammatik der Buschmannsprache vom Stamm der !Kũ.Buschmänner, in Zeitschrift für Kolonialsprachen, I (1910-1911); S. S. Dornan, The Tati Bushmen (Masarwas) and their Languages, in Journal of the Anthrop. Institute, 1917; Wuras, An Outline of the Bushman Language, pubblicato da Bourquin nella Zeitschrift für eingeborenen Sprachen, X; D. F. Bleek, The Distribution of Bushman Languages in South Africa, in Festschrift Meinhof, Amburgo 1928, pp. 55-64.