Vedi BOSCOREALE dell'anno: 1959 - 1994
BOSCOREALE (v. vol. II, p. 141)
Le ricerche condotte negli ultimi decenni sul territorio di B. hanno individuato una fitta rete di ville rustiche e costruzioni di epoca romana disseminate nella fertile campagna, testimonianze che, affiancandosi alle celebri ville scoperte all'inizio del secolo, confermano l'alta densità abitativa e produttiva della zona che in antico era un pagus del territorio di Pompei; da alcuni identificato insieme a Bosco-trecase (v.) con il Pagus Augustus Felix Suburbanus.
Recentemente nelle contrade Marchesa e Spinelli sono state rinvenute alcune tombe appartenenti alla c.d. Cultura delle tombe a fossa. I ritrovamenti, avvenuti fortuitamente in seguito a lavori edilizî e stradali, inducono a ipotizzare l'esistenza di un piccolo insediamento in relazione con i coevi e più grandi insediamenti della vicina piana del Sarno. Successivamente, fin dal II sec. a.C., si impiantarono nel territorio numerose aziende agricole che provvedevano allo sfruttamento delle risorse produttive del terreno, reso fertile dai minerali eruttati in passato dal vicino Vesuvio, con colture di ulivo, vite e cereali.
Le ville individuate nel territorio di B. sono più di cinquanta, ma ben poche sono state scavate o indagate completamente: tra esse, oltre a quelle celebri per i tesori di arte pittorica e toreutica (v. vol. II, pp. 141-142) vanno ricordate la villa appartenuta probabilmente a N. Popidius Florus, scoperta nel 1906 in località Pisanella e di cui oggi sono visibili solo i ruderi della sezione con gli ambienti termali e quella, scoperta nel 1928 in Via Vittorio Emanuele III, identificata come proprietà di un M. Livius Marcellus da un sigillo ivi ritrovato (Della Corte).
In studi recenti sono state avanzate nuove proposte di identificazione e datazioni per le splendide e fastose decorazioni parietali della villa c.d. di P. Fannius Synistor; in particolare esse si fondano sui confronti con gli affreschi della villa di Oplontis (v.), scoperta e indagata dalla metà degli anni 60. La villa oplontina presenta infatti partiture decorative analoghe a quelle di B. ed eseguite con la stessa sapiente maestria nella resa del colore e delle prospettive, segno questo che esse furono realizzate negli stessi anni della fine del I sec. a.C., e quasi certamente dallo stesso maestro o dalla medesima bottega artigiana; si confrontino, p.es., le grandi porte, con applicazioni bronzee, dell'atrio della villa di Oplontis con quelle dipinte sulle pareti del cubiculum M della villa di Fannius Synistor. Una nuova interpretazione è stata avanzata per la megalografia del grande ambiente H, forse il triclinio, che andrebbe letta come raffigurazione di sovrani macedoni ed ellenistici riuniti in un'ipotetica scuola filosofica; le scene deriverebbero dalla tradizione pittorico-narrativa greca di figure storiche e personificazioni di paesi e nazioni. La raffigurazione nella stessa stanza di personaggi mitologici e religiosi ha fatto pensare che si trattasse di un ambiente riservato alla pratica di culti religiosi, forse di Afrodite. La presenza di soggetti diversi raffigurati ben si adatta però alla concezione erudita della fruizione artistica romana che adornava le ville di copie, a volta rielaborate, di quadri e statue classiche con spirito contraddittorio di ammirazione e sospetto per tutto ciò che era di tradizione greca (Anderson).
Non ha trovato conferma l'identificazione di L. Caecilius Iucundus quale proprietario della villa della «Pisanella» in località Sette Termini, da alcuni proposta in base ai signacula, ritrovati nella villa che sarebbero appartenuti a suoi liberti.
Nel 1977 durante lavori edili in contrada Villa Regina, vennero scoperti i ruderi di una villa rustica: l'unica dell'area di B. a essere stata interamente scavata con metodologia scientifica; essa resta finora una delle poche testimonianze visibili delle numerose ville indagate a B. dal XVIII sec. a oggi, poiché tutte le altre sono state riseppellite dopo la spoliazione e il recupero delle suppellettili e degli affreschi. Gli ultimi scavi hanno permesso di delineare in dettaglio la planimetria dell'edificio e di parte dei terreni circostanti, coltivati a viti.
La villa ha una larga porta di accesso, transitabile anche dai carri che giungevano così fin dentro il cortile. Significativamente la stanza più grande era il torculanum (IX), costruito secondo lo schema catoniano del tipo più antico, a due alberi, simile a quello pompeiano della Villa dei Misteri, e già riscontrato in altre ville rustiche dell'area vesuviana come quella di San Sebastiano al Vesuvio o l'altra di Cupa dell'Olivella a Sant'Anastasia. Una piccola erma marmorea con testa di Dioniso, quale nume tutelare della villa, era situata nel larario a nicchietta posto sul lato settentrionale del portico, appena oltre la porta della cucina. Sul lato orientale della corte, accessibile anche da un ingresso secondario che dà sulla campagna, si aprono due locali; uno è il triclinio (IV) decorato con pitture di IV stile e pavimentato in cocciopesto, anch'esso non più in uso al momento dell'eruzione vesuviana tanto da essere adibito a deposito delle tegole per il rifacimento del tetto. Modesta era la struttura del porticato, con colonne in laterizio rivestite di intonaco rosso e bianco e il pavimento di terra battuta. Sulla parete di una colonna è graffita una barca con vela quadrata e timoniere. Il portico probabilmente fungeva anche da rimessa per il carro campestre (plaustrum) la cui struttura di ferro è stata rinvenuta all'altezza della cucina. Nella corte, delimitata da un basso muretto in opera reticolata, si apre la cella vinaria, con 18 dolî disposti in tre file di sei unità, capaci di contenere complessivamente c.a 10.000 litri di vino.
Insieme allo scavo della struttura edilizia si è svolta l'indagine dell'area all'esterno della villa, mettendo in luce le tracce delle radici di un vigneto e tratti di una strada poderale delimitata da muretti e rozzi cippi lavici. Lo scavo ha evidenziato come nella villa fossero ancora in corso lavori di ampliamento e restauro dei danni subiti dal terremoto del 62 d.C.; alcuni ambienti presentano puntelli in legno o evidenti segni di abbandono. Il suo primo impianto è da datare agli ultimi anni dell'età repubblicana con ristrutturazioni e ampliamenti nel corso del I sec. d.C. La disposizione degli ambienti e la loro decorazione parietale sono tipiche di queste aziende agricole, le quali venivano gestite da un vilicus.
Di recente (1987), in Via Casone Grotta, si sono trovati resti di mura in opus reticulatum, frammenti di tegole, mattoni, tessere di pasta vitrea colorate e ceramica, riferibili a una villa rustica di età repubblicana, ampliata nel I sec. d.C. I primi sondaggi hanno evidenziato alcuni ambienti posti su due piani diversi e relativi a fasi distinte di costruzione. Uno di essi è costituito da un piccolo vano aggiunto coperto da un tetto a doppio spiovente. La stanza, con un'unica porta di accesso e priva di finestre, ma con tre esigue feritoie nelle pareti, presenta proprio di fronte alla porta di ingresso un larario di buona fattura e in ottimo stato di conservazione, costituito da una nicchia semicircolare e sormontato da un frontone sorretto da semipilastri in stucco con capitelli a foglie e con cornice in stucco dipinto decorata con kỳma reverso. Sulla parete restano tracce di una precedente nicchia.
Sul ripiano marmoreo della nicchia sono stati rinvenuti oggetti relativi al culto praticato nel sacrario, tra cui una statuetta in marmo bianco di figura femminile distesa su klìne, vestita di chitone e mantello, con patera nella mano destra, monili in oro, sei balsamari vitrei e una lamina d'argento, riferibile a una cassetta lignea, con la raffigurazione a sbalzo di una effigie femminile sdraiata su klìne. Alla sinistra della nicchia, su una mensola fittile, c'era un catino in ceramica con due protomi femminili applicate sull'orlo, rivolte verso una terza figura di donna sdraiata, una brocchetta vitrea, due conchiglie, un piattino in terra sigillata orientale B. Dinanzi al larario è situata una piccola ara in muratura.
Dopo gli eventi catastrofici del 79 d.C. il territorio dell'attuale B. fu lentamente rioccupato e le terre rimesse a coltura. Attestazioni di questa ripresa sono leggibili in diverse strutture edilizie posteriori alla fine del I sec. d.C. Uno di questi è il piccolo edificio termale scoperto in Via Grotta nel 1901. Nella terma costruita sul banco vulcanico del 79 fu scoperto un grande pavimento a mosaico databile alla fine del II - inizî del III sec. con una rappresentazione di Venere Anadiomene. In particolare alcune tombe scoperte a più riprese e in diversi punti della città di B. databili al IV sec. d.C., e forse qualcuna anche più tardi, dimostrano una seppur modesta ripresa di attività agricole nella zona, investita in quei secoli da altre eruzioni vesuviane. Queste sepolture in genere molto semplici, sono tombe a enchytrismòs o alla cappuccina, realizzate con tegole di reimpiego, povere nel corredo.
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