Vedi Bosnia-Erzegovina dell'anno: 2012 - 2013 - 2014 - 2015 - 2016
Paese dell’area balcanica, la Bosnia-Erzegovina è nata formalmente nel 1992, a seguito della proclamazione di indipendenza dalla Iugoslavia. Tale atto, sancito tramite referendum popolare il 1° marzo del 1992, rappresentò la scintilla che fece estendere al territorio bosniaco la guerra in atto nella Repubblica Federale Socialista di Iugoslavia dal giugno 1991, che si concluse solo con gli Accordi di Dayton del novembre del 1995.
Nel corso del conflitto furono fatti vari tentativi di mediazione da parte dell’Eu, delle Nazioni Unite, degli Stati Uniti e, in ultimo, del cosiddetto ‘gruppo di contatto’ composto da Francia, Regno Unito, Russia, Germania e Stati Uniti (e in seguito anche dall’Italia). Nel 1994 fu raggiunto un primo accordo per la risoluzione del conflitto tra Croati e Bosniaci, a seguito del quale si formò una federazione croato-musulmana. Nel 1995, dopo la strage di Srebrenica, in cui i Serbi uccisero più di 8000 civili bosniaci musulmani, la Nato intervenne bombardando le forze serbe e, nel novembre dello stesso anno, gli allora presidenti bosniaco, croato e serbo, rispettivamente Alija Izetbegovi´c, Franjo Tu–dman e Slobodan Miloševi´c, firmarono gli Accordi di Dayton, che misero fine alle ostilità e posero le basi per l’attuale assetto istituzionale del paese. Durante la guerra furono commessi crimini contro l’umanità e i Serbi sono stati accusati di aver progettato la pulizia etnica dei Bosniaci, nelle aree controllate dalle loro forze armate. Le vittime del conflitto sono state stimate in quasi 100.000, di cui circa 40.000 civili.
La Bosnia-Erzegovina rappresenta una realtà molto particolare all’interno del continente europeo dal momento che, ancora oggi, è un paese in parte governato da un’autorità straniera. Al fianco delle istituzioni locali federali, infatti, vi è la figura dell’Alto Commissario, istituita a seguito degli Accordi di pace di Dayton. L’Alto Commissario, i cui poteri si estendono anche in alcuni ambiti dell’esecutivo, è nominato dal Consiglio per l’attuazione della pace, organo preposto all’attuazione degli Accordi di Dayton.
Il processo di state-building bosniaco rappresenta, senza dubbio, uno dei più rilevanti e delicati banchi di prova per l’intera architettura della cooperazione internazionale alla sicurezza e, in particolare, per la credibilità dell’azione regionale dell’Unione Europea (Eu). Bruxelles si è infatti assunta la responsabilità maggiore nel traghettare le autorità bosniache verso la definitiva assunzione di tutte le prerogative legislative, giudiziarie ed esecutive proprie di uno stato sovrano. Allo stesso tempo, l’Eu è ormai diventata il principale punto di riferimento politico-economico della Bosnia-Erzegovina, sostituendo gradualmente il ruolo che, nei primi anni dell’indipendenza, era stato ricoperto principalmente dagli Stati Uniti e da organizzazioni quali la Nato o le Nazioni Unite. Nel giugno del 2008, Unione Europea e Bosnia hanno firmato l’Accordo di stabilizzazione e associazione (Asa), che stabilisce il percorso che il paese è chiamato a intraprendere sulla strada dell’ammissione all’Eu. In attesa che l’Asa venga ratificato, nel novembre 2010 sono stati significativamente liberalizzati i visti tra il paese e l’Unione.
Lo stato si compone, sulla falsariga delle divisioni territoriali ed etniche prodotte dalla guerra civile, in due entità: la Federazione di Bosnia-Erzegovina e la Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina. Le due entità rappresentano un primo elemento di decentramento, che si articola tuttavia in modo eterogeneo al loro interno. Se nella Federazione si registra la tendenza a investire politicamente e amministrativamente sul livello statale della Bosnia-Erzegovina, la Repubblica Serba è incline a privilegiare una forte autonomia rispetto al governo centrale. Nel primo caso i Bosniaci aspirano al rafforzamento dello stato unitario e al superamento della divisione in due entità autonome, nel secondo i Serbi aspirano all’indipendenza e all’eventuale riunificazione con la Serbia.
Sotto il profilo amministrativo, la Repubblica Serba presenta un grado di decentramento inferiore rispetto alla Federazione di Bosnia-Erzegovina. Oltre al governo centrale dell’entità – articolato in presidenza, assemblea bicamerale e consiglio dei ministri – esiste solo il livello amministrativo locale delle municipalità. La Federazione di Bosnia-Erzegovina si articola invece su tre livelli amministrativi: la Federazione, i cantoni e le municipalità. L’introduzione di un livello amministrativo intermedio, quello cantonale, ha risposto alle sfide poste dalla convivenza fra i principali gruppi etnici della Federazione, in particolare fra Bosniaci e Croati.
Inoltre, benché sia a livello statale, sia a livello di entità Bosniaci, Croati e Serbi si vedono riconosciuti lo status di ‘popolo costituente’ e garanzie di rappresentatività etnica nelle istituzioni governative, nella Federazione e nella Repubblica Serba tali garanzie sono state interpretate e attuate in modo diverso. Come era prevedibile all’indomani della guerra civile e degli Accordi di Dayton, nella Federazione gli equilibri politici vanno a favore dei Bosniaci e, seppur in misura minore, dei Croati; nella Repubblica Serba è emerso invece un ruolo, per molti versi molto più accentuato, da parte dei Serbi.
Le sfide maggiori che la Bosnia-Erzegovina dovrà affrontare per conseguire la piena sovranità sono costituite, da un lato, dall’avanzamento del processo di riforma costituzionale (attualmente vale come Costituzione l’‘Allegato A’ degli Accordi di Dayton) e, dall’altro, dal contenimento delle ambizioni secessioniste della Repubblica Serba di Bosnia (Rsb). Il continuo riferimento agli ideali nazionalisti da parte della classe politica di etnia serba torna infatti di attualità ad ogni scadenza elettorale, così come accaduto nelle ultime elezioni presidenziali e parlamentari tenutesi nell’ottobre 2010. Attualmente, con l’obiettivo di limitare le tensioni interetniche, il sistema istituzionale prevede una presidenza congiunta tra tre membri, rappresentativi delle tre comunità di cui si compone il paese (bosniaca, serba e croata); essi assumono la presidenza, a rotazione, ogni otto mesi e vengono eletti direttamente per un mandato di quattro anni.
La Bosnia-Erzegovina, quasi a ricalcare la complessità che una volta caratterizzava la Iugoslavia, presenta un quadro etnico e confessionale particolarmente variegato e che ha subito notevoli modificazioni a seguito della guerra civile. Il 44% della popolazione è bosniaca e prevalentemente di fede musulmana; il 31% è serba e prevalentemente di fede ortodossa; il 17% è croata e prevalentemente di fede cattolica; il restante 10% è composto da altre etnie, mentre sono presenti altre minoranze religiose, quale quella ebraica.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) calcola che, ancora a causa degli effetti della guerra, vi siano 113.642 sfollati e 7000 rifugiati, la maggior parte dei quali provenienti dalla Croazia. L’Unhcr sta collaborando con le autorità della Bosnia-Erzegovina nell’attuazione di politiche mirate – in particolare in tema di integrazione – al fine di assicurare la stabilità nazionale e regionale. Parallelamente, i rifugiati all’estero provenienti dalla Bosnia-Erzegovina sono più di 70.000.
Rispetto ai circa 4,3 milioni di persone risiedenti in Bosnia nel 1990, la popolazione si è oggi ridotta a 3,7 milioni. Tale riduzione è imputabile tanto alla guerra civile – che ha causato circa 100.000 vittime e prodotto un elevato flusso migratorio – quanto alla contrazione del tasso di fecondità (1,2 nel 2008). Inoltre, poiché molti emigrati sono giovani, si è registrato un parallelo processo di invecchiamento della popolazione.
La disoccupazione è molto elevata, anche a causa della bassa mobilità dovuta alle divisioni etniche: nel 2007 la disoccupazione maschile era al 26,7%, mentre quella femminile al 33%.
Anche l’economia della Bosnia-Erzegovina risente degli effetti della guerra, che ha comportato la deindustrializzazione del paese e ne ha compromesso le infrastrutture, frenando notevolmente lo sviluppo economico. Allo stesso tempo, le riforme, la ricostruzione e il sostegno internazionale hanno contribuito notevolmente alla crescita economica, tanto che il pil ha raggiunto il 6,8% nel 2007 e, nonostante la diminuzione del 3,4% con la crisi del 2009, il paese dovrebbe tornare a crescere. Il recente Asa con l’Eu e lo Stand-by Agreement con il Fondo monetario internazionale sono strumenti di fondamentale importanza per il coerente sviluppo economico bosniaco.
Il settore dei servizi genera il 64% del pil e occupa circa il 50% della popolazione. I settori d’occupazione principali sono il commercio al dettaglio, l’intermediazione finanziaria, il settore immobiliare e l’amministrazione pubblica (che riflette la complessa struttura politica). L’industria conta invece per il 27% del pil e, nonostante la deindustrializzazione, il settore minerario è cresciuto molto negli ultimi anni e contribuisce in larga misura alle esportazioni. La Bosnia-Erzegovina possiede infatti risorse naturali quali carbone, ferro, bauxite, manganese, piombo, zinco, rame. L’agricoltura rappresenta il 9% del pil e occupa il 20% della forza lavoro, in particolare nella Rsb, dove si colloca la maggior parte del terreno coltivabile. Le rimesse contribuiscono per il 14,8% del pil (dati del 2008).
I maggiori partner commerciali sono Croazia e Serbia – membri, assieme alla Bosnia, dell’Accordo di libero scambio dell’Europa centrale (Cefta) – e l’Unione Europea (in particolare Germania e Italia), che garantisce un accesso preferenziale a beni provenienti dai Balcani al fine di sostenerne la crescita economica. Le esportazioni riguardano soprattutto metalli di base e risorse minerarie, mentre il paese importa prodotti alimentari e chimici, petrolio e prodotti derivati, e macchinari.
La Bosnia-Erzegovina è dipendente al 100% dalle importazioni di petrolio e gas. Tuttavia, la dipendenza totale dalle importazioni è bassa (circa il 28%), grazie alla produzione nazionale di carbone, biomasse ed energia idroelettrica. Inoltre, il paese è un esportatore netto di elettricità. La politica energetica però è gravemente compromessa dalla mancanza di una strategia nazionale dovuta alle divisioni politiche, da cui deriva la frammentazione del settore dell’elettricità e la debolezza del quadro giuridico e delle istituzioni.
La Bosnia-Erzegovina si situa al 68° posto nella classifica dell’indice di sviluppo umano, vicina agli altri paesi della regione balcanica.
Il tasso di alfabetizzazione raggiunge il 98%. La divisione etnica del paese si riflette tuttavia nella frammentazione delle strutture scolastiche. Bosniaci, Serbi e Croati, pur frequentando una medesima scuola, seguono infatti differenti programmi. A questo proposito, il Comitato delle Nazioni Unite per l’eliminazione delle discriminazioni razziali ha raccomandato, nel 2009, che lo stato decida di applicare un unico programma, al fine di promuovere la tolleranza interetnica.
In generale, il nazionalismo etnico rappresenta una barriera per l’integrazione nel paese. Gli individui sono discriminati sul lavoro, nella ricerca di alloggio e nell’accesso ai servizi sociali nelle regioni dove il loro gruppo etnico non è maggioritario. Anche la libertà di religione è di fatto garantita solo nelle aree dove il gruppo religioso è maggioritario. Nel 2009, la Bosnia-Erzegovina è intervenuta con l’adozione di due leggi sul divieto di discriminazione e la libertà di religione.
Infine, il problema della corruzione è grave e coinvolge, tra gli altri, partiti, polizia, sistema sanitario, dogane.
Per gran parte degli anni Novanta, la Bosnia-Erzegovina ha rappresentato l’idea stessa di instabilità e conflitto civile. La guerra che ha interessato il paese all’indomani della proclamazione di indipendenza ha causato più di 100.000 vittime, di cui molti civili, riportando al centro del dibattito europeo e internazionale la questione della guerra civile. Nel 2003, dopo anni di divisione interna, il paese ha finalmente unificato le forze armate bosniache, serbe e croate, ponendole sotto il comando della presidenza tripartita. Parallelamente è stato avviato un processo di ricostruzione interna e di superamento delle lacerazioni provocate dal conflitto, tra cui spicca il massacro di Srebrenica.
Accanto al progetto del Ponte Vecchio, l’Unesco ha sostenuto altri quattro progetti, finalizzati alla ricostruzione della Moschea di Tabacica (finanziata dall’Arabia Saudita), del ponte di Kriva Cuprija (con finanziamenti del Lussemburgo) e dell’hammam di Mostar (finanziato dalla Francia); l’Italia ha invece finanziato un progetto per la valorizzazione del centro storico della città. Dal 2005, tutta questa area è stata dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità da parte dell’Unesco.
Il Tribunale penale internazionale per la ex Iugoslavia (Icty), istituito nel 1993 dalle Nazioni Unite al fine di giudicare coloro che si fossero macchiati di crimini di guerra e contro l’umanità dopo il 1° gennaio 1991, ha incriminato 21 persone per i delitti commessi a Srebrenica. Tra questi, Radislav Krsti´c è stato il primo a essere giudicato colpevole, nel 2001. I processi contro Radovan Karadži´c, Zdravko Tolimir, Jovica Staniši´c, Franko Simatovi´c sono pendenti. Ratko Mladi´c, a capo dell’esercito dei Serbo-Bosniaci nel 1995, è stato arrestato nel maggio 2011 in Serbia.
Del caso è inoltre stata investita la Corte internazionale di giustizia (Icj), adita dalla Bosnia per la presunta violazione della Convenzione sulla prevenzione e repressione del delitto di genocidio da parte della Serbia. La Corte ha affermato che il massacro di Srebrenica è configurabile come genocidio, riconoscendo l’intenzione di annientare i Bosniaci musulmani da parte dell’esercito dell’allora Repubblica Serba, ma ha ritenuto la Serbia non responsabile del medesimo.
Attualmente la Bosnia-Erzegovina può considerarsi un paese in via di stabilizzazione, nonostante permangano alcune potenziali fonti di crisi al suo interno. In particolar modo, le tendenza secessionista della Repubblica Serba di Bosnia-Erzegovina non sembra destinata a scomparire nel breve periodo. La questione della secessione della comunità serba, anzi, è tornata di attualità in seguito al riconoscimento da parte di molti attori della comunità internazionale dell’indipendenza del Kosovo, cui tradizionalmente i Serbi si oppongono, e che riapre l’annosa questione del diritto all’autodeterminazione delle popolazioni balcaniche.
Così come per i rapporti politici ed economici, anche per ciò che concerne le questioni di sicurezza l’Unione Europea è diventata il partner privilegiato della Bosnia-Erzegovina. Dal 2004, infatti, Bruxelles dispiega sul territorio bosniaco un contingente militare nell’ambito della missione Eufor Althea. Quest’ultima ha sostituito la Stabilization Force (Sfor) della Nato, attiva nel paese tra il gennaio 1996 e il dicembre 2005. Secondo gli ultimi dati disponibili, la missione Althea schiera in Bosnia circa 1600 militari.
Uno degli obiettivi principali della politica di difesa e sicurezza della Bosnia-Erzegovina è quello della possibile adesione alla Nato. Dopo aver aderito alla Partnership for Peace (Pfp) nel dicembre 2006, nell’aprile 2010 alla Bosnia è stato concesso il Membership Action Plan (Map) – naturale premessa all’ingresso nella Nato, che potrebbe avvenire tra il 2014 e il 2015.